Umile esposizione sopra al Regola evangelica

PARTE PRIMA

ISPIRAZIONE E ISTITUZIONE

SEZIONE TERZA

PRIMI COMMENTI CAPPUCCINI ALLA REGOLA FRANCESCANA

(Inizio sec. XVI – 1614)

V

UMILE ESPOSIZIONE SOPRA LA REGOLA EVANGELICA DA DIO RIVELATA AL BEATO CONFESSORE FRANCESCO

(SECONDA METÀ SEC. XVI)

BREVE INTRODUZIONE
di
COSTANZO CARGNONI

I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, 755-798.

Table of Contents

5. UMILE ESPOSIZIONE SOPRA LA REGOLA EVANGELICA DA DIO RIVELATA AL BEATO CONRESSORE FRANCESCO

Questa esposizione della Regola, inedita e anonima, anche se, paradossalmente viene nei manoscritti attribuita a frate Angelo Tancredi, compagno di san Francesco, è in realtà una simpatica compilazione elaborata da un anonimo cappuccino che si ispira all’Expositio super Regulam di Angelo Clareno, ma come notevole libertà, fino al punto da apparire nuova e originale, qualcosa di piú di una «simplex italica adaptatio celebris expositionis Angeli Clareni», come scriveva molti anni fa in una fuggevole nota Melchiorre da Pobladura (cf. CF 9 [1939] 51; MHOC II, p. LV).

Il fatto è abbastanza rilevante, anche da un veloce confronto dei due scritti, e sembra una scelta voluta di proposito per motivi diversi e ben concreti, come è stato suggerito nell’introduzione generale a questa sezione.

Se l’attenzione alle parole della Regola si adegua ad alcune riflessioni e sviluppa spunti dedotti da A. Clareno, il risultato è ben differente, acquista un tono più familiare, più attento agli episodi della vita di Francesco riferiti soprattutto come «detti» di frate Leone o dei tre compagni, secondo un’opzione prevalente nei primi cappuccini, persuasi che la vita di Francesco era l’esegesi più chiara della Regola, mentre le testimonianze dei primi compagni erano le più atte a riprodurre fedelmente e realisticamente la vera immagine di Francesco e del suo carisma.

Colpisce, per es. la frequente ripetizione dell’aggettivo «divino» unito al nome di Francesco, o il rimando continuo all’ispirazione, alla presenza e azione dello Spirito Santo, di cui Francesco è «banditore» e dal quale è «inlustrato».

Tutte le scelte di austerità e povertà e semplicità nel vitto, nel vestito, nell’uso delle cose, nelle abitazioni e nelle altre circostanze della vita anche apostolica, sono puramente strumentali alla «gemma preziosa» della fraternità, dell’amore e della perfetta carità; sono «frutto della santa obbedienza» la quale « abbraccia e comprende e fa meritorie tutte l’altre virtù» apprese « nella scuola di lesu Cristo e nella vita apostolica», e trovano, infine, nella incessante preghiera a Dio fatta con cuore puro, « quella operazione ultima alla quale ordina Francesco tutta la sua religione», cioè avere nell’anima lo Spirito del Signore. È questo, sembra concludere l’anonimo scrittore, «tutto l’intento di Cristo nella Regola», strumentalizzando così ai proposti della riforma cappuccina varie riflessioni di A. Clareno, e offrendosi come un’ennesima testimonianza dell’amore dei primi cappuccini alla vita di orazione e contemplazione.

Fonte: Assisi, APC: Nel nome del nostro Signore | Iesu Christo, et della sua Madre Santissima | et del nostro Serafico Padre San Francesco, incomincia il prologo sopra la regola evangelica da Dio rivelata al beato suo I confessore Francesco, con una humile espositione sopra l’istessa, fatta da Frate Angelo Tangredi suo compagno, in Espositioni sopra la Regola di S. Francesco, cod. F. III, 1 [segn: antical, pp. 1067-1191: – Cf. supra: Introduzione, note 44-49.


1. [Breve e notabile dichiarazione della bolla di Onorio III sopra la Regola]

Onorio vescovo, servo delli servi di Dio etc.

712 Non furno vane e sensa proposito le parole proferite dallo Spirito Santo per mezzanità del vicario di Cristo, como instrumento e capo universale della santa Chiesa, ma piene di sentimento, parole dette furno al serafico Francesco e a tutta la religione insieme, e a ciascun membro particolare; imperoché dicendo Onorio, niente altro vol dire se non che ce assegna e ce dimostra un omo da Dio eletto e assegnato alla universal Chiesa, ristringendosi solo in lui ed escludendo tutti li altri.[1] Nel quale, nel elegerlo, Dio aveva posto ogni autorità da approbare e reprobare tutto quello che voleva assolvere e condennare, unire e scomunicare ognuno che, secondo lo istinto dello Spirito Santo, giudicasse degno o indegno. Durante dunque il suo officio, solo ad Onorio si aspettava la piena autorità, sí come a tutti i successori di Pietro.

Dicendo ancora vescovo, viene a dechiarare l’officio per il quale tiene il principato, nel iudicio sopra detto. Questo è quello che volse dire nostro Signore, quando delli ostinati e incorrigibili disse a Pietro: Si te non audient, dic Ecclesiae,[2] cioè a quel sommo pontefice e altri prelati che io nella Chiesa elegerò.

713 E quando dice: Servo delli servi de Dio, ce dimostra essere vicario e successore di Quello che disse: Filius hominis non venit ministrari, sed ministrare, et dare animam suam pro multis.[3] Dimostra ancora la dignità e nobiltà delli servi de Dio, in beneficio de quali Dio nostro Signore ha ordinato il ministerio de tutti i prelati della santa Chiesa. E che altro sono nel regno di lesu Cristo tutti i capi e prelati, se non ministri e servi delli servi de lesu Cristo, quando che esso Salvator del mondo disse: Qui vult inter vos esse maior, sit vester servus,[4] dimostrando che la magioranza nella famiglia di Iesu Cristo consiste in essere più umili e più servire il prossimo suo, e questi sono quelli che sono più degni del offizio e dignità prelativa che più amano Dio e il prossimo suo, dicendo lesu: Simon Petre, amas me plus his?[5], volendo dimostrare che si Pietro non l’avesse amato più delli altri, non sarebbe stato degno in autorità e dignità di soprastare alli altri suoi fratelli.

Onorio, dunque, come vicario di Cristo e successor di Pietro, dichiara e fa sapere a tutta l’universa Chiesa, che la Regola [1077] delli frati minori e modo di vivere secondo essa Regola è secondo la voluntà de Dio, e tutti quelli che l’osservano sono membri e diletti figlioli della santa Chiesa, e sono securi che tutte l’operazioni fatte secondo essa Regola in grazia de Dio, sono meritorie di vita eterna.

E quando dice: Alli diletti figlioli frate Francesco e suoi successori, dimostra l’autorità che da sua santità si concede nella religione di eleggere prelati che abbiano a reggere e governare, essendo il capo da sua santità eletto, cioè san Francesco; immo manifestato e da Dio tale officio gli fu dato, perché nessuno tale officio deve assumere, se non quello che da Dio è chiamato come Aaron.[6]

714 E quando dice: Salute e appostolica benedizione, manifesta la benevolenzia e amicizia della santa Chiesa verso li osservatori e zelatori di essa Regola, li dimostra il desiderio che ha del profitto che devono in essa santa Chiesa partorire i legitimi figlioli di san Francesco, li offerisse e concede la salute e perpetua pace e benedizione, accettando quasi como madre i suoi diletti figlioli nel santo e securo grembio, dalla quale buona madre Chiesa hanno riceuto ricezione e riceveranno in gloria de Dio ogni favore possibile.

Non pensava il beato padre ponere i suoi figlioli in luogo più sicuro che nell’accettazione, benevolenzia, benedizione e grembio della gran Chiesa di lesu Cristo, retta e governata da l’invisibile governatore lesu Cristo, il quale disse: Ero vobiscum usque ad consummationem saeculi.[7]

Quando dice: Suole condescendere la Sedia Appostolica alli pietosi voti e onesti desideri de quelli che dimandano etc., ci dimostra l’effetto dello officio, che è de favorire ognuno che vole onorare, cultivare e amare il sommo Creatore e capo della Chiesa Iesu Cristo, essendo proprio officio appostolico conducere l’asina e il poledro a lesu Cristo,[8] acciò sopra vi seda, cioè i dui populi giudaico e gentile, e per loro tutto il mondo.

715 E quando dice: Pertanto, o diletti figlioli nel Signore etc., vol dire: «Noi come vicario di Cristo, per quella autorità che di sopra ce è data, ne stabelimo e confirmamo, immo facciamo sapere a tutti, che la Regola de’ frati minori è fermata e stabilita dalla divina voluntà, dalla quale dipende, e come legis dator e dechiaratore de quei dubbi che possono nascere nella Chiesa, e in tutte quelle cose che paiono incominciarsi di [1078] nuovo, dico e affermo che la Regola delli frati minori è cattolica, santa e perfetta, e per tale nella Chiesa voglio che sia auta e tenuta, e da qui in poi a nessuna persona sia lecito prosontuosamente e temerariamente impugnarla, perseguitarla, o in qual si voglia modo contrariarla, senza incorrere nello sdegno dello omnipotente Dio come contrari e inimici delle divine voglie, e come impugnatori e persecutori della verità, e come quelli che impediscono la salute del prossimo e il bene universale della Chiesa e l’onor de Dio; e per questo con autentico scritto appostolico la fortifichiamo e approbamo, fulminando l’ira de Dio, la scomunica del corpo della Chiesa e la maledizione eterna, contra di quelli che pertinacemente e ostinatamente la detta Regola e suoi osservatori impugnaranno ». Amen. […]

2. [Esaltazione dell’obbedienza e intenzione di san Francesco]

Vivendo in obedienzia etc.

716 Con grande raggione lo Spirito Santo per mezzo del suo servo Francesco ci rappresenta la nobiltà, la grandezza e il profitto che causa e partorisce l’obedienza santa in questi che, secondo l’intento dello Spirito Santo e del suo banditor Francesco l’osservano; imperoché, tanto è a dire: vivendo in [1083] obedienza, quanto che fare una vera obedienza che causi e dia, a chi la fa, vita dell’anima, che vuol dire, la grazia di Dio. Quasi dica: «Avertiti, benedetti figliuoli, che de seguitare l’obedienza dello Figliuolo de Dio avete preso briga, che la vostra obedienza da osservare niente altro è che per ogni grado di perfezione essere uniti e trasformati nel volere del Figliuolo de Dio, il quale non fu altro, né altro da noi ricerca, se non manifestare la gloria del Padre[9] e li beni del cielo, e quelli mezzi con i quali se possono tutti acquistare».

717 Però la prima obedienza e quella alla quale principalmente più sono obligati i frati minori, è la piena subieczione e l’umile obedienza alla santa Chiesia e a’ suoi prelati; è per sí fatto modo assoluta questa tale obedienza, che nissuna creatura può astrengerci, né comandarci alcuna cosa, la quale sia contra la Chiesa santa e sue determinazioni.

L’altra obedienzia, alla quale i figliuoli di Francesco sono tenuti a fare, si è la perfetta osservanza della Regola, sopra la quale nessuno ha autorità di dispensare, se non il sommo pontefice e i sacri concili, ed è assoluta talmente questa obedienzia che nessun prelato di essa religione contrafare, astrenger ce puote; anzi, ogni volta che i professori di essa Regola obedissero nelle cose che appertamente son contro la Regola, peccarebbeno.

