I cappuccini in Francia

PARTE QUARTA

ESPANSIONE E INCULTURAZIONE

SEZIONE PRIMA

INTRODUZIONE

TESTIMONIANZE SUI PRIMI CAPPUCCINI IN FRANCIA
(1575 – 1638)

TESTI E NOTE
a cura di
JEAN MAUZAIZE e di OPTATUS VAN ASSELDONK

I

I CAPPUCCINI IN FRANCIA

a cura di

JEAN MAUZAIZE

I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, IV, 25-166.

Table of Contents

Introduzione

La fine del sec. XVI e la prima meta del sec. XVII sono essenzialmente un’epoca di transizione. Vi appare una prodigiosa ricchezza di vita interiore, ossia di santità in un tempo in cui ancora si vedono brillare gli ultimi bagliori del Rinascimento col suo lusso, la sua vita sensuale e il culto dell’uomo. È quindi una Francia tutta piena di contrasti che assiste alla venuta e alla maniera di vivere dei frati cappuccini in un tempo avido di santità e di esperienza mistica, ma dove la vita religiosa sta affievolendosi; un’epoca in fermento con le sue crisi politiche che portano già il segno di un vero scompiglio intellettuale.

Quando i frati cappuccini giungono in Francia, la chiesa gallicana sta attraversando una situazione assai critica: ferita delle guerre di religione che hanno desolato il paese per 40 anni, spogliata dal re che non ha esitato ad alienare molti beni ecclesiastici per sostenerla nella guerra contro i protestanti; e, più ancora, molti luoghi di culto, chiesa e monasteri sono stati distrutti provocando la perdita irreparabile di innumerevoli opere d’arte. E, non meno importante, la Chiesa al declino del sec. XVI era priva, in pratica, di ogni prestigio intellettuale e morale che potesse assicurare una prospettiva di sicuro rinnovamento.

Da allora i cristiani si dividono in due gruppi, tanto che alcuni, esasperati dalle promesse di riforma, aderiscono al principio del libero esame e aspirano a un rinnovamento delle strutture ecclesiastiche e delle dottrine; altri, invece, più sensibili al bisogno di un contatto con Dio e con il Cristo, intendono restare fedeli alla Chiesa tradizionale, pur aspirando, anche’essi, a un rinnovamento interiore, fenomeno che a poco a poco si espande e dona alla Francia un magnifico rinnovamento spirituale. Ed è proprio in questo contesto che fanno la loro comparsa i primi frati cappuccini.[1]

Notevole espansione geografica dei conventi in Francia

Fin dall’inizio essi sperimentarono una rapida espansione. Questa disseminazione geografica di insediamenti cappuccini in Francia ha richiesto un periodo di oltre 130 anni di successive trasformazioni come conseguenze di interferenze politiche e religiose. Dal 1574, data di arrivo dei cappuccini a Parigi, fino al 1715, i frati cappuccini francesi, grazie al loro genere di vita e al loro multiforme apostolato di carità nei nuclei popolari della società francese, poterono fondare ben 405 conventi ripartiti in 13 province.[2]

Ecco una ripartizione sommaria di questo sviluppo:

Dal 1574 al 1590:

Provincia di Parigi: 13 conventi

Provincia di Lione: 7

Provincia di Provenza: 6

Provincia d’Aquitania: 5

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31 conventi in 16 anni.

Dal 1580 al 1610, in seguito all’aggiunta del Commissariato di Lorena alla provincia di Lione (1599), alla sua dichiarazione a provincia indipendente (1606) e alla formazione della provincia di Touraine a scapito di quella di Parigi (1610), il quadro si modifica in questo modo:

Provincia di Parigi: 23 conventi

Provincia di Lione: 34

Provincia di Provenza: 20

Provincia di Tolosa: 22

Provincia di Lorena: 13

Provincia di Turenna: 16

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128 conventi.

Si nota in 21 anni un aumento di 97 fondazioni.

Dal 1610 al 1624 altre province vengono erette: quelle di Savoia (1611) e di Borgogna (1618), a scapito della provincia di Lione. In questo periodo di tempo gli insediamenti cappuccini si moltiplicano incessantemente: Parigi guadagna 35 conventi, Lione 7, la Provenza 8, Tolosa 21, Lorena 21, Turenna 34; per cui nel 1624 si ha questo quadro:

Provincia di Parigi: 58 conventi

Provincia di Lione: 41

Provincia di Provenza: 28

Provincia di Tolosa: 43

Provincia di Lorena: 23

Provincia di Turenna: 50

Provincia di Savioa: 2 (6 non in Francia)

Provincia di Borgogna: 15

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260 conventi.

Nello spazio di 14 anni ben 132 conventi!

Dal 1624 al 1643 sono fondate tre nuovo province: la Bretagna e la Normandia (1629), distaccatesi dalle province di Parigi e di Turenna. Nel 1640 la provincia d’Aquitania è divisa in due territori: la parte più antica prende il nome di provincia di Tolosa (25 conventi), l’altra diventerà la provincia di Guyenne con 28 conventi, così che nel 1643 la situazione è la seguente:

Provincia di Parigi: 39 conventi

Provincia di Lione: 53

Provincia di Provenza: 36

Provincia di Tolosa: 25

Provincia di Lorena: 31

Provincia di Turenna: 29

Provincia di Savioa: 3

Provincia di Borgogna: 5

Provincia di Normandia: 27

Provincia di Bretagna: 27

Provincia d’Aquitania: 28

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316 conventi.

In 19 anni 56 nuovi conventi.

Dal 1643 al 1715, altre due nuove province sorgono: quella di Champagne (1662) e di Lille (1671), staccate dalla provincia belga. Ad esse bisogna aggiungere i due conventi di Bar-sur-Aube e di Wassy che formeranno la Custodia d’Irlanda.

Provincia di Parigi: 42 conventi

Provincia di Lione: 56

Provincia di Provenza: 38

Provincia di Toulouse: 31

Provincia di Lorena: 48

Provincia di Turenna: 31

Provincia di Savioa: 3

Provincia di Borgogna: 22

Provincia di Normandia: 27

Provincia di Bretagna: 30

Provincia d’Aquitania: 42

Provincia di Champagne: 15

Provincia di Lille: 18

Provincia d’Irlanda: 2

———————————————–

405 conventi.

In 72 anni altri 89 conventi, ai quali bisognerebbe aggiungere 6 conventi del Roussillon, uniti al regno di Francia per il Trattato dei Pirenei (1660).

C’è da notare, quindi, che la provincia di Parigi, presa qui come esempio, a partire dal 1643 ha contato fino alla rivoluzione francese 42 conventi, numero rimasto immutato fino alla fine dell’ Ancien Régime. Nel 1790 la Francia comprenderà ben 15 province con un totale di 379 conventi.

Osservando questa ripartizione dei conventi cappuccini in Francia si avverte come certe regioni ne sono sprovviste, mentre abbondano in altre parti del paese. La Bretagna dell’interno, ad esempio, è completamente sfornita di conventi, eccetto Rennes, città amministrativa. Si nota che tutti i conventi bretoni sono disseminati sulle coste, per cui è evidente che vi ha giocato un fattore economico di una certa importanza. I cappuccini, Ordine mendicante, i cui membri vivevano di questua, non potevano insediarsi in regioni povere o già occupate da case di altri Ordini mendicanti, mentre sulle coste la popolazione viveva soprattutto di pesca e questi religiosi potevano mendicare senza pregiudizio di nessuno.

D’altra parte, la ripartizione dei conventi acquista una densità notevole nelle regioni come il Poitou, paese di missione, dove i protestanti erano particolarmente numerosi. Per questo le missioni organizzate da Richelieu e da padre Giuseppe di Parigi, hanno naturalmente provocato la fondazione di un gran numero di case. Lo stesso fenomeno si ripeterà più tardi nelle Cévennes e per lo stesso motivo.

Numerose case di cappuccini si trovano anche sulle coste del Mediterraneo per le stesse motivazioni viste in Bretagna, e soprattutto nel Sud-Ovest, probabilmente a causa del clero poco numeroso e assai disperso, ma anche per la presenza in quelle zone, di molti protestanti. Il regno di Navarra era, effettivamente, passato alla riforma e il Sud-Ovest non brillava per una vita cristiana particolarmente fervente. Inoltre, nella Linguadoca, regione piuttosto religiosamente fredda, sopravviveva ancora il ricordo della vecchia eresia catara e dell’Inquisizione che aveva come imbevuto la mentalità degli abitanti; da qui i numerosi conventi quasi per controbilanciare quell’indifferenza religiosa.

Altre cause si aggiunsero, sociologiche e religiose: la vita cristiana in via di rinnovamento richiedeva predicatori e perciò conventi per alloggiarli. Ci fu anche l’amicizia dei principi e nei primi approcci, l’influsso e la protezione della regina madre Caterina de Medici che, italiana, non poteva che ben vedere un Ordine religioso d’origine italiana (cf. docc. 3, 12, 14, 17/2, 19). Del resto, era anche l’epoca in cui grandi famiglie italiane stavano per ‘stallarsi in Francia, come i Gondi che diedero tre vescovi a Parigi, o il duca di Nevers, fondatore del convento di Reims, che apparteneva alla famiglia ducale di Mantova.[3]

Anche l’amicizia di certi vescovi e delle municipalità aveva la sua importanza (ad es. doc. 2 e 15). Costoro vedevano nei cappuccini sia dei predicatori per le loro diocesi, sia degli infermieri e dei cappellani benevoli, sempre disponibili in caso d’epidemia, poiché fin verso il 1645-1650 le epidemie in Francia regnavano allo stato più o meno endemico. C’è anche la riconoscenza manifestata da alcune città provate dalla peste che, avendo ricevuto il servizio caritativo dei cappuccini, vogliono fondar loro un convento.[4]

Così si possono stabilire due periodi nella cronologia delle fondazioni dei conventi. Il primo corrisponde alla fine del sec. XVI e ha come fattori determinanti: 1. Il sorgere della riforma cappuccina con rapido e subitaneo sviluppo; 2. Il bisogno religioso intenso che sentivano i cattolici di una pastorale energica e nuova durante le guerre di religione e subito dopo, come pure la necessità di sostenere e di organizzare il rinnovamento religioso, spontaneo e forte, agli inizi del «Grand Siècle».

Il secondo periodo (successivo all’ambito cronologico che abbiamo stabilito) riguarda, almeno nella periferia di Parigi, il caso di molti conventi corrispondenti a bisogni particolari, specialmente la pastorale della corte di Versailles e dei soldati del re incasermati attorno al castello e fino a Courbevoie, la cappellania dei servi della grande e piccola scuderia, ecc.

C’è anche da sottolineare l’importanza dei punti geografici di insediamento. Qui appare certamente il condizionamento delle vie di comunicazione, e ne abbiamo delle prove nelle case religiose situate sulle rive dei fiumi allora utilizzati come via fluviale, e sulle strade che raggiungono Parigi e altre città importanti. Lo dimostra un piccolo taccuino di viaggio di un fratello questuante del convento di Montfort-L’Amaury, fra Giuseppe di Pernes, scelto come compagno del padre Carlo di Bapaume, custode per il capitolo generale del 1782[5]. Ora questo frate cercatore, narrati i principali fatti del viaggio, dà la lista dei conventi da lui passati con l’indicazione delle distanze fra di loro, che un viaggiatore poteva percorrere in una giornata di cammino, e varianti da 12 a 30 km. Perciò i conventi erano stati disseminati in modo da facilitare i viaggi dei frati fatti sempre a piedi.

Un’altra ragione della vicinanza dei vari conventi era la ripartizione del territorio della periferia parigina, allora diviso in cinque diocesi (Beauvais, Chartres, Paris, Rouen e Sens) che richiedeva di conseguenza un movimento sostenuto di religiosi applicati alla pastorale della predicazione. Essendo predicatori, avevano bisogno di conventi da dove partire per l’apostolato, poiché ogni convento, se era un centro di vita spirituale — e bisognerebbe qui rilevare il ruolo importante svolto dalle fraternità del Terz’Ordine in un’epoca in cui i raggruppamenti sono religiosi e non politici — era anche un centro di irradiazione al servizio delle parrocchie e delle cappellanie. A Poissy, per esempio, il cui mercato era uno dei più importanti della regione parigina, gli scabini volevano avere dei cappuccini come cappellani dei macellai. Di conseguenza i religiosi ebbero contatti molto frequenti con i commercianti che venivano in città. A Étampes, allora nella diocesi di Sens, erano molto attivi fra il popolo e aiutavano il clero locale, pur salvaguardando la loro vita di convento[6].

Si può allora concludere che notevole è stato il loro apporto alla formazione e alla conservazione di una cristianità viva nelle diocesi dove furono accolti. Da quel momento queste case religiose svolsero una vita spirituale assai intensa che animò il loro apostolato fino alla fine dell’Ancien Régime.

Incremento vocazionale ed estrazione sociale dei primi cappuccini francesi[7]

Ma di quale estrazione sociale erano gli abitanti di questi conventi? Superate le difficoltà degli inizi per la novità del loro genere di vita e per l’opposizione del Parlamento gallicano, soprattutto dopo la peste del 1580, che fu la loro testimonianza di fedeltà disinteressata, si nota una crescita continua nel loro reclutamento. Fra di loro ci sono umanisti, nobili, beneficiati, professori della Sorbona ecc.

Anche dando solo uno sguardo veloce al numero di novizi (furono molti i noviziati che operavano contemporaneamente nella provincia di Parigi) e nella misura in cui queste liste sono giunte fino a noi, si vede che le cifre dei professi che noi possiamo conoscere sono tuttavia impressionanti e crescono continuamente fino all’inizio del sec. XVIII, come dimostra questo schema:

Provincia di ParigiConventiReligiosi
1602

1605

1608

1613

1618

1625

1633

1643

1650

1656

1662

1667

1678

1685

1698

11

12

13

20

30

35

36

40

58

42

42

42

42

42

42

205

364

469

390

618

819

706

830

748

708

824

919

905

970

891

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Fig. 1. Le prime province cappuccini in Francia nel 1632

“Figura e sito di tutto la Francia, quale contiene provincie 10”. Così Silvestro Pepi da Panicale († 1641) ha intitolato la cartina geografica della Francia, eseguita a penna e colorata ad acquarello, nel suo Atlante Cappuccini. Le province qui segnate sono: Parigi, Normandia, Bretagna, Turenna, Tolosa, Lione, Provenza, Savoia, Borgogna e Lorena e delimitano l’epansione dell’Ordine sul territorio francese in poco più di cinquant’anni di storia.

(Cf. Atlante Cappuccini. Opera inedita di Silvestro da Panicale. 1632, a cura di S. Gieben. Roma, Istituto Storico dei Cappuccini, 1990, 20 – 22x29cm.)

In rapporto all’Ordine in generale, si nota anche qui una continua progressione fino all’inizio del sec. XVIII, sia per quanto riguarda il numero delle province e dei conventi come dei teligiosi, come si vede in quest’altra tavola.

Capitoli generaliProvinceConventiReligiosi
1602

1605

1608

1613

1618

1619

1633

1637

1643

1650

1662

1667

1671

1678

1685[8]

1691

1698

1702

30

34

35

39

40

42

46

46

47

47

48

46

49

50

54

55

53

713

757

808

918

1.030

1.192

1.313

1.345

1.397

1.471

1.489

1.509

1.533

1.547

1.561

1.605

1.625

8.803

9.595

10.708

12.461

14.846

16.966

18.948

19.835

21.171

20.203

22.789

24.764

26.695

26.112

26.408

27.156

27.336

Chi troviamo fra questi novizi? Certamente persone appartenenti all’ordine dei nobili la cui vocazione può essere considerata come una reazione al lusso e alla corruzione della corte dei Valois e insieme una protesta contro il libertinaggio e l’immoralità dell’epoca. La vita austera dei cappuccini attirava di solito i cuori retti e sinceri. Citiamo il duca Enrico de Joyeuse, diventato padre Angelo de Joyeuse, che dovette lasciare momentaneamente l’Ordine in seguito agli avvenimenti politici, per diventare governatore di Linguadoca per la Lega e maresciallo di Francia, prima di riprendere la rozza tunica cappuccina nel 1599. Oppure il padre Eliodoro d’Anvers che proveniva da una nobile famiglia fiamminga; il padre Enrico de La Grange Palaiseau, che discendeva dai signori d’Arville, marchese di Palaiseau; Bernardino di Parigi, scrittore spirituale e figlio naturale di Enrico IV e di Gabriella d’Estrées; il famoso Giuseppe da Parigi, amico di Richelieu, discendente dalla famiglia Mothier-La Fayette; Atanasio di Mesgrigny, barone di Lorme e di Chamesson e avvocato al Parlamento; Angelo da Lhéry e Luigi di Juilly di una nobile famiglia di Champagne e molti altri nobili di spada.

Ma anche fra la «noblesse de robe», quindi fra i magistrati e cortigiani come i parlamentari e quelli delle camere dei conti, i cappuccini erano largamente rappresentati e questo fin dai primi anni del loro arrivo in Francia. E cosi’ avvenne che, nel periodo eroico dei Poveri Eremiti di Picpus, si vide un avvocato al Parlamento di Parigi, dottore in diritto canonico e civile, titolare di una cattedra alla Sorbona, sollecitare la sua ammissione nell’Ordine, diventando padre Giuseppe di Donchery, e non fu un’eccezione.

Si notarono anche dei teologi, come quel padre Antonino di Chartres che faceva parte del capitolo della cattedrale. Predicatore, era ammirato e richiesto un po’ ovunque. Lo Spirito di Dio dava un’unzione cosi’ potente e penetrante alle sue parole da convertite i cuori più induriti. Anche padre Eusebio di Merlon era titolare di due canonicati a Saint-Quintin e a Boulogne. Invece padre Sempliciano da Chaumont era stato dottore della facoltà teologica di Parigi.

La maggior parte però delle vocazioni proveniva dalla classe media e popolare. Questo apporto riflette senza dubbio l’avanzata allora della classe borghese che, d’origine mercantile, conobbe un incessante arricchimento fino a superare e a schiacciare col suo sfarzo la stessa classe dei nobili. Era l’epoca in cui si costruivano a Parigi i lussuosi alberghi di Marais.

Queste famiglie di ricchi mercanti drappieri, orefici e altri, erano profondamente religiose. Seppero difendersi dietro un certo scudo di austerità e formarsi a una vita cristiana intensa. I loro membri appartenevano alla famosa Compagnia del Santo Sacramento; il movimento di Port-Royal esercitò su di loro un profondo influsso. In queste famiglie si nota che non solamente si santificavano le domeniche e le feste, ma si amava partecipare agli offici parrocchiali, mentre i genitori si dilettavano a recitare un officio di devozione. Esse fondarono cappelle, si fecero mecenati di opere d’arte ordinando a maestri del vetro quelle magnifiche vetrate dove si facevano rappresentare come donatori. Ci si muoveva quindi in un’atmosfera carica di fervore religioso.

Ora è proprio da queste famiglie che vennero reclutati soprattutto i cappuccini. Possiamo citare, come esempio emblematico fra molti, padre Onorato da Parigi, di cui una cugina diventerà santa Luisa de Marillac. Egli avrà inoltre un fratello che si farà certosino, mentre suo padre, rimasto vedovo, entrerà nella certosa di Parigi; oppure ancora il padre Gabriele di Parigi che apparteneva alla famiglia dei librai ed editori dei Cramoisy, il cui padre, Sebastiano Cramoisy, fu l’editore del famoso Arnauld e dei signori di Port-Royal.

Ci sono anche vocazioni fra i soldati dell’epoca, sia officiali che semplici militari. Così p. Vittore d’Evreux, vecchio capitano della Lega e poi luogotenente generale delle armate imperiali. Altri si erano fatti frati in seguito a un voto emesso sul campo di battaglia, dove erano rimasti feriti, come fra Onofrio di Parigi e molti altri. C’è anche un cavaliere di Malta, p. Giovanni Maria di Treslon.

Non mancarono vocazioni provenienti da protestanti convertiti, anche se si tratta quasi sempre di stranieri, particolarmente inglesi, come Giorgio Leslie, Arcangelo di Pembrock, Angelo di Londra e, più famoso, Benedetto da Canfield.

Infine ci sono vocazioni provenienti dalle classi operaie, dai lavoratori manuali e sono numerose, ma poiché i registri delle vestizioni e delle professioni del convento di noviziato del sobborgo parigino di Saint-Jacques vennero distrutti nell’incendio dell’Hotel de Ville, appiccato dalla Comune nel 1871, resta praticamente impossibile indicarne anche solo sommariamente il numero o il lavoro esercitato dai parenti. Ho cercato di colmare questa lacuna ricercando ed esaminando i testamenti o le donazioni fra i vivi fatte dai novizi alla vigilia della loro professione, testi ricchi di indicazioni, le cui minute sono conservate nei registri notarili di Chatelet e di Parigi. Ebbene, si trovano, fra questi giovani, dei figli di magistrati popolari, di sellai, di drappieri, di farmacisti, di mercanti, di umili operai alla giornata, ortolani e vecchi soldati, che vissero la stessa vita, animati dall’ideale di conformarsi a Cristo nella scuola di san Francesco[9].

Motivi principali del grande successo dei cappuccini in Francia

Il motivo di questo crescente successo vocazionale va cercato nella testimonianza della loro vita e nella rigidità della loro osservanza, poiché è appurato che fino al 1610 il loro apostolato fu soprattutto quello dell’esempio. Questo rappresentò il solo mezzo di propaganda e d’apostolato. La vita penitente, l’austerità dell’abito, la povertà, le predicazioni attirarono verso di loro anime sempre più numerose, avide di perfezione e bramose di un’autentica vita spirituale. Ora, in quei primi anni, i cappuccini non esercitavano ancora un ministero attivo e molti tra essi conducevano una vita di carattere contemplativo. Ma per questo soprattutto quei cristiani trovarono una risposta alle loro aspirazioni di vita perfetta. Puramente eremitica all’epoca del soggiorno a Picpus, la vita dei frati cappuccini, ad eccezione di un numero sparuto di predicatori, era immersa realmente in un clima di contemplazione (doc. 1 e 9).

Quelli che venivano a seguire la loro vita non appartenevano soltanto alle classi medie e popolari, ma anche alla nobiltà e all’alta borghesia parigina o lionese. Anzi si potrebbe asserire che la maggior parte di loro provenivano dalla classe della borghesia della prima metà del «Grande secolo». Se la nobiltà era rappresentata dai Joyeuse, dai Crèvecoeur, la magistratura, a sua volta, era raffigurata dai Bochard de Champigny, dai Brulart de Sillery. E non mancarono, all’origine, fra loro, degli intellettuali. Più tardi apparirà Yves de Paris, ma anche Benoît de Canfield, Laurent de Paris e altri, tutti di origine nobile o borghese. Così pure antichi officiali, gentiluomini, giuristi, professori della Sorbona si trovarono insieme nelle loro file e fraternizzarono con elementi più umili, come abbiamo accennato sopra.

Quali le cause di questo sviluppo eccezionale dei cappuccini? Furono essenzialmente la testimonianza della loro vita, il loro zelo, il loro disponibilità umile e pronta ad ogni servizio (cf. doc. 21, 23-24). Come altri Ordini nuovi del tempo, essi hanno originato un movimento di riforma di conventi, un rinnovamento di vita religiosa. Ma l’aspetto che rese i cappuccini dei veri iniziatori fu soprattutto la loro vita conventuale, ritmata dall’officio recitato in comune. Per il resto i predicatori si impegnavano nel loro ministero, i lettori e gli studenti ai loro studi, i sacerdoti si davano a diversi servizi e lavori. C’è da notare che i predicatori «patentati» anche in Francia furono un piccolo numero, ma ben scelti. La maggioranza dei sacerdoti si accontentavano di darsi alla vita contemplativa, ai lavori manuali o al ministero pastorale in città. Quindi larga parte di vita corale e di orazione silenziosa temperava la parte propriamente apostolica e attiva.

Ma è di grande interesse tentare di cogliere lo spirito che ha orientato e vivificato questa vita, ossia l’unione con Dio, di cui si fa eco un libretto apparso piuttosto tardivamente, in tempi successivi al periodo che stiamo studiando. Il suo autore ha saputo raccogliere con grande suggestione i principali temi della spiritualità cappuccina e sintetizzare le grandi linee della loro vita spirituale, che è vita in Dio, interiorità, ricerca, sequela e conformità a Cristo e alla volontà del Padre. Questo piccolo libro è la Conduite intérieure del padre Giuseppe da Dreux e rappresenta la più caratteristica sintesi della vita spirituale dei cappuccini in Francia[10].

Elemento importante è anche l’osservanza il pit possibile alla lettera della Regola considerata come la sintesi del Vangelo, con questa puntualizzazione che ciò che colpisce di pi nella legislazione dei cappuccini non è tanto la loro fedeltà alla lettera del Vangelo, quanto il loro desiderio di animare questa osservanza con lo Spirito di Cristo scoperto e percepito nel Vangelo. Da qui l’importanza data alla vita di preghiera ed è questo, probabilmente, l’aspetto che soprattutto deve aver colpito i contemporanei.

Altra particolarità che ricorda le loro origini eremitiche è che i cappuccini di quest’epoca, fedeli al loro ideale di solitudine, hanno sempre cercato con premura di rammentare nelle loro costituzioni la necessità di conservare nei loro luoghi una o due cellette per coloro che volevano vivere qualche giorno o qualche settimana e anche più in vita eremitica. Così nel grande convento parigino di Saint-Honoré anche in pieno secolo XVIII, come lo attesta una pianta del 1741, che comprende alcune cellette destinate ai «solitari». Vi si nota bene l’impronta eminentemente eremitica di Francesco e dei suoi primi compagni, che i frati cappuccini ebbero a cuore di conservare, anche nel secolo dei Lumi. In quest’ansia eremitica, contemplativa e pauperistico-penitenziale si deve porre il tentativo di riforma portato avanti, ma senza successo a quanto pare, da padre Natanaele da Pontoise negli ultimi anni del Cinquecento in Francia, neanche vent’anni dopo la venuta dei cappuccini (doc. 30).

Un’altra testimonianza che pure ha attirato l’attenzione dei cristiani dell’ultimo ’500 e del primo ’600 è la povertà manifestata nel loro abito che, da oggetto di scherno nei primi tempi, diventa oggetto di una vera venerazione; povertà che i contemporanei osservavano nei conventi cappuccini e che faceva contrasto con le altre case religiose (doc. 25). Questa povertà venne messa dai frati cappuccini al servizio di tutti, perché, distaccati da tutto, si trovavano disponibili a servire i poveri, gli indigenti e soprattutto i malati. È in effetti questo loro distacco e disinteresse la causa della loro popolarità fra la gente di città e di campagna (cf. doc. 20). Eremiti itineranti, si trovavano a stretto contatto con la gente che andava da loro con fiducia, né d’altronde essi potevano non accorgersi dei bisogni del popolo.

Bisogna pure sottolineare che i questuanti, per motivo del loro lavoro e dei loro rapporti con le popolazioni, svolgevano un vero apostolato di volontariato verso i malati e verso la gente coi loro consigli e la testimonianza eloquente del loro esempio. I cronisti hanno lasciato i dei ritratti vivacissimi di alcuni di questi fratelli e anche se hanno aggiunto pennellate ornamentali, non resta meno vero che ci si trova di fronte a frati di grande levatura spirituale.

Così un padre Epifanio, pur essendo guardiano, andava alla questua: «Essendo guardiano a Meudon, partiva dal suo convento, faceva due leghe di cammino a digiuno, poi ritornava, finita la questua, senza bere né mangiare e senza aver chiesto di porta in porta un tozzo di pane. In convento infine, si accontentava di un po’ di pane e di acqua pura. I suoi compagni, fratelli laici, non riuscivano a imitarlo, pur essendo più robusti di lui».

La testimonianza della loro vita si manifesta anche nella loro preghiera liturgica. Anche in questo campo i frati cappuccini furono dei novatori e degli iniziatori per i loro contemporanei che restavano colpiti da certe usanze, fino allora sconosciute: la presenza di un tabernacolo fisso, l’uso di porre i fiori sugli altari. Così quel loro salmodiare monotono e grave, che stupiva stranamente, ma poi finiva per diventare piacevole; oppure lo svolgersi di cerimonie semplicissime nel quadro austero delle loro chiesette che spingeva a fare altrettanto.

Queste innovazioni liturgiche ebbero, allora, un loro motivo di essere, perché toglievano ai protestanti l’opportunità di scagliarsi contro il lusso delle chiese. Lo stesso vale per il canto. Il modo «semplice e lugubre» di salmodiare sedusse non solo preti e religiosi, ma fu pure l’occasione per frenare gli eccessi polifonici, dei quali si erano rigettati gli abusi.

Infine, e soprattutto, i cappuccini sorprendono per il loro metodo di fare orazione mentale in comune nel coro. A Saint-Honoré venivano a spiarli, a osservarli di nascosto, ed essi stessi diffondevano fra i loro discepoli la pratica dell’orazione[11]. Ognuno voleva imparare questo nuovo modo di pregare, ed era un’aspirazione ben corrispondente alla sete d’interiorità che caratterizzò in quell’epoca il rinnovamento spirituale.

Bisogna ancora notare l’influsso dei cappuccini nell’animare la vita sacramentale, i loro sforzi per diffondere tra i fedeli la pratica della comunione sacramentale e la devozione delle Quarantore, di origine italiana, che sarà largamente utilizzata dai cappuccini all’inizio delle loro missioni; il culto della Passione che farà sbocciare quello del Sacro Cuore, di cui i cappuccini divennero propagatori già nei primi anni del loro arrivo in Francia. Enorme, quindi, fu il loro influsso, tanto che l’autore della cronaca del convento di Marais ha potuto scrivere: «Ci si accorgeva del bene che i nostri religiosi operavano coi loro servizi spirituali resi dopo essersi stabiliti in città, coi loro buoni esempi, la santità della loro vita, le loro frequenti esortazioni ai libertini, l’assistenza ai malati e ai moribondi, la visita ai galeotti, ai prigionieri e agli ospedali, il catechismo nelle loro chiese per i bambini e le fanciulle e nel chiostro per i paggi, le loro predicazioni con le quali scuotevano le coscienze e il modo di parlare toccante… che ogni giorno causava conversioni meravigliose e, infine, l’introduzione della confessione e l’uso della comunione frequente. E, ancor più grande, tutto ciò faceva cambiare completamente il modo di vivere».

Fu anche attraverso il ministero della predicazione e le missioni che essi ebbero una grande influenza sui loro tempi. Le prime vere missioni fra le popolazioni rurali iniziarono solo nel 1630. Precedentemente c’erano predicazioni isolate o missioni antiprotestanti, specie nel Poitou. Concluso il periodo turbolento dell’ultimo Cinquecento e le reazioni all’editto di Nantes, i cappuccini apparvero come predicatori nelle principali chiese delle grandi città e la loro predicazione può considerarsi in quelle circostanze come una catechesi o un rinfrescare le grandi verità cristiane.

L’apostolato nelle campagne iniziato nel primo Seicento appariva tanto pi necessario quanto era comunemente trascurata l’istruzione cristiana (doc. 27). A dispetto delle prescrizioni del concilio di Trento, la predicazione domenicale era svolta in modo assai irregolare e così la gente delle campagne desiderava ascoltare i predicatori e li ricercava. Per questo ebbero grande successo questi primi missionari. Ecco, ad esempio, padre Eusebio di Merlon che si occupava degli adulti, ma anche dei bambini: «Egli predicava qualche volta in cinque villaggi diversi e vi furono dei giorni in cui predicava fino a otto volte… Appena s’imbatteva in un paesano o in una popolana, li interrogava sui misteri della fede, sulla loro fede, per disporli a ben confessarsi».

In nove o dieci anni di predicazione itinerante fece, almeno come stimarono i suoi superiori, cinque mila prediche. «Arrivando di sera in qualche villaggio, faceva suonare la campana per la predica e la gente del paese, tornata dai lavori dei campi, correva alla chiesa per ascoltarlo e la mattina dopo egli faceva lo stesso prima che la gente ritornasse al lavoro. E si accontentava dell’ospitalità ricevuta, fosse pure in un granaio. Andava anche nelle capanne dei pecorai, nelle grotte, in case rustiche, fattorie e boschi. E quando incontrava dei pastori, li radunava e faceva loro una piccola esortazione»[12].

Nelle grandi città i frati organizzavano più volte alla settimana lezioni di catechismo al popolo; altra catechesi facevano ai lacchè, paggi e servitori di corte e di famiglie nobili, e «questo aumentò talmente la devozione — scrive un cronista — che la gente, assidua alla nostra chiesa, per riconoscenza non lasciava mancare nulla al convento».

La vita dei missionari era, dunque, una predicazione efficace. Essi andavano dappertutto, anche nelle più povere abitazioni. Basterebbe ricordare, ad esempio, i quadri raffiguranti gli interni di fattorie e i villaggi dipinti da Le Nain, per avere un’idea di ciò che era allora il tenore di vita e il modo di vestire di quella gente che amava ascoltare la Parola di Dio spiegata dai cappuccini. Padre Angelo de Joyeuse, ad esempio, si mescolava coi poveri della capitale e li catechizzava all’aperto, sui crocicchi delle strade dove venne acceso un grande falò durante il mese di dicembre di quel 1599 particolarmente gelido: «Egli si mescolava tra gli accattoni della città, si scaldava al fuoco con loro, li evangelizzava» (doc. 26).

Padre Giuseppe de Morlaix, vecchio provinciale della Bretagna, lo imiterà. Predicando a Saint-Germain l’Auxerrois, a Parigi, egli radunerà tutti i servitori, i paggi, i palafrenieri, i piccoli domestici, intrattenendoli sul Vangelo, sulla frequenza dei sacramenti e sul modo di confessarsi[13].

Un altro aspetto che ha trasformato la loro epoca e per il quale si sono rivelati testimoni del Vangelo è la testimonianza della loro carità che si manifestò soprattutto in occasione delle epidemie provocate dalla guerra dei Trent’anni. È difficile raffigurarsi oggi la realtà di quel fenomeno drammatico, con tutte le sue conseguenze demografiche e sociali. Quando il contagio appariva, gli abitanti delle città fuggivano lasciando malati, moribondi e infermieri alla loro triste sorte. Gli unici a restare, stoicamente, erano i giudici che continuavano ad amministrare le città e a organizzare i soccorsi. Ma chi si assumeva la cura dei malati? Furono gli Ordini religiosi e, in prima fila, i frati cappuccini (cf. doc. 23).

Lo si vide chiaramente a Troyes, allorché tutta la cittadinanza al completo venne al convento per chiedere il loro aiuto. I giudici s’aspettavano, se non un rifiuto, almeno un’eccezione d’inammissibilità perché essi avevano fatto un mondo di difficoltà a riceverli in città e, fino a quel momento, non è che il clero e gli abitanti si fossero segnalati per la loro generosità. Il padre guardiano riunì la comunità in refettorio, il sindaco spiegò lo scopo di quella visita. Ora quale non fu la sorpresa dei visitatori quando i cappuccini si offrirono tutti, come un solo uomo, dopo che il loro superiore aveva chiesto qualche volontario. Costui assicurò le autorità della città che, dopo di loro, altri si sarebbero offerti altrettanto generosamente a prendere il loro posto, se fosse stato necessario.

Nel 1622 a Rouen 19 cappuccini soccombettero, come avvenne anche in altre città della Normandia. Ugualmente a Nantes, e soprattutto ad Amiens, Lyon, Paris, dove essi svolsero le funzioni non solo di cappellani, ma anche d’infermieri, consapevoli di andare incontro molte volte alla morte.