La terza obedienza che son tenuti a osservare si è obedire ai prelati di detta religione, in tutte quelle cose che non sono contrarie all’anima e alla Regola. Non senza causa dunque dice: Vivendo in obedienza, imperoché, sicome ciascuna creatura vive e reposa nel luogo che Dio gli ha prefisso e preordinato per suo luogo proprio, ed essendo fuori di esso luogo gli conviene morire, sí come la pianta fuor della terra, i pesci fuor dell’acqua, gli uccelli fuor dell’aria, e l’anima nostra fuor de Dio more, perché sonno fuor del proprio luogo, cossí assegna e dimostra il Figliuol de Dio per loro proprio luogo dove se hanno da conservare, che è l’obedienzia santa, fuora della quale nessun professore di essa Regola viver può.[10]

718 E dice: Vivendo in obedienzia, perché non basta obedire quando che al frate minore gli vien comandato da suoi prelati, ma gli bisogna aver fermo proposito de sempre obedire, e mai far resistenzia all’obedienzia santa, sicome dice il nostro Signore: Non enim veni facere voluntatem meam, sed eius qui misit me Patris;[11] e in un altro luogo: Cibus meus est ut faciam voluntatem Patris, qui misit me ut perficiam opus eius.[12]

Altissima in vero fu l’obedienzia del Figliuol de Dio, quando che non per sua vuoglia, né per sua autorità se gloria esser venuto, ma ben si gloria e con gran voce grida che il suo Etterno Patre mandanto l’ha nel mondo.[13] Paolo medesimamente dice: Quantunque sia una stessa cosa col suo Etterno Padre, esser nondimeno per la nostra salute fatto obediente in ogni cosa.[14] Però non è maraviglia che l’Evangelista dica che il Figliuol de Dio era subietto e obediente[15] [1084] alla sua dulcissima Madre e a losefe, suo putativo padre quando che nascendo, vivendo, morendo, e in tutte le opere, parole, gesti e cenni, sempre egli fece e operò secondo l’obedienzia del suo Etterno Padre.[16]

Per imitar dunque e conformar se stesso e i suoi figliuoli il santo Francesco all’obedienza del Figliuolo de Dio, vuole talmente che vivino e se riposino nell’obedienzia santa, che non faccino, né operino alcuna cosa che non dependi dall’obedienza o de Dio o della Chiesa o della Regola o dalla vuoluntà de suoi prelati, e talmente uniti e legati siano che, sicome dice il santo padre nel suo Testamento: « Io voglio obedire al generale ministro di questa religione e a quel guardiano che gli piacerà di assegnarmi, e talmente voglio essere preso nelle mani sue, che mai possi per nessun tempo far contro la vuoluntà e obedienzia sua, perché è mio signore ».[17]

719 Vivere debbano donque i frati minori nella obedienzia, cioè che la sia tanto perfetta che conferischi all’anima loro la divina grazia ch’è vita dell’anima, e una perpetua memoria della vita e obedienzia del Salvatore; gli conferischi ancora la quiete perfetta della mente come quelli che nelle suavi braccia della santa obedienzia della religione dormano e si reposano. Questa è quella quiete santa, frutto della santa obedienzia, che il frate servo di Dio in se stesso riceve e che disposto il rende a conculcare e disprezzare tutte le cose del mondo, a vincere e superare le tentazioni, immo tutto spedito e sciolto lo rende e se ritrova di posser volare a tutte l’ore che Dio il chiamasse al cielo ed esservi riceuto come figliuolo legittimo della santa obedienzia; si rende anco atto e disposto a l’alta contemplazione delli eterni beni.

Questa è quella virtú che fa, essendo morto, vivere, perché quanto è più morto ne l’obedienzia, tanto più vive in Dio e in Lui si riposa; perché i veri obedienti non moiono mai; o non serà egli vero che mai moiano quando che, se dormano, meritano come se vivi fossero; se magnano, s’operano o se pensano in tutte le cose, quantunque minime che lor fanno in tutto il tempo, e quanto più perfettamente in questo soave sonno e morte dell’obedienzia vivano, tanto più sempre meritano, e in Dio in ogni grado e dono di grazia vivano, perché sonno uniti e trasformati nella vitale obedienzia del Figliuolo de Dio, fondamento, origgine, causa e vita d’ogni nostra obedienzia e d’ogni nostro merito.

720 Questa è quella virtù santa ch’abbraccia e comprende e fa meritorie tutte l’altre virtù; fuora di questa nessun’altra virtù a Dio piace; ma sotto l’ombra dell’obbedienza santa, grandi e meritorie tutte a Dio si rendano, perché altro non è essere fuora della santa obedienzia, se non essere diviso e separato da Cristo e dalla santa Chiesia e dalla Regola.

Per questo il duca e condutiero di essa religione Francesco vuolse con essempio e con dottrina, dal principio della sua conversione insino all’ultima ora che in questo mondo visse, con ogni grado di perfezione osservar essa obedienzia, e in essa confirmar e indurre tutti i suoi figliuoli. Onde dice fra Leone[18] ch’esso serafico padre mai vuolse in nessun luogo essere senza superiore che li comandasse e lo essercitasse in essa virtù de l’obedienzia santa; e quando andava per viaggio, [1085] subbito che se partiva dal luogo, alla porta di esso luogo chiamava il suo compagno, quantunque fusse alcuna volta esso compagno novizio di poco tempo alla religgione, e li diceva: «Fratello, ti prometto obedienzia in tutto questo viaggio. Abiate cura di me e di comandarmi tutte quelle cose che voi sapete appartenere alla mia salute e che piú vuolete». Li sentii dire a esso beato padre che cossí volentieri averebbe obedito a un novizio che li fusse assegnato per prelato, come al primo della religione e diceva che l’obedienzia era quella che ci rimetteva e di novo ci faceva raquistare quello che il nostro primo padre per disobidienza aveva perso e perse per tutti i suoi figliuoli, e non obedire era segno di gran superbia e d’ambizione.

721 La qual cosa non scordato il beato frate Francesco da Pavia, nella provincia di S. Francesco nel luogo della Rumita di Cese, stando in orazione, nel oratorio del Sasso, parlava con Cristo e con la sua dulcissima Madre, ché per quatordeci anni eran soli[ti] sempre ogni giorno aparirgli, fu chiamato dal guardiano di quel luogo, e sentendo esso beato essere chiamato dal suo prelato, senza demorare pur un batter d’occhio, da Iesu Cristo e dalla Madonna si partí e andossene a compir l’obedienzia che a esso Iesu Cristo promesso aveva; e menandolo il guardiano seco per la elemosina a un castello, ritornato al luogo, compita l’obedienzia, ritornò all’oratorio di prima. Ritrovandoci Cristo e la sua dulcissima Madre, si buttò in terra piangendo, li domandò perdono, parendoli essersi portato villanamente, che li aveva lasciati per obedire al guardiano; ma il Figliuolo de Dio vuolse mostrargli quanto l’obedienzia gli piace con dirgli: « Sappi, Francesco, che se tu non fussi andato subbito e obedito per mio amore al tuo prelato, non averesti meritato di vedermi piú in questo mondo; ma tanto me è piaciuto la tua obedienzia pronta e da ogni altra affezione spiccata, che tu hai meritato con la mia dulcissima Madre ritrovarmi in questo luogo, e per l’avenire te apparirò e confortarò in tutti i tuoi bisogni». Rispose il beato Francesco: «Signore mio, la vostra presenzia è dolce paradiso ed è ogni bene. Come son io degno che vostra Maestà usi benignità cossí grande?». «Sappi, Francesco, che il terrore e benevolenzia della mia presenzia si conserva sempre nella Chiesa in quelli che sonno da me nell’officio di prelati; e ogni vuolta che tu vedi il tuo prelato, tu vedi me in lui representato». E da quello in puoi fra Francesco da Pavia, ogni vuolta che vedeva il suo prelato, inginocchiato in terra gli faceva riverenza.[19]

722 Che dirremo del serafico Francesco che ne l’umiltà ora constituto in terra, quando che vicino alla beata morte, pieno di Spirito Santo e desiderio di conformarse a lesu Cristo in ogni cosa, con gran fervore si cavò l’abbito e buttandosi in terra nudo, aspettava di mandar fuora lo spirito e renderlo al suo Creatore nudo, sí come esso Cristo in sul legno della croce vuolse morire e per mostrare [1086] ancora che non aveva cosa nissuna commune col mondo e per essere piú spedito con il nudo inimico infernale che in simil tempo tentar suole nudo combattere, nondimeno parendo al guardiano che quel stare cossí nudo gli arebbe pottuto accel[er]ar la morte, gli portò l’abbito e li disse: «Padre reverendo, pigliate questo abbito per obedienzia ». Allora udendo il divino Francesco nominare l’obedienzia santa, inclinò il capo e con grande umiltà repigliò l’abbito, vuolendo che sí come con santa obedienzia aveva incominciato, cossí anco con la santa obedienzia finisse il suo felice viaggio e andarsene a l’Autore di essa obedienzia e inlustre capitano de’ veri obedienti lesu Cristo, al quale sia onore e gloria, ora ed in eterno.[20]

3. [Vocazioni all’Ordine e profezia di Francesco]

Se alcuni vorranno pigliar questa vita e veniranno alli frati nostri etc.

723 La esperienza ci mostra che il bene e il male d’una repubblica, di un regno e d’un imperio dipende e nasce dalla concordia o discordia del buono o cattivo reggimento di chi regge e governa.

Il medesmo si può dire d’una religione e republica di Cristo ch’abbi a durare o no nel riggore e osservanza della regola e statuti dell’Ordine per il buono o cattivo reggimento, per l’unione e concordia o discordia che ivi si rittrova.

Per questo l’uomo di Dio Francesco voleva che nella religione si elegessero prelati e superiori matturi, inluminati, zelanti osservatori della Regola e ferventi amatori di Cristo e del suo onore, e si regessero in tutte le cose con matturità e giudizio, maxime nel ricever secolari alla religione, e non riempirla di persone innette e non chiamate dallo Spirito Santo.

Per questo proibisce a ogni altro il ricever a essa religione eccetto alli ministri, acciò con più matturo giudizio e manco se ne ricevano.

Per questo dicono i tre compagni[21] che durò molti anni che tutti quelli che venivano per esser riceuti, li ministri li mandavano a san Francesco il quale con molta maturità e probazione le ricevea [1098].

724 Ed essendo una volta pregato da uno de suoi compagni ch’essortasse un giovane da bene che praticava nel luogo a farsi frate, li rispose l’uomo di Dio Francesco: «Frati, non è offizio mio né vostro di essortar nissuno che venghi alla religione; ma è offizio dello Spirito Santo che sa e cognosce quelli che sonno buoni e atti per la sua religione. Ma offizio nostro è con essempio e buone opere di penitenzia essortare ognuno al ben fare, lasciare il mondo e seguitar Cristo»; e diceva: «Cristo il quale piantò la religione volle che a lui se rimetta il governo, l’acrescimento e la conservazione, perché una delle strade che i demoni hanno preso a impugnare la religione si è la indiscreta e inconsiderta ricezzione, perché induranno molti perversi uomini a intrare nella religione e provocaranno l’animo de’ ministri a riceverli senza alcuna esperienza dello lor buon proposito, interiore rettitudine e fervente desiderio della loro buona voluntà; ma attenderanno se sonno nobili, ricchi, dotti, industriosi in qualche arte e di gran fama appresso il mondo, li quali riceuti faranno Regola di proprio parere e sensualità e disprezzaranno la Regola che a Dio hanno promesso.[22]

E per questo, contro l’astuzia de demoni e per acrescimento e conservazione della religione, Cristo vuol che sol i ministri ricevino alla religione e che all’officio del ministro siano elletti solo quelli che hanno in sé Cristo e il suo Spirito, e quelli tali che non cercano le cose della carne, ma quelle cose che sonno di Cristo e del suo onore, acciò che dal loro reggimento naschi e si conservi nella religione la pura osservanza della Regola, l’onestà della vita, il culto divino e al mondo buon essempio e per questo dice papa Gregorio nella sua dechiarazione: « I ministri provinciali non possano concedere alli altri, secondo il vigor della Regola, il ricever frati, perché la Regola proibisce al generale che non conceda tal offizio se non alli ministri provinciali, senza licenza speciale di esso generale ».[23]

725 E diceva il beato Francesco che cossí da suoi compagni fu scritto in nome suo nel Testamento e altri luoghi, che non fu sua intenzione né di lesu Cristo, secondo che li aveva rivelato, che li frati dessero alla Regola altro senso, né in nessun modo la chiosassino, che il semplice senso naturale, fidelmente e puramente inteso, e che per nessun modo presumessino i frati sopra di ciò impetrar littere o privilegi nella corte romana, né per poter confessare né predicare, edificar luoghi o chiesie, né per persecuzioni che li fussero fatte; perché se loro perseveraranno nella pura osservanza della Regola e Testamento, sí come li fu rivelato da Cristo ch’era accetta, retta e senza errore nel suo cospetto e senza dubbio li condurebbe al porto di sallute.[24] Onde dicano i 4 Maestri dell’Ordine, li quali per comandamento del padre generale de l’Ordine composeno la Regola e la mandarono a frate Aimone generale di quei tempi, che il previlegio che hanno impetrato da sua santità, che li ministri possano conceder alli [1099] altri la recezzione de’ frati è contro la purità della Regola, e quelli frati che tal cosa exercitano contra la intenzione della Regola non sonno securi di conscienzia, e tanto più quanto che con il tempo s’impetrano altri previlegi, per essempio di questo, contro la purità della Regola.[25]

726 E il serafico Francesco, dallo Spirito Santo inlustrato, diceva e pronunciava le trasgressioni e relassazioni che dovevano venire nella sua religione da frati carnali e sensuali, mossi da maligni spiriti: «Non solo anichilaranno in se stessi ogni purità della promesa Regola, ma odiaranno e perseguitaranno i zelanti osservatori di essa Regola e per toglier via il stimolo della conscienzia impetraranno da sua santità previlegi, edificaranno luoghi sontuosi, riceveranno legati e sepolture, spenderanno il loro tempo in vani studi di scienzie impertinenti alla loro salute e dalli altri cercaranno favori umani e seculareschi, e per abundare in loro i favori mondani e comodo del corpo e della gola, con gran ipocrisia fingeranno santità ed essere osservatori della Regola; cercaranno prelazioni e con grande ambizione d’essere assonti, sotto colore di dottrina, santità e favori umani, a vescovadi e cardinalati, e se partiranno dall’umiltà, povertà e osservanza della promessa Regola.