All’apostolato della carità in tempo di peste bisogna aggiungere il ministero della visita ai malati in città, che venne assicurato da tutti i conventi. Ancor più, nei luoghi di una certa importanza molte persone venivano a farsi ungere dai frati e a ricevere medicinali, anche se, sia detto di passaggio, non fu questa una specialità dei soli cappuccini: religiosi e religiose effettivamente fabbricavano unguenti e sciroppi. Ma è per dire il grande ascendente che ebbero questi frati infermieri presso i loro clienti, e lo stesso vale per chi visitava gli ammalati. Alcuni, come un padre Simone di Soissons, non solo si specializzarono nell’assistenza degli emarginati, ma anche nel visitare i malati, i ricchi, i venditori d’acqua, i servitori di corte e i paggi. In quanto al padre Elzeario, egli accorreva presso chiunque lo richiedesse o che egli conoscesse malato. Lo si svegliava anche in piena notte per casi di moribondi ed egli «si prestava subito, senza perder tempo e senza mai rifiutarsi con scuse, anche se ne aveva di legittime».

Ci si imbatte ancora nei cappuccini come cappellani militari, specie durante la guerra dei Trent’Anni, richiesti da Luigi XIII e da Richelieu. Il re si preoccupava dei soccorsi spirituali ai soldati e faceva appello particolarmente ai religiosi: recolletti, osservanti, cappuccini, gesuiti perché i vescovi esitavano a rispondere alle petizioni dei capitani d’armata, e anche perché questo ministero era stato spesso svolto male; per questo venivano preferiti dei religiosi.

Ugualmente si vedevano cappuccini sulle navi, e questo avvenne durante l’assedio di La Rochelle. È rimasto ancora il regolamento di vita di questi cappellani dei marinai, che accettavano così privazioni nel cibo, la molestia dell’alloggiamento, le malattie, i danni di guerra per il bene spirituale dei soldati. In particolare grazie ad essi e al loro incoraggiamento i soldati francesi che difendevano l’isola de Ré poterono resistere e fare in modo che gli inglesi non potessero mai accostarsi alla fortezza. È questo il caso di padre Luigi de Champagny che «diede sempre ai soldati speranza, impedendo loro di giorno in giorno di arrendersi al nemico».

Sarebbe monotono citare fatti. Basta per tutti quello del padre Claudio de Paris, cappellano delle armate del re in Alsazia, e confidente di tutti. «Il quartiere era arrivato e le armate si erano divise; egli per ordine del re dimorò nell’ospedale dell’armata dove c’erano molti soldati feriti ed ammalati. Qui con i suoi compagni esercitò il suo zelo, la sua carità, vegliando giorno e notte, passando di letto in letto e dando a uno i sacramenti dopo la confessione, ad altri parole di esortazione». Il missionario, con questo ritmo di vita, cadde presto vittima del suo zelo e fu inumato «nella casa dei padri gesuiti che fecero profitto dei suoi sermoni scritti di cui se ne servirono per bene». Anche il padre Umberto di Thouars si era segnalato, poiché «andava a confessare i soldati fino nelle trincee, facendo attenzione a quelli che ancora respiravano per impartire loro l’assoluzione, non facendo conto dei continui spari da una parte e dall’altra, e non venne mai colpito, nonostante che molti attorno e dietro a lui cadessero feriti e altri morti sul posto».

Un ultimo ministero venne svolto dai cappuccini e fu quello di visitare i carcerati nelle grandi città della Francia e in particolare a Parigi presso il grande e piccolo Chatelet, alle prigioni del Palazzo o tra i galeotti che attendevano la partenza della galea. Altri frati raccoglievano elemosine per riscattare prigionieri incarcerati per debiti.

In tal modo essi, nel loro tempo, hanno portato la testimonianza della carità e dell’apostolato, lasciando alle generazioni future un esempio e un messaggio. Sono stati persone eminenti, iniziatori, pionieri in un’epoca essenzialmente vitale, bollente, in un’epoca-cerniera che faceva già intravedere un nuovo periodo. Essi hanno creato una prospettiva di vita spirituale e apostolica. Questi cappuccini delle origini ci fanno il dono di un messaggio: una vita di preghiera e di apostolato. Hanno saputo inserire i cristiani di allora nella vita della Chiesa in un’epoca di rinnovamento e hanno sviluppato un’attività veramente creatrice con una fedeltà a tutta prova alla Chiesa del loro tempo[14].

1. PIETRO DESCHAMPS E L’EREMO DI PICPUS

Fr. Pietro Deschamps, frate minore osservante nel grande convento di Parigi, insoddisfatto della vita che in esso si conduceva, fuggi in Italia, avendo inteso parlare della riforma dei cappuccini, vesti il loro abito, ritorno in Francia e fondo il romitaggio di Picpus grazie alla protezione di Aymeric de Rochechouart, vescovo di Sisteron, e con l’aiuto di un mercante parigino di nome de Villecourt.

Fonte: Matthias a Salò, Historia capuccina. Pars altera, in lucem edita a P. Melchiore a Pobladura (MHOC VI), Roma 1950, 330-332.

9084 Fu anco ordinato (in detto capitolo d’Ancona) che si mandassero frati in Francia a pigliar luoghi in quel regno, la qual cosa ebbe un debolissimo e vilissimo principio, ma il progresso ha poi dichiarato quello essere stato disegno di Dio. Comincio ella dunque in questo modo. Era un fr. Pietro Chempis, chierico,[15] fra cordiglieri (che così chiamansi in Francia i frati minori)[16] in Parigi, il quale apostatando dalla religione andò vagabondo per la Spagna e per l’Italia, oltre la Francia. E veduti in Francia i cappuccini in molto credito, penso ritornare in Francia e pigliar quell’abito, il che da se medesimo senza alcuna autorità e senza consentimento o pur saputa de’ superiori egli fece. E pigliossi per compagno un semplice eremita vecchio, che si chiamava f. Michele,[17] dando pur a lui l’abito cappuccino, e un mercante detto Villevor,[18] accomodò loro una casa fuor della città in un luogo detto Piquepus,[19] ove era una capella. E fra lo spaccio di quattro mesi si aderirono a questi tre altri, a’ quali pur fr. Pietro diè l’abito cappuccino.

9085 Dui anni dopo, cioè l’anno 1572, mori il mercante e rimanendo quella casa da vendere, comperala a nome de’ detti frati il vescovo di Cisterone.[20] Questi era buona persona e semplice, il quale essendo nella corte regia stato uomo di ricreazione e da dare spasso al re, per rimunerazione aveale dato quel vescovato. Ma essendo egli persona di buona mente e di leale semplicità, prese amore a questi frati, li quali tutti fuor di fr. Pietro andavano semplicemente pensando in quella vita far grato servigio a Dio; e aiutavali ne’ loro bisogni. E fu loro buon mezzo per ottenere dei favori nella corte regia quando ne ebbero bisogno.

Fu da alcune buone persone fr. Pietro e i suoi frati amato e aiutato, avendoli molti conceputa divozione. E però, con aiuto di detto vescovo e di altre persone, edificarono in quel luogo una chiesa chiamandola S. Maria delle Grazie; ma tutto senza la dovuta licenzia, senza la quale esso fr. Pietro stando così apostata ordinato pur sacerdote e celebrava e faceva il divino ufficio. Ciò vedendo il curato di S. Paolo (nella cui parrocchia era detto luogo), uomo dottissimo e di gran zelo, che poi fu vescovo di Narbona, cercò con l’aiuto e autorità del vescovo di Parigi, ora cardinale Gondio, d’impedire costui vietandogli il celebrare. Laonde fr. Pietro, non trovando altro mezzo, disse a quel reverendo curato: «lo me ne andrò in Italia e farò venire i cappuccini». A cui egli dia questa risposta: «Va, che se ben sei un tristo, farai un’opera buona».

2. IN DIFESA DI PIETRO DESCHAMPS E COMPAGNI

Citati in giudizio da Simon Vigor, parroco di Sant-Paul, e da Pietro de Gondi, vescovo di Parigi, Pietro Deschamps e i suoi compagni, sempre protetti dal vescovo di Sisteron, ebbero la buona sorte di ricevere visita dalla regina Caterina de’ Medici, che promise di favorirli presso il re Carlo IX suo figlio.

Fonte: Parigi, Bibl. Mazarine, ms. 2879: Annales des Révérends Péres Capucins de la Province de Paris, la mére et la source de toutes celles de deca les monts, en 1574, f. 20 – Ediz.: [René de Nantes], Documents pour servir a l’histoire de l’établissement des capucins en France (1568-1585), Paris 1894, 6s.

9086 La regina di Francia Caterina de’ Medici, madre di tanti re,[21] fu ispirata di andare nel suo castello di Vincennes accompagnata dalla corte che vi faceva nel frattempo una partita di caccia. Trovandosi in piena campagna e divertendosi a cacciare, intese per caso improvvisamente, o piuttosto così giudicando a proposito la Provvidenza di Dio, i tocchi della nostra piccola campana: era l’ora ordinaria di Compieta e poi della meditazione che i religiosi facevano prima della cena, e a quest’orario erano molto fedeli.

La reine Catherine de Médicis, douairiére de France et mére de tant de Roys, fut inspirée d’aller dans son chateau de Vincennes, accompagnée de sa Cour qui y alloit en chassant. Comme elle étoit dans cette vaste campagne à prendre la divertissement de la chasse, elle entendit par cas fortuit, ou plutét la Providence de Dieu le jugeant ainsy à propos, nostre petite cloche; c’étoit Complies et ensuite la méditation que les religieux faisoient, a Pheure ordinaire avant le repas du soir, auxquels ils étoient trés réguliers.

La buona regina, sempre pia, chiese a uno dei suoi cappellani che piccolo monastero fosse dove suonava la campana. Il cappellano le disse: «Signora, vostra maestà saprà che si tratta di alcune persone devote che hanno preso I’ abito di una nuova riforma stabilita a Roma quasi 60 anni fa, e questi pii religiosi sarebbero di questa riforma e si sarebbero portati a Roma per questo motivo senza aver potuto ottenere da sua santità di stabilirsi in Francia per una proibizione degli stessi sovrani pontefici che non avevano voluto permettere che si espandessero al di 1a dei monti.

La bonne reine toujours pieuse, demanda à un de ses aumosniers ce que c’étoit le petit monastère où l’on sonnoit. L’aumosnier lui dit: «Madame, Vostre Majesté sçaura que ce sont des âmes pieuses qui ont pris un habit d’une nouvelle Réforme établie à Rome depuis presque soixante ans, et que ces pieux religieux se disoient estre de cette réforme et avoient anvoyé à Rome pour cela sans avoir pu obtenir de Sa Saincteté de s’établir en France à cause de l’Interdiction des Souverains Pontifes qui n’avoient voulu permettre qu’ils s’établissent au-delà des monts.

9087 Sua eminenza il cardinal de Guise[22] li protegge dai loro nemici che sono il vescovo di Parigi,[23] il parroco di Saint-Paul[24] e diversi religiosi,[25] perché essi non avevano nessun permesso da sua santità per insediarsi; ma sono persone apostoliche e si chiamano cappuccini».

Son éminence le cardinal de Guise les protége contre leurs ennemis qui sont l’évesque de Paris, le curé de Saint-Paul et les’ Réguliers, parce qu ils n’avoient point permission de Sa Saincteté pour s’établir, que c’étoient des personnes tout apostolique et qui se disoient capucins».

La buona principessa chiese di andarvi e giunta alla porta del piccolo monastero, venne subito a visitare il santissimo Sacramento nel piccolo oratorio e rimase molto edificata nel vedere quei poveri orfanelli che attendevano il soccorso del loro padre. E disse: «Non c’è nulla qui di nuovo, io ne ho già visti in Italia e sono religiosi molto santi e veri figli di san Francesco». E fece chiamare il superiore e gli domandò come mai non si fossero ancora presentati alla Corte. Risposero umilmente che non avendo chi li introducesse ai piedi del suo trono, essi non avevano avuto il coraggio di presentarsi. E dopo un breve racconto di ciò che già dicemmo, essa ordino che le si facesse memoria di questa avventura spirituale, quando sarebbe giunta al Louvre.

La bonne Princesse demanda à y aller, et estant arrivée à la porte de ce petit monastére, elle alla d’abord saluer le Trés Sainct Sacrement dans le petit oratoire, et fut beaucoup édiffiée de voir ces pauvres enfans orphelins qui attendoient les secours de leur Pére. Elle dit: « Cecy ne m’est pas nouveau, j’en ay veu déja en Italie, ce sont de trés saincts religieux et les véritables enfans de sainct Francois ». Elle fit appeler le supérieur, à qui elle domanda d’ou vient qu’ils ne s’estoient pas présentés a la Cour. Ils dirent humblement que, n’ayant personne pour les introduire aux pieds de son trosne, ils n’avoient pas eu la hardiesse de s’y présenter et aprés un petit recit de ce que nous avons dict, elle ordonna de la faire ressouvenir, quand elle seroit au Louvre, de cette aventure spirituelle.

3. CARLO IX AI «POVERI EREMITI» DI PICPUS

Blois, aprile 1572. — Il re Carlo IX, figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici, autorizza i «Poveri Eremiti» a costruire una chiesa a Picpus e proibisce al curato della parrocchia di Saint-Paul di perseguitarli.

Fonte: Parigi, Bibliothéque nationale, Ms. fr. 25.044: Chronologie historique de ce qui s’est passé de plus considérable dans la Province de Paris depuis l’an 1574, p. 8-12. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 7-9.

9088 Carlo, per grazia di Dio re di Francia, a tutti i presenti e futuri, salute.

Charles, par la grâce de Dieu roy de France, à tous présens et à venir, salut.

I nostri amatissimi e devoti oratori religiosi e convento, detti cappuccini, dell’Ordine e osservanza di san Francesco, fondati nel luogo di Picpus, parrocchia di San Paolo, nei pressi della nostra città di Parigi, ci hanno fatto avvertire molto umilmente di aver iniziato da poco tempo a costruire una chiesetta nel suddetto luogo di Picpus, accanto a una cappella che prima vi era stata edificata, dove presentemente si fa celebrare il servizio divino. Essi desiderano portare avanti e finire questa costruzione con l’aiuto e l’elemosina di gente dabbene e di buoni cattolici, così da poter continuare il loro servizio con maggior comodità che non nella cappella e vivere, come hanno fatto voto, secondo la stretta Regola di san Francesco, patrono e capo del detto Ordine, che proibisce loro di avere il possesso di qualsiasi bene e rendita per loro sostentamento e vitto, se non la bisaccia.

Nos bien aymez et dévots orateurs religieux et convent dits Capucins, ordre et observance de sainct François, fondez au lieu de Piquepuces, paroisse de Sainct-Paul, joignant nostre ville de Paris, nous ont faict remonstrer en toute humilité, que depuis peu de temps ils ont commencé à faire bastir et construire une petitte esglise audict lieu de Piquepuces, prez de la chappelle qui a esté cy-devant fondée, et en laquelle se faict célébrer à présent le service divin; laquelle dicte esglise ils désirent faire advancer et parachever, avec l’ayde et aumosnes des gens de bien et bons catholiques, affin que dans icelle ils puissent continuer leur service plus commodement que dans ladicte chappelle, et vivre, ainsy qu’ils ont faict voeu, selon l’estroicte régle de saint François, patron et chef dudict ordre, qui leur deffend de tenir et posséder aucuns biens ny revenus pour leur entretien et nourriture, sinon la besace.

9089 Ma in questo essi sono turbati e impediti sia dal curato della suddetta parrocchia di S. Paolo (sotto pretesto che la loro chiesa o cappella non è stata consacrata e quindi non è lecito a questi richiedenti celebrarvi il culto divino, come se da dieci e poi quindici anni in qua i curati di S. Paolo non avessero più e più volte mandati dei preti in quella cappella a celebrarvi la messa), sia dai religiosi e dal convento dei francescani e di altri mendicanti della città di Parigi, che cercano in tutti modi loro possibili di sterminare e mettere fuori legge il suddetto Ordine, dicendo che è una novità mai usata in Francia, pur essendo approvata dai nostri santi padri i papi e tenuta e considerata a Roma e in altri luoghi d’Italia come il vero e legittimo Ordine e disciplina di san Francesco.

Mais ils sont à ce troublez et empechez tant par le curé de ladicte paroisse de Sainct-Paul (soubz ombre de dire que leur église ou chappelle n’a esté consacrée, et que partant il n’est licite auxdicts exposans d’y celebrer le service divin, combien que dez et depuis quinze ans en ça les curés dudict Sainct-Paul ayent par plusieurs et diverses fois envoié des prestres en ladicte chappelle, pour y célébrer la messe), que par ler religieux et convent des Cordeliers et aultres mendians de ladicte ville de Paris, qui taschent par tous moieris & eux possibles d’exterminer et faire interdire Jedict ordre, disant estre chose nouvelle et non jamais usitée en France, combien qu’elle soit approuvée par nos saincts peres les Papes, et tenue et reputée à Rome et aultres lieux d’Italie pour le vray et legitime ordre et discipline dudict sainct Francois.

Desiderando provvedere a questa cosa, facciano sapere che noi, nel desiderio che il culto divino sia continuato e aumentato in questo regno, e che questi frati cappuccini vengano accolti e accettati per il buon zelo e fervore che essi hanno di conservare, osservare e seguire la stretta regola di san Francesco, capo e fondatore del loro Ordine, e per indurli e obbligarli quindi a pregare Dio per la pace, tranquillità e prosperità di questo regno, vogliamo, dichiariamo, ordiniamo e ci piace che essi vengano mantenuti e conservati coi medesimi diritti e prerogative che hanno gli altri religiosi del loro Ordine e Osservanza, approvati a Roma… per quanto riguarda il loro vitto e vestito e ultimazione della loro chiesa, nella forma e modo del tutto identici a ciò che si usa per i religiosi dei quattro Ordini mendicanti della citta di Parigi […].

A quoy desirans pourvoir, scavoir faison que nous, desirans le service de Dieu estre continué et augmenté en ce royaume, et iceux fréres capucins estre entretenus et supportez au bon zele et affection qu’ils ont au voeu par eux faict d’entretenir, et observer, et ensuivre l’estroicte régle de sainct Francois, chepf et fondateur de leur ordre, et pour les induire et obliger dadvantage a prier Dieu pour la paix, tranquillité et prospérité de ce royaume, voulons, déclarons, ordonnons et nous plaist iceux estre maintenus et conservez auz mesmes droicts et prérogatives que les aultres religieux de leur Ordre et observance, approuvez à Rome… pour leur nourriture et vestement et parachévement de leur dicte esglise, tout ainsy et par la mesme forme et manière qu’ont accoustumé les religieux de quatre Ordres mendiants de la dicte ville de Paris […].

9090 Ordiniamo perciò ai nostri cari e fedeli membri del Parlamento di Parigi,[26] al prevosto del detto luogo, al conservatore dei privilegi dell’Università[27] e a tutti gli altri che vi appartengono, che lascino godere e usare la presente concessione ai suddetti padri cappuccini, bloccando e facendo cessare ogni turbolenza e ostacolo che vi si ponesse in contrario, sia da parte del curato di San Paolo, sia dai religiosi dei quattro Ordini mendicanti della città di Parigi e da altri […].

Cy donnons commandement à nos amez et féaux les gens tenans nostre Cour de Parlement de Paris, Prévost dudict lieu, conservateur des privileges de l’Université, et tous aultres qu’il appartiendra, que de cette présente concession… ils laissent jouir et user lesdicts péres Capucins, cessans et faisans cesser tous troubles et empeschemens qui leur pourroient estre faicts au contraire, tant par ledict curé de Sainct-Paul que des religieux des quatre Ordres mendians de ladicte ville de Paris et aultres […].

Ordiniamo inoltre ai religiosi del convento dei francescani di non far male in qualunque modo, né di agire penalmente contro fr. Pietro Deschamps, guardiano dei suddetti cappuccini per il fatto che abbia abbandonato quei francescani e si sia unito a questi cappuccini così da poter condurre una vita più stretta e austera, poiché in questo egli non ha contravvenuto ai decreti e concessioni dei nostri santi padri, e neppure ha cambiato Ordine, dal momento che ambedue i conventi sono fondati dallo stesso patrono e dallo stesso Ordine […].

Ordonnons en oultre deffences estre faictes aux religieux dudict convent des Cordoliers de mesfaire ou mesdire en quelque fagon que ce soit, ne traicter en justice Fr. Pierre Deschamps, Gardien desdicts Capucins, pour s’estre retiré desdicts Cordoliers et associé avec iceux Capucins affin d’avoir le moins de mener une vie plus éstroicte et plus austére, attendu que pour ce il n’a pas contrevenu aus décrets et cessions de nos Saincts Péres, ny miié d’Ordre, estant l’ung et l’autre desdicts convens fondez du mesme patron et Ordre […].

Data a Blois nel mese d’aprile dell’anno di grazia mille cinquecento settanta due, e dodicesimo del nostro regno.

Donné à Blois au mois d’avril, l’an de grâce mil cing cens soixante et douze, et de nostre régne le douziéme [1572].

4. LETTERA DEL CARD. SEGRETARIO DI STATO AL NUNZIO DI FRANCIA

Roma, 25 novembre 1573. — I primi cappuccini trovarono un altro protettore nel cardinal Charles de Lorraine che parlò alla regina in loro favore. Ma il suo intervento non basto a togliere gli ostacoli frapposti all’insediamento dei cappuccini in Francia.[28] Il nunzio apostolico Antonio-Maria Salviati[29] fu incaricato di prendere in mano gli interessi dei religiosi. Il cardinale segretario di stato gli scriveva la seguente lettera.

Fonte: ASV, Nunziatura di Francia, vol. 283, f. 247. — Fdiz.: [René de Nantes], Documents, 92.

9091 Nostro signore è informato che dal vescovo di Parigi vien fatto gagliardo contrasto a’ padri cappuccini perché non s’introduchino in Parigi dove sono desiderati e chiamati, e dove li è data comodità di poter stare, dicendo il vescovo volerne espresso ordine da sua santità, la quale perciò mi ha ordinato di scrivergli che non soltanto voglia lasciargli introdusse, ma anco favorir le cose loro, poi che sono padri di tanta bontà e di tal credito appresso li buoni cristiani che giovarano a sua santità nel servizio de la sua Chiesa. Così vostra signoria darà la lettera accompagnandola con quel officio a nome di sua santità che a lei parerà in proposito, pigliando poi anco la protezione di detti padri in quello che li sarà bisogno, e facendoli sapere l’officio che ella ha ordine di fare […].

5. LETTERA DEL CARD. SEGRETARIO DI STATO AL VESCOVO DI PARIGI

Roma, 25 novembre 1573. — Il cardinal segretario di stato scrisse nello stesso senso ugualmente anche al vescovo di Parigi perché i cappuccini potessero vivere in pace.

Fonte: ASV, Nunziatura di Francia, vol. 283, f. 249. — Ediz.: [René de Nantes], Documents cit., 92s.

Molto reverendo monsignore.

9092 La congregazione de’ padri cappuccini de l’Ordine de S. Francesco fa sapere a nostro signore che vostra signoria si rende difficile a lasciarli star in Parigi dove ora s’introducono, dicendo volerne ordine da sua santità. così, la santità sua mi ha commesso di scrivere a vostra signoria che la bontà di detti padri e la vita religiosa che tengono in servizio de Deo e in edificazione del prossimo è di tanto esemplo e frutto in tutte le città dove abitano che non soltanto si hanno a ricever volontieri, ma a procurar con molta istanza di farli venir dove non sono e che però lei non faccia difficoltà d’ammetterli in Parigi dove sono desiderati e chiamati e dove vien loro offerta comodità di poter stare e che di piu’ favorisca le cose loro con quella caldezza che vostra signoria è solita favorir l’opere buone […].

6. LETTERA DEL NUNZIO SALVIATI AL CARD. SEGRETARIO DI STATO

Parigi, 13 marzo 1574. — Il nunzio Salviati assolse fedelmente il suo ufficio di protettore facendo conoscere al vescovo di Sisteron la povertà del romitorio dei cappuccini di Picpus e chiedendo alla regina di prenderli sotto la sua protezione. In questo senso scriveva al segretario di stato.

Fonte: ASV, Nunziatura di Francia, vol. 7, f. 249. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 93.

9093 Essendo tornato a Parigi, mi son ricordato che vostra signoria illustrissima mi aveva altre volte comandato d’impiegarmi a favore de’ padri cappuccini; onde sono stato al loro luogo, e ho trovato che sono stati messi in un sito umido e basso e tanto lontano dalla città che è quasi impossibile che a lungo andare vi possino durare. Hogli consigliati di venir dentro, e almeno nei borghi. Mi rispondevano che monsignore di Cisterone, che ha fatto la spesa del luogo ove ora si trovano, difficilmente se ne contentarebbe. A che per rimediare, sono stato con monsignore di Cisterone e con tanta buona fortuna, che non solo si è contentato che s’operi di farli venire nella città, ma anco mi ha promesso di spendere per loro il capitale di 300 lire di rendita che ha su la villa, e 600 scudi di danari contanti; il che importerà meglio di 4000 franchi.

Dipoi ho pregato la regina di volere pigliare la loro protezzione che cortesemente mi ha promesso di farlo. L’’illustrissimo di Lorena li favorisce anche egli, che non è di poca importanza; di modo che spero che le cose loro passaranno bene. E quando ci sia altro spettante a questo particolare, ne darò avviso a vostra signoria illustrissima, alla quale con ogni riverenza baccio le mani.

Di Parigi, li xiij di marzo MDLXXIII [1574].

7. ALTRA LETTERA DEL NUNZIO AL SEGRETARIO DI STATO

Parigi, 24 aprile 1574. — Il nunzio Salviati rispose a una lettera del cardinal segretario di stato, lodando il vescovo di Sisteron, da parte del papa, per l’aiuto e la protezione accordata ai cappuccini. Lo stesso nunzio interpose la sua intercessione a favore di quest’ultimi presso il re e la regina madre.

Fonte: ASV, Nunziatura di Francia, vol. 7, f. 326. — Ediz.: [René de Nantes], Documents cit., 94.

9094 Quanto vostra signoria illustrissima mi scrisse della soddisfazione che ha nostro signore che monsignore di Cisterone aiuti le cose de’ padri cappuccini, ho most[ra]to a lui medesimo, che si è più che mai infervorato nel ben fare. Per loro ho anco parlato alla regina che in ogni modo gli vuole accomodare di un luogo molto bono e comodo. Le cose di quali sono talmente incamminate e ben disposte che spero che Dio sarà servito con onore e poca fatica di chi se ne travagl[i]erà.

Parigi, xxiiij d’aprile 1574.

8. NUOVA LETTERA DEL NUNZIO SALVIATI

Parigi, 30 luglio 1575. — I cappuccini hanno scrupolo di essere incorsi nelle sanzioni penali della bolla di Pio V, poiché per inavvertenza una donna è entrata nel loro orto, e pregano il nunzio di liberarli chiedendo per loro l’assoluzione al papa. Scrivendo per questo al card. di Como, il nunzio aggiunge altri piccoli particolari sui primi cappuccini a Parigi.

Fonte: ASV, Nunziatura di Francia, vol. 8, f. 441. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 94s.

9095 Illustrissimo e reverendissimo monsignor patron osservandissimo.

Altre volte mi fu comandato da vostra signoria illustrissima d’avere in protezione i cappuccini. Il che ho sempre fatto. E molto spesso è avenuto che mi sono venuti a comunicare delle lor cose più familiari. Al presente per inavertenza, e non perché ci sia alcuna sorte di disordini, è accaduto che in quel luogo che han fuor di Parigi, che ancor non è fabricato, né accommodato, debbe essere entrato una povera donna nell’orto per pigliar erbe o simili cose. Dubitano essere incorsi nelle pene della Bolla, che proibisce alle donne l’ingresso ne’ monasteri de’ religiosi. E per non restare in nessuna sorte di laccio o scrupulo, mi sono venuti a domandare l’assoluzione.

Io, che non ho l’autorità, non gli ho potuti consolare, che co ‘l promettergli di scrivere a vostra signoria illustrissima. Se le parrà ottenere tal fascoltà da sua beatitudine e farne fede con una sua, che servirà de vivae vocis oraculo, io non mancarò d’usare la carità. E perché è facile che naschino alle volte cose simili, se la lettera sarà in termini generali, tanto maggior sarà l’obligo che i padri averanno di pregar Iddio per vostra signoria illustrissima. I quali non so vedere che siano che uomini da bene, e buoni religiosi. In tanto che con la loro austerità fanno stupire la Corte e tutti questi popoli. Con quella osservanza che le debbo, le fo riverenza.

Di Parigi, li xxx di luglio MDLXXV [1573].

Della vostra signoria illustrissima e reverendissima

Affezionatissimo e umilissimo servitore

Il vescovo Salviati.

9. OPINIONI DEI CONTEMPORANEI SUI CAPPUCCINI

Le opinioni dei contemporanei riguardo ai cappuccini da poco giunti in Francia erano assai varie. Molti, per un certo sospetto che il clero nutriva nei confronti di questi nuovi venuti, stavano riservati. Altri manifestavano piuttosto simpatia. La testimonianza data da Claude Hatton nelle sue «Memorie»[30] è molto oggettiva. Egli s’accontenta di riferire ciò che conosce senza nessun giudizio di merito (1573).

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 11.575: Claude Haton, Mémoires, f. 562. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 21.

9096 A Parigi intorno a quest’anno vennero a insediarsi dei religiosi chiamati cappuccini, per altro picche marce, vestiti di grigio come i frati francescani, ma in maniera diversa; e il re o altre persone diedero per loro abitazione un luogo fuori la città di Parigi, un ambiente dopo l’alloggiamento del piccolo Sant’Antonio e oltre la porta di Sant’Antonio di Parigi, sulla via del bosco di Vincennes.

A Paris environ ceste année arrivèrent des religieux pour y faire leur demeure qu’on appeloit des Capucins aultrement picque pusses, habillés de gris comme cordeliers, mais d’une aultre facon, et leur fut baillé par le Roy ou aultres personnes lieu pour demourer hors la ditte ville de Paris, au lieu dit ou auprès le logis de petit Sainct Anthoine et hors de la porte Sainct Anthoine de Paris et sur le chemin bu bois de Vincennes.

Io credo che questi religiosi vivono come eremiti in grande povertà e domandano elemosina senza nulla avere e non seminano per il domani e conducono una vita austerissima. Cercano di giorno in giorno il loro vitto e se ricevono più di quello che possono consumare, consegnano il resto ai poveri per onore di Dio.

Je croy que ceste religion vivent comme hermittes en toute pauvreté et demandent l’aumosne sans rien posséder et ne sèrent rien pour le lendemain et vivent fort austairement. Ils cherchent leur vie par chascun jour et s’ils trouvent plus qu’ils ne peuvent manger, donnent le reste aux pauvres pour honneur de Dieu.

Nel loro convento svolgono il servizio divino e cantano la messa. Non so veramente se anch’essi come i francescani predichino il Vangelo nel loro convento e altrove, poiché non me ne sono informato. Provengono dall’Italia, io penso, e non è da molto che, come i gesuiti, hanno preso corso e casa in Francia. Molti personaggi della Francia, constatata la vita santa che conducono, sono entrati per singolare devozione nel loro Ordine per onore di Dio. E questo è tutto per ora.

Ils font en leur convent le service divin et chantent la messe. Je ne ses a la vérité s’ils preschent l’Evangile en leur convent et aultre lieu comme les cordeliers, parce que je ne m’en suis enquis. Ils sont venus d’Ytalie comme je pense et ni a longtemps qu’ils ont prises cours et habitation en France ‘non plus que les Jésuittes. Plusieurs personnes de la France après avoir veu la vie saincte qu’ils capucins menoient par singulière dévotion se sont rendus pour honneur de Dieu de leur religion. Et autre chose ne puis je dire de eux pour le présent.

10. PACIFICO DA SAN GERVASIO, PRIMO COMMISSARIO GENERALE E L’INTRODUZIONE DEI CAPPUCCINI IN FRANCIA

Le notizie qui riportate sono raccolte dalle Vite esemplari di Francesco Pizzetta da Venezia († 1655), il quale a sua volta le ricavò da un manoscritto di padre Leandro da Venezia, che fu compagno di p. Pacifico nel viaggio in Francia e delle quali si rese garante. Le difficoltà incontrate dal primo drappello di frati cappuccini ricordano da vicino molte pagine della prima espansione del francescanesimo.

Fonte: Venezia-Mestre, APC: Relatione delle vite exemplari d’alcuni padri capuccini, pp. 29-33 (dalla Vita et gesti del padre fra Pacifico da San Gervaso diocese di Brescia).

9097 […] Nel principio dell’anno 1574 mori nel convento di Messina fra Vicenzo da Monte dell’Olmo, generale, e mori il primo giorno di quaresima. Per la di cui morte il padre Girolamo da Monte Fiore, primo definitore generale del capitolo antecedente, entrò al governo della religione. E questo istituì nell’istesso tempo commissario generale il su detto padre Pacifico da San Gervaso Bresciano, uomo prudente e illustre per molte virtu’, come s’è detto, e lo destinò nella Francia, e questo fu il primo commissario generale che andasse nel regno di Francia.

Come il padre Pacifico, pigliati seco alcuni frati, se n’andò in Francia, e di quello che gli successe

9098 Perché la commissaria data al padre Pacifico di andare nella Francia era accompagnata da una amplissima autorità di condurre seco quanti frati voleva di ciascuna provincia, di qualunque sorte, costituiti in qualsivoglia prelatura, quindi è che, eletti dieci compagni, i cui nomi sono: il padre Girolamo da Milano, guardiano del luogo di Milano; il padre Clemente da Napoli, guardiano d’Arezzo in Toscana; il padre Antonio da Pisa; il padre Francesco da Briga, della provincia di Genova; il padre Lodovico Fiammingo; il padre Pietro da Chempis[31]; il padre Leandro da Venezia, con due fratelli laici, cioè fra Remigio milanese e fra Masseo francese, e un chierico, cioè fra Lodovico francese, frati tutti di vita probanti, s’inviò con questi nella Francia.

Non si potrebbe facilmente credere quanti disagi patissero [30] in quel viaggio, perché non essendo ancora conosciuta da’ popoli quella nuova forma d’abito, erano da tutti fuggiti, come uomini facinorosi, né vi era chi li volesse albergare o ministrare loro quelle cose le quali gli facevano di bisogno per il vitto.

9099 Nelli manoscritti della provincia di Venezia si trova registrato che gli occorse questo accidente, che nel passare le Alpi, non essendo conosciuti per quei paesi, per tre giorni continui non trovarono alcuno che gli dasse pane da mangiare, salvo che un poco di pane di biada d’animali, tanto duro e aspro che nel mangiarlo le scorticava la bocca e insanguinava la lingua e le labbra, laonde per la fame e gran debolezza non potendo il giorno passare il Monte Alto della Gabiletta, vi sopragionse la notte con pioggia, tuoni e lampi spaventevoli, dove pareva appunto che fosse piena l’aria de demoni per impedire quest’opera, e così li poverelli molto stanchi e lassi camminarono sino a mezza notte, e ivi giunsero ad un’ostaria di là dal suddetto monte, dove non avendo né legno né fuoco d’asciugarsi, convenne loro stare tutta quella notte così bagnati senza dormire.

Ma fu gran cosa vedere allora questo buon padre con faccia allegra dire ali suoi compagni: «Fratelli, sursum corda!», e ringraziare il Signore di quel patimento così grande e di quella lauta cena che non fu altro che una cipolla aggiaccata con alcuni pezzi di pane nero e acetoso. Giunsi poi vicino a Lione di Francia per provvidenza divina, furono raccolti da un gentiluomo che se gli fece subito avanti nel mezzo della strada, quasi presago della loro venuta, quale conducendoli ad un suo palazzo lavò loro i piedi colle sue mani e gli diede una buona cena colla quale si ristorarono alquanto.