Per la qual cosa nasceranno nella povera religione scisme, contenzioni e persecuzioni, l’un contro l’altro, in tanta copia che puzzaranno a tutto il mondo per li scandali e mal essempio che si vedrà in loro. Allora i zelanti e veri figliuoli della Regola, immo di Cristo, si remaranno in Dio e beati seranno quelli che per nessuna tentazione di demoni e malvaggi uomini si partiranno dalla pura osservanza della Regola.

727 E doppo molte persecuzioni, la clemenza in lesu Cristo per le lagrime di quelli suoi figliuoli e infocate orazioni, s’inclinarà a concederli di poter osservar la promessa Regola, perché nello spirito del fondatore nelli ultimi giorni si farà la riforma di alcuni semplici e idioti frati, e serà questa riforma differente dalla prima instituzione della Regola, perché in principio li fu dato il capo, e a questa riforma li sarà dato in ultimo, imperoché doppo la persecuzione universale e riforma della Chiesa, quelli pochi frati che saranno vivi se racoglieranno nel terzo luogo e faranno congregazione quei santi poveri per consultare intra di loro il modo di viver secondo la semplicità e purità della Regola da pochi prima intesa pienamente; nella quale congregazione per rivelazione de Dio saranno certificati del modo di viver secondo la Regola col segno certo che quella sia la vera riforma; e da quello in poi non nascerà più tra loro contenzioni, né dispareri alcuni, ma tutti raccolti di un animo e uniti insieme per virtù dello Spirito santo intenderanno e osserveranno la Regola a Dio promessa con tanta perfezzione che non fu mai né mai serrà nella mia religione il piú alto [1100] stato di osservanza e di contemplazione; pareranno più presto angeli che uomini, dilaterà il Signore Dio, inluminerà e conserverà quella congregazione e non permetterà che i demoni ci mandino de suoi; ma quelli novizi che veranno alla religione non seranno di quelli che son nati per carne e sangue, ma quelli che per Spirito Santo renati e chiamati sonno e sí come li primogeni[ti] e l’ultimi figliuoli sonno più amati e diletti al padre, cossí noi che siamo i primogeniti e quelli ultimi nella religione saranno dal celeste Padre più amati e di doni e grazie più privilegiati.[26]

4. [Espropriazione come discernimento vocazionale]

Li ministri li dicano la parola del santo Evangelio, che vadano e vendano tutte le sue cose e se sforzino darle a’ poveri, il che se non potranno fare gli basti la bona voluntà.

728 Voleva il serafico Francesco che i ministri della sua religione se sforzassero con ogni diligenza nella recezione dei novizi di cognoser s’erano chiamati dallo Spirito Santo o dal demonio per disturbar l’osservanza della Regola; e per questo vuol che se esaminino nella fede cattolica ed eclesiastici sacramenti, perché ritrovandosi maculati nella fede, chiaro segno sarebbe che non da Cristo ci sono menati, ma dal demonio; e per magior probazione della loro buona vuoluntà debbano, secondo la forma del santo Evangelo, dirli che dispensino ogni lor richezza a’ poveri.[27]

E vuoleva il beato Francesco prima che si vestissino, [che] accomidassino e dispensassino la lor robba, acciò che con magior quiete, spediti da ogni mondana cura, se fundassino quel anno della probazione nel Spirito di Cristo, e non volendo dispensar a poveri è segno manifesto della lor tepida vuoluntà e ambigua de avere a perseverare; o non nega però ch’avendo parenti poveri, non possi lasciar e dispensar la sua robba a loro, come a poveri, come fece il beato Francesco ch’avendo detto a frate Ioanni semplice[28] che vuoleva farsi delle suoi frati, che dispensasse la sua robba a poveri, se ne andò il semplice frate Gioanne e spicò un buove dal aratro con quali lavorava nel campo e menollo a san Francesco, dicendo che molto più li toccarebbe de la sua robba; «nondimeno vi prego», disse, « padre mio, che dispensate questo a poveri»; e ritrovando di puoi il piatoso Francesco che i suoi parenti erano poveri, vuolse che li lassasse il detto buove per amor de Dio come a poveri bisognosi; e quando ancora non potevano avere la sua robba, senza intrare in inimicizie e liti, e con pericolo di ritornar indietro dallo servizio de Dio, che lassassino andare perché li basta la buona vuoluntà.

729 E non voleva l’uomo di Dio Francesco[29] [1101] che i frati s’impaciassero della lor robba, né che li consigliassino, perché queste cose hanno per consuetudine di parturir odio, innimicizie e contenzioni e molta inquietudine, le qual cose tutte debbano essere lontano dai servi di Dio; voleva nondimeno che, quando da loro si movessino a far alcune elemosine a frati, che potessino recevere le cose necessarie al corpo e per necessità presenti e non future; non concedeva però che ricevessino danari o altra cosa da far danari, ma quelle cose che dalla Regola li si concede di poter ricever ancora dalli altri.

E quando dice che avertino i frati e li loro ministri che non siano soleciti delle sue cose temporali, vuol dire che non abbino l’occhio de ricever la lor robba per fabricar luoghi o altro lor desegni e che si guardino che con parole o vero con cenni de inclinar il giovan di lassar lor robba a chi vorebbono loro, acciò che possi liberamente e di sua vuoluntà, non impedita dalli altri, dispensar la lor robba, quando, come e a chi li piace; perché diceva il beato Francesco che non era lecito a conumerare con li poveri di Cristo quelli che non hanno voluto con i poveri acomodar la lor robba; e un giovane della Marca ch’aveva lassato la sua robba a parenti ricchi, lo caciò via come indegno d’esser riceuto.[30]

730 A confirmazione di questo farà a proposito quel che fra Pietro Cattani suo compagno e vicario di tutto l’Ordine disse al beato Francesco,[31] se li piaceva che ricevesse per bisogno de’ frati le cose che concorevano a Santa Maria delli Angeli, e alcune cose che da novizi li erano offerte. Rispose il divin Francesco: “Dio te perdoni, fra Pietro; sia da voi e da me questo pensiero molto lontano perché più se contentaria la Vergine Maria Madre di Cristo quando accadessino le necessità de’ frati che voi dite, che si scuopri ‘l suo altare e se diano li panni per le necessità de frati, che si ricevino le cose offerte da novizi contro l’Evangelo del suo Figliuolo; perché nessuna cosa è per rovinare la nostra religione quanto l’abundanza delle cose temporali per la divozione de populi e per la recezion de ricchi, perché la povera famiglia de Cristo ha per fondamento la povertà santa, la qual tolta via, va per terra ogni edifizio di religione e vita spirituale”.

Questa è quella che tutti ci commette e rasegna alla providenza de Dio. Questa è quella che nelli edifizi, nel vestir e nel magnar edifica il mondo e muove a devozione ognuno, dalla qual devozione nascano l’elemosine e le necessità de frati e comodità di poter servire a Dio e con continui diggiuni e sante meditazioni far degni frutti di penitenza, secondo la vuoluntà del institutor Cristo. Però, benedetti figliuoli, se volete la porta aperta di poter far degni frutti al mondo e convertir l’anime a Dio con il buon essempio, ed essere reconosciuti per legittimi figliuoli de Dio e che ve siano aperte le porte della contemplazione e i secreti de Dio e al fin vostro trovar il [1102] cielo aperto, andate vestiti del palio della santa povertà, richezza e tesoro de’ servi de Cristo, e vi faccio sapere che quelli frati che scacciano da sé la povertà santa, perderanno il lume di Dio e accecati e ottenebrati dal proprio senso incoreranno in ogni vizio».

5. [L’abito dei novizi e difesa dell’abito cappuccino]

Dapoi gli concedano li panni della probazione, cioè dui toniche senza cappuccio e lo cingolo e le brache e il caparrone insino al cingolo, salvo se a essi ministri altro secondo Dio alcuna volta paresse.

731 In doi cose consiste principalmente l’abbito con il quale l’omo di Dio Francesco voleva che se vestissero i suoi frati, cioè nella viltà e forma dell’abbito, non descrepando in questo da queli primi padri e veri servi di Dio, i quali secondo le croniche e scritti e antiche pitture che di molti santi si vedano e che solenissimi scrittori indubitata fede ci fanno, che di panni rozzi e vili andavano vestiti e le loro melote e palî erano brevissimi, vilissimi e poverissimi i mantelli che loro portavano per defendersi dal freddo e molte vuolte dalla pioggia.

Però il divin Francesco, imitatore e renovatore della vita e costumi loro, concede a suoi frati doi panni, sotto nome di doi toniche, e a novizi con questa differenza, che siano staccate ambedue dal capuccio, per segno manifesto a ognuno del anno della probazione e che non sonno ancor legati per il voto a essa religione.

In quanto la forma del abbito, piglia Francesco la forma antica che tenevano e usavano tutte le religioni anticamente, sicome si vedano ancora insino a’ nostri tempi la religione de’ certosini i quali portano il capuccio aguzzo. Ne fa fede anco l’abito di esso padre col quale ebbe le sacre stigmate, il quale con grand’onore si reserva per reliquia nell’alma città di Fiorenza; e quello col quale morse che nel convento de Assisi, dove giace il corpo di esso benedetto padre, si conserva; e io che scrivo queste cose li ho visti e toccati con le proprie mani e misurando il capuccio era doi spanne e aguzzo. Che diremo del cappuccio del beato Ruffino, il quale si riserva nel monastero di Santa Chiara in Assisi, vilissimo di color cinerizio e longo piú di due palmi? Che dirremo dell’abbito del beato Simone della Contessa, che si riserva nel convento di Spoleto, il quale è vilissimo, il capuccio piú di doi palmi lungo?

732 In S. loanni Laterano, in S. Maria Maggior, in S. Silvestro, nella chiesa di sopra nel convento di Assisi, nel convento de Pisa e altri quasi infiniti luoghi è dipinto san Francesco e altri santi dell’Ordine con il capuccio aguzo, con l’abito stretto, rapezzato e vile; e quelli che dicano che san Bonaventura tolse via il capuccio dell’Ordine, avertischino bene che il beato [1103] Raniero dal Borgo di S. Sepolcro, il corpo del quale se ritrova intiegro, vestito d’abito vilissimo di color negro e natural capuccio, ben quattro spanne lungo e aguzzo, il quale morse, sí come apare per publico stromento fatto per mano di notaro, piú de 40 anni doppo san Bonaventura.[32]

Il manifestano anco le croniche dell’Ordine, le quali dicano che sdegnandosi il generale dell’Ordine fra Michele da Cesena con papa Giovanni vigesimo secondo, fu constretto il generale di fugir in Lombardia in una fortezza e in quel tempo si divise la religione, perché il papa fece per propria autorità un altro generale, e una parte de’ frati aderivano con frate Michele e l’altra parte con il generale del papa; e perché si cognosessero i suoi, vuolse il sommo pontefice che attondassino il capucio e quelli che aderivano con frate Michele portavano il capucio aguzzo, sicome dal padre san Francesco per forma dell’abbito li era stato dato; ma poi in successo di tempo tutti attundierno il capuccio per non disepararsi dalla vuoluntà del pontefice, e cossí se perse la forma dell’abito, data dal nostro padre alla religione, e questo dicono le croniche de l’Ordine.[33] La larghezza dell’abbito, sicome per li abiti sopradetti, non debbe eccedere 12 palmi; il capuccio cuscito deve restare longo doi spanne, e tanto longo che, tirato, copra tutta la faccia.

733 E diceva il nostro padre che il frate minore debbe star nel suo abito e col suo capuccio talmente coperto che, andando per viaggio, come si occulta il romito nel suo romitorio e si cuopre per non vedere né sentire le vanità del mondo, cossí deve il frate minore servirsi del suo capuccio, acciò che con esso si defendi dal sole, dalla pioggia e dal non vedere le vanità del mondo; ma sicome nel oratorio fusse con la mente levata in Dio, con l’abito a guisa di croce, se sforzi di portar Cristo nel cuore e mostrare al mondo che con esso Cristo è crocifisso.[34]

Venendo una volta al beato Francesco doi suoi frati francesi e parendo all’uomo di Dio che non fussino vestiti vilmente, secondo la purità e simplicità della Regola, duramente li riprese ed essi, scusandosi, dissero che nei lor paesi non ce era piú vil panno di quello; e metendosi il beato Francesco un abito tutto coperto di sacco, li chiamò a sé e li disse: «Ecci di questo panno nei vostri paesi? »; e quelli frati, componti, umilmente riconobboro la lor colpa.[35]

6. [Professione religiosa, tonaca e mantello]

Ma finito l’anno della probazione, siano riceuti alla obedienzia, promettendo di osservare sempre questa vita e Regola.