Come il padre giunse in Lione, e poi andò in Orliens

9100 Nell’istesso tempo che questo benedetto padre giunse in Leone col suo picciolo gregge, vi arrivò anco Enrico Terzo re di Polonia, che andava a pigliare il possesso del suo regno di Francia; dinanzi al quale fu presentato il padre dal suddetto illustrissimo cardinale di Lorena, insieme colli suoi compagini, quali furono ricevuti e molto accarezzati da sua maestà e dalla regina, e gli diede prontissimamente licenza di piantare la religione de’ cappuccini per tutto il suo regno, afferendogli ogni agiuto e favore, e da indi in poi divenne il padre molto famigliare del re e della regina, e di tutti gli principali prencipi e signori di quel regno.

Il primo luogo, dunque che fu preso nel regno di Francia fu nella città di Lione, chiamato S. Maria di Forvier. Doppo questo, ordinò sua maestà reale insieme colla regina madre che li frati cappuccini si trattenessero in Lione per otto giorni, ristorandosi delli disagi patiti, che perciò fu mandata una certa quantità di scudi al padre rettore de’ gesuiti, acciò con quelli egli spesasse largamente li poveri cappuccini nella loro casa e collegio di Lione, sin tanto che fabbricavano il convento.

9101 In questo mentre l’illustrissimo signore cardinale di Ghisa fece accomodare una barca a Rouano sul fiume Lucera,[32] nella quale fece imbarcare tutti gli suddetti frati cappuccini insieme con due padri gesuiti che avevano carico di provvedere loro; e doppo avere navigato per il detto fiume per lo spazio di 300 miglia, cioè cento leghe, finalmente sbarcarono nella città d’Orliens,[33] la quale pochi giorni avanti era stata presa dalli eretici, li quali fecero molti danni, e fra questi il principale fu l’abbruggiare tutte le chiese [31] delli cattolici.

Fra tanto li frati cappuccini furono guidati in casa di una persona cattolica con segretezza, non essendo loro lecito praticare senza grandissimo pericolo della propria vita. E perché erano passati alquanti giorni che il padre commissario non aveva celebrato la santa messa, gli venne un desiderio grande di celebrarla; il che fu cosa gratissima all’ospite che l’alloggiava, poiché era buon cattolico. E così dato ordine con alquanti suoi confidenti, si ridussero tutti insieme doppo la mezzanotte nella chiesa maggiore (della quale n’era rimasto una parte in piedi) e quivi il buon padre celebrò la messa con somma sua divozione e consolazione delli astanti.

9102 Essendosi il padre tutto bagnato di copiosissime lagrime, il che spesso gli occorreva quando offeriva il Santissimo Sacrificio della messa, e questo fu di grandissima edificazione a quelli cattolici ch’erano presenti, fra quali si levò una voce che diceva altamente: «Questi sono veramente veri servi di Dio e apostoli di Cristo quali difenderanno e confermeranno la fede cattolica nel regno di Francia».

Fattosi giorno, ritornarono tutti li padri alla casa del loro ospite e fu tale e tanta la frequenza de’ cattolici che qui concorsero per vedere la nuova sorte di religione e abito austero che le strade erano piene di gente; e non si sentiva altro che singulti e lagrime di tenerezza spirituale, e sembrava loro che Gesù Cristo col collegio apostolico fosse arrivato in quella città per loro salute, e con straordinarie genuflessioni e riverenze baciavano loro l’abito, chiedendogli qualche cosa da conservare per reliquia e riverenza della santità che in loro scoprivano.

Ma quello che fu di maggior importanza e considerazione, e che li confermarono maggiormente nella buona opinione ch’avevano della religione de’ cappuccini fu che ognuno gli afferiva robba, comodità de cavalli, e quanto avessero voluto quantità grande de denari, il che tutto veniva ricusato dal padre col debito ringraziamento dicendo: «Signori, noi non siamo venuti in questo vostro ampio regno né per robba, né per denari, né per qualsivoglia cosa di questo mondo, ma solamente per acquistare anime a Gesù Cristo».

9103 Si racconta di questo divoto religioso un fatto illustre, ed è che, trattenendosi alquanti giorni nella città d’Orléans, o come dicono altri Orliens, ebbe occasione di disputare con un eretico intorno alla presenza reale del Corpo di Cristo nostro Signore nel Santissimo Sacramento dell’Eucaristia.

E perseverando l’eretico nella sua pertinacia, né volendosi rendere alle Scritture e alle dottrine de’ Padri, che in confermazione di questa verità gli citava contro fra Pacifico, ebbe a dire: «Tanto è vero che la cima di quella pianta (accennando colla mano un’alta quercia) tocchi terra». A cui prontamente fra Pacifico: «E se la cima dell’albero si piegherà tanto che baci la terra, ti renderai captivo alla verità di un tanto misterio?». «Certo sì», rispose l’eretico, stimando che il fatto non dovesse succedere in modo alcuno. Piegò allora fra Pacifico le ginocchia a terra e fatta una breve orazione, comandò alla quercia, nel [32] nel nome del Signore, che per autentichezza della verità infallibile del Santissimo Saramento dell’Altare abbassasse il capo sino a terra.

Prodigio invero celebre e maraviglioso! Non ebbe sì tosto fatto il precetto, che subito quantunque già molto vecchie e alta, chinò ubbidiente il capo a terra a vista dell’eretico, il quale mosso da un tanto miracolo si fece cattolico.[34]

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Fig. 2 – Pacifico da S. Gervasio (7 1575), primo commissario generale in Francia

Nelle antiche cronache dell’Ordine si narra che padre Pacifico abbia convertito un ostinato eretico di Orléans, facendo piagare fino a terra la cima di una grossa quercia. Il fatto prodigioso è interpretato iconograficamente da questa pregevole incisione dei Flores seraphici di Carlo d’Arenberg di Bruxelles.

(Cf. Carlo d’Arenberg, Flores seraphici, Coloniae Agrippinae 1640, 71 — Copia presso la BCC)

Come il padre si parti da Orliens e andò a Parigi e quello che gli successe.

9104 Doppo aversi li frati riposati alquanti giorni nella città d’Orliens, si partirono per il loro viaggio per Parigi; e gionti ad un castello detto il Borgo della Regina, fra Pansi e Orliens, in giorno di festa, nostro Signore Iddio si compiacque di dare da meritare ali poveri frati, perché vedendo quelli popoli la novità di quell’abito e i frati così scalzi e mendichi, non mancarono alcune di quelle genti, poco amatori della virtù, di chiamarli lupi, cinghiali, Matloti d’Inghilterra, che vuol dire in lingua nostra schiavi fuggiti di galera, e altri prendendoli per le punte de’ cappucci gli strascinavano que e là come se fossero stati tanti buffoni, dicendogli molte ingiurie, le quali cose tutte furono costantemente e pazientemente sopportate dal detto padre Pacifico e suoi compagni.

Finalmente mosso a pietà un gentiluomo borghese di quel castello, ch’aveva veduto il tutto, inspirato da Dio raccolse i poveri frati in casa sua liberandoli da tanti oltraggi e li trattò onoratamente e religiosamente. Partiti che furono li frati da quel luogo, che fu il giorno solenne dei santi apostoli Simone e Giuda, giunsero a Parigi e nell’entrare nella porta della città furono trattenuti alquanto da quei guardiani, e in questo mentre si ridusse quivi gran numero di popolo a piedi e a cavallo per vedere questa novità di uomini vestiti d’abito così vile e sprezzato, sì che vi erano concorse molte e molte persone, le quali tutte accompagnarono i frati sino all’ospizio che gli era stato assegnato dentro alla città nel sobborgo di Sant’Onorato, avendo lasciato il primo luogo che li fu assegnato fuori, il quale fu giudicato troppo incomodo, e questo era chiamato Piquepus.

9105 Fra tanto piacque alla regina madre, di consentimento del re suo figlio, di dare ai suddetti frati cappuccini un palazzo, con un bellissimo e amplissimo giardino quale era di monsignor della Frimoglia caduto al fisco. Furono in questa occasione i cappuccini agitati grandemente da Antonio Maria Salviati, nuncio apostolico appresso il re cristianissimo, e da Giovanni Francesco Morosini, ambasciatore della Repubblica di Venezia, che non lasciarono mai di favorirli in ogni occorrenza.

Il giorno poi destinato per fondare la chiesa del luogo nuovo, volle essere presente al porre della prima pietra la regina madre Bianca, sorella della maestà cesarea, e la regina di Navar[r]a, l’illustrissimo nunzio di sua santità e il signore ambasciatore veneto con molti altri signori principi e baroni e dame principalissime del regno ed innumerabile popolo. Si compiacque la regina madre che la chiesa sopradetta de’ cappuccini fosse intitolata del nome suo di santa Catarina, fondandovi anco appresso due capelle, l’una sopra l’altra per ascoltarvi messa a beneplacito di lei e di tutti le reggi, il che fu eseguito di subito e furono fornite quanto prima con sommo loro contento e di tutta quella gran città, e quivi si fondò il primo monastero.

9106 E indi a poco il padre commissario cominciò a trattare colla sua solita destrezza di pigliare altri luoghi. E però mandò [33] a fondare il secondo luogo di Santa Maria in Forvier nella città di Lione il padre Gasparo da Pavia, della provincia di Roma, per essere padre molto destro in simile negozio. Il terzo luogo fu edificato nella terra di Modone, una lega lontana da Parigi ad istanza dell’illustrissimo cardinale di Lorena il vecchio. Comparve il serenissimo duca di Buon-pensiero,[35] prencipe del sangue e offerse un luogo al padre nel suo stato, ma per la paucità de’ frati non si puoté allora ricevere, ma fu ricevuto poi […].[36]

11. LA PRIMA ESPANSIONE DEI CAPPUCCINI IN FRANCIA NEL RACCONTO DI MATTIA DA SALÒ

La testimonianza della cronaca di Mattia Bellintani sulla primissima propagazione dell’Ordine in Francia ha grande valore documentario perché l’autore fu uno dei principali protagonisti. Riportiamo questa pagina che continua il racconto del doc. 1.

Fonte: Matthias a Salò, Historia capuccina. Pars altera, in lucem edita a P. Melchiorre a Pobladura (MHOC VI), 332-336, 340-343, 345.

9107 Ebbe Fr. Pietro per mezzo del vescovo di Sisteron nella Corte del re lettere di favore, con le quali andò a Roma, ove per buona sorte era il gran cardinale di Lorena, fratello del duca di Guisa, prelato di grandissima autorità nel regno di Francia, e vi era parimente il cardinale Ramboglietto.[37] Vedute il cardinale di Lorena le lettere dei principi della Corte e sentito quello che a suo modo gli narrò Fr. Pietro, pensò di non perdere questa occasione di fare andare in Francia i cappuccini; e però egli abbracciò il negozio e tanto fece che ’l generale, il quale allora si trovava a Napoli, non poté far di meno che non accettasse Fr. Pietro e i compagni sotto l’ubbidienza sua; e non parendogli bene mandare frati d’Italia senza il capitolo generale, egli istituì Fr. Pietro guardiano di quei suoi frati, con precetto però che più non ne ricevesse alcuno, e al seguente capitolo generale egli venisse, acciò che esso capitolo deliberasse sopra di questo fatto.

9108 Ritornato in Francia con quest’ubbidienza, era pur dal vescovo e dal curato suddetto molestato, non avendo egli bolle papali e stimando quell’ubbidienza essere surrettizia e di niun valore. Ricorse egli al re Carlo Nono, il quale con sue lettere molto favori le cose sue. Ma perché egli non aveva sodo fondamento, non poté resistere a’ superiori ecclesiastici, che fu cagione che bisognò andare al capitolo generale, che forse non ne sarebbe andato, già che né anco aveva ubbidito in non ricevere altri, poiché ricevé un Fr. Luigi chierico col quale venne al capitolo d’Ancona l’anno 1573, nel quale fu deliberato che si mandassero frati d’Italia a vedere e dar informazione senza innovar altro, lasciando ferma l’ubbidienza fatta da Fr. Mario generale.

Così furono mandati due frati della provincia di Milano, che avevano i nomi dei principali santi protettori della Francia, e furono fr. Dionigio da Milano, sacerdote, e fr. Remigio da Lodi, laico. E fu lasciato il carico di quello negozio al procuratore dell’Ordine in Roma, che era fr. Tomaso da Castello, già generale, il quale con lettere frequenti sollecitava fr. Dionigi che lo informasse, ma non aveva mai risposta; ed esso fr. Dionigio pur scriveva spesso, né mai riceveva lettera alcuna, perché fr. Pietro tratteneva l’une e le altre, acciò che non si scoprisse il procedere suo. Mandò nondimeno il generale il mese di agosto due altri frati, promettendo mandargli dietro un commissario generale.

9109 Giunti là, il vescovo di Cisturne [Sisteron] assegnò una entrata a quella chiesa e convento col consentimento di Fr. Pietro; ma resistendo gli italiani, ma non potendo però impedire, si partirono dal luogo con due francesi, che li seguirono e sterono tre giorni, affinché fu levata l’entrata, in casa dei reverendi padri Gesuiti, li quali molto graziosamente li riceverono. Per lo che tanto più instavano gli italiani con lettere a Roma che si mandasse un commissario; ma le lettere, per la suddetta ragione, non avevano ricapito. Con tutto questo Fr. Tomaso al novembre fe’ guardiano Fr. Francesco dalla Briga, della provincia di Genova.

Ritornò fra tanto in Francia il cardinale di Lorena, e il cardinale di Urbino, protettore, lo costituì suo vice-protettore in Francia; ed egli diè ai frati una sua casa con un gran bosco a Medone, luogo lontano da Parigi due leghe, ove fece una chiesa, e vi fu da fr. Tomaso, procuratore, istituito l’anno stesso 1573 guardiano il suddetto fra Dionigi. E col mezzo di esso cardinale cominciarono le lettere ad avere libero ricapito. Per lo che il commissario generale fr. Girolamo da Montefiore, essendo già morto il generale, mandò commissario in Francia fr. Pacifico da S. Gervasio, bresciano, il quale era stato provinciale nella provincia di Milano e altrove, e allora era guardiano di Mantova; e con lui andò fr. Girolamo da Milano, allora guardiano di Brescia, con altri frati.

9110 Ma innanzi all’andata sua si erano risoluti i frati di lasciare il luogo di Pichepus, non essendo a proposito, e il cardinale di Lorena voleva trovargliene alcuno dentro la città. E a questo Iddio in cotal modo provvide che la regina Caterina, madre del re, l’anno 1574 dopo Pascha andò a vedere i frati in Pichepus, e vedere volle ogni cosa minutamente. Laonde considerando bene la povertà e semplicità, subito fu presa dall’amor della religione e deliberò favorirla. E tosto donò loro un orto con la casa che era presso il suo gran giardino detto delle Tuglierie, nel sobborgo di S. Onorato, ove i frati, lasciato il primo luogo, vennero ad abitare, e vi si è fatto poi il convento con la chiesa.

Era già Fr. Pietro stato chiamato in Italia, e col suddetto commissario ritornò in Francia. Il quale commissario mandò l’anno 1575 di gennaio da Parigi a Lione per pigliarvi il luogo fr. Girolamo; e quell’anno, il mese di luglio, egli ebbe il luogo sopra S. Paolo, ove ora stanno i frati. E morendo il seguente febbraio in Parigi con opinione di santità Fr. Pacifico, fu fatto l’anno stesso poco innanzi Pasqua, vicecommissario Fr. Girolamo suddetto.

9111 E al capitolo generale celebrato in Roma l’anno 1575 fu mandato commissario un definitore del capitolo generale, che era provinciale nella provincia di Milano,[38] il quale in andare prese il luogo di Chiamberi, e il mese di marzo 1576 mandò Fr. Girolamo a pigliare il luogo in Avignone. Ed egli l’anno stesso gito in Parigi fece accettare dal cristianissimo re Enrico III e dal Parlamento di Parigi la congregazione cappuccina per figliuoli della Francia, incorporandola nel regno, e tutto col favore della regina madre, nel che hanno i frati obbligo a due senatori del Parlamento: uno si chiamava Monsu l’Arciero, l’altro era fratello del cardinale Ramboghietto.

Di poi a poco a poco si è gita dilatando la religione in diversi luoghi della Francia.[39]

9112 Parvero in questo fatto alcune cose non indegne di considerazione. Primo, che con un mezzo molto debole e indegno andasse la riforma in Francia. Doppo, che i due primi frati della congregazione che vi andarono avessero i nomi dei due principali santi protettori di quel regno, cioè san Dionigio e san Remigio. E in andando questi due con fr. Pietro e fr. Luigi, trovandosi nel viaggio prima che arrivassero a Lione venir meno per la fame e per la debolezza, non avendo che mangiare, Iddio in cotal guisa provvide loro, che cominciarono a trovar per la strada delle amandole, come se qualche mulo ne fosse passato carico e vi fosse rotto il sacco, così erano sparse per terra. Laonde tuttavia camminando trovandone e con quelle reficiandosi, poterò allegramente seguire il loro cammino insino a Lione.

Dipoi il primo commissario mandato da san Francesco a pigliar luoghi in quelle parti si chiamò fr. Pacifico; e così fr. Pacifico fu questo altro primo commissario. Il commissario poi mandato con amplia autorità dal capitolo generale osservò che egli entrò nel paese della sua giurisdizione il giorno di san Ludovico re di Francia. Oltra di questo con tanta facilità, stando la turbolenza de’ tempi, fu accettata e incorporata la religione in Francia, ove alcune delle religioni vecchie non sono ancora accettate, quantunque vi abbiano i conventi già tanti anni.

9113 Quando si ebbe a mettere la prima pietra per la chiesa del convento di Avignone, quantunque più e più volte fosse stabilito il tempo, non si venne mai a conchiusone di ciò, ma all’improvviso si fe’ risoluzione per il giorno della Cattedra di san Pietro, che è a 22 di febbraio, e così in tal giorno, l’anno 1577, ella si pose; il fondatore si chiama Pietro, la chiesa si chiamò S. Pietro. Un cardinale della romana Chiesa, arcivescovo d’Avignone, la pose con la dovuta solennità e assistenza di due vescovi, e fu stimato da giudiziosi ciò essere segno che il padre san Francesco avesse in quelle parti di Francia a mettere o sostentare per mezzo della sua religione san Pietro in cattedra, mantenendovi la fede cattolica romana e l’ubbidienza al romano pontefice.

9114 […] Giunto [il commissario generale] a Lione, trovò preso il sito, ma non fabbricato; e fatto il modello si del principio alla fabbrica, la quale presto si finì, essendo ivi guardiano Fr. Girolamo da Milano.

Questi era uomo di santa vita e di ottimo esempio; andava quasi sempre scalzo; non portava mai se non un abito semplice, ancora senza pezze, né mai ne pigliava de’ novi, ma alcuno che già fosse stato usato; né gran freddi ci aggiungeva un mantelletto leggiero; spesso digiunava pane e acqua, e spesso mangiava pane e frutti. Molto si dava all’orazione, di notte a quella molto vigilando; levandosi ancora innanzi il matutino, e sull’aurora si ritirava, quando non fosse troppo gran freddo, in alcun luogo fuor della cella, e incomodamente stando per pochissimo spazio dava luogo ad un picciolo sonno per ristoro del corpo, e dopo se ne tornava all’orazione. Né per fatiche di lunghi viaggi lasciava, arrivando ai luoghi, di levarsi a matutino, ovvero, alloggiando fuor del convento, di levarsi all’orazione, sendo il suo costume; e per poter la notte essere desto ad orare, la sera per tempo si ritirava in cella; né mai si stendeva, dormendo, ma sempre a sedere si metteva sulla lettiera […].

9115 Ora in Avignone un Monsu S. Sisto,[40] avendo udita la fama de’ cappuccini, desiderava far loro un convento, ma perché il viaggio di Lione in Avignone era impedito per gli Ugonotti eretici, ebbe il commissario lettere di favore dal duca di Savoia a Monsu d’Anvilla, governatore di Lingua di Hoca, che commendasse agli Ugonotti per avere da lui il passaporto; ma per mancamento di mezzi, egli non si ebbe. Di maniera che il commissario si risolse di mandare Fr. Girolamo, confidandosi in Dio, e avendo d’andare per acqua, prometteva il condottiero, persona molto pia d’Avignone, che se volevano per due ore mutar abito affinché passassero da luoghi di eretici, sicuri gli avrebbe condotti. Non volle il commissario che lasciassero l’abito, abuso introdotto da religiosi in Francia per causa delle eresie, ma disse: «Andate, che Iddio vi aiuterà; e voglio che l’abito ne porti onore». Andarono, avendo il condottiero da tre o quattro barchette vuote con le quali menava il sale in su per il fiume Rodano, ma all’ingiù andava vuoto.

9116 Giunti vicino al luogo degli eretici, i due frati si ascosero sotto le assi della barca. Ma dove pensava il condottiero, sendo il costume, passar via in un subito, fu dagli eretici trattenuto quel giorno e il seguente; e ove eran soliti mostrarseli pacifici, allora se gli mostrarono molto alterati con dire ch’erano avvisati che egli conduceva pistole, cioè archibugetti. E con questa scusa cercarono con diligenza tutte quelle barchette. E quantunque fusero vuote ed essi e diversi di loro più volte mirassero là sotto ove erano i frati, in tanto che fr. Girolamo vedeva loro quando guardavano; non però mai veder li poterò, togliendo loro Iddio e san Francesco il lume di poterli vedere, con maraviglia di tutti e dello stesso fr. Girolamo, il quale non poteva di non essere col compagno stato da loro veduto.[41] così passarono e sicuri sotto la divina protezione, la quale miracolosamente li obumbrò.

Il che saputosi in Avignone, fu stimato miracolo, e accrebbe la divozione del popolo; e Monsu S. Sixto, che si chiamava Pietro, più s’accese all’opera della chiesa e del convento, nella quale non volle mai che altri ci avesse parte, né pure nella provvisione degli utensili di casa. […].

9117 L’anno 1578, sotto Gregorio XIII, Fr. Girolamo [da Montefiore convocò il 16° capitolo generale in Roma, alla Pentecoste… In questo capitolo si mandarono due commissari in Francia: uno a Parigi, l’altro a Lione, essendosi già presi cinque luoghi per parte, con ordine che facessero i loro capitoli, ne’ quali si eleggessero i provinciali. E così cominciò la Francia il reggimento ordinato secondo l’uso della religione […].

12. INSEDIAMENTO CAPPUCCINO NEL SOBBORGO DI SAINT-HONORÉ

La regina Caterina de’ Medici, fedele alla promessa, donò ai cappuccini di Picpus un terreno al sobborgo di Saint-Honoré[42] ed essa stessa pose la prima pietra della chiesa conventuale. I religiosi, guidati da padre Pacifico da San Gervasio, commissario generale in Francia,[43] vi giunsero alla fine di luglio 1574. I fatti sono raccontati con precisione nella cronaca di padre Filippo da Parigi.[44]

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 25.044: Chronologie historique, p. 26-29. Ediz.: [René de Nantes], Documents, 24-26.

9118 […] Essi furono ricevuti dalla regina Caterina, allora reggente in Francia per la morte di Carlo IX suo figlio,[45] che avvenne il giorno di Pentecoste, 31 maggio del 1574, e perché era assente l’altro suo figlio succeduto alla corona, ossia Enrico III,[46] re di Francia e di Polonia. Essa li ricevette con molta tenerezza, pur essendo nel lutto. Giunsero in tempo per rendere i doveri funebri al re defunto, assistendo al suo funerale e alla sua sepoltura con grande devozione ed edificazione del popolo cattolico che ancora non li conosceva, perché, prima del loro arrivo, quelli che stavano a Picpus non si facevano quasi mai vedere a causa dell’ostilità che i religiosi mendicanti mostravano nei loro confronti, come abbiamo già detto.

[…] Ils furent receus de la Reyne Catherine, pour lors régente en France par la mort de Charles IX son fils, qui arriva le jour de la Pentecoste, 31e du mois de may de laditte année 1574, et par l’absence de son autre fils qui avoit succédé a la couronne, scavoir: Henry Ile du nom, Roy de France et de Pologne. Elle les receut avec beaucoup de tendresse, nonobstant son deuil, et ils arrivèrent assez a temps pour rendre les devoirs funèbres au Roy défunct, assistant à son convoy et enterrement avec une grande devotion et édification du peuple catholique qui ne les connoissoit pas encore; car, auparavant leur arrivée, ceux qui estoient a Picpusse ne paroissoient quasi point, è cause de la malveillance que les Mandiants leur portoient, ainsy que nous avons dit auparavant.

Ma quest’atto pubblico, alla presenza di tutto il clero regolare e secolare di Parigi, di tutte le corti sovrane del Parlamento e degli altri corpi di giustizia della città assieme a un’infinità di nobili e di popolo, li fece per la prima volta conoscere. Ma non furono moltissimi ad accoglierli con la regina in quei primi tempi, poiché la gente, vedendo questi religiosi vestiti così poveramente, fece loro molti oltraggi. Ma poi, appena conobbero la santità della loro vita, la loro povertà e il loro disinteresse, ognuno desiderava vederli e comunicare con essi. Molte città fecero a gara per dar loro dei posti da abitare, tanto erano rimaste colpite dal loro fervore, devozione, austerità e soprattutto dalla loro povertà e sottomissione a tutti.

Mais cette action publique, où tout le clergé régulier et séculier de Paris assistoient, toutes les cours souveraines du Parlement et tous les autres corps de justice de la ville, avec une infinité de noblesse et de peuple, fut le commencement par lequel ils furent connus. Il n’y eut pas grand monde qui les recut avec la Reyne dans ce commencement, car les peuples, voiant ces religieux vestus si pauvrement, leur firent plusieurs outrages. Mais lorsqu’ils eurent connus la sainteté de leur vie, leur pauvreté et leur désintéressement, chacun désira de les voir et communiquer avec eux. Toutes les villes s’empressèrent les unes les autres pour leur donner des établissements chez elles, tant elles furent ravies de voir leur ferveur, leur dévotion, leur austérité et surtout leur pauvreté et soumission à tout le monde.

9119 La provvidenza non si rivelò meglio che all’arrivo dei padri italiani, poiché se fossero giunti il giorno dopo, coloro che stavano nel convento di Picpus sarebbero usciti all’indomani mattina del giorno in cui sarebbero arrivati e si sarebbero separati e avrebbero lasciato tutto, non potendo piu’ soffrire le persecuzioni di cui erano oggetto […].

La Providence de Dieu ne parut jamais mieux que dans l’arrivée des pères d’Italie, car si ils fussent arrivés un jour plus tard, ceux qui étoient dans le couvent de Picpusse, seroient sortis le lendemain au matin du jour qu’ils arrivèrent, se fussent séparés et eussent tout abandonné, ne pouvant plus souffrir les persécutions que l’on leur faisoit […].

Il suddetto padre Pacifico da Venezia,[47] essendo arrivato così felicemente a Parigi per questo piccolo raduno con la sua santa truppa, trovò alloggio e dimora proprio nel convento di Picpus fino al mese di luglio del medesimo anno 1574, quando la cristianissima regina reggente e madre del re donò loro il luogo ad essi destinato, dove attualmente c’è il convento della via di Saint-Honoré, che era un bellissimo sito. Infatti, oltre a quello che ora noi abbiamo, tutto il territorio contiguo alle mura che ci separano dai padri Foglianti[48] largo da sette a otto tese all’altezza della loro chiesa, comprensivo di tutta l’estensione e spazio che esiste dopo la grande strada fino al maneggio, faceva parte del terreno che la regina reggente ci aveva donato e che noi abbiamo goduto fino a quando questi padri Foglianti lo presero e, avendovi costruito su quel terreno, noi fummo costretti ad abbandonarlo.

Ledit R.P. Pacifique de Venise étant arrivé si heureusement à Paris pour cette petitte congrégation avec sa saincte trouppe, logea et demeura audict couvent de Piquepusse, jusques au mois de juilliet de la mesme année 1574, que la très chrestienne Reyne régente et mère du Roy leur donna le lieu qu’elle leur avoit destiné, où est à présent le couvent de la rue Sainct-Honoré qui étoit une très belle place, car, outre ce que nous avons maintenant, toutte la terre qui est contigiie à la muraille qui nous sépare des Pères Feùillants, de la largeur de sept à huit toises en montant vers leur esglise, contenant toute la longueur et espace qui est depuis la grande rue jusques au manège, étoit de la terre que laditte Reyne régente nous avoit donnée, dont nous avons joiiy jusques à ce que lesdits Père Fetilillants l’ayent prise, lesquels aiant bâti sur laditte terre, nous avons été contrains de la leur abandonner.

Padre Pacifico, acquistato e accettato quel terreno, trovò opportuno abbandonare il convento di Picpus per poter pi facilmente costruirne un altro sul luogo donato da sua maestà e lui stesso vi fece da superiore. Così fu non solo il primo commissario generale in Francia, ma anche il primo guardiano del citato convento della via di Saint-Honoré. La chiesa venne successivamente dedicata all’ Assunzione della santa Vergine.

Ledit P. Pacifique aiant pris et accepté ledict lieu, trouva à propos de quitter le couvent de Picpusse, pour plus facilement bastir celuy que Sa Majesté avoit donné. Il n’y mit point d’autre supérieur que luy mesme. Ainsy il fut non seulement le premier commissaire générale en France, mais aussy le premier supérieur dudict couvent de la rue Sainct-Honoré. L’esglise fut dédiée après sous le titre de l’Assomption de la Sainte Vierge.

13. PARTICOLARI DEL CONVENTO DI SAINT-HONORÉ

L’autore del Abrégé des Annales des Capucins de Paris, senza dubbio il padre Maurizio d’Épernay,[49] aggiunse altri dettagli e completò la narrazione rilasciata da p. Filippo di Parigi nella sua Chronologie historique sulla fondazione del convento di Saint-Honoré.

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 5859: Abrégé des Annales, p. 16. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 27s.

9120 Il reverendo padre Pacifico, presentato il modello del convento in conformità alle prescrizioni statali e secondo le nostre prime costituzioni, fu oltremodo attento che tutto fosse eseguito conformemente a quel modello. Quando fu compiuto e reso abitabile, vi trasferì la sua piccola comunità e abbandonò il conventino di Picpus, dove da parecchi anni si sono stabiliti i padri terziari.[50]

Le R.P. Pacifique aiant donné le plan conformément è nostre état et suivant nos premières constitutions, il eut l’oeil que rien ne fust fait que conformément è ce plan, lequel étant tout è fait achevé et logeable, il y transféra sa petitte commumauté et laissa le petit couvent de Picpusse, où depuis plusieurs années le Pères Tergaires se sont établis.

Finiti i dormitori, le officine e le infermerie e consacrata la chiesa il 28 di novembre, giorno di san Giacomo della Marca, essi vi abitarono con grandissimo contento della pia regina e di tutta la sua corte, che frequentemente vi andavano a pregare e molto spesso ad ascoltare la messa, come anche fecero Enrico III, Enrico IV, Luigi XIII e Luigi XIV da giovane.

Les dortoirs, les offices et les infirmeries achevées et l’esglise consacrée le 28e de novembre, jour de saint Jacques de La Marche, ils s’y establirent avec toute la joye possible de la pieuse Reyne et de toutte sa Cour, qui foisoit souvent ses prières et y entendoit la messe très frequemment, aussy bien que le roy Henri III, Henri IV, Louis XII: et Louis XIVe dans sa jeunesse.

Vi è poi un viale alberato, chiamato viale del re, e una stanza per ricevere i prelati e i personaggi distinti, che pure si chiama la stanza del re.[51]

Il ya mesme une allée d’arbres qui a été nommée l’allée du Roy, et la chambre où l’on recoit les prélats et les gens de distinction; elle s’appelle la chambre du Roy.

14. LETTERA PATENTE DELLA REGINA A FAVORE DEI CAPPUCCINI

Parigi, luglio 1574. — Dopo l’acquisto del terreno destinato ai cappuccini, la regina Caterina de’ Medici fece redigere delle lettere patenti con le quali attestava di aver fatto donazione senza riserva ai frati di quel terreno affinché vi potessero condurre la loro forma di vita conventuale.

Fonte: Parigi, Archives nationales, S. 3705. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 30s.

9121 Caterina, per grazia di Dio regina di Francia, madre del re, ai presenti e ai futuri, salute.

Catherine, par la grâce de Dieu, reine de France, mère du roi, è tous présents et à venir, salut.

Dopo tanti speciali favori di cui siamo stati colmati da Dio onnipotente, il nostro più grande desiderio è di vederlo degnamente onorato e glorificato, e di aver parte anche noi delle sante preghiere e orazioni quotidiane che si fanno nella santa Chiesa cattolica romana, e specialmente nell’Ordine dei religiosi cappuccini di san Francesco, dei quali non ignoriamo la grande devozione.

Après tant de faveurs spéciales dont nous a comblée le Dieu tout-puissant, notre plus grand désir est de le voir dignement honoré et glorifié, et d’être npous-méme mise en participation des saintes prières et oraisons quotidiennes qui se font dans la sainte Eglise catholique, romaine, et spécialement dans l’Ordre des religieux capucins de saint-Frangois, desquels nous connaissons la grande dévotion.

Facciamo dunque sapere che, essendo quasi terminata la costruzione del nostro palazzo chiamato delle Tuileries,[52] abbiamo invitato i suddetti religiosi a edificare, accanto a questo nostro palazzo, un convento e casa per essi, perché vi svolgano i santi offici e vi amministrino i sacramenti secondo la regola e le istituzioni del loro Ordine.

Nous faisons savoir que la construction de notre palais appelé des Tuileries, étant presque terminée, nous avons invité les dits religieux à construire, proche notre dit palais, un couvent et demeure pour eux, afin qu’ils y fassent les saincts offices et y administrent les sacrements selon la règle et institution de leur Ordre.

9122 Per questo motivo e per altri ancora, noi abbiamo rinunciato, concesso, ceduto, trasferito e rilasciato, ora e per sempre, ai suddetti religiosi cappuccini e ai religiosi loro successori dello stesso Ordine, come con le presenti lettere firmate dalla nostra mano noi diamo, concediamo, cediamo, trasferiamo e lasciamo i luoghi, le aree e i giardini siti nel sobborgo di Parigi, detto di Saint-Honoré, con tutte le costruzioni, case e dipendenze che vi si trovano […].

Par ce motif et par d’autres, nous avons abandonné, concédé, cédé, donné, transféré et laissé, maintenant et pour toujours, auxdits religieux capucins et à leurs successeurs religieux du dit Ordre, comme par ces présentes signees de notre main nous donnons, concédons, cédons, trasférons et abandonnons les lieux, emplacement et jardins sis au faubourg de Paris, appelé de Saint-Honoré, avec toutes les constructions, maisons et dépendances, qui s’y trouvent […].

Quei luoghi, con gli edifici ivi costruiti, noi abbiamo donato e concesso, doniamo, concediamo e rilasciamo a costoro e ai loro successori, in modo che li possano usare liberamente, pacificamente e per sempre, come se si trattasse di un bene che loro appartiene per diritto o per eredità […].

Lesquels lieux, avec les édifices y construits, nous avons donné et concédé, donons, concédons et abandonnons è eux et à leurs successeurs, afin qu’ils en aient librement, pacifiquement et perpétuellement, l’usage, comme d’un bien qui leur appartiendrait par droit ou par héritage […].

In fede di ciò abbiamo fatto apporre qui il nostro sigillo.

Data a Parigi, nel mese di luglio 1574.

Caterina.

En foi de quoi, nous avons fait apposer notre sceau aux présentes.

Donné à Paris, au mois de juillet 1574.

Catherine.

15. IL CARDINALE DI LORRAINE AMICO DEI CAPPUCCINI

Il cardinale di Lorraine verso il 1566 aveva conosciuto i cappuccini al concilio di Trento. Al suo ritorno in Francia ne stabili qualcuno presso il suo castello di Meudon,[53] nella Torre di Ronsard.[54] Ma era solo un insediamento provvisorio. Nel 1574 il cardinale mise a disposizione dei suoi protetti un vero convento.

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 5859: Abrégé des Annales, p. 18. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 33.

9123 Nello stesso anno 1574 il reverendo padre Pacifico, commissario generale stabilito in Francia, prese possesso del convento che il reverendissimo e illustrissimo Carlo di Lorena, cardinale della santa Chiesa, aveva promesso ai padri Bernardino d’Asti,[55] Evangelista da Cannobio[56] e Tommaso da Città di Castello,[57] che erano presenti al concilio di Trento con questo cardinale, nel 1566 circa.[58] Per questo motivo il convento ha preso il primo posto. Il cardinale vi pose come superiore padre Dionisio da Milano[59] che era uno dei dodici venuti da Roma. La chiesa fu dedicata a San Francesco.

La mesme année 1574, le R.P. Pacifique, commissaire général estably en France, prit possession du couvent que le révérendissime et illustrissime Charles de Lorraine, cardinal de la saincte Esglise, avoit promis aux révérends pères Bernardin d’Ast, Évangéliste de Canobio et Thomas Typhernas, qui estoient au Concile de Trente avec ce cardinal, dès l’an 1566. C’est ce qui a donné la primauté è ce couvent. Il y mit pour supérieur le p. Denys de Milan, qui estoit un des douze venus de Rome. L’esglise fu dédiée sous l’invocation de sainct Frangois.

16. IL CONVENTO DEI CAPPUCCINI A MEUDON

Breve descrizione del convento cappuccino di Meudon fatta da un avvocato del Parlamento di Parigi.

Fonte: Supplément des antiguités de Paris, avec tout ce qui s’est passé depuis l’an 1610 jusqu’à présent, par D. H. J., avocat du Parlement, Paris 1639, 40. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 33s.

9124 A circa otto minuti dal luogo di Meudon, sulla strada di Saint-Cloud, si vede il convento dei cappuccini, ben sostenuto e in bellissima vista.

A demy quart de lieue de Meudon, sur le chemin de Saint-Cloud, se voit le couvent des capucins, très bien situé et en fort belle veue.

La chiesa è piccola, il convento mediocremente grande, per dove si entra nel loro giardino, lussureggiante di alberi da frutta, con viali assai lunghi sotto belle file d’alberi. In esso appare un piccolo vivaio per i pesci, sul quale si può andare con una barchetta.

L’église est petite, le couvent médiocrement grand, duquel on entre dans leur jardin, bien peuplé d’arbres fruitiers, embelli d’allées fort longues, soubz de belles rangées d’arbres, dans lequel on voit un petit vivier è poisson, sur lequel on peut aller par un petit bachot.

La parte pi alta del giardino è come una specie di bosco fornito di querce, di grandi alberi e di piante cedue donde ricavano la legna per il riscaldamento.

Le haut du jardin est comme une espèce de bois garni de chénes, grands arbres et taillis don’t ils tirent leurs provisions pour leur chauffage.

Dietro il loro convento e accanto alla loro chiesa, su un terreno i più elevato, c’è la loro infermeria, chiusa in un recinto, molto ariosa e sana, e ben visibile in più luoghi.

Derrière leur couvent et au cété de leur église, sur un haut, est leur infirmerie, enfermée dans l’enclos, fort aérée et saine, et découvrant en plusieurs lieux.

17. FONDAZIONE A LIONE

La riforma dei cappuccini continuò a espandersi: dopo Parigi, è la volta di Lione che sta per avere un convento, poiché i banchieri della città che avevano visitato nel 1573 i religiosi, ne avevano richiesto qualcuno al padre Pacifico da San Gervasio, commissario generale. Costui inviò, nel mese di gennaio del 1574, il padre Girolamo da Milano per prendere possesso del terreno (n. 1). Tre mesi dopo, in data 24 aprile 1574, Caterina de’ Medici indirizzava una lettera agli scabini di Lione chiedendo loro d’assegnare un terreno ai cappuccini e di prendere quei religiosi sotto la loro protezione (n. 2).

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 5859: Abrégé des Annales, p. 19. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 36.

9125 1. Il 25 agosto 1574 il reverendo padre Pacifico, avendo avuto la conferma della bolla di sua santità Gregorio XIII da parte di Enrico III re di Francia, inviò nella città di Lione il reverendo padre Girolamo da Milano[60] con alcuni altri padri che avevano fatto il loro noviziato a Picpus ed erano già sacerdoti.

1. Le 25e aoust 1574, le R.P. Pacifique aiant eu la confirmation de la bulle de sa saincteté Grégoire XIIIe par Henri IIIe roy de France, envoia le R.P. Jéròme de Milan, avec quelques autres pères qui avoient fait leur noviciat a Picpusse, étant desja prestres, è la ville de Lion.

Essi accompagnarono il suddetto padre a Lione[61] per prendere possesso di un convento. Esso fu ricevuto da monsignore Espignac,[62] arcivescovo di quella città e primate delle Gallie, e dal signor Mauvelot, allora governatore per il re, e dai signori della città con grande applauso e gioia incredibile del popolo, ciò che consolò molto la regina reggente.

Ecco la prima provincia derivata da quella di Parigi.

Ils accompagnèrent ledit R. Père è la ville de Lion pour prendre possession d’un couvent. Il fut regu par monseigneur Pierre Pigniac, archevesque de ceste ville et primat des Gaules, et par monsieur Mauvelot, pour lors gouverneur por le Roy, et les messieurs de la ville, avec un grand applaudissement et une joye incroyable des peuples de ceste ville, ce qui réjouit beaucoup la Reine-régente.

Voilà la première Province tirée de celle de Paris.

9126 2. Ai nostri amatissimi e fedeli Consulti della città di Lione, salute.

I religiosi dell’Ordine di san Francesco che si chiama dei Cappuccini, nell’intento di aumentare la gloria del nome di Dio desiderando avere un luogo nella nostra città di Lione, dove poter vivere secondo le leggi e statuti del loro Ordine, Noi che li abbiamo in molta stima e li accarezziamo teneramente per la loro buona e santa vita, ci siamo decisi a chiedervi che, appena ricevuta la presente lettera, assegnate loro in qualche zona della città un luogo appropriato e comodo dove possano innalzare un convento. Inoltre, non solamente per quella loro notevole e santa maniera di vivere, ma anche per l’amore singolare col quale noi ve li raccomandiamo quanto è possibile, abbiate cura delle loro persone e di tutti i loro interessi.

Data a Parigi il 28 aprile 1574.

Caterina.

2. A nos bien-aimez et fidels Consuls de la ville de Lyon, salut.

Les religieux de l’Ordre de Saint-Francois qu’on appelle Capucins, désirens avoir un couvent dans nétre ville de Lyon, pour l’augmentation de la gioire du nom de Dieu, où il puissent vivre selon les loix et statuts de leur Ordre, Nous qui les estimons beaucoup et les chérissons tendrement, à cause de leur bonne et sainte vie, avons voulu vous mander, qu’aussitost que vous aurez recu les présentes, vous leur assigniez en quelque endroit de la ville, un lieu propre et commode où ils puissent bastir un couvent et que, non seulement è cause de leur considérable et sainte manière de vie, mais encore à cause de l’affection singulière dont nous vous les recommandons autant qu’on le peut, vous ayez soin de leurs personnes et de tous leurs intérests.

Donné è Paris, le 28 avril 1574.

Catherine.

18. MATTIA DA SALÒ COMMISSARIO GENERALE IN FRANCIA

Nel capitolo generale tenuto a Roma il 19 maggio 1575, padre Mattia Bellintani da Salò fu incaricato di andare in Francia come commissario generale.[63] Saggio e prudente, egli doveva esercitare un profondo influsso sui destini della provincia di Parigi. Prima di lasciare l’Italia egli volle visitare due uomini eminenti per scienza e santità: il cardinale Sfondrati, vescovo di Cremona, che divenne più tardi Gregorio XIV,[64] e san Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano, che aveva una profonda venerazione per padre Mattia. Costui consegnò al padre due lettere di raccomandazione, una per il re di Francia Enrico II (n. 1), e l’altra per il nunzio apostolico (n. 2). Il Bellintani, mantenendosi in contatto col santo arcivescovo di Milano, accenna alla sua attività in Francia (n. 3).

Fonte: Giannantonio M. da Brescia, Vita del padre Mattia Bellintani da Salò, cappuccino, Milano 1885, 45; A. Sala, Documenti circa la vita e le gesta di S. Carlo Borromeo, parte II, Milano 1857, 423s (n. 1-2); Fedele Merelli, S. Carlo Borromeo e P. Mattia da Salò cappuccino. Epistolario, in CF 54 (1984) 295s, 299 (n. 3).

1. Carlo Borromeo a Enrico III

Sacra cristianissima regia maestà.

9127 Venendo il padre fra Mattia cappuccino, commissario della sua religione in Francia, speditamente per erigere monasteri di quella congregazione in quel regno […], m’è parso di venir con questa occasione a far umilmente riverenza alla maestà vostra. E benché io sappia quanto vostra maestà per la bontà e pietà sua si trovi per se stessa inclinata verso questa congregazione de’ padri cappuccini e sia per abbracciarla prontamente nel suo regno, favorirla e augmentarla, non ho però voluto restar di far con la presente mia testimonio alla maestà vostra della bontà e degne qualità del padre commissario, presente esibitore, il quale, oltre l’officio suo, sarà anche atto in particolare coi talenti che il Signore gli ha dati, a far molto molto frutto in quel regno a beneficio delle anime.

Per il che anche per sé stesso merita di essere benignamente visto da vostra maestà e favorite e ajutate le sue fatiche e diligenze in servizio di Dio e della religione cattolica, siccome anche io ne supplico la maestà vostra e umilmente le bascio le mani.

Milano, 18 luglio 1575.

2. Carlo Borromeo al nunzio di Parigi

9128 L’esibitore di questa è il padre fra Mattia cappuccino, commissario della sua congregazione in Francia, dove al presente se ne viene per dar esecuzione alla erezione di alcuni monasteri di questa religione in quel regno; ed è padre di molta bontà e di gran talento in predicare. E sebbene la causa della sua venuta, che è tanto concernente il servizio di Dio […] e beneficio di anime e i meriti suoi particolari lo devono senz’altro rendere accestissimo a sua maestà, e indurre anche vostra signoria reverenda a favorirlo e aiutarlo in tutto quello che potrà, tuttavia mi è parso di accompagnarlo con questa mia, per farle sapere che per tutti questi rispetti io sentirò piacere che anche per amor mio vostra signoria sia contento vederlo volontieri e dal canto suo aiutar anche essa le cose di questa congregazione.

Milano, 18 luglio 1575.

3. Mattia da Salò a Carlo Borromeo

9129 a) […] Appresso, il P. F. Giacomo Calderino,[65] guardiano a Santo Vittorello, mi esorta che io scriva a vostra signoria illustrissima con darle avviso dell’esser nostro di qua. Io non voleva farlo per non ecceder in presunzione e per non dar a lei occupazione soverchia di legger mie lettere. Ma il giorno della Madonna[66] mi sopravenne un’altra causa che mi ha spinto a farlo. Venne al nostro luogo la sera di detto giorno il Re con la Regina madre e la moglie, e ragionammo assai molto famigliarmente. E nel ragionamento v’entrò la memoria di vostra illustrissima signoria perché io me ne servo in molti propositi, e ne dissi quello mi conveniva. In conclusione, dissi a sua maestà che io voleva scriver a lei il favor che ne facevano e raccomandarle alle sue orazioni. La qual promessa ricevettero con gran letizia sì come i ragionamenti su lei udivano con grande affetto, eccitandomene con interrogazioni e con attenzione.

Ora, dunque, monsignor illustrissimo, mi raccomando questo povero Re del quale veramente si vede esser la intenzione bona. Ma se manca, manca per bisogno di consiglio e forse per inesperienza e gioventù. Quello non si può far alle orecchie sue occupate da nemici, bisogna lo facciamo a quelle de Dio intente sempre e aperte alla voce de’ poveri supplicanti. Supplicala dunque a supplicar per lui e per la regina e per lo regno di Francia. Nel quale se v’è del cattivo, v’è anco del buono assai e più. Noi ordinariamente siamo ben veduti e spero del profitto assai col tempo. Mi son faticato per la lingua, e ho cominciato a predicar per i villaggi in francese e m’intendono. […]

Umilmente le bacio le mani, e prego Iddio la assista sempre favorendo le sue sante imprese e largamente in ogni cosa donandole sua santa grazia.

Di Parigi, il 17 agosto 1576.

9130 b) […] La ringrazio infinitamente dell’orazione ch’ella fa per queste corone e regno che veramente ve n’è gran bisogno. E parmi poter dar a vostra signoria illustrissima questa certezza, che le cose del regno, quanto alla religione, andranno più tosto migliorando che peggiorando, non obstante la guerra ch’è forza vi sia, la quale ora di nuovo si va preparando. E noi vegliamo sensibilmente il progresso che si fa nel bene, massime qui a Lione, ove n’era particolar bisogno per la vicinanza di Ginevra. Iddio mi ha dato grazia che io predico in francese, spero darà anco virtù alla parola per far del frutto, perché queste genti sono sicut oves non habentes pastorem. Bacio umilissimamente le mani a vostra signoria illustrissima e prego Iddio li assista con suo particolar favor in queste sue grandi imprese, ne conservi lungamente con aumento continuo de’ suoi doni.

Di Lione, il 19 decembre 1576.

19. ENRICO III A FAVORE DEI CAPPUCCINI

Parigi, luglio 1576. — Enrico III, re di Francia, stimando sempre più i frati cappuccini, diede loro nel 1576 delle lettere patenti assai favorevoli accordando ad essi la facoltà di insediarsi in tutto il territorio del regno.

Fonte: Parigi, Archives nationales, X1A 8633, f. 133. – Ediz.: [René de Nantes], Documents, 42-44.

9131 Enrico, per grazia di Dio re di Francia e di Polonia, a tutti i presenti e futuri salute.

Henry, par la gràce de Dieu Roy de France et de Pologne. A tous presents et venir salut.

[…] Dio che ha cura della sua Chiesa, ci ha suscitato, oltre un buon numero di vescovi e santi dottori e predicatori, grandi nella dottrina e nelle virtù, delle persone insigni nella pietà, religione e santa conversazione, tanto secolari che religiosi, e inoltre i frati minori cappuccini della Regola del signor san Francesco, i quali professando esattamente la prima istituzione della loro Regola, per la grazia di Dio sono esempio a molti di ben fare. Trascorrono il loro tempo a salmodiare, digiunare, pregare e meditare e predicare, offrendo ottima speranza di una migliore crescita della sua gloria, e questo si nota nell’incremento dei loro membri e dei loro conventi.

[…] Dieu qui a soin de son Esglise, nous a aussy suscité, oultre une bonne quantité d’évesques et saincts docteurs et prescheurs, grands en doctrine et en vertus, des personnes insignes en piété, religion et saincte conversation, tant séculiers que religieux, et en oultre les Frères Mineurs Capucins de la Règle de monsieur sainct Frangois, lesquels faisans exacte profession de la première institution de leur Règle, par la gràce de Dieu sont exemples à beaucoup de bien faire, emploians touttes leurs actions à psalmodier, jeùner, prier et méditer, et prescher, ainsy donnant grande espérance d’un meilleur avancement à sa gloire, ce qui se voit par l’augmentation de leur nombre et de leurs monastères, chose qui auroit meu nostre sainct-Père le Pape, et à la prière de nostre très honorée mère et dame la Reyne et de plusieurs princes et grands seigneurs de nostre royaume, donner permission è ung nombre desdicts religieux de venir d’Italie, où ils ont commencé leur premier fondement, en nostre royaume, et sous la protection de nostre très honoré sieur et frère le feu roy Charles IXe dernier décédé, que Dieu absolve, leur ont érigé quelques monastères, mesmes ung au fauxbourg de Sainct-Honoré, de nostre ville de Paris, près de nostre palais des Tuilleries, ung aultre au lieu du bourg de Meudon, près d’icelle ville de Paris, et deux aultres ès villes de Lion et d’Avignon, au grand contentement d’ung chascun, et grande édiffication des bons et fidelles catholiques qui sont grandement consolez et édifiez de leur bonne vie.

Questo fatto avrebbe spinto il nostro santo padre il papa, dietro istanza della nostra onoratissima madre e signora la regina, e di molti principi e grandi signori del nostro regno, di permettere a un gruppo dei suddetti religiosi di venire dall’Italia, dove hanno iniziato la loro prima fondazione, nel nostro regno. E sotto la protezione del nostro onoratissimo signore e fratello il re Carlo IX ultimamente deceduto, che Dio assolva, sono stati loro eretti alcuni conventi e uno anche nei sobborghi di Saint-Honoré, della nostra città di Parigi, vicino al nostro palazzo delle Tuilleries, un altro nel borgo di Meudon pure nei pressi di Parigi, e due altri nelle città di Lione e d’Avignone, con grande gioia di ciascuno e grande edificazione dei buoni e fedeli cattolici che sono grandemente consolati ed edificati dalla loro santa vita.

9132 Perciò, seguendo l’esempio dei nostri predecessori re, i quali, per aver sempre avuto una grandissima cura non solo a conservare, ma anche ad accrescere la religione cristiana e il servizio di Dio senza risparmio dei loro beni e vite, si sono acquistati questo bel titolo su tutti i principi cristiani, di cristianissimi e primi figli della Chiesa cattolica, Noi abbiamo notificato e deciso di prendere questi frati minori sotto la nostra speciale protezione e salvaguardia […].

Au moien de quoy, à l’imitation de nos prédécesseurs roys, lesquels pour avoir tousjours eu ung très grand soin, non seulement è la conservation, mais mesme è l’augmentation de la religion chrestienne et service de Dieu, n’y aiant épargnez leurs biens et vies, se sont acquis ce beau titre sur tous les princes chrestiens, de très chrestiens et premiers fils de l’Esglise Catholique, Nous avons avisé et résolu de prendre iceux frères mineurs en nostre spécialle protectione et sauvegarde […].

Vogliamo e ci piace che tutti e ciascuno dei luoghi fino a questo momento donati e offerti loro, sia da parte del nostro signore e fratello, sia da parte della nostra signora e madre, e altri che ancora potrebbero essere d’ora in poi loro donati da noi o da qualunque altra persona, per costruirvi chiese, monasteri, e chiese e conventi, abitazioni e chiostri, essi li possano accettare e vi possano liberamente dimorare e abitare, possano far costruire monasteri e conventi e celebrare il culto divino, predicare nelle chiese e svolgere altre simili attività nel nostro regno e paese a noi sottomesso, secondo la regola del signor san Francesco e le lodevoli costumanze delle loro assemblee e congregazioni […].

Voulons et nous plait que tous et chascun, les lieux qui leur ont esté cy-devant donnez et aumolesnez, tant par nostre dit sieur et frère que par nostre ditte dame et mère, et aultres qui pourroient leur estre encore cy-après donnez tant par nous que par aultres personnes que ce soient pour construire esglises, monastères, et esglises et couvens, habitations et preclòtures, ils les puissent accepter et en iceux demeurer et habiter librement, faire édiffier monastères et couvens, y célébrer le service divin, prescher dans les esglises et exercer touttes aultres choses semblables en nostre royaume et pays de nostre obéissance, selon la Règle de Monsieur sainct Francois et la louable coustume de leurs assemblées et congrégations […].

E perché ciò resti fermo e stabile per sempre, abbiamo fatto mettere il nostro sigillo alle precedenti e presenti lettere.

Dato a Parigi, nel mese di luglio dell’anno 1576, terzo del nostro regno.

Enrico.

Bruslard.

Et affin que ce soit chose ferme et stable è toujours, nous avons faict mettre et apposer nostre scel à ces dittes précédentes et présentes lettres.

Donné à Paris, au mois de juilliet de l’an mil cinq cens soixante et seize, et de nostre règne le troisième.

Henry.

Bruslard.

20. PRIMI IMPATTI CON LA POPOLAZIONE DI FRANCIA

I frati cappuccini sperimentarono presto gli effetti favorevoli della protezione del re, ma la loro incessante dedizione e i servizi da essi resi alla gente fecero mutare radicalmente le prime reazioni negative di quest’ultima nei loro confronti.

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 5859: Abrégé des Annales. p. 21s. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 475.

9133 Poiché solo la Provvidenza di Dio ci ha stabiliti come per un miracolo in Francia, così la stessa ci ha voluto conservare per miracolo sorprendente, dopo d’averci messi alla prova per alcuni anni, dandoci l’opportunità di santificarci a causa dei cattivi trattamenti che ricevemmo dai parigini e dai paesani campagnoli che ci consideravano gente stravagante e girovaga.

Comme la Providence de Dieu seul avoit faict nostre établissement en France par un miracle, aussy voulut-elle nous y maintenir par un miracle surprenant après nous avoir éprouvés pendant quelques années, nous donnant lieu de nous sanctifier, par les mauvais traitemens que nous recevions des Parisiens et des paysans de la campagne, qui nous regardoient comme des extravagans et des coureurs.

Ma appena la gente ebbe conosciuto il nostro grande disinteresse sia per le cose materiali che in quelle spirituali, e che noi offriamo dei servizi molto considerevoli a ogni città e villaggio, senz’altra ricompensa che quella attesa dal cielo, nel visitare gli ammalati o in tempo di peste e in caso d’incendi, dove noi ci esponiamo senza badare a pericoli, allora iniziammo a star bene e ad essere tranquilli.

Mais lorsqu’ils eurent conneus nostre grand désintéressement tant pour le temporel que pour le spirituel, et que nous rendions des services très considérables, sans autre récompense que celle que nous attendions du ciel, è toute la ville et les villages, tant par la visitte des malades que pour la peste et le feu où nous nous exposions sans connoistre aucun péril, c’est ce qui commenga nostre bonheur et nostre tranquillité.

Fummo per così dire estratti dalla melma e posti sul trono della misericordia di Dio, poiché prima di allora noi non osavamo uscire dai conventi, i bambini ci gettavano del fango, i cocchieri ci colpivano con le loro fruste, i passanti ci buttavano nel fango: odiati dal clero, disprezzati dal Parlamento e guardati come stravaganti dai cortigiani, eravamo uno scandalo agli eretici e oggetto di risa e spesso ci ingiuriavano e ci lanciavano frizzi cattivi.

L’on nous retira de la fange pour nous mettre sur le trosne de la miséricorde de Dieu, car auparavant ce temps, nous n’osions sortir du couvent, les enfans nous jettoient de la boue, les cochers nous donnoient de leurs fouets, les passans nous jettoient dans la boue: hays du clergé, méprisés du Parlement et regardés comme des extravagans par les courtisans, nous estions un scandal aux hérétiques et leur servions de risée, et souvent nous disorient des injures et des brocards impies.

21. PADRE GIROLAMO CALUSCHI DA MILANO, FONDATORE DELLA PROVINCIA DI LIONE

Il cronista milanese Salvatore Rasari da Rivolta ha lasciato un ritratto caratteristico di padre Girolamo da Milano, che fa intuire la forza del suo carisma di propagatore della riforma cappuccina in Francia e fondatore della provincia di Lione.

Fonte: Milano, Arch. di Stato, Religione 6493: [Salvatore da Rivolta], Vite di alcuni frati cappuccini della Provincia di Milano, illustri in virtu’ e santità, ff. 136r-140r (= dalla vita Del padre fra Girolamo Calusco da Milano capuccino).

9134 […] Fu provinciale e commissario generale nella Francia, dove parve che fosse singolarmente la sua vocazione e introdusse la religione in varie parti di quel regno. Edificò egli il convento di Lione, che fu il primo di quella provincia, e più operò in quel negozio con la santità che con l’industria. Perché con l’esempio mirabile delle sue azioni cattivò di maniera i cuori de’ cittadini, e massime de’ mercanti, ch’ogniuno fece a gara di contribuire per la limosina, e con l’eccesso della sua umiltà vinse e placò l’animo sdegnato dell’arcivescovo, resolutissimo di non volere ammettere i cappuccini, e di avversassimo ch’egli era divenuto da loro, lo rese affezionatissimo. [136v]

Andò un giorno il padre con alcuni mercanti, che ’l favorivano, a mons. arcivescovo a chiedergli il sito d’una chiesa e casa parrocchiale per fabbricarvi il convento; dalla qual dimanda stimandosi offeso il prelato, per cagione della cura che a lui si diminuiva, si conturbò grandemente, onde acceso nel volto e nelle parole, rispose quella richiesta essere temeraria e ingiusta, e rivolto al padre Geronimo in particolare, gli disse che se n’andasse con i suoi frati ad abitare in altra parte, perché in Lione si risolveva di non volere cappuccini, uomini inutili e di nessun momento.

9135 A quelle parole dure e acerbe, dettate dalla gelosia e dallo sdegno, il buon padre prostratosi in terra a piedi di quel signore, lo ringraziò del favore che gli aveva fatto in trattarlo, come egli disse, secondo che meritava; e poi soggiunse che, compiacendosi sua signoria ch’egli partisse, si degnasse di consolarlo con la sua benedizione. Ma negando l’arcivescovo di farlo, anzi replicando i ribuffi e le mortificazioni, egli nondimeno perseverò ne’ suoi preghi e umiltà, fin tanto che, commosso il pastore, a dimostrazione di tanta virtù, passò in un ponto dall’odio all’amore e dal rigore alla piacevolezza, e abbracciato il caro padre, gli disse lagrimando, che non poteva più infingersi di non conoscere e confessare i cappuccini per veri servi di Dio, e che perciò non solamente si [137r] contentava di ricevergli nella sua città e diocesi, ma che voleva eziandio essere loro protettore, e ch’essendo la chiesa, ch’egli ricercava, luogo difettoso per il mancamento dell’acqua in particolare, avrebbe dato ordine che si facesse diligenza per un altro, come fece poi con affetto paterno e con l’autorità sua.

9136 Molti altri conventi eresse in altre parti, e quel d’Avignone in particolare, dove navigando da Lione, gli accade cosa di gran miracolo. Gionto ch’egli fu a Schiarmi (sic), gli Ugonotti, che già per spia certa sapevano il suo passaggio e che perciò stavano insidiosamente attendendolo, uscirono armati e fatta fermar la barca, dove egli dimorava col suo compagno,[67] v’entrò dentro un capitano con alcuni soldati, con animo d’ammazzare i servi di Cristo, occultando la malvagia intenzione col pretesto di voler sapere che merci stessero nella nave. Ma fattesi mostrare dal padrone tutte le robbe e non mai veduto ciò ch’essi ricercavano, ancor che stesse loro sotto gli occhi, il capitano non più dissimulando il veleno ch’aveva nel cuore, disse al nocchiero di sapere molto bene esservi alcuni uomini rozzamente vestiti, chiamati dal volto cappuccini, e ch’era resolutissimo di ritrovargli. E rispondendo [137v] colui, non stare altro sulla barca che ciò che da ogniuno poteva mirarsi, il crudele eretico fece scaricare tutte le mercanzie e quanto era in sulla barca. Ma benché i poveri frati fossero in perspettiva, né mai si movessero dal luogo loro, e con tutto che quell’empio facesse così minute diligenze per ritrovargli, non ebbe nondimeno occhio per discoprirgli, né allora né doppo in tutto lo spazio di due giorni che si fermarono, costretti dalla necessità, come intravenne ad ogniuno di quelli che tirati dalla curiosità di vedergli andarono colà.

9137 Fu opinione de’ frati che il Signore si compiacesse di operare quelle meraviglie a salute de’ servi suoi, in guiderdone dello zelo grande ch’essi mostrarono nell’accettare quella missione. Imperciocché, essendosi eglino prima offerti al padre commissario, quando che proposto in capitolo il pio desiderio de’ cittadini d’Avignone d’avere i cappuccini, e ’l sentimento ch’egli aveva di consolargli, disse che per essere l’impresa assai pericolosa per cagione degli eretici, li quali malamente perseguitavano i religiosi, avrebbe perciò volentieri mandati quelli che se ne fossero mostrati bramosi.

Partiti che furono dal monastero con l’obbedienza del superiore, che accettò la loro offerta, e inviati [138r] verso il Rodano per imbarcarsi, stimolati di non andare parimenti mandati dall’obbedienza, come ricercava il pericolo grande, al quale si sopponevano, ritornarono entrambi a casa e comunicata di ciò la cagione al padre commissario, non partirono di nuovo fin che egli, consultatosi nell’orazione con Dio, non commando loro ch’andassero in virtù dello Spirito Santo, e con mille benedizioni. E allora poi così deposero ogni timore, che pregati da due altri religiosi, gli quali ritrovarono nella medesima barca, dove essi montarono, e quali dovevano far lo stesso viaggio; pregati, dico, a travestirsi, come essi avevano fatto, per ischiffar l’incontro degli eretici, non vollero acconsentire, e rispose il padre Geronimo bastare a sé e al compagno contra le forze e crudeltà de’ nemici di Cristo, il padre san Francesco, di cui erano figli, l’abito che portavano e la santa obbedienza.

9138 Nel medesimo tempo ch’egli stette in Francia governando e ampliando la religione, s’affaticò molto nella predicazione, con la quale fece tanto frutto che meritò d’essere comunemente chiamato l’Apostolo di quella provincia, né dal pulpito solamente operò molto in servizio delle anime, ma eziamdio ne’ discorsi famigliari della domestica conversazione, ne’ quali altissimamente ragionando delle cose di Dio, era così soave che attraeva ogni sorte di persone, e poi così fervente che [138v] commoveva e persuadeva efficacissimamente, sì che molti si convertirono non solo dal peccato alla penitenza, ma eziandio dal secolo alla religione, e accorgendosi il buon padre che il suo trattare con secolari non era senza gloria di Dio, non iscansava, ma più tosto cercava l’occasione di farlo, ancorché per altro egli amasse la ritiratezza e il silenzio.

Si converti fra gli altri, per la prattica avuta col padre fra Geronimo, un mercante italiano in Lione, giovine dissolutissimo, il quale arrivò a segno tale di bontà che divenne specchio e idea di virtù alla città tutta, e talmente si affezionò alla religione de’ cappuccini, che ne fu benefattore e protettore particolarissimo; indi acceso di desiderio grande d’esser membro di quella, e ostandogli il vincolo del matrimonio (essendo egli maritato), non si diede pace fin tanto che, operato con la moglie ch’ella entrasse volontariamente in un monastero e facesse voto di castità, non vesti l’abito santo.

9139 Negli eretici eziandio, co’ quali avvenne a lui tal volta di ritrovarsi, profittò grandemente, convincendogli e convertendogli nelle private dispute, le quali non andava egli però affettando, poco fidandosi delle sue forze.

Capitò un giorno, andando per viaggio ad una villa tutta piena d’eretici [139r], dove convenendogli di fermarsi per l’abbondanza delle piogge che cadevano dal cielo, fo costretto a ricovrarsi in casa d’uno di loro. Si seppe da terrazzani essere gionti due frati e alloggiati in tale luogo, perché molti andarono colà per disputar con essi intorno alle cose della fede, sperando di convincergli e di tirargli alla loro setta. Furono proposti molti dubbi e difficili e formati vari argomenti, a’ quali il padre Geronimo rispose così dottamente, che fece ammutire ogni lingua. Ma invece d’irritarsi contra gli animi di coloro, come pareva che dovesse seguire, se gli affezionò talmente che tutti unitamente il sforzarono con prieghi a fermarsi tutto il giorno seguente, e si obbligarono concordemente ad alloggiare a spese communi in una casa particolare i cappuccini che indi passassero; e occorrendo poi al padre, doppo certo tempo di ritornarvi, fu ricevuto con molta benignità e seppe che molti di quelli medesimi ch’avevano conteso seco s’erano per le risposte ch’egli diede loro, convertiti alla cattolica fede, fra quali alcuni erano già morti con i santissimi sacramenti.

9140 In quel mentre, che il padre Geronimo stette in Francia predicando e governando or in questa e or in quella parte, e ne’ viaggi ch’egli fece, venendo d’Italia in quella provincia, molti furono gli incontri ch’egli ebbe di disagi, d’ingiurie e [139v] di disprezzi, e molta insieme la pazienza e la costanza in soffrirgli.

Venendo la prima volta d’Italia in Francia, e passando per la Savoia, vedendolo quei paesani e dalla novità dell’abito argomentandolo o pazzo o scelerato, si diedero a disprezzarlo in vari modi, passando anco ad offenderlo con tirargli de’ sassi, ed egli quasi sordo alle ingiurie e insensibile alle percosse, sopportava il tutto con grandissima pazienza, non mostrando nel volto un minimo conturbamento. Osservò le maniere del padre un vecchio contadino ch’era presente, e meravigliato di tanta costanza, ne prese concetto di santo, e perciò fatto con buone parole cessare quegli insolenti, l’invitò a casa sua, dove l’accarezzò con grandissima amorevolezza.

9141 Crebbe poi in quell’uomo la meraviglia e la divozione verso il padre perché, sentendolo a favellare in lingua italiana, della quale non aveva nessuna intelligenza, lo intendeva così bene, quanto s’avesse parlato savoiardo (cosa la quale era occorsa al padre nella Francia molte volte in predicando), onde se gli affezionò talmente che, quando volle partire per lo suo viaggio, lo pregò instantissimamente a lasciargli qualche cosa del suo, e il buon religioso per consolar l’ospite amorevole, e in segno di grata corrispondenza, gli diede un libretto, intitolato il Gersone,[68] il quale [140r] fu dal vecchio tenuto così caro, ancor che per essere in idioma italiano non lo sapesse leggere, che ordinò nel testamento a’ suoi figliuoli che ’l custodissero come cosa preziosa, né mai ardissero di privarne la sua casa.

In altri luoghi ancora, dove era incognita del tutto la qualità e la professione sua, venne ributtato da’ popoli, e sostenne di molti disprezzi, movendogli il volgo ignorante e che non mira se non alla scorza, ad odiarlo e ad oltraggiarlo per l’estrema povertà, nella quale il vedevano, e per l’inusitata forma del vestire; sì che talora non trovò tanta limosina con la quale potesse vivere […].

22. INSEDIAMENTO DEI CAPPUCCINI IN NORMANDIA

Anche in Normandia i frati cappuccini erano desiderati, e vi vennero infatti chiamati dagli scabini nel 1575. L’abbate del monastero di Saint-Etienne e i suoi monaci offrirono un antico priorato con la cappella e i terreni dipendenti.

Fonte: Caen, Bibliothèque municipale, ms. 62: Mémoires bistoriques sur l’abbaye Saint-Etienne de Caen, f. 55. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 49.

9142 Il convento dei cappuccini di Caen[69] è il terzo che essi ebbero in Francia […]. Il signor de La Vérune,[70] governatore di Caen, l’anno successivo 1575 convinse gli abitanti di Caen a richiedere qualcuno di questi religiosi perché si stabilissero nella loro città. La sede episcopale di Bayeux era allora vacante per la morte di Charles d’Humière.[71] Riuscirono ad averne sei e dopo un’assemblea della città e per la liberalità dei monaci dell’abbazia di Saint-Etienne,[72] venne loro assegnato il luogo che ora occupano, chiamato il Priorato del feudo di Brucourt[73] contiguo alle mura dei giardini detti i Cortili e chiusi dall’altro lato dal canale dell’Odon.

Le couvent des Capucins de Caen est le troisième qu’ils ayent possédé en France […].. M. de La Vérune, gouverneur de Caen, persuada l’année suivante 1575 aux habitants de Caen, de demander quelques-uns de ces religieux pour s’établir dans leur ville. Le siège de Bayeux vaquoit alors par la mort de Charles d’Humières. Ils en obtinrent six, et par une assemblée de la ville et par la libéralité des religieux de l’Abbaye de Saint-Estienne, on leur donna le lieu qu’ils occupent, nommé le Prieuré du fief de Bruncourt, artenant aux murailles des jardins nommés les Courtils et fermé par l’autre côté du canal de l’Odon.