734 Non prima che finito l’anno della provazione voleva il beato Francesco che i novizi fossero riceuti alla professione, perché in tempo di un anno si possi vedere ed esperimentare tutte quelle cose che in essa religione sono da osservare, acciò che il novizio con maturità [1104] e giudizio conoschi quel che può o non può fare; e i frati medesimamente, essendo il novizio passato per tutte quelle cose che sanno a osservare, possino conoscere le forze e la buona o cattiva nattura, se è sano o infermo, e la buona o cattiva sua vuolunta, e da questa esperienza naschi in loro la resoluzione di riceverlo o non riceverlo.

E non senza propposito dice che siano riceuti all’obedienza, perché ne l’obedienzia evangelica se includono e si contengono tutte le virtú, e per questo chiama la recezzione e voto della vita evangelica obedienzia, perché per l’obedienzia di Cristo siamo salvi e redenti, per la medesma obedienzia siamo chiamati alla vita della grazia e della gloria.

Che altro è la mortificazione e renonciazione d’ogni nostra vuoluntà che obedienzia, qual ce unisce al capo nostro Cristo, alla Chiesa e alla religione? L’osservanza dunque dei divini precetti non è altro che obedire a Dio e a quelli che in suo luogo resedano e in nome suo comandano.

735 La professione dunque consiste in promettere e in far voto de vivere sotto la obedienza santa e osservare la Regola de’ frati minori semplicemente come sona, senza chiose o stirachiamenti, per la qual osservanza sonno ordinati da essa Regola tutti quei mezzi che sonno necessari e oportuni. E perché nessuna cosa è piú contra la Regola che viver in libertà, però li dimostra che sopra tutto doppo la professione non eschino di essa religione, e dice: secondo il comandamento del signor papa, perché san Francesco aveva posto nella Regola che, quando per la persecuzione de mali frati e per la relassazione della osservanza della Regola non si potesse in essa religione spiritualmente osservare, soli o acompagnati potessino andare a osservarla nei deserti. Ma parve a sua santità che questo passo potesse dar occasione a molti bizarri e superbi frati che hanno in odio la subiezzione sotto spezie o pallio di osservare la Regola, uscir dalla religione; per questo vuolse sua santità moderar questo passo,[36] come se dirrà al suo luogo. Non è lecito dunque a professori di essa Regola uscir della religione e alontanarsi dall’obedienza.

Dice ancora che doppo la professione abbino una tonica con il capuccio e un’altra senza capuccio, chi la vuorà avere.

736 Tutti li espositori e li sommi pontefici, come anco tutti i dottori dell’Ordine dicono che non è lecito a frati minori, fuori di estrema necessità, usar piú di doi panni, e li tre compagni di san Francesco dicano che esso per pura osservanza della Regola non vuolse mai usare altro che una tonica, e nel gran freddo la rapezzava dentro e di fuori, e nel viaggio portava un vile e corto mantello, il quale mai voleva ricevere se non con patto di poterlo dare, quando trovasse alcuno che ne avesse piú bisogno di lui. Onde accadeva che pochi mantelli portava longo tempo, perché tutti li dava per l’amor di Dio e i suoi compagni doppo la morte del beato [1105] Francesco eran contenti del abito solo rapezzato e d’un piccolo e vil mantello, che non eccedesse l’estremità delle mani. Ma perché la religione si partiva a poco a poco dalla pura osservanza della Regola, quei ferventissimi imitatori di Francesco perseveravano in quella forma e modo di vestire che da esso aveano ricevuto, e per questo eran chiamati da frate Elia e da suoi seguaci li Amantelati. Molto meglio senza dubio se vive nella pura osservanza della Regola circa il vestire con una tonica sola e col mantello, che con doi toniche, perché andando per viaggio spesse vuolte si trovan vestiti con tre panni […].[37]

7. [La preghiera dei chierici e della Chiesa romana]

Li chierici facciano il divino officio secondo lo ordine della santa romana Chiesa, eccetto il salterio.

737 Quantunque siano molti l’effetti e le proprietà dello Spirito Santo, che causa in quelli che possede e regge, è nondimeno singularissimo e particulare di tenerli sempre uniti; e sicome la Scrittura dice: Ego cogito cogitationes pacis,[38] levato e tolto via dal cor loro ogni discordia e contenzione, genera e partorisce ne le anime sante ch’Egli possiede, una immensa pace e tranquillità di mente.

Il medesimo nell’esteriore e in tutte le dif[ic]ultà che nelle menti umane nas[c]er puonno, in questo singolarmente si conosce se dallo Spirito Santo sonno mosse e inspirate, quando che con ogni umiltà se rimettano alla Chiesa santa e sua dottrina.

Il contrario partorisce e genera nelle menti [1112] umane il maligno spirito, cioè disparere, contenzioni, varietà, sette, pertinacia, ostinazioni e disturbi in se stessi, con la Chiesia e con il prossimo.

L’unità dunque è proprietà dello Spirito Santo nel bene; questa unità fu quella che dallo Spirito Santo fu comunicata nel cuore, nella mente e in tutte le opere del divin Francesco. E per questo, avendo nei doi precedenti capitoli della Regola ordinati i suoi figliuoli come debbano vivere e osservare i divini precetti, sotto l’obedienza, reverenzia e correzione della Chiesa santa, in questo terzo capitolo, volendo dar ordine e modo sicuro e perpetuo al culto divino, dice: I chierici faccino il divin officio, secondo l’ordine della santa romana Chiesia.

738 Toglie Francesco ogni briga e cura alli professori della sua Regola, di corregere, agiungere o diminuire, mutar o in qual si voglia modo ordinare come s’abbia a dire il divin officio; e come buon figliuolo, in tutto e per tutto, lascia questa cura alla santa madre Chiesa universale, alla quale principalmente s’aspetta d’ordinare a i fedeli, che laude, come e quando e con che cerimonie da essi render si debba all’alto Creatore il debito culto e onore. Immo nel suo Testamento l’uomo di Dio Francesco proibisce a i suoi figliuoli ’l variare della Chiesa e sue ordinazioni circa il culto divino e vuole che siano puniti delle medessime pene che se fussino eretici.[39]

Non posson dunque senza offender la purità della Regola i frati minori variar nell’officio divino dall’ordine della Chiesa. Benché i frati minori in tutte le lor cose deveno ordinar se stessi in perpetuo servizio di lesu Cristo, nondimeno per esser il bene universale di magior importanza che il particulare, come sono l’ore canonici e le divine messe, da tutta l’universale Chiesa, nelle publiche chiese e tutti insime con bone voci, consonanzia di spirito, costumi, cerimonie e riverenzia senza code e biscanti o altre superfluità che diminuiscano e ritardano la devozione, da clerici e a Dio consecrate si deveno dir con piú solecitudine che l’altre orazioni private, come minor bene e particulare. Però ogn’altra devozione particulare, al tempo del divino offizio, si debbano lasciare, perché in quella si serve solo a se stessi, quantunque possano ancor giovar a gl’altri; nondimeno nelle ore canoniche se paga il debito, se satisfa alla Chiesa e alli ascoltanti, e per molte altre circostanze dello divino officio si debbe tener conto, più che di ogni altra cosa, per essere mediatamente al culto divino ordinato.

739 Però, come dice il beato Leone,[40] l’uomo di Dio Francesco andando per viaggi, quando veniva ‘l tempo de l’officio divino, se fermava, quantunque molte volte fusse cattivo tempo [1113] e con molta riverenza ingenochioni, o vero in piedi, e mai a sedere, né apogiato, quantunque fosse stracco o infermo, rendeva al Signore le debite laude; il medesimo faceva stando nel luogo.

Onde, secundo che dicano i tre compagni,[41] voleva ch’i frati che abitavano nei luoghi solitari, che la mattina dicessino prima e terza, e almeno una messa; di puoi stessino in orazione insino a l’ora di sesta; e detta sesta, le madri laici, per il suono d’un tegolo chiamassero i suoi figliuoli a prendere il cibo, e andando li sacerdoti e chierici, s’inginochiassero in terra e umilmente domandassero alle lor madre laici il cibo corporale; e che li laici con ogni benignità provedessero e ministrassero a essi le lor necessità. E andando per l’elemosina, si guardassino che nel ritornare allo luogo, non portassero novelle del seculo; né vuoleva l’uomo di Dio Francesco che in quelli luoghi si parlasse mai altamente, né se facesse strepido o altri rumori, né mai ce entrassero seculari, acciò che con piú tranquillità di mente i sacerdoti a Dio consecrati potessero attendere alla santa contemplazione; e questi tali, che questa vita tenevano, fuggendo ogni secularesca conversazione, li chiamava il padre san Francesco frati della mensa rotonda e segretari di Dio; e questa fu sua intenzione, ch’i frati, sequestrati dal mondo con il mezzo della povertà, sbrigati da ogni mondana cura, quanto patisce la fragilità umana sempre tenessero questa vita.

740 E perché i breviari e i libbri in quel tempo molto costavano, per zelo di povertà e per levar dal cor de frati ogni affezzione, voleva che li breviari s’avessino in commune e accadendo a servirsene ne pigliassero uno secondo che li veniva alle mani, senza particular affezzione.[42]

E narra il beato Leone[43] che vidde in visione che molti frati passavano un gran fiume e tutti quelli ch’erano carichi vi remanevano dentro e ‘annegavano, e alcuni che portavano poco peso, con gran difficultà passavano; ed esso frate Leone, perché aveva il breviario, fu per annegare; la qual visione esponendo, il b. Francesco disse: « Cossí serà, carissimo figliuolo fra leone: tutti quelli frati minori che con briga e peso delle cose temporali, vuoranno passare il fiume di questo mondo, ci resteranno anegati e dannati ».

741 I medessmi tre compagni[44] dicano che venne una vuolta un gran predicatore e domandando al beato Francesco della sua intenzione, se secondo la Regola i frati potevano aver libbri a uso proprio, rispose il beato Francesco: «Io intendo la Regola circa la povertà e quanto a tutte l’altre cose, secondo che la suona, e secondo il senso literale, cioè che li frati non abbino a uso proprio se non l’abito, tunica, la corda e le mutande [1114] e li clerici li breviari ». Rispose il predicatore: «O che farò io ch’ho tanti libbri che vagliano bene cinquencento lire?», e questo diceva perché avarebbe auto licenza da san Francesco a tenerli. Allora il beato Francesco rispose con gran spirito: «Voi frati minori volete esser chiamati osservatori della Regola e vuolete aver la borsa; io non posso né vuoglio conceder tal licenza contra la promessa Regola».

742 Un’altra vuolta[45] per importunità e incautamente concesse a un frate un salterio piccolino; ma di poi ripensando l’uomo di Dio, chiamò quel medessmo frate e li disse: « Figliuolo, dove te ho io concesso il salterio? »; e menandolo in quel medessmo luogo, l’uomo di Dio genuflesso le disse: « Qui in quel medessmo luogo te lo ritolgo, perché contro la purità della Regola e incautamente te lo concessi; perché a frati minori non è lecito aver altro che quel che se li concede per la Regola ».

Qui è da nottare che due traslazioni e due interpretazioni fuoron fatte dal Hebreo, in greco e in lattino; quel ch’usano i Greci, quale s’usava molto piú in tutte le chiese de’ cristiani, cossí lattini come greci; l’altra interpretazione è usata solamente dalla Chiesa romana in Roma, più in S. Pietro che nelle altre chiese di Roma; e perché l’uomo de Dio Francesco vedeva che più universalmente era usato a tutta la Chiesa, ecetto in Roma, come è il detto salterio che ora usano i frati minori, per questo, per non discrepare da le altre religioni e da li altri chierici, non vuole che s’usi quel salterio che da pochi fuor della chiesa di S. Pietro è usato; però dice « ecetto il salterio ».

8. [I Pater Noster dei fratelli laici]

Ma li laici dicano 24 pater nostri per mattutino etc.