9143 Questa donazione si fece attraverso un’assemblea capitolare dei monaci di quell’abbazia, autorizzati dal card. Alessandro Farnese, loro abbate,[74] e fu in seguito confermata da Carlo d’O,[75] suo successore. Vi era in quel luogo di Brucourt una cappella quasi in rovina, dedicata a San Michele e a San Giacomo il Maggiore, eretta in titolo, posseduta e servita da un cappellano usufruttuario di quelle terre con le rispettive rendite.

Cette donation se fit par une assemblée capitulaire des religieux de cette abbaye sous l’autorité du Cardinal Alexandre Farnèse, leur abbé, et fut ensuite confirmée par Charles d’O, son successeur et par les mesmes religieux.

Il y avoit en ce lieu de Brucourt une chapelle presque ruinée, dédiée à Saint Michel et à Saint Jacques le Majeur, érigée en titre, possédée et desservie par un chapelain jouissant des terres et revenus qui en dépendent. Les donateurs s’en réservèrent la possession et les droits de présentation.

Il convento dei cappuccini fu costruito nel 1576. La cappella di Brucourt che essi avevano riparato, essendo troppo piccola per i loro usi, venne ricostruita sotto l’invocazione degli stessi patroni San Michele e San Giacomo e fu terminata solo nel 1605. Ma non essendo ancora conveniente ai loro esercizi, fu in seguito trasformata in un’infermeria e, infine, nel 1634, si iniziò la costruzione della chiesa che ancora si vede, senza mutare i santi patroni del luogo, san Michele e san Giacomo. I lavori terminarono nel 1635 e la chiesa venne consacrata nel 1636 […].

Le couvent des Capucins fut basti l’an 1576. La chapelle de Brucourt qu’ils avaient réparée étant trop petite pour leur usages, ils en bàtirent une sous l’invocation des mémes Patrons, saint Michel et saint Jacques, qui ne fut achevée qu’en 1605. Et cette chapelle ne se trouvant pas encore convenable è leurs exercices, elle fut convertie depuis en une infirmerie, et enfin en 1634 on commenca è batir l’église que l’on voit aujourd’huy sans changer les saints Patrons de ce lieu, saint Michel et saint Jacques. Elle fut achevée en 1635 et dédiée en 1636 […].

23. I CAPPUCCINI DURANTE LA PESTE DI PARIGI DEL 1579-1580

La grande peste del 1579-1580 che desolò Parigi e circondario e fece circa 31.000 vittime fu per i cappuccini l’occasione di mettere alla prova la loro carità e dedizione fino al sacrificio della vita e questo provocò un cambiamento totale dell’atteggiamento dei parigini nei loro confronti.[76]

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 25.044: Chronologie historisse, p. 48ss. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 61-63, 65s.

9144 […] Quest’anno 1579[77] la peste cominciò in Francia dove diventò furiosa e fece una crudele strage, particolarmente in questa grande città di Parigi, dove per l’enorme e continuo affollamento di gente, che incessantemente va e viene per le strade, c’è sempre fango e sporcizia. Ma poco tempo dopo, questa città così popolata divenne improvvisamente deserta per la grande mortalità di persone d’ogni sesso ed età, così che si vedeva crescere l’erba dove mai era stata, ossia per le più grandi strade di Parigi. Pensate ciò che avveniva sulle medie e piccole strade.

[…] Certe année 1579, la peste commenca en France, où elle devint furieuse et faisant de cruels ravages, particulièrement dans cette grande ville de Paris. cù pour la prodigieuse multitude de monde qu’il y a, qui sans cesse vont et viennent par les rues, est toujours fangeuse et boueuse. Mais peu de temps après, cette ville si peuplée devint tout è coup déserte, à cause de la grande mortalité de tout sexe et de tout Age, de manière que l’on voioit croitre l’herbe où il n’y en a jamais, savoir dans les plus grandes rues de Paris. Jugez ce qui se passoit dans les moiennes et les petites.

Vedendo queste cose, i nostri poveri padri evangelici, proprio questi cappuccini disprezzati, odiati e ripudiati dappertutto, questi religiosi imitatori del loro serafico padre, si misero tutti[78] a disposizione del nostro reverendo padre commissario, con una intrepidezza che si legge dei primi martiri, per assistere quei poveri abbandonati senza soccorso temporale e spirituale, sia per confessarli come per cercare qualcosa che li potesse consolare in quella loro miseria.

Ce que voians nos pauvres pères évangéliques, ces capucins méprisés, hays et chassés de partout, ces religieux imitateurs de leur séraphique Père s’offrirent tous avec une intrépidité que l’on lit des premiers martirs, a notre R. P. Commissaire, pour assister ces pauvres abandonnés, sans secours temporels et spirituels, tant pour les confesser que pour chercher de quoy les soulager dans leur misère.

9145 Il padre commissario, di fronte a così grande messe, inviò molti operai, fra i quali fu il rev. padre Deschamps in prima fila, il rev. padre Bernardino da Bordeaux subito appresso con il rev. padre Andrea da Dijon, sacerdoti; fra Giacomo da Provence, fratello del signor Cesare, prete di santa vita[79] e assai affezionato alla nostra santa congregazione […]; fra Egidio da Parigi, laico; fra Daniele da Chaumont, laico e fra Masseo di Pantin presso Parigi, pure laico, furono del numero dei deputati.

Le R. P. Commissaire, voyant cette grande moisson, envoia quantité d’ouvriers, entre lesquels fut le R. P. Deschamps qui tint le premier rang; le R. P. Bernardin de Bordeaux suivoit de près, avec le R. P. André de Dijon, prétres; frère Jacques de Provence, qui était frère de monsieur Cézar, prétre de sainte vie et grandement affectionné à notre sainte congrégation […]. Frère Gilles de Paris, laic; frère Daniel de Chaumont, laîc, et frère Macé de Pantin près de Paris, aussy laîc, furent du nombre des députés.

Tutti questi religiosi, dunque, ricolmi d’amore per il loro prossimo, si esposero come bravi e generosi soldati di Gesù Cristo e veri figli del nostro padre serafico. Desiderando sacrificare la loro vita per amore del loro Redentore, essi cominciarono per primi, in questo regno di Francia, quest’attività così santa ed eroica e traboccante di carità, aprendo la porta e indicando il cammino per ottenere la corona di gloria e furono martiri di carità laddove morirono in questo santo servizio del prossimo […].

Tous ces religieux donc, remplis d’amour pour leur prochain, s’exposèrent comme de braves et généreux soldats de Jésus-Christ et vrays enfans de notre Père séraphique. Désirans consacrer leurs vies pour l’amour de leur Rédempteur, ils commencèrent, les premiers en ce royaume de France, ces aczions toutes saintes et toutes héroiques et remplies de charité, ouvrant la porze et montrant le chemin pour obtenir la couronne de gloire, et furent des martirs de charité, lorsqu’ils moururent dans ce saint employ du prochain […].

9146 È vero asserire, e noi dobbiamo confessarlo davanti a tutti, che ora godiamo il frutto delle loro fatiche e di quella meravigliosa edificazione che allora diedero, svolgendo verso questi poveri abbandonati così santi e caritatevoli servizi. E fu per questo motivo che ci hanno attirato l’amore e la venerazione della gente, e che fecero conoscere a tutta la Francia come noi eravamo utili al prossimo, essendo religiosi disinteressati, che cercano solo la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Questo fece sì che il nostro piccolo gregge crebbe come il grano di senapa, come dice la Scrittura,[80] che diventa un grande albero serafico […].

Il est vray de dire, et nous devons confesser à la face de toute la terre, gue nous jouissons maintenant du fruit de leurs travaux, et de cette merveilese édification qu’ils donnèrent dans ce temps, en exercant envers ces pauvres zabendonnés de si saintes et si charitables actions, puisque ce fut par ces motifs qu’ils nous ont attiré l’amour et la vénération des peuples, et qui dirent connaître à toute la France combien nous étions utiles au prochain etans des religieux sans intérest, et que nous ne cherchions que la gloire de Dieu et le salut des àmes. C’est ce qui fit que notre petit troupeau multiplia comme le grain de sénevé, comme parle l’Écriture, qui devint un grand arbre séraphique […].

Ciò che confermò la gente in questo profumo di santità, fu che essi andavano per la città questuando, cercando di che vivere per quei poveri ammalati abbandonati. Essi li nutrivano col sudore della loro fronte e di ciò che per l’orgogliosa porta vergogna è rossore, andando a cercare il cibo di porta in porta per quelli coi quali dovevano insieme morire, e questo non per alcune centinaia di malati, ma per migliaia di ogni sesso, e se non l’avessero fatto, la gente sarebbe morta più di fame che di peste. […].

Ce qui confirma les habitants dans cette bonne odeur de sainteté, est qu’ils alloient par la ville, questant, cherchant de quoy vivre à ces pauvres malades abandonnés. Ils les nourrissoient de la sueur de leurs fronts, et de ce qui fait la honte et la rougeur des orgueilleux, allans de porte en porte chercher la nourriture è ceux qui devoient mourir avec eux, et cela non pas pour des centaines de malades, mais pour des milliers de tout sexe, et ils ne l’eussent fait, plus seroient morts de la faim que de la peste […].

9147 Gli atti caritativi resi dai nostri padri in quella circostanza ci ristabilirono nel cuore dei grandi e dei piccoli, dei ricchi e dei poveri. Il popolo e il clero cambiarono la loro inimicizia in amore, il loro odio in rispetto e il loro disprezzo in una profonda venerazione verso questi poveri cappuccini, fino al punto da presentare i nostri padri come modelli […]. Gli ecclesiastici cominciarono a darsi all’orazione mentale e il popolo a frequentare i sacramenti, due realtà del tutto abbandonate, poiché la maggior parte non aveva mai sentito parlare di orazione mentale o di altro simile, finché non videro i cappuccini esercitarsi in essa due volte al giorno in ore distinte e stabilite a proposito. Ognuno voleva imparare questo modo di pregare e accorreva nelle nostre chiese per parteciparvi.

Les actions de charité que nos Pères rendirent dans ce temps de peste, nous rétablirent dans l’esprit des grands et des petits, dans les riches et dans les pauvres. Le peuple et le clergé changea son inimitiè an amour, sa haine en respect, et ses mépris en une profonde vénération pour ces pauvres Capucins, de telle manière que l’on parloit de nos Pères comme des modèles […]. Les ecclésiastiques, en effet, commencèrent è s’adonner è l’oraison mentale et le peuple è la fréquentation des sacraments qu’ils avoient tous deux abandonnées, car la plus part n’avoient jamais entendu parler d’oraison mentale ny d’aucune chose qui en approchàt, jusques è ce que ils virent les capucins qui la faisoient deux fois le jour dans des heures qui y étoient destinées pour cela. Chacun voulut apprendre cette manière de faire oraison et accouzoit à nos églises pour y participer.

Molti religiosi e religiose adottarono in seguito il nostro tono di canto, smisero di portare panni di lino e si riformarono completamente, alcuni si scalzarono e tutti cominciarono a costruire chiese col coro sul modello del nostro posto dietro l’altare.

Plusieurs religieux et religieuses prirent ensuite notre chant, désistèrent de porter du linge, et se réformèrent entièrement, aucune se déchaussèrent, er tous commencèrent à batir des églises et faire leur choeur sur le méme modele qu’étoient fait les nòtres derrière le grand autel.

9148 Adottarono anche il nostro modo di tenere un tabernacolo, come noi i gradini dei loro altari; i quadri, le nostre prostrazioni e baci in terra davanti al Santissimo Sacramento, tutte queste cose furono imitate da molti religiosi e religiose, che conobbero le nostre pratiche e i nostri usi.

Ils prirent encore notre manière d’avoir un tabernacle, comme nous les marches de leurs autels; les tableaux, nos prosternations et baisers en terre devant le très Saint Sacrement, toutes ces choses furent imitées par beaucoup de religieux et religieuses, qui entrèrent dans nos pratiques et nos usages.

Tutti misero delle grandi croci di legno dentro e fuori le loro chiese e come noi ne presero di semplice legno. Infine, tutti a gara gli uni gli altri, ci imitarono nella nostra povertà e proprietà, eccetto nella rigida povertà che rimase a nostro uso, come specifico e fondamento del nostro Ordine serafico.

Tous arborèrent les grandes croix en dedans et en dehors de leur église, et en eurent comme nous de bois simple. Enfin, tousjà l’envi les uns des autres, nous imitèrent dans notre pauvreté et propreté, excepté cette rigide pauvreté qui nous resta en usage, comme nous étant propre et le fundament de notre Ordre séraphique.

Questa imitazione avvenne attraverso una sorprendente emulazione non solo da parte di religiosi e religiose, ma anche in quasi tutte le chiese collegiali e parrocchiali di Parigi e di tutte le altre città, borghi e paesi, dove prima il Santo Sacramento era malamente conservato e la nostra povertà fece in modo che in tutte le chiese fosse conservata insieme alla nettezza nelle chiese, cappelle e oratori.

Cette imitation se fit par une émulation surprenante, non seulement par les religieux et religieuses, mais aussy quasi par toutes les églises collégiales et paroissiales de la ville de Paris et de toutes les autres villes, bourges et villages, où auparavant le Sainct Sacrement étoit malproprement conservé; notre pauvreté, mais propre, fit que dans toutes les églises elle fut conservée, aussy bien que la netteté dans les églises, les chapelles et autels.

Inoltre si cominciò a frequentare più spesso i sacramenti della confessione e dell’Eucaristia ed è stato osservato che questo costume di accostarsi spesso ai sacramenti deriva dai nostri antichi padri; talmente era trascurato in Francia prima che noi giungessimo in questo regno, poiché uno era considerato molto devoto quando si comunicava due o tre volte l’anno.

De plus, l’on commenca à fréquenter très souvent les Sacrements de la confessione et de l’Eucharistie et l’on doit confesser que cette coutume d’approcher souvent des Sacrements est due à nos anciens Pères: elle étoit tellement abandonnée dans la France avant notre arrivée en ce royaume, car c’était étre extrémement dévot que de communier deux ou trois fois l’année!

9149 Noi possiamo dire, a gloria di Dio, che quel poco di devozione e di carità che si trova ora in Francia, deriva dai buoni esempi e dalle azioni, dalle predicazioni e austerità che i nostri padri fecero, che spingevano le popolazioni a imitarli non solo nella frequenza ai sacramenti, ma nell’assiduità alla preghiera, all’ascolto della parola di Dio e alle sante pratiche. Allo stesso modo i nostri antichi padri avevano un grande rispetto e una grande fedeltà verso tutto ciò che riguardava la Santa Sede e da essa derivava.

Nous pouvons dire è la gloire de Dieu, que le peu de dévotion et de charité que l’on trouve maintenant en France, vient des bons exemples et des actions, prédications et austérités que nos Pères faisoient, qui ainmoient les peuples à les imiter, non seulement dans la fréquentation des Sacrements, mais dans l’assiduité à la prière, àè entendre la parole de Dieu, et aux saintes pratiques. Aussy, nos anciens Pères avoient-ils un grand respect et une fidélité inviolable pour ce qui regardoit le Saint-Siège et ce qui en émanoit.

La stima dei re, dei principi e della gente verso di noi derivò da questa nostra grande carità, da questa cordialità, da questa cortesia, da questo nostro servizio ai poveri e ai ricchi […].

Ce fut donc cette grande charité, cette cordialité, cette prévenance, cette assistance que nous rendions aux pauvres comme aux riches, qui nous ont mis dans l’estime des roys, des princes et des autres peuples […].

24. FONDAZIONE DEL CONVENTO D’ÉTAMPES

Giugno 1580. — Il 1580, che doveva essere l’anno dei primi capitoli provinciali di Parigi e di Lione, fu anche l’anno di fondazione del convento d’Étampes. Richiesto dagli abitanti, il re Enrico III accordò loro l’autorizzazione ufficiale con lettere patenti.

Fonte: Parigi, Archives nationales, S. 5705. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 71-74.

9150 Enrico, per grazia di Dio re di Francia e di Polonia, a tutti i presenti e futuri, salute.

Henry par la grâce de Dieu Roy de France et de Pologne à tous présens et advenir, salut. […]

Desiderando sistemare i religiosi cappuccini e dar loro modo di poter liberamente e con tranquillità servire Dio e pregarlo per la nostra salute e in genere per la conservazione e prosperità e unione di questo regno, abbiamo loro assegnato alcuni luoghi sia nella nostra buona città di Parigi e Orléans, sia altrove, e poiché vicino alla nostra città d’Etampes c’è un luogo con una cappella e qualche altro edificio, con un recinto e un prato attiguo chiamato Saint-Jacques de l’Epée,[81] dove anticamente trovavano albergo coloro che venivano e andavano a San Giacomo in Galizia; e siccome una buona parte di cittadini d’Etampes desiderano che il seminario di quella chiesa di San Francesco dei suddetti cappuccini venga fondato nella loro città e quel luogo lo conservano in proprietà per alloggiarli e ricevere, per cui ci hanno fatte molte istanze e spiegato che nella città c’erano molti altri posti per ricevere i poveri passanti, che essi meritano di essere ricevuti e alloggiati. Per questo motivo ora simile ospitalità è posta e spostata dai cittadini d’Étampes nell’ospedale Saint-Antoine di Étampes, dove sono stati trasportati i letti e altri mobili che stavano nella cappella e nell’ospedale Saint-Jacques, con tutti i relativi proventi, senza che i frati cappuccini prendano alcunché, eccetto prati e terreno, e siano incaricati ogni settimana dell’antica fondazione della detta cappella e ospedale […].

Désirant accommoder les religieux capucins et donner moyen de pouvoir librement et en seureté servir Dieu et le prier pour nostre manutention, et généralement pour la conservation et prospérité de ce royaume et union d’iceluy, nous leur avons assigné quelques lieux tant en notre bonne ville de Paris, Orléans qu’ailleurs, et soit ainsy que près nostre ville d’Éstampes y ait ung leieu composé d’une chapelle, de quelques aultres édiffices pourpris et d’ung pré y joignant appelé Sainct Jacques de l’Espée, où anciennement logeoient ceulx qui venoient et alloient a Sainct-Jacques en Galice, lequel lieu ayant une bonne partie des habitans de ladite ville d’Éstampes qui désirent le séminaire d’icelle esglise Sainct-Frangois desdicts capucins estre planté en leur ville, tiennent propre pour les y loger et recepvoir, nous en auraient faict plusieurs instances et donné à entendre que en ladite ville y avoit assez d’aultres lieux pour recepvoir les pauvres passans, méritans estre receus et logés, et ce faict est de présent la ditte hospitalité mise et transportée par lesdits d’Éstampes en l’hopital Sainct-Anthoine dudit Éstampes, auquel on été transportés les licts et autres meubles qui étoient à laditte chappelle et hospital Sainct-Jacques, avec tout le revenue d’iceluy, sans que lesdicts frères capucins y prennent: aulcune aultre chose que lesdits lieux et pré, et sont chargés chacune sepmaine de l’ancienne fondation de laditte chappelle et hopital […].

Data a Parigi nel mese di giugno, l’anno di grazia mille cinquecento ottanta, sesto del nostro regno.

Donné à Paris au mois de juing l’an de grâce mil cinq cens quatre-vingt, et de nostre règne le sixième.

25. LA PROVINCIA DI PARIGI MADRE DI ALTRE PROVINCE

Nel giro di qualche anno la provincia di Parigi non solo ebbe un rapido sviluppo, ma contributi anche a fondare diverse altre province. Questo sviluppo fu opera dei commissari generali, ma anche del fervore dei religiosi e della loro esemplarità. La povertà e l’austerità della loro vita, esemplificate nella Chronologie historique, furono una delle cause maggiori del loro successo.

Fonte: Parigi, Bibliothèque nationale, ms. fr. 25.044: Chronologie historique, p. 70-72. — Ediz.: [René de Nantes], Documents, 90s.

9151 I nostri padri […] vivevano in grandissima austerità di vita e un’altissima povertà era in tutte le loro costumanze, poiché non raccoglievano gran che nella questua, stando qualche volta più di sei settimana senza mangiar carne né pesce e in mancanza di vino bevevano acqua. Quando non avevano a disposizione radici o legumi, essi mangiavano le ortiche del giardino come fossero spinace che tritavano molto fine. Le lumache e il finocchio erano una portata assai deliziosa. Non costruivano nessun camino nella loro cucina, bastando la stufa, e questo è durato fino ai nostri giorni del 1630 quando si è dovuto costruirne uno per il numero eccessivo dei frati.

Nos anciecs Pères […] vivoient dans une très grande austérité de vie, et une sublime pauvreté étoit dans tous leurs usages, ne trouvant pas grande chose à la quête, étant quelque fois plus de six semaines sans manger ny chair ny peisson, et beuvoient souvent de l’eau, faute de vin. Lorsqu’ils n’avoient ny racines ny légumes, ils mangeoient les orties du jardin en guise d’épinards, qu’ils hachoient bien menus; les limacons et le fenouil leur étoient un mets bien délicieux.

Essi erano così poveri che non avevano né tortiere né padella per far friggere, né colatoio per passare i piselli; e al saldatoio grande non si usavano, come anche ora non si usano, né mollette, né paletta o soffietto, né alari; una pietra o due erano pi che sufficienti per sostenere la legna. Ora però per il grande numero dei religiosi nei conventi è stato necessario togliere le pietre che impedivano di scaldarsi e si sono messi dei piccoli alari di ferro per maggiore comodità.

Ils ne faisoient point de cheminées dans leur cuisine, le chauffoir étant suffisant; cela a continué jusques è nostre temps 1630, que l’on a été contraint d’en faire une, à cause de la multitude des frères. Ils étoient si pauvres qu’ils n’avoient ny tourtière ny poesle à frire, ny passoir pour passer les pois; et au grand chauffoir il n’y avoit, non plus qu’il n’y a è présent, ny pincette, ny pesle, ny soufflet, ny chenets, une pierre ou deux étant plus que suffisantes pour soutenir le bois; mais maintenant le grand nombre de religieux qu’il y a dans les couvents, est cause qu’il a fallu oster les pierres qui empeschoient de se chauffer, et l’on y mit de petits chenets de fer pour une plus grande commoditè.

9152 Questa povertà era così estrema che, non avendo legna, erano costretti spesso ad andare nel giardino a ramazzare dei cepperelli da bruciare per scaldarsi. Lo facevano spesso per amore della povertà e per risparmiare quel poco di bosco che avevano e che era stato loro donato, temendo di pesare troppo sui benefattori.

Cette pauvreté étoit si extréme que n’aiant point de bois ils étoient contraints souvent d’aller dans le jardin ramasser les bouchettes pour faire du feu pour se chauffer. Ils faisoient souvent cela pour l’amour qu’ils portoient à la pauvreté, et pour espargner le peu de bois qu’ils avoient et qu’on leur doonoit, de crainte de fouler par trop les bienfaiteurs.

I frati chierici e laici non portavano mai lumi nelle loro camere, e quando per qualche necessità si era costretti a permetterlo solo a qualcuno, si aveva cura di prendere solamente ciò che restava o che colava sotto il candeliere. Non si usava il lume per cantare l’officio della Madonna, le Lodi del grande officio divino, le litanie, preghiere e tutto il resto; tuttavia diciassette o diciotto anni dopo fu giocoforza usarlo, perché chi non aveva una buona memoria combinava confusioni.

Les frères clercs et laîics ne portoient jamais de lumière dans leur chambre, et quand par quelque nécessité on étoit contraint de le permettre seulement à quelques-uns, c’étoit è la charge de prendre seulement le suif qui demeure ou qui coule dessus le chandelier.

L’on ne se servoit point de lumière pour chanter l’office de Notre-Dame, Laudes du grand office, Litanies, oraisons et le reste; on y a été contraint depuis dix-sept ou dix-huit ans, à cause des confusions que faisoient ceux qui n’avoient pas bonne mémoire.

Non si dispensavano mai i giovani dalla disciplina in refettorio, eccetto quando faceva molto freddo; allora si permetteva loro di farla nelle loro camere. Si osservava uno strettissimo silenzio, non solamente della lingua, ma anche dei piedi, e quando uno rientrava nella sua celletta, chiudeva la porta così dolcemente con le due mani che non si sentiva nessun rumore. Se uno camminava, lo faceva con tanta modestia che quelli che stavano nelle loro stanze non lo sentivano passare.

L’on ne dispensoit jamais les jeunes de faire la discipline au réfectoir, sinon quand il faisoit grand froid, alors on leur permettoit de la faire dans leurs chambres.

L’on gardoit un très étroit silence, non seulement de la langue, mais aussi des pieds, et lorsque l’on rentroit dans sa cellule, en fermoit les portes si doucement avec les deux mains que l’on n’entendoit aucun bruit. Lorsque l’on marchoit, c’étoit avec tant de modestie que ceux qui étoient dans leurs chambres ne les entendoient pas passer.

26. PREDICAZIONE NELLE PARROCCHIE DI PARIGI

Prima di intraprendere le grandi missioni che li resero celebri, i frati cappuccini predicarono anche nelle parrocchie di Parigi e circondario ed esercitarono un fecondo ministero. É il caso, ad esempio, di padre Angelo da Joyeuse.[82]

Fonte: Jacques Brousse, La vie du révérend père P. Ange de Joyeuse, prédicateur capucin, Paris, chez Adriain Taupinard, 1621, 198.

9153 Un giorno d’inverno il freddo era così rigido che anche i meglio vestiti non potevano fare a meno di riscaldarsi al fuoco e molti poveri irlandesi che domandavano l’elemosina a capo del ponte Saint Michel avevano dovuto accendere qualche focarello per resistere al freddo, mentre aspettavano la carità dei passanti.

Un jour entre autres que les rigueurs de l’hiver estoient si violentes que les mieux vestus estoient forcez de mendier la chaleur du feu, plusieurs pauvres Irlandais demandans l’aumosne au bout du pont Sainct Michel avoient esté contraincts de faire un peu de feu pour résister au froid, attendant les charitez des passans.

Il beato padre Angelo aveva appena fatto qualche opera di pietà e tutto intirizzito dal freddo per non aver voluto entrare in nessuna casa per essere di troppo conosciuto, si riscaldò con questi poveri. I passanti, considerando questo fatto e vedendo il buon padre mettere i suoi piedi tutti gelati davanti a due o tre bracie di questi poveri stranieri, se ne andavano stupefatti e molti con le lacrime agli occhi.

Le bienheureux Père Ange venant de faire quelque oeuvre de piété, tout transi de froid qui n’avoit voulu entrer en aucune maison pour estre par trop cogneu, fut se chauffer avec ces pauvres; ce que considérants ceux qui passoient et voyans ce bon Père monstrer se pieds tout gelez aux deux ou trois charbons allumez de ces pauvres estrangers, s’en alloient plein d’étonnement et plusierus aves des larmes.

Tutto il suo desiderio era di nascondere la grandezza del suo lignaggio e il grado che aveva tenuto prima nel mondo e si sentiva grandemente offeso da coloro che venivano a visitarlo quando s’accorgeva che erano spinti più dalla curiosità che da qualche motivo per cui Dio potesse ricevere onore e il prossimo edificazione e merito.

Tout son désir étoit de cacher la grandeur de sa maison et le rang qu’autrefois il avoit tenu dans le monde et se sentoit grandement offensé de ceuz qui le venoient visiter, s’il appercevoit qu’ils fussent plus portez de curiosité que de quelque bon dessein dont Dieu peust recevoir de l’honneur et le prochain de l’édification et du mérite.

27. PREDICAZIONE EVANGELICA POPOLARE DEI CAPPUCCINI

C’erano anche dei predicatori in quel tempo, particolarmente padre Atanasio Molé,[83] che si accontentava soprattutto di ricordare gli insegnamenti del Vangelo. Molti si specializzavano nella predicazione al popolo semplice e alla gente di campagna, allora molto trascurata poiché le prediche domenicali erano neglette o mal fatte. I cappuccini s’impegnarono a istruire e ad evangelizzare il popolo nelle campagne e nelle città, come fece padre Giambattista d’Amiens.

Fonte: Paris, Bibliothèque nationale, ms. fr. 25.046: Capucins illustres de la Province de Paris, p. 176; ms. fr. 25.047: op. cit., p. 17.

9154 [Il padre Giambattista d’Amiens][84] incominciò con delle esortazioni ai bambini, al popolo semplice e ai paesani […]. Egli si umiliava per conquistare il cuore di quegli uomini ignoranti ai quali non serve un parlare raffinato. Egli era felice quando si trovava con la gente povera di campagna, più che nelle grandi città. Percorreva villaggi e borghi, perché sapeva che qui c’era più bisogno che non altrove […].

[Le père Jean Baptiste d’Amiens] commensa par faire des exhortations aux enfans, au menu peuple et aux paysans […]. Il s’humilioit pour prendre le coeur de ces hommes ignorants è qui le beau language est inutile. Il étoit heureux avec des pauvres gens de la campagne plus que dans les grandes villes. Si il alloit dans les villages et dans les bourgs, c’est qu’il scavoit qu’ils en avoient plus de besoin que les autres […].

Lasciati questi villaggi dove aveva trascorso giornate intere ad istruire quella gente rozza, entrava nelle città e vi faceva risuonare la sua eloquenza e la forza dei suoi ragionamenti che convincevano i più induriti […], e faceva molte conversioni, di maniera che era riguardato non come un predicatore comune, ma come un apostolo.

Sorty qu’il étoit de ces villages où il avoit passé des journées entierres a l’instruction de ces gens grossiers, il rentroit dans les villes où il faisoit retentir son éloquence et la force de ses raisonnements qui convainquoient les plus endurcis, […] faisoit beaucoup de conversions et étoit regardé non comme un prédicater du commun, mais comme un apostre.

Le città lo richiedevano tramite i loro vescovi o i loro magistrati con grande sollecitudine e se ne partiva con grande loro rimpianto […]. In tutti gli applausi ricevuti per i suoi discorsi, per le conversioni ottenute, le restituzioni e riconciliazioni fatte per la forza dei suoi argomenti e dei suoi ragionamenti, egli dava tutto l’onore a Dio.

Les villes le demandoient par leurs évesques ou par leurs magistrats avec de grands empressements; il n’en sortoit qu’à leur grand regret […]. Dans toutes les acclamations que l’on faisoit de ses sermons, les conversions, les restitutions, les réconciliations qu’il avoit fait par la force de ses arguments et de ses raisonnements, il en rapportoit tout l’honneur a Dieu.

28. I CAPPUCCINI DIRETTORI E SCRITTORI SPIRITUALI

I cappuccini della provincia di Parigi svolsero un ruolo eminente come direttori di coscienza e scrittori spirituali.[85] Formati alla scuola di padre Benedetto di Canfield, essi sono stati dei mistici e hanno esercitato un forte influsso in quell’epoca di rinnovamento della vita spirituale e nella direzione dei numerosi circoli religiosi a Parigi sugli inizi del sec. XVII. Cosi padre Martial d’Etampes,[86] che può essere considerato come uno dei migliori discepoli di Benedetto di Canfield. Esercitò il suo ministero come maestro dei novizi e anche come confessore delle cappuccine a Parigi e a Amiens.

Fonte: Chateau du Titre (Somme), collezione privata: Nécrologe de la Province de Paris, p. 71.

9155 La sua vita a Parigi e a Amiens era rude. D’inverno veniva prestissimo dal grande convento dei nostri padri cappuccini, che si trova assai distante dal nostro monastero, e, non badando alle strade coperte di neve o al freddo intenso, egli entrava dritto in confessionale, senza fermarsi a scaldarsi, per vedere se qualcuna di noi avesse bisogno della sua assistenza.

Sa vie à Paris et è Amiens étoit rude. En hyver venant de grand matin du convent de nos pères capucins, qui est assés esloigné de nostre monastère et que les chemins fussent couverts de neige or qu’il fit grand froid, il montoit droit au confessionnaire, sans s’arrester a se chauffer pour voir si quelqu’une d’entre nous avoit besoin de son assistance.

Egli era quasi di continuo sofferente e con quei suoi dolori per nulla diminuiva le sue austerità, veglie e lavori, di giorno e di notte, e faceva attenzione a formare e a istruire i suoi novizi più con l’esempio che con le parole, anche se era molto assiduo a rivolger loro ferventi esortazioni, dove si poteva ammirare la luce e la conoscenza interiore che Dio gli donava e che egli mise per iscritto nell’ammirabile libro dei tre chiodi[87] […].

Il souffroit presque continuellement et avec ses douleurs il ne se relachoit point de ses austéritez, veilles et travaux, ny de jour ny de nuict, et preschoit à former et instruire ses novices plus par exemple que de parolles, quoy que fort assidu è leur faire de ferventes exhortations, esquelles on admiroit ses lumières et les connaissances intérieures que nostre Dieu luy donnoit, qu’il a couchés par escrit en cet admirable livre des trois clous […].

Io l’ho visto grande osservante della vita regolare…, molto fervoroso a mortificarsi tanto nelle parole che nei gesti, fortemente austero nel suo vivere e nel dormire, … uomo di grande orazione e di pratica spirituale, come ha ben dimostrato sia nelle sue lezioni particolari che nelle esortazioni, ma anche nei suoi libri e scritti…, riducendo tutta la sua dottrina in pratica per imitare gli esempi della vita di nostro Signore fino a morire con lui in croce.

Je l’ay recogneu grand observateur de la régularité, […] fort fervent à se mortifier, tant en ses paroles qu’en ses gestes, grandement austère en son vivre et en son dormir, […] grand homme d’oraison et de pratique spirituelle, comme il a bien fait paraître tant en ses lecons particulières qu’en ses exhortations […] comme aussi ès livres et escripts […], réduisant toute sa doctrine en pratique par imitation des exemples de la vie de nostre Seigneur jusques à mourir en croix avec luy.

29. CURIOSO GIUDIZIO DI MARC DE BAUDOUIN

Riguardo all’apostolato spirituale dei cappuccini è significativo il giudizio complessivo che dà Marc de Baudouin, riferendosi alla fine del Cinquecento.

Fonte: Marc de Baudouin, La vie admzirable de très haute, très puissante, très illustre et très admirable Dame Charlotte Marguerite de Gondi, marquise de Maignelay, où les fidèles trouvent de quoi admirer et des vertus à imiter, Paris 1666, 118s (appare un certo tono trionfalistico).

9156 [I cappuccini] sono i primi religiosi riformati di Francia. Essi sono stati i primi padri della vita spirituale e i primi maestri della devozione solida della nostra epoca da essi fondata sull’umiltà, sui dolori e sulla croce di Gesù Cristo.

[Les capucins] sont les premiers religieux réformés de France. Ils y ont été les premiers pères de la vie spirituelle et les premiers maîtres de la dévotion solide de notre temps qu’ils ont établie sur l’humilité, les souffrances, sur la croix de Jésus-Christ.

30. UN PROGETTO DI RIFORMA FRA I CAPPUCCINI FRANCESI

Questa lunga lettera di Natanaele da Pontoise, della provincia di Parigi, residente a Verdun, datata 24 luglio 1595, scoperta in questi ultimi anni nell’Archivio Vaticano, getta un’importante luce sui risvolti di quell’incessante tensione di riforma, sempre presente nell’anima dei più zelanti cappuccini, che sembra avere una certa analogia con gli ideali della riforma dei «Maddaleniti» tentata all’interno dell’Ordine in Italia vent’anni prima.

Scrive Vincenzo Criscuolo, che ha il merito di aver scoperto e pubblicato questo curioso e significativo documento: «Fra Natanaele da Verdun scrive al papa Clemente VIII. Dopo aver espresso la sua indegnità nel rivolgersi direttamente al pontefice, a ciò comunque incoraggiato dalla somma benevolenza e clemenza del vicario di Cristo, esprime le motivazioni della sua lettera. Da circa tre anni, dopo matura riflessione e con il conforto di alcuni confratelli, va pensando a una riforma dell’Ordine, che permetta di ripristinare la vita austera e spirituale dei primi cappuccini. Per questi motivi — e anche in seguito alla richiesta del principe di Lorena di averlo come confessore per sé e la sua famiglia — è stato man mano isolato nell’ambito della sua provincia e vive ora segregato e sotto continua osservazione, tanto da essere costretto a scrivere segretamente. Chiede perciò formalmente di poter lasciare la comunità e vivere in un piccolo e povero convento, nell’osservanza stretta della Regola, soprattutto nella povertà della casa, dell’abito e del cibo, in una maggiore assiduità alla preghiera e nella custodia del silenzio interiore ed esteriore. Progetta inoltre di vivere del proprio lavoro e chiedendo l’elemosina d’uscio in uscio, di poter accettare altri frati — dodici o più — alla sua riforma e di dipendere direttamente dal generale.

Illustra infine la necessità del ritorno alla primitiva vita cappuccina, ormai completamente rilassata a causa dell’introduzione tra i frati di eccessivi abusi, diventati man mano consuetudine, tra i quali enumera l’eccessiva grandezza e comodità dei conventi, il panno per gli abiti sempre più raffinato e meno consono all’austerità cappuccina, il vitto abbondante e sempre più succulento. Accenna ancora alle numerose mancanze contro la povertà e la carità, alimentate dalla continua mormorazione e insoddisfazione, causa quest’ultima che ha costretto già un illustre confratello — Angelo da Joyeuse — a lasciar la vita religiosa e un altro — Leone da Autrécourt-sur Aire — a ritornare agli agostiniani. Dopo aver supplicato ancora una volta per un benevolo accoglimento della sua richiesta, riporta nel ‘‘postscriptum’’ i nomi di due confratelli subito disposti ad intraprendere con lui la nuova vita: il sacerdote Michele da Abbeville e il laico Angelico da Piccardia, vero e primo motore dell’esigenza di riforma».

Fonte: ASV, Sacra Congr. dei Vescovi e Regolari, Positiones, 1595 C 2, ff. n.n. — Ediz.: I cappuccini e la congregazione romana dei vescovi e regolari, vol. I (1573-1595), a cura di V. Criscuolo, Roma 1989, 410-430. Nostra traduzione.

Gesù + Maria

Iesus + Maria

9157 Al santissimo signor nostro, signor papa Clemente VIII,

frate Natanaele da Pontoise, il più grande vermiciattolo,

nulla di più miserabile, chiamato tuttavia cappuccino,

sebbene indegnissimo, augura con tutto il cuore

un ardentissimo amore di Gesù Cristo.

Sanctissimo domino nostro domino Clementi papae octavo

ardentissimum Domini Iesu toto corde exoptat

Frater Nathanael a Pontizara, summus vermiculus

quid nihilo miserius, dictus tamen cappuccinus,

licet indignissimus.

Santissimo padre.

Sono pieno, non senza motivo, di una grande e veemente ammirazione, afflizione e vergogna, dal momento che un putrido e fetidissimo vermiciattolo non ha paura di rivolgersi a tanta sublimità; ma sono anche ricolmo, non senza ragione, di un più grande e forte timore, o piuttosto di gioia e di letizia nel cuore, e tutto mi commuovo che questa stessa sublimità si degni di accogliere anche costoro con tanto benevolo favore come amici.

Sanctissime pater.

Magna quidem, nec sine causa vehementique admiratione, afflictione [412] nimioque rubore totus perfundor, quod putridus foetidissimusque vermiculus tantam sublimitatem non vereatur attingere, maiori tamen non immerito ac supra quam credi possit vehementiori pavore vel gaudio potius cordisque iubilo repleor ac totus commoveor, quod eadem tanta sublimitas tam benevolo favore tales etiam quasi amicos dignetur suscipere.

Infatti, come tutto il mondo proclama, a quelli che fedelmente raccontano ciò che in sé hanno sperimentato, per non diventare ingrati, non basterebbe, dico, che, come un altro Abramo, onorasse con la sua desiderabile presenza i poveri e gli umili ammessi alla mensa quotidiana, se non portasse sollievo, come un altro san Paolo, nel modo che può anche agli assenti. Quanto mai è grande questo sollievo dei poveri nelle afflizioni, se non tanto e ogni qual volta c’è una necessità? Quali lettere possono essi liberamente presentare ai santissimi piedi della vostra beatitudine, anche con tutta sicurezza di una ‘loro benignissima accettazione? Non è questo un fatto inaudito e incomparabile? Tralasciando altre cose, dirò qualcosa su di noi cappuccini, per professione i più poveri di tutti i poveri e — come suona il nome, se corrisponde alla realtà — i più abietti di tutti gli uomini.

Non enim, ut totus orbis proclamat, fideliter narrantibus his qui in seipsis experti sunt ne ingrati inveniantur, non inquam ei sufficeret, ut sicut secundus Abraham, pauperes et humiles ad quotidianam mensam admissos, sua tam desiderabili praesentia honoraret, nisi etiam, ut secundus sanctus Paulus, quo posses modo similes absentes recrearet. Quanta est enim haec pauperum in afflictionibus recreatio, ut quanto et quoties necessitas aderit? Qualescunque suas literas, sanctissimis vestrae beatitudinis pedibus libere possint offerre, etiam securissime de earumdem benignissima susceptione? Nonne penitus inaudita ac incomparabilis? Caeteris autem praetermissis, quid dicam de nobis cappuccinis omnium pauperum professione pauperrimis et — ut nomen sonat, sl tamen res conveniatur — omnium hominum abiectissimis.

[Osservazioni introduttive]

9158 Ci è stato detto fino ad oggi, non senza la più grande ammirazione, né con minor gaudio e alacrità, che la sublimità di vostra santità accoglie e ascolta con incredibile pazienza qualsiasi lettera dei più semplici frati, e non solo con paterna benevolenza, ma è così lontano dal sostenere coloro che li contraddicono, che, anzi, li respinge da sé con giusta indignazione, e non dico giusta invano. Non bisogna aggiungere afflizione a chi è afflitto. Poiché sei giusto, Signore Gesù, retto e fedele, che non permetti che uno sia tentato oltre le sue forze.[88]

Non enim sine maxima admiratione, nec minori cum gaudio et alacritate ad nos hucusque relatum est, quod sanctitatis vestrae summa sublimitas quorumcumque simplicium fratrum qualescumque literas incredibili patientia audiendas non tantum paterno affectu suscipiat, sed et contradicentibus, tantum abest ut annuerit quin potius iusta quadam indignatione, eos a se repulsis iusta autem non inaniter dixerim. Afflicto enim non est danda afflictio. Nam iustus es, Domine lIesu, rectus et fidelis, qui neminem supra id quod potest tentari permittis.

Chi non crederebbe che ciò è avvenuto per giusto giudizio dell’ottimo Dio, sebbene si dica che se a qualche grande padre è piaciuto, forse per sua propria volontà, di scrivere ai suoi superiori, non gli si deve, non dico, negare, ma neppure differire la risposta? Se poi un frate semplice e umile per mera sua necessità ha osato scrivere umili lettere, lo si chiama fraticello e subito le sue lettere vengono insaccate e condannate a un perpetuo oblio. La vostra santità — lungi da me il dirlo — vede queste cose, o almeno le conosce da lontano, e con piissimo e benignissimo affetto abbraccia questo umile e semplice frate, anche se disprezzato dagli uomini.

Quis autem non crederet hoc Dei optimi iusto factum esse iudicio, licet enim dicitur, quod si cui magno patri pro mera forsitan sua voluntate ad suos superiores scribere placuerit, nullatenus est ei non dico deneganda, sed neque etiam differenda responsio. Si quis autem frater simplex et humilis pro mera sua necessitate humiles literas scribere ausus fuerit, hunc autem fraticellum vocant, statim in pallii sacculo repositae, perpetuae tradentur oblivioni. Illum autem sanctitas vestra — absit ut dicam — despicit, sed saltem a longe cognoscit, hunc autem humilem ac simplicem, alioquin ab hominibus despectum piissimo ac benignissimo affectu amplectitur.

9159 Che tanta altezza corrisponda ad altrettanta umiltà, questo è palese a ognuno che, pur di poco ingegno, può confrontare le cose grandi con le piccole. E non è indecente, ma assai conveniente e decoroso alla stessa sublimità. Infatti dice san Bernardo che la gemma più splendida dei principali ornamenti del pontefice è l’umiltà.[89] Se si perde, l’acquisto delle virtù diventa uno sfascio. Ma perché non è una gemma splendidissima quella corona del vero Salomone, come sapete, con cui la madre lo incoronò?[90] Intendo parlare di quella corona, paterna eterna corona come lasciata nell’oblio, di cui solamente si è degnata gloriarsi la somma sapienza del sommo Padre. Imparate, disse, da me, non a fabbricare il mondo, pur potendo essendo nato dal Padre, ma perché sono mansueto e umile di cuore,[91] poiché come uomo sono nato da una madre. Ma quanto mite? Egli non rispondeva, così che il presidente ne restava meravigliato.[92] E quanto umile? Se io ho lavato i piedi a voi, io il Signore e il maestro ecc.[93] Io poi sono in mezzo a voi come uno che serve.[94]

Quod tantae sublimitati quantae sit humilitatis nulli non apparet, qui modico ingenio pollens maxima minimis utcunque conferre possit. Ipsi tamen sublimitati non solum non indecens, sed valde conveniens et decorum. Dicit enim divus Bernardus quod nulla est splendidior gemma in omni prae-[413]cipue ornatu pontificis quam humilitas, quae si amittitur, virtutum congregatio non nisi ruina est. Sed cur non gemma etiam splendidissima, quae nostis veri Salomonis est diadema quo coronavit eum mater sua? Diadema, inquam, quo solo aeterna illa paterna corona velut oblivioni tradita, gloriari dignatus summa summi Patris sapientia? Discite, inquit, a me, non mundum fabricare, quia possum ut Deus genitus a Patre, sed quia witis suzz et bumilis corde, quia sum ut homo genitus a matre. Sed quantum mitis? Ipse vero nibil respondebat, ita ut miraretur praeses. Quantum vero humilis? Si ego lavi pedes vestros, ego Dominus et magister etc. Et ego autem in medio vestrum sum sicut qui ministrat.

Ecco le più grandi insegne del sommo re, di cui conveniva che prima di tutti il suo generale e capo fosse adornato, anche se egli ne avrebbe voluto decorare tutti i suoi soldati. Ognuno capisca ciò che il suo animo gli suggerisce, poiché tutti abbondano di ciò che sentono.

Haec sunt ergo summa summi regis insignia, quibus etsi omnes suos milites insigniri voluerit, suum tamen generalem, ducem, primum omnium investiri decebat. Unde quisque quod sibi animus suggererit sentiat; omnis enim proprio sensu abundat.

9160 Io poi, qualunque io sia, riconosco soprattutto in questo il vero eletto di Dio e del nostro Signore, poiché era invero conveniente che il vicario più fedele non fosse degenere dal suo ottimo Signore. Questa, fuori dubbio, è la vera strada attraverso la quale l’eletto di Dio, col suo aiuto e servendolo così fedelmente, meriterà di ascendere con felicissima scala alle altezze dei cieli, e tanto più in alto quanto più profondo giace il fondamento. Faccia Dio ottimo massimo che il gregge a lui accreditato diventi degno di seguirlo finalmente o almeno da lontano. Infatti nella casa del Padre mio, dice l’infallibile Verità, vi sono molti posti.[95]

Ego zutem qualiscunque sim, in hoc praesertim recognosco verum Dei ac Docrni nostri electum; sic enim vere conveniebat fidelissimum vicarium ab optimo Domino suo non esse degenerem. Haec est autem dubio procul vera via, qua dilectus Dei, ipso iuvante, cui tam fideliter servit foelicissimo gradu coelorum alta tandem conscendere merebitur, tanto autem sublimius quanto profundius iacit fundamentum. Faxit Deus optimus maximus ut grex illi creditus tamen demum vel saltem a longe sequi dignus habeatur. Nam in domo Patris mei, inquit veritas infallibilis, mansiones multae sunt.

Confidando allora nel Signore Gesù per questa così sublime umiltà e umile sublimità piu’ di quanto si può credere, non ho avuto timore di proporre questa lettera ai santissimi piedi. Se sono spinto da troppa presunzione, è una spinta, e lo vorrei dire in modo più vero, che mi viene da una necessità del mio Ordine. Se questa è realmente vera o no, spetterà alla vostra santità il giudizio, non alla mia nullità. Per cui totalmente mi abbandono col più grande affetto del mio cuore alle sue santissime mani, in modo che sia accolto benignamente per la sua solita clemenza, oppure venga gravemente castigato per la mia sfrontatezza. Chi sono io da voler star attaccato ai miei sentimenti? Realmente sono indegnissimo di essere sostenuto dalla terra. Così, come è verissimo, potessi veramente credere ed efficacemente esserne persuaso: le opere vi corrisponderebbero.

De hac ergo sublimi humilitate tamque humili sublimitate, supra qua credi potest in Domino Iesu confisus, hanc sanctissimis pedibus proponere epistolam non sum veritus. Quod si nimia praesumptione ductus, mea tamen, videlicet quod verius forte dixerim, religionis meae necessitate compulsus. Quae tamen si vera sit vere nec sanctitatis vestrae, non autem nihileitatis meae erit diiudicare. Cuius quidem sanctissimis manibus plenissimo cordis affectu me totum resigno, quatenus vel pro sua solita clementia benigne sim suscipiendus, vel pro mea temeritate severissime castigandus. Quid enim sum ego ut proprio sensui inhaerere velim? Indignissimus certe quem terra sustineat. Et utinam, sicut verissimum est, ita vere crederem et efficaciter sentirem: fidei etenim opera corresponderent.

9161 Del resto, pur essendo quel che sono, a chi potrei ricorrere, abbandonato in tanta necessità, se non al padre comune e sommo di tutti i cristiani, costituito in terra da Dio ottimo massimo, e così pio e clemente? Clemente in realtà, più clemente nel volto quando si mostra, tanto che tutto il mondo lo dichiara clementissimo. Ma anche i padri carnali cattivi sanno dare le cose buone ai loro figli carnali. Quanto più un così grande e benigno padre spirituale, pieno di amore e tutto commosso, si degnerà di darle ai suoi figli spirituali?[96] E se a tutti, quanto più ai piccoli, come ai più deboli e incapaci di sopportare l’inedia della fame? Tanto più che più umilmente possibile e supplichevoli chiedono non realtà carnali, ma doni spirituali. Sarebbe nefando diffidare di ciò. Tutti lo sanno. Per questo non mi possono far cambiare convinzione la mia nullità o la mia incomparabile incapacità.

Sed tamen qualiscunque sim, ad quem in tanta necessitate relictus recurrere possim, nisi ad communem summumque omnium christifidelium a [414] Deo optimo maximo in terris constitutum patrem, et hunc tam pium tamque clementem? Clemens enim re, clementior autem facie, cum appareat ut quoque clementissimum totus orbis praedicat. Sed et patres carnales etiam mali bona data dare sciunt filiis suis carnalibus. Quanto magis ergo tantus tamque benignus pater spiritualis plenus affectibus ac totibus commotus visceribus, hoc idem concedere dignabitur filiis suis spiritualibus? Quod si omnibus, quanto magis parvulis tanquam infirmioribus famisque inediam pati non valentibus? lisque non carnalia, sed spiritualia dona quam humillime suppliciterque postulantibus? De hac re diffidere nefas esse nemo qui dubitet. Iam non igitur mea nihileitas aut incomparabilis ineptitudo ab huiusmodi re divertere me possint.

Io so, per tacere della facondia o dell’eloquenza, essendo questo sconveniente a un cappuccino, che non ho mai appreso il formulario che si usa di solito quando si scrivono lettere a vostra santità, e neanche potrei scrivere con quella calligrafia degna di essere presentata a tanta sublimità. Ma poiché a nessun vivente, sotto l’urgenza del precetto, e neanche a me è lecito parlare senza fine, se non forse Dio solo, la cui parola è onnipotente e alla cui volontà nessuno può resistere,[97] sia degnato per sua clemenza di fare diversamente. Ed essendo circondato da tante angustie, mi vengono fatte le seguenti proposte: o di diventar pazzo o di impiccarmi o di uscire dall’Ordine.

Scio quidem, ut de facundia aut eloquentia sileam cum etiam nec cappucinum proprie deceat; scio inquam, quod neque formam in scribendis ad sanctiratem vestram literas servari solitam unquam didicerim, neque caracterem qui tantae sublimitati offeratur dignum depingere possim. Cum tamen nemini viventium, urgente praecepto, mihi etiam in perpetuum loqui liceat, nisi forte optimus Deus, cuius ommnipotens sermo, cuius inquam voluntati non est qui possit resistere, alias sua clementia disponere dignatus fuerit. Et insuper tantis ansustiis circundatus, haec quae sequuntur mihi proponuntur ut in furorem verteris vel suspendebis te vel e religione egredieris.

9162 Ma ringrazio il mio Dio che finora mi ha liberato e mi libera da tanti pericoli.[98] In lui ho sperato. La misericordia circonda chi spera nel Signore.[99] Inoltre, se accetto tutto questo con letizia, viene attribuito o a demenza o a costanza di donna o anche a pertinacia e ostinazione, avendomi invece così insegnato con la parola e con l’esempio il Signore Gesù, come modestamente una volta ho risposto. Non so capacitarmi poi come ciò succeda con gravissime penitenze. Forse sono cieco in causa propria, perciò non sono solo.

Sed gratias ago Deo meo qui me bucusque a tantis periculis eripuit et eripiet. In ipso enim speravi. Sperantem autem in Domino misericordia circundabit. Et praeterea, si haec omnia laetus suscipiam, vel dementiae vel constantiae muliebri vel etiam pertinaciae et obstinationi tribuitur, cum tamen ut modeste aliquando respondi, sic me Dominus Iesus et verbo et exemplo docuerit. Unde autem haec etiam cum gravissimis poenitentiis accidant vix scire possum. Sed forsitan in propria causa sum obcoecatus, ergo non solus.

Essendomi una volta capitata una confusione così grave che non si può quasi pensarla più grande, prevedendola il mio guardiano, mi diceva: «Su, su, sta di buon animo; hai agito bene come io ti ho comandato». Un’altra volta, capitatamene una ancor più grande, mi ero già persuaso che essa era come un preludio o una preparazione a una successiva ancor più grande, e chiedevo al mio guardiano se dovessi scrivere ai superiori maggiori esistenti in Italia; egli, dopo averci un po’ pensato, rispose: «Vedendo che Dio ti mette alla prova, ti consiglio di attendere finché non sappia ciò che Egli richiede da te». Su di ciò vorrei qualcosa di più di una risposta modesta. Ma è ben lontano dal concedermela.

Cum autem aliquando mihi facta fuisset tanta confusio, ut vix maior excogitari posset, cam cum praevideret guardianus meus dicebat mihi: Eia bono animo bene fecisti nam sicut praecepi tibi. Alias autem cum multo maior accidisset, sic an hoc apud me iam inolevit, ut una sit mihi tanquam praeludium aut praeparatio postfuturae maioris, et consulerem guardianum meum utrum scribere deberem ad maiores superiores in Italia existentes, tandem re paulisper considerata, respondit: Cum videam Deum sic te exercitare consulo tibi ut expectes donec videas quidnam requirat a te. Super his autem nec non modestae tantum responsionis locum valde cuperem. Sed tantum abest ut mihi concedatur.

9163 Infatti quando, per evitare il desiderio di quel devoto principe di Lorena[100] che richiese alla vostra santità di avermi come confessore suo e della moglie e dei figli (e pareva a me che fosse una richiesta esosa a qualcuno), per evitare, ripeto, tutto questo, feci tale proposta: «Mandatemi allora, se vi piace, in una provincia estera d’Italia, anche nelle Puglie, dove solo potrò essere del tutto dimenticato». «Non là — mi vien risposto — ma resterai chiuso qui in cella per sempre col breviario e la Bibbia. Questo infatti intendo ottenere — disse — dai superiori d’Italia, poiché là saresti considerato santo, e per di più a quel punto vorresti un frate che ti difendesse».

Cum enim ut evitarem desiderium illius devoti principis Lotharin-[415]giae, qui a sanctitate vestra requisivit me sibi, uxori et filiis in confessarium, quod quidem desiderium videbam quibusdam exosum, ut inquam hoc effugerem, haec proposui: Mittite me iam nunc, si placet, in exteram Italiae provinciam, etiam in Apuliam, ibi tantum perpetuae oblivioni tradar. Non ibidem, responditur mihi, sed manebis hic in cellula inclusus in perpetuo cum breviario et biblia. Hoc enim praetendo obtinere, inquit, a superioribus Italiae. Illic enim habereris ut sanctus, sed insuper cuperes illuc fratre ut defenderes.

Così mi venne risposto in diversi tempi, come se non ci fosse Dio che può difendere la mia causa, se è giusta, sia qui che a Roma e nel capitolo prossimo,[101] dove intuisco che mi sarà preparato un boccone amaro; ma diventa dolce quando devotamente penso che il mio Signore Gesù ha bevuto da un calice ricolmo ciò che a me è fatto sorbire in piccolissimi sorsi. È Dio, quindi, e lui solo che opera meraviglie, egli che non si compiace degli stinchi dell’uomo, ma di quelli che lo temono e sperano nella sua misericordia.[102]

Haec mihi facta est responsio diversis temporibus quasi non esset Deus qui defendere possit causam meam, si est iusta, et hic et Romae et in capitulo futuro, in quo fusculum amarum mihi paratum iri intelligo; quod tamen iam dulcoratur cum mente pia revolvo, Dominum meum Iesum pleno calice bibisse quod minimis servitiunculis mihi propinatur. Est Deus igitur et ipse solus qui facit mirabilia, cui quidem non est beneplacitum in tibiis viri, sed super timentes eum et in eis qui sperant super misericordia eius.

9164 Queste cose, padre santissimo, sono costretto a premettere, per non essere forse in grado di compiere ciò che ho iniziato. Infatti se sarò stato prevenuto non temo, confidando nel Signore Gesù, di inviare anche una imperfetta lettera per l’estrema inaudita benevolenza di vostra santità.

Haec, sanctissime pater, praemittere constrictus sum, ne forte quod incepi perficere valeam. Si enim praeventus fuero etiam imperfectam epistolam de tam inaudita sanctitatis vestrae benivolentia, in Domino Iesu confisus mittere non revereor.

Ma per ritornare al proposito della mia umilissima accusa, poiché devo anche scrivere di nascosto (sono tenuto d’occhio notte e giorno), tutte queste cose, è chiaro, sono piene di mende e di cancellature. Tuttavia, piamente e con fiducia credo che un padre così benigno presterà attenzione non a ciò che sono, che posso e che ho scritto, ma a ciò che ho chiesto e che egli vorrà dare. E non anche per il fatto che, per la mia già accennata inettitudine, spieghi diffusamente e con molte parole ciò che dovrei brevemente e in poche parole esprimere, soprattutto quando le lettere possono sostenere molte obiezioni, ma le sue, come essi riportano, non ricevono risposta.

Ut autem ad propositum humillimae accusationis meae redeam, cum etiam furtive scribere mihi opus sit — nocte enim et die diligenter observor — omnia haec, ut perspicuum est, mendis et lituris sunt plena. Pie tamen fiducialiterque credo tam benignum patrem, non quod sim, quod possim et quod scripserim, sed quod petierim et quod dare voluerit attensurum. Neque etiam si, mea praetacta ineptitudine, quod succincte et paucis admodum verbis deberem illud diffuse et quamplurimis exprimam, et praesertim cum literae multas quidem sustinere possint obiectiones, suas tamen ut ferunt non habeant responsiones.

9165 Eppure i padri ascoltano non meno benignamente che dolcemente anche i bimbetti balbuzienti, che a mala pena sanno esprimere con dieci parole tortuose il loro concetto che dovrebbero dire con una sola parola. Perché dunque dovrei diffidare che questa grande carità di tanto padre non sia per coprire la moltitudine di così innumerabili miei difetti?

Sed et infantulos balbutientes conceptumque suum quem uno deberent vis decem anfractis verbis exprimere valentes, non minus suaviter quam benigne patres obaudiunt. Ut quid quid ergo tantam tantique patris charitatem, horum tam multorum defectuum meorum multitudinem operturam esse diffiderem? [416]

Chiedendo perciò, beatissimo padre, il miglior perdono di vostra santità, pur assente col corpo, ma presente con lo spirito,[103] con altrettanta possibile riverenza interiore prostrato e steso ai vostri santissimi piedi, e abbracciandoli amabilmente e baciandoli devotamente con labbra impure, ora, spinto da un amore riverenziale e filiale, non dubiterò di proseguire, ciò che ho avuto ardire di presumere per troppa confidenza.

Obtenta igitur, beatissime pater, sanctitatis vestrae optima venia, corpore licet absens, spiritu tamen praesens, ad sanctissimos pedes cum possibili cordis inclinatione prostratus ac provolutus, eosdemque amabiliter amplexatus atque polluto licet ore devotissime osculatus, quod nimia hac confidentia ausus sum praesumere, iam prosequi non dubitabo, reverentiali quodam atque filiali ductus amore.

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Fig. 3 – Le due province-madri francesi: Parigi e Lione

Queste due cartine geografiche dell’Atlante cappuccino di Silvestro da Panicale raffigurano l’espansione degli insediamenti cappuccini nelle province di Parigi e di Lione. La prima diede origine alle province di Turenna, Bretagna, Normandia, Lorena e Champagne; la seconda originò le province di S. Lodovico o Provenza, di Savoia, Borgogna, Tolosa e Aquitania, e a metà del sec. XVIII, quelle di Avignone e di Marsiglia.

(Atlante cappuccino cit., 41 e 33)

[Esposizione dei fatti e deliberazioni antecedenti]

9166 Già da circa tre anni, io e alcuni miei fratelli, considerando lo stato presente del nostro Ordine, pensavamo ad una sua riforma; e poiché comprendevamo che non poteva realizzarsi per altra strada che per l’umile ricorso alla vostra santità, ci animammo pi di prima quando venimmo a conoscere che questa situazione era ben nota a vostra beatitudine, avendogliela riferita un buon frate, che per questo venne maltrattato, come chiaramente comprendemmo da certe frasi; e ci esortavamo a vicenda non inutilmente, poiché molto confidavamo nel Signore Gesù di ottenere per questo il benevolo favore di vostra santità.

Tribus vel circiter abhinc ‘annis aliqui ex fratribus meis mecum considerato quid nunc est religionis nostrae statu, de aliquali eiusdem reformatione agebamur; quam quidem, cum nulla alia via quam per humilem recursum ad sanctitatem vestram prosequi posse intelligeremus, maiorem quam antea nobis invicem animum fecimus, cum audissemus beatitudini vestrae eumdem statum satis innotuisse, quodam bono fratre eidem revelante, quem propterea male tractatum ex quibusdam verbis satis aperte colligimus; nec immerito nos invicem hortabamur, quia ex hoc sanctitatis vestrae favorem benivolum facilius obtenturos, plurimum in Domino Iesu confidebamus.

Ma nel frattempo, essendo con l’andar del tempo stata scoperta in qualche maniera la cosa, viene denunciata al superiore. Vengo interrogato per questa semplice denuncia e poi mi si comanda, sotto pena di caso riservato e davanti a molti testimoni, di rivelare di che si trattasse e con chi avessi trattato di questo affare. Mi si intimò di nuovo, sotto la stessa pena, di rivelare se avessi magari creato scandalo, direttamente o indirettamente, presso qualche secolare circa uno o più fratelli, sia prelati che sudditi. Tutto spaventato da questo insolito precetto, subito senza indugio scoprii l’intimità della mia coscienza, e questo e quanto dico in proposito, grazie a Dio ottimo, non arrossirei di rivelare di nuovo ora o quante volte fosse necessario.

Sed interim cum aliquo temporis successu res tandem aliquomodo detecta fuisset, ad superiorem denunciatur. Ad simplicem autem denunciationem interrogatus sum ac postea sub poena casus reservati revelare iussus sum, etiam coram multis testibus, quid et cum quibus de huiusmodi re egeram. Sed et sub eadem poena iterum iussus sum revelare, si forte aliquem vel plures fratres sive praelatos sive subditos, directe vel indirecte, apud quoscumque seculares algcando scandalisarem. Quo quidem tam insolito praecepto totus perterritus, sive mora aliqua, omnia conscientiae meae intima aperui, quae tamen Deo optimo gratias, etiam nunc vel quoties opus esset iterum revelare non verecundarem, quantum ad propositum dico.

9167 Assolti completamente gli altri, io solo rimasi penitenziato come loro seduttore, io stesso sedotto; ma se era una seduzione, non ero stato io il primo motore, ma forse un fedele coadiutore del primo motore, che però non volli nominare, e questo a lui nel Signore come sperimentò. Ne risultava questo giudizio su di me: che, stimandomi forse più presuntuoso che adatto, costoro mi affidavano tutto l’affare, soprattutto perché io speravo, mediante alcuni principi che teneramente mi amavano, di poter aver accesso ai santissimi piedi.

Inzerim autem caeteris penitus ferme absolutis, solus remansi poenitentiatus, ut aliorum seductor, ipse tamen seductus; si seductio erat, non enim fueram primus motor, sed primo motori fidelis forsitan coadiutor, quod tamen intimare nolui, et hoc illi in Dominum sicut expertus est. Ex hoc autem talis habebar: quod ipsi praesumptiorem forte magis quam aptiorem me existimantes, totum hoc negocium mihi commendabant, et praesertim cum aliquem accessum ad sanctissimos pedes me habiturum, sperarem mediantibus quibusdam principibus singulari quodam amore mihi coniunctis.

In simile puntiglioso esame il superiore maggiore, col quale si trattava la cosa, tutto canuto e nato in Italia,[104] che allora ci raccontava cose meravigliose e addirittura incredibili del primo fervore di questa nostra riforma, particolarmente riguardo alla povertà, semplicità e disprezzo di sé; proprio costui mi disse, in privato e davanti ai frati, forse sentendo rimorso nella coscienza: «Io non voglio del tutto allontanarti da questo tuo proposito, né sarebbe possibile, dal momento che ti è venuto una volta in mente; ma non hai osservato il modo dovuto e non hai atteso il tempo opportuno. Se a Dio ottimo piacerà che tu prosegua un giorno quest’opera e la realizzi, ciò avverrà sulla tua pelle, cioè attraverso molte tribolazioni». Anche un altro buon padre, dotato di singolare virtù e zelantissimo della sua Regola, mi disse: «Certo, se tu avessi ottenuto l’intento, avresti avuto immediatamente molti seguaci».

In illa autem tam stricta examinatione, superior maior, apud quem res agebatur, qui erat totus canus ex Italia natus, quique tunc miranda vel etiam vix credibilia nobis recitabat de primo fervore istius nostrae reformationis, et praecipue quantum ad paupertatem, simplicitatem ac sui ipsius [417] contemptum. Ille, inquam, dixit mihi, et in particulari et coram fratribus, propria forsitan conscientia ipsum remordente: Ego quidem nolo te omnino ab hoc tuo proposito divertere, neque enim fieri poterit, cum iam tibi semel in mentem venerit; sed neque debitum modum observasti nec tempus opportunum expectasti. Quod si Deo optimo placuerit ut hoc opus aliquando prosequaris et obtineas, hoc quidem erit propriarum scapularum impensis, per multas scilicet tribulationes. Sed et quidam alius bonus pater, singulari virtute praeditus ac regulae suae zelantissimus, dixit etiam mihi: Profecto, si hoc obtinuisses, multos confestim socios habuisses.

9168 Da queste due espressioni come dettemi da Dio, facendomi coraggio, non potei mai desistere dal mio proposito. Ma vedendo che impediva un po’ la mia crescita spirituale, più spesso pregavo l’ottimo Dio che si degnasse di togliermelo. Ma, lo dico da insipiente, mi avveniva esattamente l’opposto e sentivo che mi si accendeva dentro ancor più forte. E poiché temevo che si trattasse piuttosto di tranelli diabolici che di un’ispirazione dello Spirito Santo, trovai un buon padre molto zelante della Regola al quale aprii nel segreto della confessione tutto il mio desiderio e insieme lo pregai che mi dicesse con libertà tutto ciò che ne pensava, cioè se dovevo pentirmi di quel peccato e lasciarlo. «Non sia mai! — disse — Anzi ti esorto di perseverare in questo proposito-e di confidare sempre nel Signore».

Ex his ergo utriusque verbis tanquam a Deo mihi dictis, bonum mihi faciens animum, a proposito meo numquam desistere potui. Sed cum illud qualemcumque profectum meum spiritualem impedire cernerem, saepius orabam ut Deus optimus illud a me auferri dignaretur. Sed, in insipientia mea dico, contrarium mihi accidebat: tanto magis enim illud in me accendi sentiebam. Et cum nihilominus timerem ut hoc esset potius fallacis diaboli immissio quem Spiritus Sancti inspiratio, aliquem bonum patrem suae regulae multum zelanrem [in]veni totum desiderium meum in secreto confessionis illi aperiens, simulque eum rogans ut quicquid de eo opinaretur libenter mihi diceret, utrum videlicer illius tamquam peccati poenitere deberem et ab illo desistere. Absit hoc — inquir — a te, immo potius te exortor ut in eo persistas ac semper in Domino confidas.

Passato qualche tempo, avvenne che il sopraccennato superiore, quasi rimproverandomi, dicesse: «Perché, data tale occasione, non hai proseguito questa riforma? È certo che se tu l’avessi ottenuta, avresti fatto una cosa molto decorosa». Io non so, Dio lo sa, perché mi avesse parlato in quel modo. Ma mi incoraggiava più di prima. E inoltre, ciò che più vale, mi dava una certa consapevolezza di realizzare il desiderio, della quale fino a quel momento avevo molto dubitato, forse a sua insaputa e permettendolo, nella sua speciale provvidenza, Dio ottimo, come piamente credo. Allora non sapevo dove dirigermi, essendo circondato da molte angustie. Una cosa mi mancò sempre e ancora mi manca: che essendo separati gli uni dagli altri, già fin d’allora non era lecito parlare tra di noi né scriverci, specie su questo argomento, e ciò sotto pena di caso riservato.

Sed er postea aliquo temporis successu accidit ut praedictus superior mihi quasi exprobrando diceret: Quare, inquit, data tali occasione istam reformationem non prosequutus est? Certum est enim, quod si eam obtinuisses, magnum decorem fecisti. Ego autem nescio, Deus scit, qua de causa hoc mihi proponeret. Sed maiorem quam antea animum mihi faciebat. Et insuper, quod magis erat, certam conscientiam desiderii consequendi mihi dabat, de qua tamen illuc usque valde dubitaveram, illo forsitan nesciente et Deo optimo speciali quadam providentia, ut pie credo, id permittente. Tunc enim quaquaversum ire nesciebam, multis circundatus angustiis. Unum autem semper mihi defuit et adhuc deest: quod ad nos invicem scribere licet, de hac re praesertim, et hoc sub poena casus reservati.

[«Umile petizione»]

9169 Io costretto a ciò da ogni lato, per quale via Dio lo sa, io no, confidando con tutta certezza se è lecito dire, o pure conoscendo che perdurano fermi e radicati in questo proposito, e lo deduco sia dalla loro grande protesta sia da certi indizi che vedo e sento; io, dico, minimo loro vermiciattolo in propria persona e in quella di loro confidando grandemente nel Signore Gesù per tanta benignità di vostra santità, come ho detto sopra, dopo il più umile bacio dei santissimi piedi con tutta la riverenza del cuore, chiedo supplichevole alla stessa che, dando benevolo favore ai pii voti e onesti nostri desideri — se così li giudica — si degni concederci che, separati dalla comunità, possiamo costruire una casa poverissima sul modello dei primi padri di questa riforma e in quella vivere secondo la pi stretta osservanza della Regola nostra, riformandoci in tutte quelle cose in cui vediamo che essa si è sopra modo rilassata, ma particolarmente — per quanto attiene all’aspetto esterno — nella sontuosità degli edifici, nella curiosità dei vestimenti e nell’eccessiva abbondanza e superfluità dei cibi.