743 Quantunque vari e diversi sentimenti da molti espositori della Regola siano stati dati, parendo loro ch’essendo la Regola da Cristo nostro Signore rivelata a san Francesco, non manchi di mistero e spirituali significazioni: perché più 23 che 30 pater noster per mattutino? Perché più 7 alle altre ore, e 12 per vespro? M’è parso dirci 25 parolle per ecitare i semplici e divoti laici a dire il loro officio più divotamente,[46] conciosia cosa che la Chiesa de Dio, dallo Spirito Santo governata, siano state ordinate l’ore canoniche per render al Creatore le debite laude; ma piú particularmente per renderli grazie delli immensi benefizi che abiamo riceuti da sua divina Maestà; ma perché sopra tutti i benefici, doi sonno i principali, per li quali viviamo corporalmente e spiritualmente: il primo è l’essere che Dio ci ha dato creandoci; il secondo è l’essere della grazia che abiamo riceuta per li meriti della passione di nostro Signore; e per questo significarci e dimostrarci, lo Spirito Santo vuole che si dicano [1115] 24 pater noster per mattutino, che finisce con le tenebre e incomincia con la luce, cioè nel finir della notte ne l’ultima ora si chiama mattutino; e nel principio del giorno si chiama l’aurora. Il tempo tenebroso durò dallo peccato d’Adamo insino alla morte di Cristo; dalle quali tenebre siamo liberati per li meriti della passione del nostro Signore Iesu Cristo, quantunque nascendo nel peccato originale siamo sottoposti a esse tenebre; ma per la resurezione di Iesu Cristo s’incomincia a noi l’aurora, quando che per il sacro batessmo diventiamo membri del corpo di lesu Cristo capo universale.

744 24 dunque sono i pater noster per render grazie a Dio del beneficio dell’essere; e perché questo nostro esser dal peccato ci ha liberati dalla gravezza della legge, dalle tenebre e maledizioni per li meriti della passione di Cristo; ché sí come il giorno naturale se determina con 24 ore, le quali finite, se dà principio all’altro giorno seguente, cossí per lesu Cristo, finito e determinato il tempo tenebroso dello peccato, se dà principio al nuovo giorno di grazia e di misericordia.

Però cinque sonno li pater noster per le laudi, perché tutto abiamo riceuto per le piaghe del Salvatore; ma perché per Iesu Cristo redutti siamo redenti e sani, non vuole che spendiamo il tempo in ozio; per questo per prima, nella qual’ora Cristo nostro Signore, sí come ne l’ora mattutina fu preso e presentato ad Anna, legato, percosso, schernito in casa di Caifas, flagelato e impregionato e finalmente dallo sommo sacerdote e da tutto il consiglio de vecchi condennato, cossí nell’ora di prima, fu presentato a Pilato, schernito e flagelato, vuol che ci esercitiamo ne l’opere di misericordia, e accioché meglio l’essercitiamo, secondo la vuoluntà de Dio e nostra salute, 7 vuolte, nel quale 7 petizioni domandiamo a Dio li nostri bisogni spirituali e corporali. Per prima orando a Dio domandiamo; replichiamo nell’ora di terza, nella quale Cristo fu presentato a Erode, e da lui schernito fu remandato a Pilato, dal quale iniquamente fu sentenziato a morte.

745 I laici dicano 7 pater noster pregando Dio che li dia grazia per li meriti delle false accusazioni e condenagione che Cristo per nostra salute recevette, de mai falsamente iudicare, condennar in qual si voglia modo offender il prossimo; ma che ci dia grazia d’addempire il divino precetto: «Ama il prossimo come te stesso».

A sesta Cristo fu posto in Croce, fu abbeverato di acceto e fiele, fuoron divisi i suoi vestimenti da carnefici, e quasi da tutti beffato. 1 laici dicano 7 pater noster, acciò che Dio li dia grazia di fuggir di non esser de quello numero e gran moltitudine che de Cristo se [1116] beffano, ma di quel picol gregge e di quelli pochi che de Cristo piansero e per dolore erano con Cristo crocifissi, come fu la sua dulcissima Madre e li santi apostoli, con pochi altri amici di lesu Cristo. Ma perché pochi e rari se ritrovano, che nel tempo della probazione e tentazione non vuoltino le spalle a lesu Cristo se dallo Spirito Santo non sonno fortificati e sostenuti, per impetrare dunque li 7 doni dello Spirito Santo, 7 sonno li Pater Noster.

746 Ne l’ora di nona Cristo nostro Signore, avendo in persona del buon latrone perdonato a tutti quelli che creder e sperar doveano in opere buone e in sua divina grazia finire, avendo pregato per li suoi inemici, e a san Giovanni racomandato la sua Madre, con gran vuoce racommandando al suo Eterno Padre la sua santissima anima, la mandò fuori del suo santissimo corpo, per dare compimento alla nostra redenzione; però sette sonno li Pater Noster per domandare grazia a Dio che delle cose che noi usiamo in questo modo l’abiamo a usuar e dispensare secondo il beneplacito suo, accioché, come buoni e fideli dispensatori del tempo, delle forze corporali, de l’ingegno e della robba, meritiamo alla morte di render lo spirito immaculato, essendo, come vivi, cosí ancora nella morte, tutti di lesu Cristo. Nell’ora dello vespero il Figliuolo di Dio fu levato di croce e fu posto nelle braccia della Madre sua dulcissima, che altro non vuolse dimostrare se non che Cristo dalla sinagoga fu empiamente posto in croce, fu ad essa sinagoga tolto da l’Eterno Padre come indegna poseditrice, e posto nello grembo della santa Chiesa, dalla quale con il mezzo delli 12 articoli della fede, fu per grazia dello Spirito Santo abbraciato e in essa sepolto e nella medessma resuscita e vive, come diletto sposo, vita, belezza e tesoro infinito di quella. Dodeci sonno dunque i Pater Noster per impetrar da sua divina Maestà la stabilità e perpetua fermezza della indubitata fede di 12 articoli di essa che con esso Cristo e sua Chiesa ce unisce.

 

747 Ne l’ora di compieta, Cristo con molto pianto da Iosefo e Nicodemo fu posto nel santo sepolcro, dal quale esso resuscitò per resuscitar tutti quelli ch’erano e sonno morti nel peccato, con il Batessimo e con la contrizione e confessione. 7 dunque sonno li Pater Noster acciò che da Dio possiamo impetrare che tutto il tempo della sepoltura della religione nella quale sotto l’obedienza morti e sepolti siamo, talmente siamo morti e de ogni propria vuoluntà spogliati, che noi meritiamo al fin della nostra sepoltura ognuno con Cristo e con suoi elletti gloriosi resuscitare.

Ma perché tre sonno le chiese o vero tre parte e in tre diferenti stati, militante, purgante e trionfante se [1117] ritrova; ed essendo la religione de frati minori ordinata a beneficio de tutta la Chiesa da Dio, vuolse il divin Francesco che la purgante fusse aiutata con le orazioni da frati minori, come l’altre doi, e però dice: «Preghino per li morti». E se mai non fusse articolo di fede, come è questa sol sentenzia, ce doverebbe bastar a creder il purgatorio, per esser la Regola di frati minori da Dio rivelata e da santa Chiesia approbata; debbon dunque ogni dí i laici far qualche particular orazioni per le anime sante che sonno in purgatorio nell’ora di compieta. Non parla di sacerdoti, perché da essa Chiesa nelle 7 ore canoniche è stato ordinato che li chierici preghino per li morti.

9. [Dopo la preghiera il digiuno]

E diggiunino dalla festa di Ognisanti insino alla Natività del Signore

748 Due sonno l’ale principalmente con le quali se vuola e se perviene all’alta contemplazione, cioè il diggiuno e il silenzio. Per questo l’uomo di Dio Francesco avendo ordinato a li suoi figliuoli nel modo di vivere con quei mezzi opportuni e più necessari che è possibile, per venire alla contemplazione e alla intrinsica unione con lesu Cristo; ora con queste due ale del diggiuno e silenzio più particularmente e strettamente ordina i suoi figliuoli non partendose da l’antico costume de quelli antichi padri, cossí del Vecchio come del Nuovo Testamento, li quali facevano gran fondamento nel diggiuno e corporale astinenzia, vuol esso padre santo che digiunino con gran strettezza di diggiuno, solitudine, silenzio e orazione le dette quaresime, sí come si legge di lui, della quaresima che fece allo spiego di S. Urbano, dove fece per divin miracolo de l’acqua vino; medesimamente del digiuno che fece nel monte della Verna, nel fin del quale ricevette da lesu Cristo le sacre sigmate; di quello che fece ne l’isola del lago di Perugia, dove in 40 giorni si crede che mangiasse solo mezzo pane, e sicome san Bonaventura dice de lui, tutto il tempo che visse nella religione, sempre digiunò e la magior parte in pane e acqua e poco.[47]

749 Che diremo de’ santi padri nel deserto, con quanta stretezza d’astinenzia maceravano la lor carne? Ma lasciando da banda tutti li altri, l’esempio solo del Salvator del mondo bastar ci doverebbe, il quale per pagare i debbiti e peccati che con le nostre gole abbiamo comessi e comettiamo sempre, vuolse diggiunare 40 giorni e sí ancora per approbare e autenticare il santo diggiuno e lasciarlo nella Chiesa per essempio da essa in perpetuo osservato. In questo dunque fonda il divin Francesco il diggiuno che da tutti i suoi figliuoli si debba osservare, perché ancor questo [1118] ce meritò lesu Cristo, che in virtú de suoi diggiuni, che fussero grati e meritori a Dio ancor tutti li nostri diggiuni, fatti per suo amore, dal quale riceviamo le forze e la sapienza de poter degnamente deggiunare. Faceva san Francesco con molta devozione la quatragesima dalla Epifania insino alli 40 giorni e quantunque per la religione non sia d’obligo, nondimeno quelli che possono e non la digiunano perdano assai e mostrano d’avere poca devozione e non hanno la benedizione del padre san Francesco;[48] come ancora la quatragesima è tempo devoto che Cristo nostro Signore per nostra salute con il suo santo digiuno consacrò, ed è antico costume di quelli ferventissimi servi de Dio che [con] non manco stretezza la diggiunavano che quelle altre due d’obligo; e quando li frati se raffreddano dallo diggiuno di questa quatragesima santa, danno di se stessi un cattivo essempio di relassazione e de poco spirito e maxime i gioveni e sani, che con gran facilità, immo con molta sanità dell’anima e del corpo posson digiunare.

750 Non tacerò un essempio che da l’uomo di Dio Giovanni Climaco, sotilissimo e solicitissimo invistigator della vita religiosa e contemplazione, diceva egli che in 24 lettere greche consiste tutta la monastica perfezzione [49], cioè ne l’obedienzia, nel diggiuno, nel cilizio, nella cenere, nelle lagrime, nella contrizione, nella confessione, in non render male per male, nell’amor del prossimo, nella mansuetudine, nella semplice e ferma fede, esser senza coriosità e quistioni, sotigliezze de passi difficili della Scrittura, esser privo de ogni cura secularesca e d’ogni solecitudine e cura di questo mondo, odiare di odio santo la patria e propri parenti, fugir ognuno e remover da sé ogni superflua familiarità, nella perfetta mortificazione della propria voluntà, nella vuoluntaria viltà de se stesso e accioché Dio ci conceda queste virtú e perfezzioni, si debbeno dire ogni giorno alcune devozioni.

Fuorono alcuni frati che doppo la morte del beato Francesco dissero che i frati minori non sonno obligati se non a quelli diggiuni che sono nella Regola, la qual dice: « in altri tempi non siano obligati i frati al diggiuno corporale»; li quali frati fuoron duramente ripresi dal beato frate Giovanni da Parma[50] dicendo che per le Scritture, sicome ancora la raggione dimostra, potiamo conoscere di esser tenuti a osservare quelli digiuni che per la Chiesa li altri cristiani sonno tenuti di osservare, come sonno le quattro tempora e le vigilie.

10. [Nel mondo, ma non del mondo]

Io conseglio, amonisco e conforto li miei frati nel Signor lesu Cristo che quando vanno per il mondo etc.

751 Non vuoleva il beato Francesco ordinar nissuna cosa circa [1119] il regimento e modo di vivere della religione, né soddar con scritti o in qualsivogli modo, se prima non ricercava il beneplacito e vuolunta di lesu Cristo, il quale, sicome esso Francesco disse pubblicamente nel capitolo generale che fu celebrato a Santa Maria delli Angeli (essendo presente il cardinal Ostiense, protetor de l’Ordine) disse averli rivelato Cristo che «a pochi e rari santi dette tanta copia della sua presenzia quanto ho fatto a voi, Francesco; e tutte le vuolte che per utilità della Religione io ricorro a Lui, benignissimamente me essaudisce, e me cava d’ogni dubbio ».[51]

Però, ritrovandosi quasi nel principio della religione, gli venne dubbio se qual fusse la vuoluntà di lesu Cristo, o che totalmente sequestrato dal mondo, menasse vita contemplativa nelli asperi e solitari deserti, o che andasse a predicare alli infideli e pervenisse alla palma del martirio, o vero andasse per il mondo predicando alli cristiani con parole e buono essempio; e volendo sopra questo certificarsi del beneplacito de Dio, non solo per le sue orazioni e prieghi, ma de santa Chiara, del beato Silvestro e altri fidelissimi servi de Dio,[52] fu da lesu Cristo certificato che l’aveva chiamato con tutta la religione per utilità del prossimo e che la vita de’ frati minori dovesse tendere circa queste due virtú piú principali, cioè alla contemplazione e quelle circostanze ch’essa contemplazione favoriscano e rendano perfetta; la seconda alla salute delle anime con la predicazione della parole di Dio e con il buono essempio.