Ego autem undecunque ad hoc constrictus, qua via autem, Deus scit, nescio, cum certo certius si dicere licet confidam, aut etiam cognoscam illos in hoc proposito firmos et stabilitos persistere, quod plus satis colligere possum, tam ex maxima eorum protestatione tum etiam ex certis quibusdam indiciis quae video et audio; ego, inquam, eorum minimum vermiculus in propria ac ipsorum persona de tanta ut supra sanctitatis vestrae benignitate quamplurimum in Domino Iesu confisus, post sanctissimorum pedum cum tota cordis inclinatione humillimam deosculationem, eamdem quam supplici[418]ter exoro, quatenus piis votis honestisque — si talia iudicentur ab illa — desideriis nostris favorem benivolum impertiens concedere nobis dignetur, ut a communitate separati pauperrimam domum primorum patrum huius reformationis more nobis possimus construere atque in ea secundum strictissimam regulae nostrae observantiam vivere, nos reformantes in omnibus in quibus etiam supra modum eam relaxatam esse conspicimus, sed praecipue — quantum attinet ad exterius — in aedificiorum sumptuositate, vestimentorum curiositate, victusque nimia abundantia ac superfluitate.

9170 Per quanto, invece, riguarda l’interno, nella maggiore assiduità all’orazione, nell’osservanza piu’ stretta del silenzio e custodia più sollecita della solitudine attraverso un deciso taglio dei discorsi superflui, e, per finire, in tutto ciò che attiene alla perfezione evangelica, alla quale per voto siamo obbligati di tendere. Possiamo costruire, ripeto, questa casa poverissima in qualche zona della Francia che vostra santità vorrà stabilirci, o almeno che noi vediamo più idonea e adatta al nostro proposito.

Quantum autem ad interius, in orationis maiori assiduitate, silentii strictiori observantia solitudinisque sollicitiori custodia per superfluorum discursum rescisionem, atque tum demum in omnibus quae facere videntur ad evangelicam perfectionem, ad quam voto adstricti tendere obligamur; hanc, inquam, pauperrimam domum construere in aliquo Galliae loco quem vestrae sanctitati nobis constituere placuerit vel saltem quem ad propositum nostrum magis idoneum aptioremque noverimus.

Possiamo vivere in essa soprattutto per mezzo di un onesto lavoro delle nostre mani, secondo la vera intenzione del beatissimo padre nostro san Francesco, che egli significò chiara più della luce nella Regola, insegnò efficacemente durante la vita con parole e con l’esempio e ingiunse con decisione nel suo testamento; ma anche attraverso l’elemosina chiesta di uscio in uscio, che è il secondo modo di vivere che egli ci ha lasciato e concesso.

Vivere, inquam, in illa possimus tum et praecipue ex honesto manuum nostrarum labore secundum veram intentionem beatissimi patris nostri sancti Francisci, quam in regula luce clarius expressit, in vita verbo et exemplo efficaciter docuit ac in testamento suo firmiter iniunxit; tum etiam eleemosinis hostiatim petitis, qui est secundus vivendi modus, quem nobis reliquit et concessit.

Inoltre possiamo anche accogliere altri con noi, quelli che vediamo veramente fermi e radicati nello stesso proposito, o possiamo riceverne almeno dodici o anche più, se piacerà alla santità ‘vostra. E questo sotto l’immediata obbedienza del reverendo padre generale, il quale soltanto, e non per mezzo di un altro, possa visitarci, riprendere e correggere ogni qual volta gli sembrerà opportuno. Egli tuttavia, o altri, sia secolari o regolari di ogni condizione o dignità, non possano essere di impedimento in tutte e singole queste cose. Non ostante qualsiasi[105] ecc.

Item quod alios etiam nobiscum possimus recipere, illos inquam quos in eodem proposito vere firmos et stabilitos esse noverimus vel saltem usque ad duodenarium numerum vel etiam plures, si sanctitati vestrae bene placuerit. Et hoc sub immediata obedientia reverendi patris generalis, qui per se solum et non per alium possit nos visitare, reprehendere ac corrigere, quando et quoties sibi videbitur expedire. Qui tamen aut alii, tum seculares tum regulares cuiuscunque status aut dignitatis existant, in his omnibus ac singulis nos impedire non possint. Non obstantibus quibuscunque etc.

9171 Ecco, santissimo padre, la supplichevole e umile richiesta di questi vermiciattoli del tutto indegnissimi d’ogni bene, e volesse il cielo che bastasse averla così semplicemente e assolutamente esposta e non ci fosse più bisogno di munirla o di provvederla delle dovute modalità. Abbiamo una grande paura, infatti, di offendere le pie orecchie di coloro che sentono tali e così importanti cose, e di scandalizzare il prossimo. Tuttavia, al dire di san Gregorio, è meglio che nasca scandalo piuttosto che tralasciare la verità.[106]

Haec est ergo, sanctissime pater, vermiculorum horum eique penitus bono indignissimorum supplex et humilis petitio, quam utinam simpliciter et absolute proposuisse sufficere, nec debetis eam rationibus utcunque munire vel concomitare opus esset. Piissimas enim aures tantis tantaeque importantiae rebus iugiter intendentes, vehementer timemus offendere et proximum scandalizare. Sed tamen, ut dicit divus Gregorius, melius est ut scandalum oriatur quam veritas relinquatur.

Quelle cose che intendiamo dire, le proponiamo al più clemente dei padri che può essere di grande aiuto senza fare nessun torto. Ma nulla è contro l’Ordine (via da noi questo!), anzi siamo fiduciosi di agire a favore di esso, qualora sembrasse a qualcuno che noi condanniamo o riveliamo eventuali disordini. L’Ordine non accetta nulla di disordinato. Per cui siamo di giovamento a coloro che amano l’Ordine e speriamo fuori dubbio che non saremo molesti, anzi diventeremo graditi più di quello che si possa pensare, poiché offriamo o diamo loro sia l’opportunità di lodare Dio sia la libertà di soddisfare al loro desiderio giusto e certamente necessario, se però realizziamo efficacemente ciò che fedelmente chiediamo. Dio ottimo massimo lo realizzi!

Ea autem quae dicere intendimus patri omnium clementissimo, qui multum potest prodesse et nullatenus [419] obesse ea proponimus. Sed nec et quicquam adversus Ordinem, quod absit a nobis, immo pro Ordine facere ommino speramus, si quid forsitan inordinatum damnare vel revelare videmus. Nullum enim inordinatum Ordo recipit. Unde diligentibus Ordinem molestos nos fore nullatenus iuvemus, immo gratos admodum, etiam supra quam credi potest nos futuros certo certius speramus. Cum eis et Deum laudanti occasione, iustoque ac certe necessario suo desiderio satisfaciendi libertatem offeramus vel procuremus, si tamen quod fideliter petimur efficaciter consequamur. Quod faxit Deus optimus maximus.

[Altre precisazioni e specificazioni]

9172 Allo scopo di ottenere più facilmente l’assenso a questa nostra umilissima petizione, proponendola col dovuto ordine a vostra santità, aggiungiamo queste cose con ogni possibile modestia e riverenza.

Hanc ergo nostram perhumilem petitionem, ut debito ordine sanctitati vestrae proponentes facilius impetremus, haec quae sequuntur cum possibili nobis modestia ac reverentia dicimus.

In primo luogo, noi conosciamo tre buoni padri, molto avanzati in età, dotati di grande virtù fino a manifestarla con miracoli, e di non minore scienza, almeno per due di loro. Essi di comune accordo, pur con parole leggermente diverse, poco prima di morire hanno dichiarato che lo stato del nostro Ordine è cambiato come il giorno nella notte, e questo non all’inizio della riforma, che sarebbe incredibile a tutti, ma solo nel giro di tre anni. Uno di loro, cioè l’ultimo, lo disse espressamente. Da quando quell’ultimo frate disse queste cose, sono già passati quattro anni, più o meno. Questo probabilmente avviene come quando si chiede a certi buoni e antichi padri se l’Ordine fu sempre in tale stato; essi rispondono non con parola, ma con gli occhi, in modo buono e conveniente come fanno i bambini — e lo sono veramente in quanto a malizia — che non sanno difendersi. Si guardano molto da se stessi.

Primo, quod novimus tres bonos patres aetate multum provectos, magna virtute usque ad miraculorum ostensionem praeditos, nec minori scientia, saltem quantum ad duos, qui omnes uno consensu, terminis licet paulo diversis non diu ante mortem suam protestati sunt statum nostrae religionis mutatum esse sicut dies in noctem, et hoc non a principio reformationis, quod etiam plusquam credibile omnibus appareret, sed in tribus tantum annis sicut unus ex illis ultimus videlicet propriis terminis expressit. Ex eo autem tempore, quod haec dicta sint ab illo ultimo, iam anni quatuor vel circiter transacti sunt. Hoc inde accidit forsitan ut cum quaeritur a quibusdam bonis ac antiquis patribus fueritne religio semper in tali statu, respondent non quidem ore, sed oculis et hoc bene ac convenienter more infantium — ipsi malitia vere infantes — defendere se non valentium. Caveant enim sibi.

9173 In secondo luogo, uno dei tre padri, giunto alla perfezione di ogni virtù (così era considerato da noi e lo era realmente, come piamente penso) disse che su nove cappuccini uno solo si sarebbe perduto. Un altro padre, che però non abbiamo conosciuto, asserì che su cento, solo dieci si sarebbero salvati, e ci si può quasi credere.

Secundo, unum ex illis tribus praedictis, omni virtutis perfectione consummatum, talis enim habebatur apud nos et vere sic erat, ut pie credo, dixisse ex novem capuccinis, unus solum non fore salvandum. Alium vero petrem quem tamen non novimus, ex centum, decem, quod in fidem fere creditur.

In terzo luogo, sono numerosi coloro che, pronti ad emettere la professione, dicono di non osare esporsi alla votazione. Ma anche a riguardo di ciò, essendo stato chiesto, molti anni or sono, a un padre virtuoso e dotto, che si dovesse fare in questo caso per assicurare la coscienza: «Basta — rispose — dare il voto, intendendolo dare come a un soggetto adatto e idoneo alla religione», come se volesse dire che lo stato religioso non gli è utile. Questo diceva che si può fare per tranquillizzare la coscienza. Ma chi non vede che sarebbe meglio per loro non fare la professione, piuttosto che, dopo averla emessa, tornando sui loro passi, diventare apostati con grave scandalo, come ultimamente, e solo nel periodo da un capitolo all’altro, ne sono stati contati ben cinquecento, anche escludendo coloro che, pentiti, sono poi rientrati; oppure subito pensano di passare all’Ordine dei certosini,[107] non avendo trovato quello che speravano, come avvenne a quel buon agostiniano,[108] al quale vostra santità diede licenza di rientrare nel precedente suo Ordine; era buono, dico, devoto e umile: sempre da tutti ricevette questa testimonianza, anche dai suoi contrari che finora non possono negare.

Tertio, plures non deessse qui ad professionem paratis, vocis suffragium se praebere non audere asserant. Sed et de hoc, cum a pluribus iam annis quaereretur a quodam patre et virtute et scientia praedito, quidnam videlicet agendum esset in tali casu pro conscientiae securitate: Sufficienti, respondet, si des vocem, intendas dare quasi apto et idoneo ad religionem, quasi diceret non quod status religionis sit ei utilis; hoc inquam, dicebat fieri posse ad conscientiam securandam. Sed quis non videat satius eis esse professionem non emittere quam post emissam vel retrocedentes cum maximo scandalo fieri apostatae, sicut nuper inventi sunt quinquenti ab uno tantum ad aliud usque capitulum, etiam demptis iis qui resipiscentes reversi fuerant; vel statim cogitent de ingrediendo chartusianorum religionem, cum non in-[420]venerint quod sperabant, sicut accidit bono illo augustiniano, cui sanctitas vestra ad pristina redeundi licentiam concessit, bono inquam devoto ac humili: tale enim testimonium semper habuit ab omnibus, etiam a contrariis, qui usque huc non possunt negare.

9174 Di lui offro questa testimonianza e protesto davanti a Dio, ai suoi angeli e a vostra santità che, da sei anni e mezzo circa, con stupore non pensava che lo stato dell’Ordine fosse così e mi chiese se dovesse entrare nell’Ordine dei certosini. Io gli risposi: «Vorrei che tu procedessi con piu’ maturo giudizio», lasciandogli la speranza di poter realizzare anche questa nostra riforma o recollezione; ma essendo poi impedita, alla prima occasione accettò di ritornare all’Ordine precedente.

De eo quidem tale testimonium do et protestor coram Deo, angelis eius et sanctitate vestra quod a sesqui anno vel circiter admirans statum religionis quem talem non putabat, consuluit me deberetne ingredi dictam chartusianorum religionem, cui respondens dixi: Maturius circa hoc te habere vellem; simul etiam istius nostrae reformationis sive recollectionis consequendae spem ei relinquens, qua quidem impedita, data occasione consensit reditui ad primam.

Ciò protesto, santissimo padre, spinto dalla carità fraterna, perché, pur essendo quel padre proclamato da tutti innocente, ho sentito che meriterebbe di essere condannato ai triremi. Ma ho sentito anche quest’altre voci: che il suo processo sarà finito prima che egli raggiunga Roma. Ho i miei dubbi che un infedele, che non crede nella singolare provvidenza di Dio, avrebbe potuto dire tali parole. Ma l’ho detto fra parentesi, spontaneamente per mio obbligo e senza che nessuno lo sappia.

Haec inquam, sanctissime pater, protestor, charitate fraterna adstrictus, cum enim ab omnibus proclametur innocens, audivi tamen quod forte triremium pena sit plectendus. Sed hoc et aliud verbum audivi: processus suus erit conclusus anteguam pervenerit Romam. Verbum inquam quod diceret nescio quis infidelis, qui singularem Dei providentiam non crederet. Haec autem pro obligatione mea proprio motu ac nemine sciente dixerim per parenthezim.

9175 Per ritornare all’argomento, sarebbe meglio per loro non essere ammessi alla professione, piuttosto che poi, penitenziati, dicano: «Se avessi saputo queste cose, non avrei mai fatto la professione», come avvenne a quel frate Angelo, già conte di Bouchage, ora detto duca di Joyeuse a disprezzo del nostro Ordine e vergogna della santa madre Chiesa. Gli eretici egregiamente sanno usare queste espressioni per moltiplicare le loro profane e blasfeme derisioni. Confido tuttavia ancor più nel Signore Gesù che egli rientrerà, se verrà a conoscere che vostra santità ci ha dato benevolo favore. Per natura è docile e umile. So che mi amava, pur senza mio merito, ma anche si lamentava molto con me per il mal esempio che riceveva nell’Ordine. E così andavamo insieme pensando a qualche riforma, stretti a questo patto, che pur essendo separati e lontanissimi, ci dovessimo aiutare come se fossimo presenti. Da lui noi speravamo di poter ottenere libero accesso ai santissimi piedi.[109]

Ut aurem ad propositum redeam, latius inquam illis esset non admitti, quam postea facti poenitentes dicant: Si haec scivissem, nunquam professionem emisissem, sicut accidit fratri illi Angelo, olim comiti de Bouchage, nunc autem dictus dux de Joyeuse in religionis nostrae improperium ac sanctae matris Ecclesiae contumeliam. Hoc enim verbo uti bene norunt haeretici ad suas prophanas blasphemasque derisiones multiplicandas. De cuius tamen reversione plus satis in Domino Iesu confido, si tamen audierit [421] sanctitatis vestrae favorem benivolum nobis impertitum. Natura enim docilis est et humilis. Novi enim quod diligebat me licet immeritum, sed et mecum conquerebatur valde de mala aedificatione sibi data in religione. Unde etiam iam inter nos agebamus de aliquali reformatione, tali foedere coniuncti, ut vel etiam remotissime separati tanquam praesentes nos invicem iuvaremus. De eo autem quamplurimum sperabamus quod ad sanctissimos pedes liberum accessum habere posset.

9176 In quarto luogo, diciamo che una piissima e devotissima persona ebbe a proferire a noi una sentenza molto tremenda e d’estrema meraviglia, dicendo che i cappuccini sono i più miserabili di tutti e degni di essere calpestati da tutti e disprezzati. Per cui più nessuno si degnerà di far loro elemosina, e i giovani che verranno da loro, constatando di non poter osservare la Regola promessa, saranno costretti a ritornare in famiglia, in modo da poterla osservare vivendo di elemosine quotidiane. E questo avverrà presto e la gente così sarebbe venuta a conoscenza della loro ipocrisia. Tutti i frati devoti e zelanti della Regola vedono qui non una semplice sentenza, ma una profezia, e come tale anche un buon padre generale cercava di fissarla nella memoria di tutti i frati.[110] E volesse il cielo che il rumore dei suoi passi non si senta più alla porta, se tuttavia non ha già iniziato ad entrare.

Quarto, dicimus quod quadam piissima ac devotissima persona sententiam formidabilem valde ac supra modum obstupescendam in nos iam dudum satis protulit, dicens cappucinos omnium fore miserabiliores ab omnibusque conculcandos et despectui habendos. Unde nemine eis amplius eleemosinam largiri dignante, iuvenes qui ad eos venerint, videntes se non posse regulam promissam observare, suae salutis operandae necessitate, secus parentes redire compellentur, quatenus eorum quotidianis eleemosinis victitantes dictam suam regulam valeant observare. Et hoc inquit statim atque eorum hypocrisia in vulgi cognitionem devenerit. Hanc autem non tam ut simplicem sententiam, quam ut prophetiam tenent omnes fratres devoti suaeque regulae zelantes, sed ut talem, quidam bonus pater generalis fratrum omnium memoriae conabatur imprimere. Et utinam pedum eius sonitus iam non audiretur ad ostium si tamen nondum cepit ingredi.

Da queste cose, dunque, se non andiamo errati, risulta abbastanza chiaro in che stato si trovi il nostro Ordine, e se abbiamo avuto la presunzione di ricorrere alla santità vostra spinti dalla necessità ovvero soltanto da superficialità d’animo. Noi però sottoponiamo tutte queste cose e noi stessi umilmente al suo incomparabile giudizio, come è conveniente. Ma se le cose stanno così, chi potrà salvarsi? Sono grandi e mirabili i tuoi giudizi, Signore.[111] Chi, considerando diligentemente tutto ciò, non direbbe che debbano apparire forse cose ancor più mirabili unicamente fra i cappuccini, più che negli altri uomini di tutto il mondo? Che stupore sarà vedere tanti santi (così ci considerano, ma non siamo tali) scaraventati con somma ignominia nel baratro infernale? Proprio coloro, dico, le cui fimbrie dell’abito si cerca di baciare con devozione?

Ex his ergo, ni fallimur, satis liquet in quonam statu sit nostra religio, et utrum vel necessitate vel sola animi levitate ducti ad vestram sanctitatem recurrere praesumpserimus, cuius tamen incomparabili iudicio et haec omnia et nos ipsos, ut fas est, quam humiliter submittimus. Sed si ita est, quis salvaci poterit? Magna igitur et mirabilia sunt iudicia tua, Domine. Quis autem haec apud se diligenter perpendens non diceret mirabiliora forte apparere debere in solis cappucinis quam in ceeteris totius mundi hominibus? Quam stupendum enim erit tot sanctos; sic enim habemur sed non sumus, in inferni barathrum cum tanta ignominia videre detrudendos? Eos inquam quorum vestimenti fimbria devoto corde quaeritur deosculanda?

9177 Perciò ora, soprattutto per noi cappuccini, è tempo di misericordia e della divina provvidenza. Allora saranno giorni d’ira, giorni di calamità e di miseria.[112] A chi più è stato dato, più verrà chiesto.[113] E chi ci insegnerà a fuggire l’ira che ci sovrasta?[114] A coloro che fuggono d’inverno o in giorno di sabato[115] non neghi la santità vostra la città del rifugio, e a coloro che si affaticano a remare non manchi il solito e benigno suo aiuto. Ad essa infatti sono rivolti î nostri occhi per non perire,[116] perché a colui che vuole che tutti si salvino[117] non piace che noi ci perdiamo. Penso che sarebbe infame dire che il Signore desidera grandemente questo e che il suo sommo vicario non aderisca a questo suo forte e anelante desiderio. Per cui noi aspetteremo non solo che ci venga benignamente concesso ciò che chiediamo, ma anche che ci venga comandato di essere da lei assolti. Di conseguenza pensiamo giustamente che questo basti al nostro proposito.

Nunc ergo nobis praecipue cappucinis dies est misericordiae ac divinae providentiae. Tunc autem dies irae, dies calamitatis et miseriae. Cui enim plus datur, ab eo etiam plus quaeritur. Et quis ostendet nobis fugere ab ista ventura ira? Fugientibus ergo ante diem byemis vel sabbathi non deneget sanctitas vestra civitatem refugii, laborantibusque in remigando suo solito ac benigno non desit auxilio. Ad eam etenim sunt oculi nostri ne pereamus, neque enim nos perire beneplacitum est ei qui vult omnes salvos fieri. Nefas ergo dicere putem hoc tantopere Dominum exoptare et suum summum vicarium eidem vehementi et anheloso desiderio non annuere. Unde postulatum non iam tam benigne concedendum, quam nobis ab ea absoluti praecipiendum expectabimus. Et consequenter haec non immerito ad propo-[422]situm sufficere existimamus.

[Punti di riforma]

9178 E poiché abbiamo detto sopra che noi desideriamo riformarci, nelle cose esterne, soprattutto per quanto attiene agli edifici, al vitto, al vestito, di queste cose proporremo con la stessa confidenza alcune cose delle molte che abbiamo visto e conosciuto.

Quia tamen supra diximus nos reformare cupere, ut attinet ad exterius, praecipue quantum ad aedificia, ad victum, ad vestitum: ex his pauca, ex pluribus quae vidimus et novimus, eadem quae supra confidentia proponemus.

E in primo luogo per quanto si riferisce agli edifici.

In queste parti di Lorena c’era una nobilissima principessa, devota invero e umile, ma forse piuttosto pesante perché vecchia, la quale avendo finalmente ottenuto, dopo averlo tanto richiesto, che i frati si stabilissero nel suo dominio, piangendo poi dirottamente anche davanti a loro si lamentava che il suo convento, che comprendeva solo 16 celle, fosse costato 25.000 franchi. E rimproverava gli stessi frati, come ho visto e sentito. Precisamente così disse: «Voi andavate dicendo che avreste fatto quello che invece non fate». Lo stesso diceva anche il cappellano del principe, ma un po’ più duramente. Persino i suoi servitori dissero una volta ai frati: «Sarebbe meglio che voi vi teneste in casa i vasi». Poiché i frati erano importuni, come sanno bene chi abitò in quel convento.

Et primo quantum ad aedificia. Erat in his Lotharingiae partibus quaedam princeps nobilissima, devota quidem et humilis, sed satis forsitan gravis quia vetula, quae quidem concupiscenti animo cum fratres tandem obtinuisset in suo dominio commorandos, abundanter postea lachrymando, etiam coram illis conquerebatur quod conventus suus qui sexdecim tantum cellulas continebat, viginti quinque millibus francis constaret. Sed et ipsis fratribus exprobrabat, sicut vidi et audivi. Talia et talia inquit: Vos facturos dicebatis quae tamen non facitis. Idipsum autem, sed paulo rigidius, eiusdem principis eleemosinarius; sed etiam et domestici aliquando dixerunt fratribus: Melius esset, ut vasa vobiscum domi haberetis. Si autem importune se haberent fratres, sciunt ili qui ibi demorati sunt.

9179 Quanto è vero il detto: Come si è offuscato l’oro, si è cambiato il color buono![118] Se la luce che appariva nel mondo è tenebra, quanto grande sarà la tenebra?[119] Se il sale diventa insipido, con che cosa lo si potrà render salato?[120] Un sale così a lungo bramato e tanto da lontano asportato, e questo già negli inizi, essendo quel convento il primo di quella provincia![121] Che si potrà dire degli altri conventi? È un’esperienza ben provata che una pietra pesante, se inizia a cadere dalla vetta di un monte, quanto pi si abbassa, tanto più scende velocemente e rapidamente.

Nonne ergo verum dicitur: Quomodo obscuratum est aurum, mutatus est color optimus? Lux quae in mundo videbatur tenebrae sunt, ipsae ergo Tenebrae quantae erunt? Si sal infatuatum est, in quo salietur? Sal inquam tam diu desideratum et a tam longe asportatum, et hoc iam a principio: primus enim illius provinciae erat conventus ille. Quid ergo dici poterit de aliis? Certa enim experientia probatur quod lapis quidam gravis, cum ex apice cuiusdam montis cadere incipit, quanto magis ad inferiora tendit, tanto celerius ac velocius descendit.

Un frate un giorno si lamentava col superiore maggiore che un convento, appena costruito, fosse costato quasi 5.000 monete d’oro, e solo come edificio, senza le altre cose necessarie alla chiesa e alla stessa casa. Ed egli rispose: «Anzi, costa di più». Ma che, ancora? I frati diminuiscono e la casa diventa più spaziosa, a tal punto che se non era più sufficiente allora a diciotto o venti persone, ora a otto o dieci soltanto non basta più. È abbastanza evidente, quindi, ciò che si potrebbe dire circa la sontuosità e curiosità degli edifici, tenendo presente il nostro stato.

Quidam frater aliquando conquaerebatur cum superiore maiore, quod aliquis conventus, qui de novo fuerat aedificatus, fere quinque millibus aureis constaret, solum inquam aedificium, absque aliis necessariis tum ecclesiae tum ipsius domus. Cui respondit: Immo, inquam, pluris constat. Sed quid ultra? Fratres decrescunt et domus augetur, ita quod non dudum decem et octo vel viginti tale aedificium plus satisfaciebat quae nunc octo vel decem tantum non sufficit. De sumptuositate autem et curiositate satis apparet quidnam sit dicendum, considerato statu nostro.

9180 Per quanto poi riguarda il panno che usiamo nel vestire, esso è di tale qualità che neanche i nobili cortigiani si vergognano di confezionarvi un loro abito. Se san Bernardo ai suoi tempi rimproverava i monaci cluniacensi perché contro la regola non andavano vestiti col più vile panno che trovavano,[122] che direbbe oggi dei cappuccini? E se era così grande l’inconveniente da giungere al punto che un cavaliere e un monaco potessero tagliarsi dalla stessa stoffa il proprio manto e la propria tonaca, non fanno lo stesso un nobile e un cappuccino? Eppure anche i primi padri di questa nostra riforma da uno stesso e unico panno ricavavano il proprio abito e lo portavano, come abbiamo visto, chi per quattordici anni, chi per dodici e chi almeno per undici; ora essendo lasciato alla libertà di ciascuno di richiedere, quando vuole, sia l’abito che il mantello, subito e senza nessuna difficoltà gli vengono dati. Avviene talvolta che se a uno non piace il suo abito, dopo solo due anni o anche meno, fa domanda di averne uno nuovo e senza indugio gli viene concesso, per cui è già un detto comune che lo si vuole senza neanche il piu’ piccolo strappo. Ma che dico riceve l’abito? Entra anche nelle maniche del superiore.

Quantum autem ad pannum nostrum, talis est ut nec nobiles aulici ex eo sibi pallium confici erubescant. Quod si divus Bernardus olim cluniacenses reprehendebat quod contra regulam ex viliori panno qui prius occurreret non vestiebantur, quid non diceret nunc de cappucinis? Et si pro tanto ducebat inconvenienti ut miles et monachus ex eodem panno chlamydem et habitum sibi partirentur, quid si nobilis et cappuccinus? Sed et primi [423] patres istius reformationis ex qualicunque suo panno eodem et solo habitum quatuordecim annis, alii duodecim, alii saltem undecim sicut vidimus cum uterentur, nec cum optio detur unicuique ut quandocunque voluerit petat et habitum et pallium, et confestim dabitur ei etiam absque aliqua difficultate. Accidit aliquando ut si cuique suus non placeat habitus, vix expletis duobus annis vel etiam uno, petat alium et sine mora aliqua recipiet, ita ut iam communiter dicatur quod ne foramen quidem unum admitteretur, et quid dico recipient habitum? Etiam et superioris gratiam.

9181 Ed è ancora poco, perché chi non lo vuol portare, pur non essendogli comandato, si guadagna non so quale indignazione dello stesso superiore. E non lo dico appositamente. Un certo buon padre una volta diceva a un altro frate: «Se tu chiedessi un abito nuovo, penso che il superiore, pur non avendotelo permesso, diventerebbe più mite e benigno verso di te». Non c’è da meravigliarsi. Infatti, come dice san Bernardo, nessuno corregge gli altri lealmente se non in ciò di cui non può essere ripreso.[123] Del resto è umano non prendersela con gli altri in quelle cose nelle quali ognuno è indulgente con se stesso. Che dire poi del cingolo? Ecco, per essere breve: ciò che un tempo rappresentava umiltà e disprezzo, ora è portato come segno di grande superbia.

Sed parum est hoc nisi etiam qui sumere noluerit etsi non iussus eiusdem superioris, nescio quam indignationem sibi acquireret. Et ne voluntarie hoc dixerim. Quidam bonus pater alteri fratri dicebat aliquando: Credo quod si velles recipere habitum novum, superior erga te mitiorem et benigniorem se haberet, cum tamen eiusdem superioris non adesser praeceptum. Nec hoc mirum est. Nam, ut ait divus Bernardus, nemo fidenter reprehendit in quo se esse irreprehensibilem non confidit. Siquidem humanitatis esse omnium in quo sibi quisque indulget, aliis non vehementer irasci. De chorda autem quid? Ecce, ut brevius loquar, quod humilitatis et contemptus esse solebat insigne nunc in signum gestatur magnae superbiae.

9182 Per quanto attiene alla superfluità del vitto, sembra che noi siamo sprovvisti solo di ciò che non possiamo avere. Una volta avveniva che, avanzando un po’ di cibo e distribuendolo ai poveri che aspettavano l’elemosina alla porta del convento, costoro non solo non volevano accettarlo, ma, mormorando anche contro gli stessi frati, asserivano che veniva loro distribuito quel cibo che i frati, per la loro eccessiva austerità, non potevano mangiare. Ora invece, non dico qualche volta, ma assai di frequente, avanza quasi la metà del pranzo e lo si riporta alla mensa perché ognuno liberamente se ne serva. E avendo un giorno un frate interrogato il cuciniere: «Fratello mio, perché non lo dai piuttosto ai poveri che hanno fame e vengono meno per la debolezza e chiedono tutto il giorno a gran voce, e anche piangendo, l’elemosina alla porta nostra? Forse saremmo stati uno di loro, se fossimo rimasti nel mondo». Quello risponde: «Mi è stato proibito perché non si scandalizzino vedendo tanto spreco di grasso e di burro». E l’altro di nuovo: «Si potrebbe aggiungere dell’acqua e così distribuirlo senza che si scandalizzino». Intanto è la soluzione migliore, probabilmente perché la verità non lo consente.

Quantum autem attinet ad victus superfluitatem co tantum carere videmur quod habere non possumus. Fiebat autem aliquando ut si forte quid pulmentarii remaneret et daretur pauperibus ad portam conventus eleemosinam expectantibus, illud non solum attingere nollebant, sed etiam contra fratres ipsos murmurantes, asserebant sibi dari quod prae nimia austeritate fratres ipsi comedere non possent. Nunc autem, non dico aliquando sed cum saepius remanest circa medium prandium, iterum defertur ad mensam, ut accipiat quicunque voluerit. Et cum aliquando, quidam frater interrogaret coquum: Frater mi, quare non potius illud das pauperibus famis inedia propemodum deficientibus eleemosinamque cum magno eiulatu, etiam aliquando profusis lachrymis ad portam nostram tota die requirentibus? Forsitan enim fuissemus quasi unus ex illis si remansissemus in seculo. Respondet: Prohibitum est mihi ne forte prae nimia vel sagiminis vel buthiri abundantia scandalizentur. Et rursus ille: Posset — inquit — apponi aqua et sic illis dari et non scandalizarentur. Interim tamen nihil melius, quia forte veritas non consentit.

9183 E siccome questo abuso è ormai dilagato, è anche probabilmente il principale. L’ho visto praticato nello stesso anno e tempo e città dove, crescendo le offerte caritative, si trovavano per la strada persone morte di fame, come ci venne riferito, e tuttavia dopo questa orribile nuova, nulla di meglio si faceva che riportare sempre pil spesso gli avanzi del cibo sulla mensa dei frati. O Dio buono, e quando daremo tutto il nostro amore a questi nostri fratelli poveri, dal momento che non diamo loro neanche un solo capello? Non così, o Signore Gesù, non così tu ha fatto, né seguiti a fare ancora con noi! E noi facciamo professione d’imitarti? Non così gli empi, non così.[124] Chi non chiamerebbe questo comportamento una crudele empietà o un’empia crudeltà? Perché, mentre noi spogliamo i nostri fratelli dei loro patrimoni, e saturi e zeppi fino al collo, almeno non diamo i nostri avanzi a costoro che spesso muoiono anche di fame? Persino gli stessi soldati, senza fede e senza pietà, come qualcuno dice, ammettono con umanità e chiamano il loro ospite a cena preparata per lui.

Et hoc cum sit iam commune, illud tamen praecipue. Vidi practicatum eo anno eoque tempore in ea urbe in qua, invalescente caritate, inventi sunt in via fame extincti, sicut ad nos delatum est, et nihilominus post illud tam horrendum nuncium, nihil melius agebatur, sed adhuc saepe sae-[424]pius ad fratrum mensam deferebatur. O bone Deus, quando igitur fratribus nostris istis inquam pauperibus cor et viscera comedenda porrigeremus, cum etiam capillos eis denegamus? Non sic, o Domine Iesu, non sic nobis fecisti, nec facis adhuc continue? Et te imitari profitemur? Now sic impii, non sic. Quis enim hoc aut crudelem impietatem aut impiam crudelitatem non diceret? Cur saltem, cum fratres nostros patrimoniis suis spoliamus, nobis ad plenum et perfectum saturatis, reliquias nostras ipsis etiam famis inedia pereuntibus non dimittimus? Sed et milites ipsi, in quibus nec fides est nec pietas, ut dicit quidam, hospitem suum ad coenam sibi ab illo paratam humaniter admittunt et vocant.

Noi realmente spogliamo i poveri dei loro averi. E chi ne dubita? Quanti ritraggono la mano da loro come da uomini per darla a noi con maggior liberalità come fossimo degli angeli di Dio! «O quanto sono ingannati!», diceva ultimamente un buon padre giunto in fin di vita. Eppure abbiamo visto che quando i borghesi ci vengono a visitare, restano grandemente edificati soprattutto dalla nostra cucina. Ora invece bisogna tenerla chiusa con molta attenzione, perché non vi entrino e ne ricevano scandalo. Anche questo certamente è molto necessario.

Pauperes inquam patrimoniis sui spoliamus. Et quis de hoc dubitat? Quot sunt enim qui ab eis tanquam ab hominibus manum retrahunt ut nobis tanquam angelis Dei liberalius extendant? O quam decepti sunt, aiebat nuper quidam bonus pater in extremitate constitutus. Sed vidimus etiam quod cum seculares nos visitent ex coquina praecipue magnam aedificationem sumebant. Nunc autem iam est valde diligenter claudenda, ne forte ingrediantur eam et scandalizentur. Et hoc certe valde necessarium.