752 Certificato dunque l’uomo di Dio che la sua vuoluntà era che i suoi frati infervorati nella contemplazione, pieni dell’amor de Dio e del prossimo, a luogo e tempo conversassero tra secolari per loro salute, gli dà la forma come hanno da conversare dicendo: «Vi essorto, benedetti figliuoli, che quando andarete per il mondo vi guardarete di non litigare, de non contrastare o in qualsivoglia modo contendere intra di voi, o col qual si vuoglia persona, né con parole né con fatti, ma siate miti, pacifici e modesti; miti dico nella persona, modesti ne’ costumi, pacifici nella conversazione, parlando a tutti onestamente come se conviene alli servi de Dio e alla conversione e salute dell’anime.

E perché vana sarebbe la predicazione delle parole senza il buon essempio di purità e santità de vita, però vi essorto a predicare molto piú con l’essempio che con parole, essendo servi di quello che per le Scritture se rasomiglia all’agnello mite, pacifico, innocente e semplice; e non dovete cavalcare senza manifesta necessità o infirmità [1120] perché l’andare a cavallo non è conforme allo stato apostolico, il quale abiamo promesso a seguitare ».

Il Figliuolo di Dio andava predicando e discurendo per la Galilea[53] non a cavallo, ma a piedi, scalzo e mal vestito; non con molta provisione di vettovaglia, ma con cinque pani d’orzo,[54] e passando per le campagne, sgranavano le spighe per cibarsi de granelli di grano;[55] non con pompa e con superbia, ma mite, umile, paziente, famellico e nel conversare tanto mansueto che, a guisa di agnelino innocente, ognuno lo tocava, ognuno l’urtava e ognuno pigliava di lui sigurtà insino a publicani e meretrici, vil feminelle e fanciulli,[56] per dar la forma a ognuno ch’imitare il vuole; perché molto piú con mansuetudine, umiltà e carità se tirano l’anime de peccatori a penitenza e salute dell’anima che con terso parlar, acutezze de scienza e altri atti de superbia e de fausto.

753 Ma quando il Figliuol de Dio per adempire le Scritture li bisognò cavalcare, umilmente vuolse cavalcare, non in cavallo, ma sopra l’assinello;[57] non in sella addornata e indorata, ma sopra i vestimenti de’ suoi apostoli. Cossí i professori dell’Evangelo, occorendoli per necessità cavalcare, per immitare quelli antichi il Salvatore del mondo andavano sopra l’assinello.

Fu mandato ancora il divin Francesco acciò ch’essendo tutto evangelico, annunciasse la pace ch’era stata fatta tra Dio e l’uomo per lesu Cristo suo Figliuolo; e però pose nella Regola: « In qualunque casa intraranno ecc. » e mai doverebbono i frati minori usare altra salutazione, essendo stata a loro rivelata questa da Cristo e imposta, come dice il beato Francesco nel Testamento: «Questa salutazione me rivelò il Signore che noi dicessimo: Il Signore te dia pace» .[58] E non vuoleva il beato Francesco ch’i suoi frati in nessun modo avessero cura e solecitudine delle necessità corporali, ma che prendessero quello che dalla divina providenza d’ora in ora le era preparato; e quando mandava i suoi frati in viaggio, era solito dirli quel verso dello Salmo: lacta cogitatum tuum in Domino et ipse te enutriet.[59] E che albergando in casa de alcuni onesti uomini, mangiassero di quelli cibbi che li erano posti inanzi, secondo la libertà evangelica e costume de povere persone, perché alli poveri di Cristo non se li conviene apparati e particular provisioni, ma umilmente e domesticamente mangiar di quello che mangiano loro, intendendo de cibbi convenienti; e non contra al diggiuno d’obligo mangiar la carne, né contra ‘l corpo cibbi venenosi, ma cibi convenienti. […]

11. [Intenzione di san Francesco circa il convento e le chiese dei frati]

Li frati niente si approprino, né casa, né luogo, né alcuna cosa

754 [1137] Nella legenda dei tre compagni[60] si dice che san Francesco, quando s’aveva a pigliare un luogo, la prima cosa vuoleva che s’andasse al vescovo della diocese e ottenuta la licenza si pigliasse il sito con patto espresso che sempre fusse d’altrui iurisdizzione, e talmente ne fusse patrone che tutte le vuolte che dicesse a’ frati: «A me non piace ch’abitate piú il mio luogo», e li frati senza replica e senza mostrar alcuna tristizia subbito se ne partisseno; e quando accadeva venire alcune persone a detti luoghi, se li mostrasse ogni benignità e che ognuno avesse piú da fare in essi e piú ne fossino patroni che i frati istessi, etiam che ci venissero i latroni, non vuoleva che se li desse repulsa, né con parole né con fatti, né mostrassero di detti luoghi dominio alcuno averne.

755 Circa alla fabrica vuoleva che i frati pigliassero intorno a detto luogo sito per farve delli orti e un poco di bosco, il quale fosse circondato da fossi e d’una buona siepe, per guardarsi dalle cattive conversazioni e sospette, come donne e altri, e per posservi li frati sicuramente senza molestia de seculari farvi le loro orazioni e devozioni. Voleva che la fabrica fusse tanto bassa che un uomo grande stando in piede tocasse il tetto di esso luogo; murati simplicemente, senza agricciature o lisci curiosi e che di fuora si vedesse la faccia della pietra e non coperte di calcina; li tramezzi delle celline fusseno de vimene intessute e impiastrate di loto e che i frati sapessino sempre il patrone del luogo, e che almeno una vuolta l’anno lo riconoscessero per patrone, come fece esso padre del luogo di S. Maria delli Angeli che insino che lui visse, portava ogni anno all’abbate di S. Benedetto un canestrello di certi pescetti che se chiamano lasche in cambio dello censo dello detto luogo, con ringraziarlo del tempo che li ne aveva accomodato e se li piaceva che ci abitassero per l’avenire […].[61]

756 E le chiese che san Francesco fece fabricare dove i frati dicevano l’officio e la messa sonno tanto piccole che con fatiga ci starebbi dentro 25 persone a star aggiatamente, sí come insino a oggi si posson vedere la chiesia dello Spiego di Canale, la chiesa delo Spiego di S. Urbano, quella delle Carcere d’Assisi, quella delle Celle di Cortona e molte altre le quale se vedano, cossí le chiese come i luoghi, essere poverissimi, vilissimi e simplicissimi fabricati […].[62]

12. [Dilezione, domestichezza e amorevolezza dei frati]

757 […] Vuol dunque il serafico padre Francesco che sí come una gran casa e gran famiglia nissuna cosa piú la governa e conserva quanto la dilezzione, domestichezza e amorevolezza l’un verso l’altro, cossí la famiglia di Iesu Cristo sua religione [1147] non con altro legame l’unisce e lega insieme tanta moltitudine, tanti membri dissimili di sangue, di patrie, di linguaggi e de nazioni, che con il legame della dilezzione e dell’amore, acciò si mantenga unita e legata di molti membri con il suo capo Iesu Cristo; con il quale legame Dio nostro Signore lega e unisce tutto il creato. E piú vuole il beato Francesco che sia grande questo legame e nobile, quanto che con esso s’ha da unire non membri e famiglie profane, ma membri e famiglie di Iesu Cristo.

E per questo avertino i professori di questa Regola che i loro fratelli che debbono amare sonno spirituali e non carnali; però tanto deve essere piú grande l’amor loro spirituale inverso i lor fratelli che quello della madre verso il suo figliuolo carnale, quanto che lo spirito è piú grande e piú nobile che il corpo.[63]

E sí come dice il Salvatore nostro: «In questo conosceranno gli uomini se sete miei discepoli, se vi amerete l’uno l’altro»,[64] cossi i professori di questa Regola in questo si conosceranno se sonno veramente evangelici e della famiglia del Figliuol di Dio, quando che con tutto ‘l cuore amaranno il suo fratello, dandoli buono esempio, bona dottrina, occasione sempre di tendere a perfezzione, gli daranno sicurtà con domestica e familiare conversazione, con parole amorevoli, e nelle loro necessità gli serviranno e accarezzaranno piú assai che non fa la madre [con] il suo figliuolo infermo.

758 E si tutte le parole della Regola del divin Francesco, con spirito e vita, essendo parole della somma sapienza del Figliuolo di Dio, in queste singularmente, accadendoli a parlare di quelle cose che piú aveva scolpite nel cuore, l’esprime con parole piú alte e con essempi piú nottabili. Era tanta la pietà che viveva nel serafico Francesco che non solo la mostrava alle razionale creature, ma con molta familiarità insino alli bruti animali, e questa era quella gemma preziosa che tanto desiderava che fussero adornati i suoi figliuoli, l’amore, la domestichezza e la dilezzione l’uno verso l’altro, perché l’odio, la discordia, le cattive parole, le mormorazioni, non unirse l’uno l’altro, le persecuzioni e l’ambizioni fanno la religione e famiglia di Cristo diventar un inferno e famiglia di Lucifero.

E se l’unione e dilezzione edifica il mondo e nutrisce nella religione ogni bene, per contrario la discordia scandalizza il mondo e annichila e consuma in essa religione ogni bontà; la qual discordia dipende da l’amor proprio, sí come la dilezione e concordia nasce [1148] e di pende dall’osservanza della Regola e dal perfetto amor di Dio.

759 Narrano i tre compagni[65] ch’essendo il divin Francesco in abbito secolare e già convertito a Dio, essendo a cavallo appresso uno ospedale di leprosi, vicino alla città di Assisi che si chiama l’ospedale de parete, un leproso tanto grandemente piagato, maxime nella faccia, che a vederlo dava spavento ed era tanta la puzza ch’usciva delle piaghe ch’era cosa intollerabile; il che vedendo il giovinetto, contro il suo costume passò via senza darli limosina; ma non piú che passato, ritornato al cuore e repensando al proponimento ch’aveva fatto in se stesso di mai renunziar cosa che per l’amor di Dio li fusse domandata, reprendendo se stesso e ritornando al leproso, per meglio vendicarsi di se stesso l’abbracciò e nella faccia dove era piú piagato il basciò, e mettendo mano alla borscia per darli l’elimosina, il detto leproso con faccia gioconda gli sparve dalle braccia, svaní via; per la qual cosa conobbe chiaramente che il detto leproso era Iesu Cristo aparito a lui in quella forma, onde recevette Francesco un desiderio immenso di servire ai leprosi e a persone inferme, sicome fece quasi tutto il tempo che lui visse; e cossí vuoleva che servissero ai leprosi i suoi frati; quanto maggiormente devono servire ai suoi fratelli infermi […].

13. [Il capitolo generale dei frati]

760 Per la Regola sonno obligati li ministri e li custodi di convenire nel capitolo generale; il tempo e luogo, e quando s’ha da celebrare è in potestà del generale.

E voleva il beato Francesco[66] che nei capitoli convenissero i piú santi ed essemplari frati che si trovassero nella religione, dai quali fusse tratato come meglio e piú strettamente s’osservasse la Regola in essa religione e che si provedesse a tutte le relassazioni e particularmente fussero riveduti i diffetti de’ prelati e con sante cautele per l’avenire fussero coretti e puniti con l’olio della misericordia e con il vino della giustizia, e massimamente i tragressori della santa povertà, la quale chiamava fondamento stabilissimo di tutta le religione; e sicome un pallazzo o una casa non potrebbono star in piedi senza fondamento, cossí la religione senza il fondamento della santa povertà è forza che vadi per terra e rovini.

761 Aveva in odio grandemente il beato Francesco molte ordinazionio,[67] perché vuoleva principalmente che i frati se fondassino e attendessino alla semplice osservanza della Regola, e per dechiarazione di essa studiassero il suo Testamento, il quale diceva esser l’ultima dechiarazione della sua voluntà circa come vuoleva che li frati intendessino la Regola; e per questo proibisce il recever e il ricercare dalla Chiesa privilegi o con molti stiracchiamenti dichiarare e glosare e dal vero senso mostrò nel Testamento storcer essa Regola, dicendo: « La Regola mai serrà intesa se non da quelli che l’osservano, e quanto piú con chiose e dottrine la vuoranno dechiarare, tanto piú l’oscureranno,[68] perché la Regola è talmente fondata in simplicità che nessuna cosa gli è piú contraria che la curiosità e superbia in tutte le cose. Però quello che è fondato in simplicità parla [1159] e conversa e opera con ognuno in simplicità; in simplicità magna veste e abita in luoghi semplici, umili, poveri e bassi; in simplicità di cuore è subietto, serve ed è obediente a ognuno; in simplicità fa tutte le cose. Questo si può chiamare perfetto osservatore della Regola».

E però non voleva che i frati attendessino molto avidamente alli studi, ma avendo qualche notizia delle Scritture sacre, predicassero molto piú ad ognuno con l’essempio che con parole curiose.[69] Questa dunque era quella ‘cosa che voleva che si trattasse nei capitoli, cioè mantenere in essa religione ogni simplicità, e che da ogni curiosità da essi prelati con ogni solecitudine fusse difesa […].

14. [Predicazione con brevità di sermone]

762 Voleva il padre serafico che i suoi predicatori non predicassero longhe e narratorie diciarie di poco frutto, che communemente dispiacciano a ognuno, ma cose utili e necessarie per la salute delle anime. E dice che «la parola abbreviata fece il Signore sopra la terra ».[70]

Non potteva il Figliuol de Dio piú abreviare il suo parlare che quando restrinse e racolse tutte le profezzie, tutta la legge e Scrittura sacra, tutte le figure e promesse del Vecchio Testamento, in queste quattro parole: Verbum caro factum est,[71] ove termina tutte le promesse, figure e profezie; non poteva in miglior brevità tutti i precetti che a un solo precetto dell’amore.

Non poteva torre e levar via dall’uomo ogni fatiga d’andar cercando per raggioni e per scritture la sua salute, quanto che quando disse: Qui crediderit et batizzatus fuerit, salus erit,[72] quasi vuolesse dire: «Quel che non si può intendere, si non molto imperfettamente con longhezza di tempo e gran dificultà, credilo e basta; e credendo, opera bene e serai salvo ».[73]

763 Or come poteva dar al mondo un libro piú chiaro che piú altamente parlasse e che da tutti con il lume della fede facilmente potesse esser inteso, che il libro della sua santissima Umanità, la quale, acciò che meglio e piú agevolmente da tutti i dotti e indotti, piccoli e grandi legger si potesse, vuolse essaltarla in luogo alto, ingiudo, con il capo chino, con le braccia stese, nel legno della santa croce, e vuolse lassarla per immagine nella sua Chiesa, acciò sempre fosse letta e considerata. Chi ben legge il Crucifisso, ben intende e ben predicare può tutte le virtú e quelle cose che sonno necessarie alla salute. Che libro si trova che tanto ben ci dechiari la fede, la speranza, la carità, la umiltà, la pazienza, la povertà, l’obedienzia, la pudicizia, la benignità, il disprezzo del mondo e l’amor delle cose celesti, quanto fa l’ottimo e divin libro del Figliuol de Dio in croce?[74]

Però vuoleva il divin Francesco che li suoi frati predicatori non fussero mossi e spenti al predicare [1165] dall’avarizia, dalla gola e altri vizi, ma dall’impito dello Spirito Santo acquistato in silenzio in luoghi solitari, in astinenzia, nella santa orazione e santa contemplazione d’esso Iesu Cristo crucifisso fussero mossi a predicar la Parola de Dio per semplice zelo del suo onore e della salute del prossimo.[75]

15. [La predica del buon esempio]

764 Onde narrano i tre compagni[76] che passando una volta il beato Francesco per una città, disse al suo compagno: «Figliuolo, noi abiamo a predicare in questa città». E passando per mezzo della città con molta modestia, con gli occhi bassi, scalzo, e mal vestito, con il cappucio nelli occhi, passò via senza pur dir una parola. E usciti della città, gli dimandò il compagno perché non aveva predicato. Rispose il buon padre: «Figliuolo, ottimamente avemo predicato, e presto presto tu vederai il frutto della nostra predicazione». Ed essendo un poco lontani dalla detta città, un giovane gli correva dietro, gridando che l’aspettasse; il quale, giunto che fu, s’inginocchiò in terra e con molte lacrime disse: «Padre, io sono tanto edifficato della vostra modestia e vita essemplare vedendovi passar per la città cossí modestamente, ch’al tutto ho deliberato d’abbandonar il mondo e seguitar vuoi». Il qual dal serafico padre receuto, menò nella religione vita molto essemplare e santissimamente finí. Allora disse il beato Francesco al suo compagno: «Non te l’ho io detto, carissimo fratello, che avemo predicato? Sappi, figliuolo, che per questo principalmente il

Figliuolo di Dio ha elletto la religione de frati minori, accioché con essempio della vita di Iesu Cristo predichino al mondo; e questo modo di predicare lui vuole e ricerca da ogni frate minore e beati saranno quelli ch’essercitaranno bene questo nobilissimo exercizio di predicare con l’essempio e con fatti piú che con parole; e guai a quelli frati che con la lor mala vita e mal essempio distruggano e annichilano quel che con tanta fatiga i santi frati di questo Ordine hanno edifficato, perché riceveranno la maledizione di Cristo».

765 Il beato Egidio,[77] sentendo un predicatore che molto si lodava e gloriava della sua predica, dicendo che vuolentieri averia predicato nella piazza di Perugia; il beato Egidio in fervor di spirito griddò forte: «O frate predicatore, te vuoglio insegnare quel che tu devi dire nella tua predica. Dirai cossí: Bo, bo, bo, molto dico, poco fo», vuolendolo coreggerlo della sua vanità e [1166] mostrarli che vana è la predicazione di colui che predica ad altri e non a sé […].

16. [Desiderare lo Spirito del Signore e la sua santa operazione]

766 [1178] Non poteva il divin Francesco racogliere e restringer in maggior brevità e parole piú grave tutto l’intento di Cristo nella Regola, quanto, ch’avendo spogliato i suoi frati, con precetti, amonizioni, consegli e ragionamenti, de tutte le cose terrene, ora in queste parole li dimostra tutte quelle cose alle quali principalmente deveno attendere; perché la vuoluntà di Iesu Cristo non è che li cuori dei professori di essa Regola siano vacui e vani, ma li spoglia delle cose terrene acciò si riempino delle cose celesti. E perché nissuna cosa piú riempie, piú magnifica, nobilita e ingrandisce esso cuore e mente, che lo Spirito del Signore, la presenza del quale muove, drizza e sprona esso cuore a ogni buona operazione, e per questo nissuno è mai sicuro della salute e di potter rettamente operare, se non ha ne l’anima sua lo Spirito del Signore.

Questo è quello che fortificò gli apostoli santi in ogni tribulazione e persecuzione; questo riempie di spirito e di bontà; e però, conoscendosi i frati minori che per proprio spirito non possono osservare la Regola, né fare operazioni che sieno grate a Dio, però gli amonisce che nissuna altra cosa desiderino che lo Spirito del Signore, casa, guida e norma de ogni perfezzione; il quale Spirito del Signore niente altro cercò insinch’esso Signore nella sua santissima Umanità passibile e mortale rittenne in questo mondo se non di addempire perfettamente la vuoluntà del Padre.

767 Onde questo è l’Ordine che Dio nostro Signore tiene in drizzare il mondo al preordinato fine, acciò che nessun altro spirito, che lo Spirito Santo, operi in tutte le cose e in ciascuna da per sé tutte le cose bone, dette l’Etterno Padre lo Spirito suo comunicandoli ab etterno la divina essenzia e per intelletto generando il suo divino e benedetto Figliuolo, acciò non fosse altro spirito quello dello Figliuolo dissimile da quello del Padre, ma due persone in una essenzia divina avessero un vuolere, un intendere e un potere tra di loro, né altro fosse che un solo Dio in tre persone e una sola essenzia divina; acciò che tutte le divine perfezzioni che se ritrovano in una persona fussero e se retrovassero tutte tre e ciascuna di loro (escetto la proprietà personale incomunicabile); cossí vuolse il Padre Etterno, avendo il suo benedetto Figliuolo preso carne umana e vestitosi della nostra umanità, che niente altro ce predicasse e a nessun’altra cosa, con essempio e dottrina c’inducesse che a far la voluntà [1179] del Etterno Padre.

768 E però disse esso Figliuolo di Dio: «Io non sono venuto a far la vuoluntà mia, ma di Colui che me ha mandato».[78] De piú dice: Ego et Pater unum sumus;[79] e in altro luogo: Omnia mea tua sunt et omnia tua mea sunt.[80] E però disse: Exivi a Patre et veni in mundum. Iterum relinguo mundum et vado ad Patrem ;[81] e puoi sogionge: Pater, manifestavi nomen tuum et ecce venio ad te,[82] per dimostrarci che per altro non venne in questo modo, se non per manifestare il Nome del suo Etterno Padre all’uomo, la gloria sua, ‘il suo beneplacito, le sue richezze e infiniti beni, per escitar il cuor dell’uomo a desiderarle e con tutte le forze cercarle; e né altro spirito era sufficiente a operare nell’Umanità di lesu Cristo le cose ch’esso divin Verbo operò, se non esso Spirito e Verbo Incarnato. Il medesimo Spirito dette esso Verbo divino alli suoi apostoli, acciò che quello Spirito che in divinis fa e regge tutte le cose nell’Umanità di Cristo, e operasse nelli appostoli, acciò che la nostra redenzione da nissun altro principalmente che da esso lesu Cristo, quantunque dependa da molte altre cose, come instromenti de’ quali esso Spirito se compiace di servirsene in nostra salute.

Il medesimo Spirito lassò il Figliuol di Dio alla Chiesa, sua sposa, dal quale deve esser retta e governata.

Questo è quello Spirito divino che il serafico Francesco vuol che sia desiderato e cercato dai professori della sua Regola; ma perché non è degno di esso Spirito chi non adempie il precetto del Salvatore e sua dottrina, che disse a quel giovane che desiderava di salvarse: «Se vuoi esser perfetto e renderti degno del Spirito mio, ed esser introdotto a intender nella scola mia gli alti secreti de Dio, va e sbrigate de tutte le cose, vendile e dalle, dalle a’ poveri e vieni e seguitame».[83]

769 Però il divin Francesco, avendo redotti per la Regola i suoi figliuoli nella scuola di Iesu Cristo e nella vita apostolica, gli amonisce di non seguitar altro ch’esso lesu Cristo. Ma perché non possono godere la presenzia corporale del Figliuol di Dio, gli essorta a cercar la presenzia spiritual del Spirito suo divino il quale sempre resta con li eletti,[84] il quale solo deve bastar alli servi di Dio, né altro se doverebbe mai desiderare che lo Spirito del Figliuol di Dio, il quale guida quelli che possiede per le virtú sante.

Però dice: e la sua santa operazione, che niente altro è che per mezzo di esso Spirito aquistare e mettere in opera tutte le virtú [1180] sante che adornano e rendono perfetta l’anima; le qual cose tutte aquistato, puonno facilmente sempre orare a Dio con puro cuore. Nissuno intende né conosce il Padre se non il Figliuolo.[85] Per questo chi possiede lo Spirito Santo del Signore, facilmente esso Spirito l’induce e sprona a orare con purità di cuore, perché Dio è spirito e cerca tali spirituali, che in spirito e verità l’adorino.[86] E dice con puro cuore, per ciò non machiato con altra mistura; non vuole che vi sia altro intento in esso cuore, che non è posseduto da altro che da Dio. Puro si chiama quando è spogliato da ogni desiderio di cose terrene.

770 Avertino dunque i frati minori e considerino bene il nobilissimo stato che gli è stato dato da Dio a tener in questo mondo. Non poteva dir piú che dire orare, volendoli manifestar l’officio e l’exercizio che per la Regola li è stato dato che è d’orrare, officio de’ beati spiriti, che niente altro fanno in cielo; essercizio che dal Figliuol de Dio piú che da nissun altro fu essercitato in questo mondo. Questo è quello che il Figliuol de Dio nell’ultima ora constituí e lasciò per testamento etterno alla Chiesa santa in persona delli apostoli, quando li disse: Usquemodo non petistis quidquam in nomine meo. Petite et accipretis.[87]

Questo è quello exercizio che tanto fortificò li santi martiri nelle loro tribulazioni. Questo fu che in tante tentazioni dette la palma della vittoria a quelli primi padri che con tanta astinenza e alteza di vita abitorno come angioli di Dio ne gli aspri deserti, avendo conociuto per Spirito Santo che l’orazione è quella che principalmente recerca Dio dalli servi suoi.

771 E però acciò bene comodamente ed espeditamente possino orar, se spogliassero di tutte le cose terrene e se ritirino nelli deserti alla solitudine. Questa è dunque quella operazione ultima alla quale ordina Francesco tutta la sua religione. E per questo dice: Orare sempre a Dio con puro cuore. E accioché dalla sua santa orazione non possino essere disturbat e amaestrati a lasciar il vizio della superbia e vestirsi dell’umiltà: e avere umiltà e pazienzia nelle persecuzioni e infirmità, quasi vuolesse dire: «Talmente vuoglio che li sia radicata al cuore l’orazione santa, che non possa nessuna passione removervi né stacarvi da essa. Come dice l’apostolo Paolo: Chi ci separerà dalla carità di Dio, la quale è in Cristo lesu? [1181] L’angustie, tribulazione etc.? E puoi conclude: Dico che nessuna cosa ci potrà separare»,[88] volendoci mostrar la carità perfetta, della quale desidera il divin Francesco esser vestiti li frati minori. E però dice: E amar quelli che ne perseguiteno, ch’è effetto de carità perfetta. E perché la perseveranzia porta il vanto della corona, però dice: Chi persevererà insino alla fine, questo sarà salvo, vuolendo concludere il frutto della perfetta osservanza de essa Regola ch’è la propria salute e acquisto delli beni etterni. […]

17. [Conclusione]

Beati saranno quelli, dunque, che gusteranno perfettamente e se cibaranno de questa divina scacciata della Regola santa, composta di molti grani e minuzzoli che dal vivo Pane del divin Verbo procedono della dottrina evangelica. Quasi molti grani del’ottimo Seminatore[89] sonno cascati [1191] nel gran campo del mondo, parte nelle strade, parte nelle siepe e dure pietre de’ carnali e sensuali uomini e lor sette. Ma, cascato questo divin seme nel campo fertile della Chiesa santa, ha prodotti, produce e produrrà duplicato frutto per riempire il gran granaro del Figliuolo de Dio nella patria celeste.

De questi pani, dunque, forma Francesco il pane,[90] con il quale intende cibare i suoi fratelli, acciò che ben cibati, vivono con Cristo luminosi e gloriosi e regnino sempre in saecula saeculorum. Amen.

  1. Ecclesiologia del Tridentino e della Controriforma.
  2. Cf. Mt 18,17.
  3. Mt 20,28.
  4. Mt 20:27; Mc 10,44.
  5. Gv 21,15
  6. Eb 5,4.
  7. Mt 28,20.
  8. Mt 21,1-7.
  9. Cf. Gv 17,4.26.
  10. Concetto efficace e profondo della vita religiosa.
  11. Gv 6,38.
  12. Gv 4,34.
  13. Gv 17,18.
  14. Fil 2,6-8.
  15. Lc 2,51.
  16. Cf. Gv 8,29.
  17. Test. 33-34 (FF n. 124).
  18. Il riferimento trova riscontri in vari testi delle fonti, come 2 Cel. 151; Leg maior 6,4; Leg. per. 106; Spec. perf. 46 (FF nn. 735, 1106, 1662-63, 1734).
  19. È un episodio al quale si riferisce brevemente anche Giovanni da Fano nel suo Dialogo emendato. Per le fonti cf. ivi, alla nota 293.
  20. Cf. 2 Cel. 214-215; Leg. mairor 14,3-4 (FF nn. 804-805, 1239-40).
  21. Questa notizia è ricavata da A. Clareno, ma senza riferirla ai Tre Compagni. Cf.Expositio, ed. L. Oliger, 51.
  22. È una traduzione assai libera dell’inizio del 2° capitolo dell’Expositio cit. di A. Clareno, 50.
  23. 23. Bolla Quo elongati, in BF I, 68-70 (FF nn. 2729-2739).
  24. Allusione al fatto di Fonte Colombo, narrato in Spec. perf. 1-2; ma tutto il brano è tolto da A. Clareno, Expositio cit., 51s., che lo adatta al suo spiritualismo.
  25. Quat. Mag., 123s; Spec. Minorum, pars III, f. 15rb; anche in A. Clareno, Expositio cit., 52.
  26. Molti concetti di queste predizioni e profezie di san Francesco si trovano in A. Clareno, Expositio cit., 53s; Hist. 7 trib. 1,4, ed. A. Ghinato, 21-23, 124; e anche nella Leggenda antica, ed. S. Minocchi, c. 28, p. 59s, e ora nella nuova edizione intitolata: Vita del povero et humile servo de Dio Francesco dal ms. Capponiano-Vaticano 207, a cura di M. Bigaroni. Introduzione di A. Marini, Santa Maria degli Angeli-Assisi 1985, c. 29, p. 87s.
  27. Cf. A. Clareno, Expositio cit., 55s, ma sempre molto liberamente.
  28. Cf. 2 Cel. 190; Leg. per. 19; Spec. perf. 57 (FF nn. 776, 1566, 1747).
  29. Cf. A. Clareno, Expositio cit., 58.
  30. Cf. 2 Cel. 81; Leg. per. 20; Leg. maior 7,3 (FF nn. 668, 1567, 1122).
  31. Il fatto, brevemente, è narrato in 2 Cel. 67; Leg. maior 7,4 (FF nn. 653 e 1123); cf, Leggenda antica cit., c. 32, p. 70; Vita del povero cit., c. 33, p. 1035.
  32. Tutta questa pagina sull’abito si nota che è chiaramente elaborata da un cappuccino che difende la legittimità dell’abito col cappuccio aguzzo. L’ispirazione è ricavata da A. Clareno, ripetuto dalla Leggenda antica (c. 27, p. 57) e ha molte analogie con certe pagine delle prime cronache cappuccine. Cf. МНОС II, 86-91, 509-511; IV, 72s, n. 28-30; Vita del povero cit., c. 28, p. 85s; vedi anche Hist. 7 trib. VIII, 3, ed. A. Ghinato, p. 221s; Conf. IV, 81.
  33. Cf. Marianus a Florentia, Compendium chronicarum (estratto da AFH), Quaracchi 1911, 71. – Di questo parlano MHOC I, 143s; II, 80s, n. 66-67.
  34. È una sintesi di due brani diversi: uno in Leg. per. 80, o Spec. Perf. 65 (FF nn. 1636, 1757), l’altro è il brano dell’Hist. 7 trib. VIII, 3 citato alla nota 32.
  35. Non ho identificato la fonte di questo episodio che trova un suo riscontro positivo nei due frati francesi devoti, ai quali Francesco dona la sua tonaca rappezzata. Cf. 2 Cel. 181 (FF n. 767).
  36. Il fatto è narrato da A. Clareno, Expositio cit., 204-206; Hist, 7 trib. II, 13, ed. A. Ghinato, p. 62s.
  37. È una chiara risonanza delle Dichiarationi di Bernardino d’Asti e di alcune riflessioni di A. Clareno. Cf. le note 86-87 del commento alla Regola intitolato L’amore evangelico (sopra, n. 481).
  38. Ger 29,11.
  39. Test 37-38 (FF n. 126).
  40. Cf. 2 Cel. 96; Leg, per. 95; Spec. perf. 94 (FF nn. 683, 1651, 1792).
  41. È una sintesi di due testi: la Regula pro eremitoriis data, di san Francesco e Leg. per. 9-10, corrispondente a Spec. perf. 55 e 2 Cel. 19 (FF nn. 136-138, 605, 1553-55, 1745).
  42. Sintetizza l’Expositio cit. di A. Clareno, c. III, p. 82. – Per le fonti cf. 2 Cel. 62; Leg. 3 Comp. 43; Spec. perf. 5 (FF nn. 648, 1450, 1685); vedi anche Conf. IV, 397,30s; V, 110,65.
  43. Cf. Fioretti 36 (FF n. 1870); Chron. XXIV Gen., in AF III, 69; Verba Fr. Conradi, § 4, in MF 7 (1899) 133s; Conf. IV, 190,18-28; V, 110, 8-16.
  44. Cf. 2 Cel. 62; Leg. per. 69; Spec. perf, 3 (FF nn. 648, 1621, 1681).
  45. Cf. Leg. per. 74; Spec. perf. 4 (FF nn. 1628, 1683).
  46. 46 L’a. inserisce qui un vero trattatello per aiutare i laici a meditare i misteri di Cristo distribuiti fra le diverse ore liturgiche.
  47. Cf. 1 Cel. 61; 3 Cel. 17; Leg. maior 5,10; Fioretti 7: Cons. Stimmate 1 (FF nn. 429, 839, 1099, 1835, 1900).
  48. Come dice la Rb 3,7 (FF n. 84). Sappiamo che la quaresima della Benedetta era osservata quasi come obbligo per i cappuccini.
  49. Cf. Scala Paradisi, gradus XXVI 1014; CPS, Serie Greca, vol. IX, Torino 1941, 134s). Il testo però qui è ricavato, sinteticamente, dall’Expositio di A. Clareno, c. 3, p. 83s, e note 5-6.
  50. Cf. Expositio cit., 91 e nota 2.
  51. Cf. Hist. 7 trib., 19 (FF n. 2133).
  52. È il noto episodio narrato in Leg. maior 12,2 e nei Fioretti 16 (FF nn. 1205, 1845).
  53. Cf. Mt 9,35.
  54. Cf. Gv 6,9.
  55. Cf Mt 12,1; Mc 2,23.
  56. Cf. per es. Lc 8,45.
  57. Cf. Mt 21,5.7; Gv 12,14-15.
  58. Test. 27 (ff n. 121).
  59. Cf. Sal 54,23 (Vulg.) = 55, 23; 1 Cel 29; Leg maior 3,7 (FF nn. 367, 1059).
  60. Cf. Leg. Per. 14-16; Spec. perf. 10; Hist. 7 trib. 1,2 (FF nn. 1561-63, 1961-92, 2126); l’accenno ai « latroni » si riferisce a Rnb 7,15 (FF n. 26).
  61. Cf. Leg. per. 8; Spec. perf. 55 (FF nn. 15522, 1744).
  62. Una successione analoga di primitivi luoghi francescani si trova anche in Bernardino da Colpetrazzo, per cui si potrebbe ipotizzare che egli abbia avuto in mano questo grosso codice assisano, Cf. MHOC IV, 22.
  63. Argomento spesso ripetuto dai commentatori della Regola.
  64. Gv 13,35.
  65. Cf. 1 Cel. 17; 2 Cel, 9; Leg. maior 1,3; Leg. 3 Comp, 11; Leg per. 102 (FF nn, 348, 592, 1034, 1407-08, 1658). La precisazione del nome dell’ospedale dei lebbrosi « ospetale de parete » è di difficile identificazione.
  66. Cf. 2 Cel. 188 e 200 (FF n. 744 e 788), ma qui è tutto dedotto dal complatore senza un preciso riferimento a particolari fonti.
  67. Si può rimandare ad alcuni passi di fonti come Leg. per, 114; Spec. perf. 68-69 (FF nn, 1673, 1761-62).
  68. Un pensiero molto comune fra i primi cappuccini!
  69. Cf. Spec. perf. 72-73; Leg. maior 8,2 ecc. (FF nn. 1766-68, 1136-37).
  70. Rb 9,6 (ff n. 99).
  71. Gv 1,14.
  72. Mc 16,16.
  73. Crede, ut intelligas! Proprio come diceva san’ Anselmo d’Aosta sostenendo il primato della fede sulla ragione, al contrario di Scoto Eriugena. Qui l’a. sostiene un’esegesi evangelica molto pratica e semplificatrice!
  74. Si confronti con le Cost. 1536, n. 116 e 121 (nn. 370 e 377).
  75. Cf. Cost. 1536, n.111-112 e 114 (nn. 362-363 e 365) e sopra, nota 69.
  76. Questo aneddoto, qui piuttosto amplificato, al dire di A. Ghinato « non s’incontra in nessuna delle fonti francescane », ma « ha interpretato bene il pensiero del Padre Serafico… e l’ha rivestito d’una forma simpatica che si accosta alla grazia dei Fioretti » (A. Ghinato, Il buon esempio francescano, Roma 1951, 7).
  77. Cf. Cron. XXIV Gen., in AF III, 86.
  78. Gv 6,38.
  79. Gv 10,30.
  80. Gv 17,10.
  81. Gv 16,28.
  82. Gv 17,6.11.13.
  83. Cf. Mt 19,21.
  84. Cf. Gv 16,16.
  85. Cf. Mt 11,27.
  86. Cf. Gv 4,23-24.
  87. Gv 16,24.
  88. Rm 8,38-39.
  89. Si riferisce a Lc 8,5-15, in un contesto identico a quello della Rnb 22, 10-18 (FF n, 58).
  90. Cf. 2 Cel; Leg. maior 4,11 (FF nn. 799, 1082).