9184 Come avvenne una volta, per non dire molto spesso, allorché alcuni furono scandalizzati, e non erano gente volgare, ma personaggi di nobiltà. Addirittura anche un principe, avendo visto una pentola bollente, colma fino all’orlo di carne, non poco stupito per quel buon esempio ricevuto,[125] ne parlava agli altri frati che erano in attesa di poterla gustare. «Se fossi un frate cappuccino — disse egli — non vorrei restare in un convento simile, dove si vive troppo lautamente e dove neppure i frati sono mortificati e seri, ma un po’ troppo su di giro e vivaci». Ed è vero: infatti il popolo sedette a mangiare e si alzò per bere.[126] E ancora c’era un cittadino, amico dei frati e molto familiare con loro, che spesso veniva invitato a mangiare in convento, per cui era solito dire: «Quando voglio fare una bella scorpacciata, vado dai cappuccini».

Accidit enim aliquando, si tamen non saepius, quod quidam scandalizati sunt, non autem ex vulgo, sed ex nobilibus. Immo et princeps quidam qui ollam ferventem ad summum usque carnibus repletam cum vidisset, non parum admiratus bono illo exemplo quod acceperat, alios fratres saltem post eam sollicite participes efficiebat. Si, inquit, essem cappucinus, nollem manere in tali conventu, nimis enim laute vivunt. Sed nec fratres sunt mortificati et tristes, sed laeti nimis et alacres. Nimirum, nam coepit populus manducare et surrexit bibere. Iterum quidam civis erat, qui fratrum amicus cum esset et familiaris cum eisdem comesturus saepius admittebatur, unde postea dicere solebat: Cum laute aepulari volo, ad cappucinos me confero.

9185 E che dovrò dire dei viaggi? Ora non si fanno più per un servizio da svolgere, ma piuttosto per andare a mangiare e a divertirsi. Confesso che non portavano ancora monete d’argento, ciò che si possiede per l’uso, non per l’argento. Eppure, e questo è sicurissimo, noi ci provvediamo di quelle cose che neanche a prezzo d’argento si possono acquistare, ossia dell’ottimo vino, del pane bianchissimo, carne, uova, formaggio, frutta, e di qualunque altra raffinatezza che si può avere. É se questo non si può avere tutto insieme, certo almeno la maggior parte e in tanta abbondanza che spesso è necessario scaricarsi non poco il ventre, sia perché lo stomaco lo rifiuta, sia forse perché spera in portate migliori, magari nel convento vicino e fra servitori e familiari, presso i quali tuttavia non vogliamo andare, forse perché non possiamo riempirci completamente a nostro piacere.

Sed de itinere quid dicam? Iam enim non amplius pro labore, sed magis pro aepulis et deliciis admittitur. Fateor quidem quod nondum deferamus argentum, quod quidem non pro argento, sed pro usu possidetur. Verum, quod valde securius est, ea quae etiam quolibet argenti praetio comparari non possent, nobis providemus vinum optimum videlicet, panem candidissimum, carnem, ova, caseum, fructus, et si quid aliud suavius haberi potest. Quod si non semper haec omnia simul, saltem maiorem partem. Ét id cum tanta copia ut saepius non modicum residuum ad locum praetentum referre opus sit, vel quia stomachus renuit, vel forsitan quia adhuc meliora sperat sibi parari. Sed hoc de proximo ad proximum locum, et inter domesticos et familiares, apud quos tamen divertere nolumus, quia forte ad plenum desiderium nostrum saturari nén possemus.

Questo avviene già con scandalo dei secolari o almeno non senza loro grande ammirazione, poiché questa parola non è loro ignota. Per cui avvenne una volta, per non dire spesso, che un uomo, cavalcando e avvicinandosi ad alcuni frati, chiese loro: «Frati, non avete una bottiglia?». Essi risposero di no, perché non avevano portato con sé nulla da mangiare e da bere, e non avevano l’abitudine di farlo. Costui allora aggiunse: «Si dice che voi ve la spassiate più splendidamente di quelli che possiedono molti redditi».

Et haec omnia iam cum secularium scandalo vel saltem non sine magna admiratione, cum hoc verbum hucusque eosdem non lateat. Unde accidit [425] aliquando, si saltem non saepius, ut quidam vir equester quibusdam fratribus occurrens eosdem interrogaret: Nunquid fratres habetis lagenam? Quibus respondentibus: Non, neque enim isti quicquam aut comedendum aut bibendum secum asportaverant, nec etiam deferre solebant. Fertur, adiunxit, quod splendidius vivatis, quam hi qui multos reditus possident.

9186 Ora resta da giudicare se sia questa la vita santissima dei cappuccini. E tuttavia quando dispensiamo queste cose all’uno e all’altro, questo viene chiamato carità. Che carità, se distrugge la nostra povertà e perciò anche la vera carità? Ne risulta che se uno non offre spontaneamente ciò che gli sembra superfluo, viene ripreso duramente come se mancasse di carità. Che se uno, addirittura anche in convento, sembra sottrarre qualcosa di ciò che sembra superfluo, viene accusato anche davanti al guardiano. È pericoloso andare contro corrente e non fare ciò che fanno tutti; altrimenti si cade in superbia apparendo singolari e giudici degli altri e così si incappa nel laccio del diavolo. A questo proposito diceva una volta un buon padre a un frate: «Dicono che tu giudichi gli altri». À questa battuta quello rispose: «Dicono che io giudico gli altri perché forse vado sparlando e mormorando?». «No — disse —, ma siccome tu non ti comporti come gli altri, essi dicono che tu giudichi gli altri coi fatti».

Nunc igitur, iudicandum restat, utrum sit haec sanctorum cappucinorum vita. Sed nihilominus cum haec alterutrum impendimus charitas appellatur. Charitas, inquam, quae destruit nostram paupertatem et per consequens Verem charitatem. Unde si quis haec non ita libere porrigat quod illi videantur superflua, tanquam vacuus charitate acriter reprehenditur. Quod si quis vel etiam in conventu de eo quod supereffluens videtur sibi subtrahit, etiam apud guardianum accusatur. Periculosum est cuique sicut alii faciunt ita non facere, ne forte in superbia elatus, singularis apparendo et alios iudicando, in laqueum incidat diaboli. Unde quidam bonus pater dicebat aliquando cuidam fratri: Ferunt, inquit, quod alios iudices. In quo respondit ille: Dicunt me alios iudicare susurrando forsitan vel murmurando? Non, inquit, sed in hoc quod non facis sicut alii et sic factis alios te iudicare putant.

Se le cose stanno cost, allora tutti noi che siamo cristiani ci giudichiamo e ci mordiamo a vicenda, e perciò siamo trasgressori del comandamento del Signore, sul quale insiste con tanta sollecitudine il santo apostolo, cioè di non giudicare.[127] E questo peccato non sarà rimesso né in questo secolo né in quello futuro,[128] perché nessuno entrerà nel regno dei cieli con l’impenitenza finale. Così non sia. Sta infatti la regina tua sposa, Signore, alla tua destra in veste d’oro, perché con la sola carità è ravvolta in variopinto abbigliamento,[129] in quanto si distingue in diversi ordini e operazioni, chi in un modo, chi in un altro[130]: vi sono, infatti, diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è il Signore, che distribuisce a ciascuno come vuole.[131] Anche nella casa del Padre vi sono molti posti,[132] ma non c’è discordia o mormorazione, perché Dio è tutto in tutti.[133]

Quod si ita est, ergo omnes quotquot sumus christiani invicem iudicamus, invicem mordemus et per consequens Domini praeceptum a sancto apostolo tam sollicite repetitum, de non iudicando scilicet, transgredimur. Et hoc quia finali impoenitentia igitur nemo unquam intrabit in regnum coelorum, doc enim peccatum non remittetur neque in hoc seculo neque in futuro. Quod absit. Astitit enim regina sponsa tua, Domine, a dextris tuis in vestitu deaurato, quia una charitate circundata varietate, quia diversis et ordinibus et operationibus distincta. Unus quidem sic, alius vero sic, divisiones enim gratiarum sunt, idem autem spiritus; et divisiones operationum sunt, idem autem Dominus, dividens singulis prout vult. Sed et in domo Patris mansiones multae sunt, nec tamen discordia vel iudicium, quia Deus est omnia in omnibus.

9187 Da tutto ciò deriva quell’altro male da deplorare fortemente, perché del tutto incurabile. Ed è che i giovani che cercano la propria salvezza vengono da noi e vedendo lo stato dell’Ordine, pensano che si tratti di ciò che tanto e lungamente hanno sentito dire, parlo dei più semplici. E così per la via media in cui già siamo caduti, se poi è soltanto media, incominciando a correre, quanto più sono forti e abili a correre, tanto piu’ velocemente raggiungono la meta loro aperta della carne. Se infatti, come ripeteva spesso un frate, noi che siamo stati spettatori del grande fervore del nostro Ordine, ogni giorno così ce ne allontaniamo, che faranno costoro, che non hanno visto né udito nulla di ciò?[134]

Super haec omnia aut aliud occurrit malum illud, quia omnino incurrabile vehementer deplorandum. Iuvenes enim qui suae saluti consulentes ad nos confugiunt videntes statum religionis, putant eum esse de quo tot et tanta audierunt, de simplicioribus loquor. Et sic a media via in qua iam decumbimus, si tamen est tantum media, currere incipientes, quanto fortiores sunt et habiliores ad currendum, tanto citius pervenient ad carnis praetentum scopum. Si enim, ut quidam frater dicere solebat, nos qui tantum religionis nostrae fervorem vidimus ab eo sìc quotidie dilabimur, quidnam isti facient, qui de eo nihil viderunt neque audierunt?

Poiché ai nostri tempi sì facevano frequenti discorsi sulla povertà e così efficacemente che i giovani, spinti da un ardente zelo per la stessa povertà, consegnavano al guardiano o al maestro ciò che tenevano che apparisse loro superfluo. Ora, al contrario, sì fanno sermoni contro la povertà. Così è avvenuto, per dirne una su mille, come abbiam sentito, e anzi con tante minacce verso colui che una volta aveva solo detto queste parole, cioè: «Questa cosa mi sembra contro, o non secondo la povertà», che anche i più coraggiosi erano costretti ad aver paura. E per di più venne ingiunto al guardiano che, se avesse ancora udito tali parole, subito le dovesse sradicare ben bene come sovversive della casa o come un demonio che sì è trasformato in angelo di luce.

Cum enim tempore nostro sermones frequentes fierent de paupertate, etiam ita efficaces ut iuvenes eiusdem paupertatis ardenti zelo ducti, statim [426] ad guardianum vel magistrum deferrent sì quid haberent quod eis superfluum videretur. Nunc e contrario fiunt sermones contra paupertatem. Ita, factus est unus pro mille, sicut audivimus, immo cum tantis comminationibus in eum qui aliquando hoc verbum tantum proferret, videlicet hoc mihi videtur contra, vel non secundum paupertatem, ut etiam audaciores merito pertimescere deberent. Sed insuper iniunctus est guardiano ut sì aliquando tale quid audierit, statim funditus eradicet tanquam domus incentivum vel aliquod daemonium in angelum lucis transformatum.

9188 Ma questo è ancora poco. Infatti sì fanno anche discorsi, vorrei dire, indiretti, che esaltano il rilassamento, come è avvenuto, è sembra quasi incredibile. Una volta il superiore aveva trovato una nuova forma di rilassamento, e alcuni frati avevano proposto di scrivergli perché non la permettesse. Ma tant’è. Egli se ne compiaceva ancor più, dicendo davanti a tutti: «Questo mi piace, mi piace, mi piace». E così avviene che il parlare molto frequente, è certamente assai necessario, della santissima povertà, che era la consolazione di tutti i frati, ora è diventato una parola aspra. E allora i più forti sono costretti a bussare e propugnare, mentre i più deboli, anzi, se sì può dire così, coloro che sono del tutto morti e defunti, sono portati all’opposizione, alla difesa. Ne consegue che col passar dei giorni vengono introdotte novità contro la povertà e nessuno ha il coraggio di dire la pur minima parola.

Sed parum est hoc, cum etiam fiant haec autem sermones dixerim indirectos, sermones in relaxationis commendationem, et hoc accidit licet vix credibile, cum enim aliquando superior invenisset aliquam novam relaxationem, pro qua etiam quidam fratres proposuerant ad eum scribere ut eam non permitteret. T’antum abest, magis enim congratulabatur ei dicens coram omnibus: Hoc valde mihi placet, mihi placet, mibi placet. Unde fit ut frequentissimum et certe valde necessarium sanctissìmae paupertatis colloquium, quod erat fratrum commune solatium, nunc factum sit verbum asperum. Et sic ex hoc alii quidem fortissiimi redduntur ad pulsandum ac propugnandum, alii vero non tantum debilissiìimi, sed etiam, si sic dicere licet, penitus extincti ac mortui, ad obsistendum, ad defendendum. Et inde fit ut in dies quod novi contra paupertatem intromittatur et nemo sit qui minimum quidem verbum proferre audeat.

9189 Per quanto sì riferisce agli ornamenti della chiesa, già vediamo che non solo superiamo le chiese cattedrali nella preziosità, ma anche i vescovi. Tralasciando altre cose, non bastano più a noi camici di bisso, pur sottilissimo e prezioso, ma ci vogliono quelli di seta. E si giunge al punto che sì è dovuto ricorrere per i cappuccini ai sacri canoni, chiedendo cioè se fosse lecito celebrare con quei camici, e si è trovato che come è lecito per ogni ecclesiastico, anche vescovo, così anche i frati senza dubbio lo possono fare. Che questo sia contro la Regola, lo dicono in modo lampante le dichiarazioni dei sommi pontefici i quali all’unanimità asseriscono che l’ottimo Dio, essendo atto purissimo e semplicissimo, gradisce di più la purezza del cuore che la varietà di queste cose esteriori.[135]

Quantum autem ad ecclesiae ornamenta, iam in preciositate videmus excedere non tantum ecclesias cathedrales, sed etiam episcopos. Coeteris enim praetermissis, albae iam nobis non sufficiunt ex bisso quantumcunque subtili ac precioso, si etiam non haberemus ex bossipio. Unde accidit ut pro cappucinis recurrendum fuerit ad sacros canones, liceretne videlicet in talibus sacrum peragere, ita ut quod inventum est licere quibuscunque ecclesiasticis etiam episcopis, illud fratres non sibi dubitarunt arrogare. Quod autem hoc sit contra regulam, summorum pontificum declarationes satis clare videntur annuere, qui omnes unanimiter asserunt Deo optimo, cum sit actus purissimus ac simplicissimus, mentis puritatem magis placere quam horum exteriorum multiplicitatem.

9190 In tutte queste cose quale rimedio se non la fuga? Se uno pensa di ricorrere ai superiori, sì dice che non prendono molto sul serio tali problemi, purché si facciano obbedire e sì attirino la benevolenza del cuoco e dispensiere così da ottener sempre delle buone pietanze. Che ciò sia vero e che cosa io abbia visto non dico, perché temo di fare giudizi temerari; ma credo alla relazione di altri, più che al mio sentimento. Ho saputo che sì crede di più a quel superiore, che, come ho detto, aveva fatto discorsi contro la povertà, che a tutti i frati insieme. E una volta costui venne fuori a dire: «Io ormai sono vecchio, ma posso da solo cambiare i cervelli di tutti i frati». E per ultimo sì dice pure che nel nostro Ordine manca la giustizia e che non raramente i colpevoli vengono assolti e gli innocenti castigati. «Costui — dicono — mi ha beneficato, non posso essergli contrario».

In his omnibus autem quodnam remedium nisi fuga ipsa? Si enim quis putet recurrere ad superiores, dicitur quod talibus non magnopere curant, dummodo sibi obediri faciant, et coqui ac dispensatoris bonam gratiam sibi concilient, ut bonas pithantias semper obtineant. Quod sit verum vel quod viderim non dico; temerarium enim in iudicium incidere timeo; sed magis credo aliorum relationi quam proprio sensui. Sed insuper audivi quod plus credetur superiori illi, de quo dixi quod tales sermones fecerit contra paupertatem quam coeteris simul fratribus. Unde dixit etiam aliquando: Ego quidem sum senex, possum tamen solus omnium fratrum cervices subvertere. [427] Tandem dicitur etiam quod in religione nostra non sit iustitia et quod rei aliquando absolvantur et innocentes puniantur. Iste, inquiunt, mibi beneficium contulit, non possum ei molestus esse.

9191 E, oltre ogni limite, avviene talvolta che gli innocenti per falsa testimonianza sono condannati ai triremi. È orribile certo a sentirsi, ma me l’hanno riferito in molti, e specie quel padre esimio, per cui crederei di far male a non credere. Perciò gli dicevo: «Padre mio, se sentissi ciò da un altro e non da te, mi lascerei piuttosto squartare membra a membra sulla ruota che credere a queste cose inaudite». Tuttavia, dopo un po’ di tempo, rimasi sbalordito sentendo un mio fratello, da poco giunto dall’Italia e al quale avevo confidato queste cose come l’ultima novità, dirmi: «Ma questo è ancora niente!». O buon Gesù!, risposi. Non avrei mai potuto credere che neanche il più malvagio di tutti i soldati fosse pieno di tanta malizia! E questo risale a circa quattro o cinque anni fa. E dicevo allora a quel buon padre: «Padre, io spero di dire un giorno, almeno una volta, la verità, a costo di essere multato con identica pena».

Et ultra quod etiam aliquando innocentes de falso testimonio mittantur ad triremes, horrendum certe auditu, quod tamen audivi a pluribus, et maxime ab aliquo tanto patre ut non credere nefas esse putarem. Unde etiam dicebo illi: Pater mi, si haec omnia ab alio quam a te audirem, magis me membratim in rota criminali disrumpi permitterem quam haec tam inaudita credere vellem. Quae tamen aliquo temporis successu magno stupore attonitus cum revelarem tanquam omnino nova cuidam fratri meo qui nuper venerat ex Italia, dixit mibi: Hoc respective nibil est. O bone Iesu, respondi. Neque unquam credere potuissem omnium militum pessìimum tanta malitia esse repletum. Et haec omnia iam a quatuor aut quinque annis vel circiter. Tunc autem dicebam isti bono patri: Pater, ego spero me aliquando vel semel saltem dicturum veritatem, etiamsi tali poena mulctari deberer.

[Perorazione conclusiva]

9192 Ora, santissimo e beatissimo padre, ho parlato, pur essendo più miserabile del niente. Ho toccato solo alcune delle molte cose, senza entrare negli aspetti interiori. Pur non avendo per nulla accennato all’orazione, al silenzio e alla solitudine, pensiamo di averne detto abbastanza. Dalla faccia esterna è facile diagnosticare la salute del cuore è delle cose interne. E poiché ogni male deriva dall’aquilone, tanto più ci avviciniamo a quello quanto più siamo negligenti ad accostarci al vero austro per mezzo di un continuo impegno nella preghiera e negli altri esercizi soprattutto interiori. Io ho detto, dunque, la verità, non però prima di propormi o un carcere perpetuo o la pena del trireme, particolarmente Sentendo che questa minaccia ai frati è abbastanza comune e frequente.

Nunc vero, o sanctissìme et beatissime pater, ego dixi, ego inquam, etsi nibilo miserior. Pauca admodum videlicet de pluribus, et absque eo quod intrinsecus latet. De oratione autem, de silentio et de solitudine nihil penitus loquuti satis nos dixisse putamus. Ab exteriori enim facie cordis ac interiorum sanitas facile dignoscitur. Sed et cum omne malum ab aquilone pendeat ad illum eo magis appropinquamus, quo magis a vero austro per orationis continuum studium caeteraque interiora praesertim exercitia accedere negligimus. Ego igitur, inquam, veritatem dixi non tamen anteaquam aut perpetuunmn carcerem aut hanc triremium poenam mihi proposuissem, et maxime cum audiam illam esse satis communem ac frequentem fratrum comminationem.

Ma non avrò nessuna paura di queste cose, e non voglio rendere la mia anima più preziosa di me, purché sì degni di darmi conforto colui che disse: Non temere coloro che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima.[136] Egli è fedele e non permetterà che siamo tentati oltre le nostre forze, ma con la tentazione ci darà anche la via d’uscita e la forza di sopportarla.[137] Per cui in Lui ho posto la mia fiducia e mi ha dato aiuto,[138] anche se contro di me divampasse una nuova battaglia.[139] In lui solo speravo, uscendone più forte e meglio disposto a sopportare cose maggiori. Quindi spererò in lui, anche se mi uccidesse.

Sed nihil horum verebor, nec facio animam meam praetiosiorem quam me, dummodo tamen me confortare dignetur ille qui dixit: Non timere eos qui occidunt corpus, animam autem occidere non possunt. Fidelis est enim et non permittet nos tentari supra id quod possumus, sed faciet etiam cum tentatione proventum ut possimus resistere. Unde in eo speravi et adiutus sum, si cum novum aliquod exurgeret advercum me pracelium. In hoc ipso sperabam, ex eo fortior et meliori animo evadens ad ampliora sustinenda. Sperabo ergo in co, etiamsi occiderit me.

9193 Perciò, o buon Gesù, o Verbo del Padre, di’ una parola e tutto è fatto. La tua parola infatti è onnipotente e nessuno resiste alla tua volontà.[140] Fino a questo momento, o padre beatissimo, la vostra santità ha conosciuto più la mia temerità e presunzione (spero non me la imputi) che non in questo una confidenza, pur eccessiva, procedendo questa dall’amore che, quanto più è grande, tanto più accresce la confidenza. Non potrebbe avvenire che la suddetta vostra santità non abbia a rivolgermi uno sguardo almeno pio e benevolo, sentendosi tanto amata. Altrimenti che mi resta, se non che mi faccia castigare per tanta mia sfacciataggine? Si, padre santissimo, poiché neppure come un cagnolino mi considero degno di mangiare le briciole che cadono dalla mensa del mio Signore.[141] Io perciò sia punito, affinché si usi misericordia verso i miei fratelli. Io ho peccato, io ho agito da iniquo.[142] Contro di me venga questa ira e sì faccia misericordia ai miei fratelli.

Nunc igitur, o bone Iesu, o Verbum Patris, dic verbo et facta sunt omnia. Ommipotens est enim sermo tuus et non est qui possit resistere voluntati tuae. Hucusque, o beatissime pater, vestra sanctitas plus satis meam temeritatem ac praesumptionem agnovit, quam utinam mihi non imputans eam potius reputet confidentiam, etsi nimiam, cum enim illa sic ab amore procedat, ut quantus sit unde tanta sit etiam confidentia. Fieri non posset [428] ut dicta vestra sanctitas pium saltem ac benignum aspectum mihi non praceberet a quo se tantum amari intelligeret. Sin autem, quid amplius mihi restat nisi ut pro hac tanta mea temeritate castigare me faciat? Etiam, sanctissime pater; neque enim ut catellus dignum me arbitror qui comedam de micis quae cadunt de mensa Domini mei. Puniar ergo ut fratrum meorum misereatur. Ego qui peccavi, ego sum qui inique egi. In me igitur haec convertatur ira et fratribus meis impendatur misericordia.

9194 Quanti sono coloro che, sentite queste parole, faranno giubilo con tutto il cuore tripudiando per eccessiva letizia, cantando e salmodiando e rendendo a Dio e anche a vostra santità sempiterne grazie perché, sotto l’ispirazione dello stesso ottimo Dio, lei si sia degnata di provvedere, con tanto amore e paterna sollecitudine, anche a coloro che dormono o almeno pensano alla propria salvezza e profitto spirituale? Sia in me questa maledizione, purché ai veri israeliti non venga negata la benedizione[143] e questo Natanaele, qualunque sia, meriti per la clemenza di vostra santità, di essere ammesso con loro.[144] Solo questo beneficio potrebbe accettare con cuore riconoscente. Altrimenti voglia cancellarmi da questo libro della vita.[145] Che valore ha la mia vita, purché Dio venga glorificato dai miei fratelli, a costo di meritare di essere condannato ai supplizi eterni, conservando però la grazia e l’amore di Dio? Altrimenti se cerco la mia gloria, cerco niente perché essa è nulla. Se poi cerco quella di Dio, allora cerco e trovo anche la mia, anzi più che mia, se sì può dire così, perché Egli mi è più intimo di quello che io sono a me stesso, per cui la sua gloria è più mia di quanto non lo sia la mia stessa, se l’avessi.

Quot sunt enim qui audito hoc verbo toto corde prae nimio gaudio tripudiantes iubilabunt, cantantes et psallentes sempiternasque Deo simul ac sanctitati vestrae gratias agentes quae codem optimo Deo inspirante, ipsis etiam dormientibus vel saltem nihilominus cogitantibus eorum saluti ac spirituali profectui, tanto amore ac paterna sollicitudine providere dignata sit? In me igitur sit ista maledictio, ut veris israelitis non denegetur benedictio. Si tamen et cum illis iste Nathanael qualiscunque sit pro sanctitatis vestrae clementia mereatur admitti. Hoc tantum beneficium non gratissimo animo poterit non suscipere. Sin autem, de Hoc libro vitae deleri mereatur. Quid mea interest, dummodo a fratribus meis Deus glorificetur. Immo etiam si suppliciis aeternis deputari merear, reservatua tamen Dei gratia et amore. Alioquin si propriam gloriam quaero, nihil quaero quia nibil est. Si autem Dei et meam, etiam plusquam meum, si sic dicendum est, et quaero et inveniam. Cum enim mihi quam ipse sit intimior, gloria enim est magis mea quia mea ipsa si haberem.

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Fig. 4 – P. Lorenzo Lejeune da Parigi († 1631), maestro dell’amore puro

Frontespizi di due diverse edizioni della famosa opera di Lorenzo da Parigi: Le Palais d’amour divin (Paris 1602 e 1614).

(Esemplari rispettivamente presso la Bibl. dei Cappuccini di Udenhout e la Bibl. Nazionale di Parigi)

9195 Santissimo padre, non abbia più pietà di me, né dei miei fratelli, ma tenga presente con cuore devoto solo la gloria di Dio. Frattanto, per non parlare senza riverenza, o amantissimo nostro padre, abbia pietà della nostra madre, della vostra santa sposa, cioè della Chiesa di Dio, della Chiesa soprattutto francese, anche se sembra già quasi vedova; in essa però quante migliaia di cattolici che non Hanno piegato le ginocchia davanti a Baal[146] il Signore sì è ancora riservato! Ma sono purtroppo privi di ogni spirituale aiuto, poiché è stato tolto loro il regno e il suo solito oracolo che mi pare sia l’illustrissima società dei buoni padri gesuiti bandita deplorabilmente da quasi tutto il regno della Francia.

Nec mei igitur amplius, o sanctissime pater, nec fratrum meorum sanctitas misereatur, sed solius gloriae Dei devoto corde recordetur. Et interim ut minus irreverenter loquar, o amantissìme pater noster, miseremini matris nostrae, sponsae vestrae sanctae, videlicet Dei Ecclesiae; ecclesiae, inquam, praesertim Gallicanae, quae itsi iam propemodum videatur vidua, in ea tamen quot catholicorum millia adhuc sibi Dominus reservavit qui non curvaverunt genua ante Baal, sed, proh dolor!, omni fere spirituali patrocinio destitutorum ablato videlicet ab eis regno ac suo solito oraculo, quod non immerito dixerim bonorum patrum iesuitarum illustrissimam societatem a toto penitus Franciae regno lachrymabiliter exulantem.

Chi sa infatti se colui che disse: Rifulga la luce dalle tenebre,[147] colui che ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti, e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,[148] abbia predisposto questa nullità non dico per curare questa grande piaga — direi che coi metodi ordinari è incurabile —, ma in certo modo per fasciarla? Così che almeno quei poveri cattolici a coloro che chiedono loro: Dov’è il vostro Dio? Dov’è la religione? Poiché anche i cattolici non mancano, ma sono falsi, è non sì vergognano di dire con labbra blasfeme, emulando i maligni: «O se la nostra religione fosse vera, certamente non saremmo circondati da tante angustie!». A questi tali, dico, i cattolici possano dare una risposta. Il nostro Dio è il loro Dio. La nostra religione è anche la loro. Se poi facciano ossequio alla pura verità e abbiano e seguano la sana e vera religione, lì conoscerete dai loro frutti.[149]

Quis scit enim, si ille qui dixit de tenebris lumen splendescere, qui infirma mundi elegit ut fortia quaeque confundat et ea quae non sunt ui ea quae sunt destrueret: quis scit, inquam, si hanc nibileitatem disposuerit ad tantam plagam, non dico curandam — incurabilis est enim via inquam ordinaria — sed aliquomodo circumligandam? Ut vel saltem pauperes illi catholici quaerentibus ab eis: Ubi est Deus vester? Ubi religio? Non enim desunt etiam catholici, sed falsi, qui malignantes aemulando ore suo blasphemo dicere non vereantur: O certe si religio nostra esset [429] vera, tantis non circumdaremur angustiis. Talibus inquam respondere possint. Deus noster Deus eorum est. Et religio nostra religio eorum est. Quod autem purae veritati obsequentes et sanam habeant et veram religionem teneant, a fructibus eorum copnoscetis eos.

9196 Ohimé, non verrà loro subito opposto quello scandalo generale di cui ultimamente i frati hanno dato spettacolo in tutta la Francia? Ed è tanto quanto probabilmente, in proporzione, tutti gli altri Ordini religiosi messi insieme non hanno mai dato. Ma a questo soprassiedo. Penso che la santità vostra è già stata sufficientemente informata. È stata questa, tra l’altro, una delle cause, non ultima, che ci ha spinti a imbarcarci in questo affare, ossia per riparare almeno in parte quel grave scandalo. E sarà imputato tuttavia alla nostra massima presunzione, come se potessimo qualcosa, mentre siamo niente. Eppure ringrazieremmo questa presunzione come a modo suo ricompensata, se constatassimo che è servita alla carità fraterna. Ma anche questa attribuiremo a gloria ed esaltazione di Dio e a nostra confusione.

Sed, heu, nonne obiicietur illis statim illud tam generale scandalum a fratribus nuper in tota Francia datum? Tantum inquam quantum forsitan nullum aliud, caeteris paribus, datum fuit ab omnibus simul religionibus a prima earum constitutione. De quo tamen supersedeo. Credo enim satis de hoc duisse sanctitatem vestram informatam. Haec autem inter alias fuit et est adbuc una non minima causa, quae nos ad hoc opus agrediendum moveret, ut scilicet hoc tantum scandalum vel saltem utcunque repararemus. Quod tamen non immerito imputabitur maximae praesumptioni quasì aliquid possimus qui nihil sumus. Cui tamen praesumptioni tanquam utcumque compensatae congratularemur, si eam charitati fraternae profecisse cerneremus. Sed et eandem ad Dei gloriam et exaltationem nostramque confusionem referemus.

Crediamo infatti per questo, e crediamo, ripeto, o Signore Gesù, in ciò che tu hai detto: Senza di me non potete fare nulla.[150] Parliamo poi non però come sé da noi stessi fossimo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio,[151] la cui parola essendo onnipotente e nessuno potendo resistere alla sua forza,[152] può senza difficoltà salvare in poco e in molto. E ben lo sapeva il fedele David, non l’ignorava l’amabile Gionata, ambedue lo sperimentarono felicemente negli avvenimenti. Colui poi che scruta la mente e il cuore,[153] conosce il nostro desiderio: se è vero, viene da Lui; se l’ha infuso, lo realizzerà.

Credimus enim propter quod et credimus inquam, o Domine Iesu, quod dizisti: Sine me nibil potestis facere. Loquimur autem quod non quasi sufficientes simus aliquid cogitare ex nobis tanquam ex nobis, se sufficientia nostra ex Deo est, cuius quidem cum sit omnipotens sermo et virtuti eius non sit qui resisftet, non est difficile salvare vel in paucis vel in multis. Et hoc quidem recto sciebat David fidelis, nec ignorabat Ionathas amabilis, quodque foelicissime rei eventu uterque expertus est. Ille autem qui scrutatur renes et corda scit utique desiderium nostrum. Quod si est verum, ipse dedit; si dedit, perficiet.

9197 Egli infatti è colui che suscita in noi il volere e l’operare,[154] poiché la sua mano non è troppo corta.[155] Egli ha il potere di far abbondare in noi ogni grazia,[156] perché in tutto venga glorificato per Gesu’ Cristo,[157] Signore e Salvatore nostro, che col Padre e con lo Spirito Santo è Dio benedetto nei secoli dei secoli. Noi invochiamo, col cuore più umile e devoto, la sua infinita potenza, eterna sapienza e immensa bontà, affinché, o beatissimo padre, egli sì degni, nella sua ineffabile misericordia, di dare alla santità vostra una lunga e felice vita e la santa morte dei giusti e, infine, il premio dei combattenti, ossia se stesso. Amen.

Ille est enim qui operatur in nobis et velle et perficere, cuius dextera cum non sit abbreviata. Potens est omnem pgratiam abundare facere in nobis, ut in omnibus honorificetur per lesum Christum Dominum ac Salvatorem nostrum, qui cum Patre et Spiritu Sancto est Deus benedictus in saecula saeculorum, cuius infinitam potentiam, aeternam sapientiam, immensamque bonitatem humillimo ac devotissiìimo corde deprecamur quatenus, beatissime pater, sanctitati vestrae longam ac foelicem vitam sanctamque iustorum mortem, ac tandem militantium mercedem, seipsum videlicet, sua ineffabili misericordia elargiri dignetur. Amen.

Dato a Verdun, nell’anno del Signore 1595, il giorno 24 di luglio.

Della vostra santissima beatitudine

minimo vermiciattolo fra Natanaele da Pontoise

di cui non c’è nulla di più misero, detto però cappuccino,

ma indegnissimo.

Datum Virduni anno Domini 1595, die vero mensis iulii 24.

Vestrae sanctissimae beatitudinis

minimus vermiculus frater Nathanael a Pontizara

quid nibilo miserius, dictus tamen cappucinus

sed indignissimus.

[Postscriptum]

9198 Beatissimo padre, sottomettiamo questa nostra umilissima petizione col cuore aperto al beneplacito di vostra santità, ma quanto avremmo desiderato di poterla esprimere a bocca e non per iscritto, prostrati ai vostri santissimi piedi. Se, nella sua clemenza, vostra santità non mi giudicasse assolutamente indegno di questa grazia, voglia Dio che trovi questa grazia negli occhi della stessa vostra santità, ossia, se sembrasse opportuno, che venissero con me anche due buoni frati, uno dei quali è sacerdote e predicatore e si chiama fra Michele d’Abbeville,[158] uomo veramente semplice e retto; l’altro, un fratello laico, si chiama fra Angelico da Piccardia,[159] devoto e spirituale, così che ogni parola si basa sulla deposizione di due o di tre testimoni.[160] Costoro furono i primi che trattarono con me di questo negozio. Uno di loro, anzi, il fratello laico, fu anche il primo motore. Voglia inoltre la santità vostra, lo dico con ogni umiltà, scusare la mia povertà, per cui non ho potuto trovare una busta adatta per includervi la mia lettera.

Beatissime pater, hanc nostram humillimam petitionem corde plenissimo sanctitatis vestrae beneplacito totaliter submittemus, quam utinam oretenus et non scripto, nobis ad sanctissimos pedes prostratos dicere licuisset, qua tamen gratia si pro sua clementia sanctitas vestra me penitus indignum non arbitraretur, faxit Deus ut in eiusdem sanctitatis vestrae oculis hanc gratiam inveniam, quatenus si expediens videretur, venirent et mecum duo boni fratres, quorum unus qui est sacerdos et praedicator, vocatur frater Michael ab Abbatisvilla, homo vere simplex et rectus. Alter vero, qui est frater laicus, vocatur frater Angelicus a Picardia, devotus et spiritualis, ut in ore duorum vel trium testium stet omne verbum. Ipsi enim fuerunt primi qui mecum aegerunt de hoc negocio, quorum unus, scilicet frater ille laicus, fuit etiam primus motor. Insuper non dedignetur, humillime quaeso, sanctitas vestra paupertatem meam excusare, pro qua nec papirum ad praesentem contegendam debitae mensurae invenire potui.

[sul retro] Al santissimo signore nostro signor Clemente papa ottavo.

A monsignor Morra che la vegghi e parli al papa.

Della riforma dei cappuccini.[161]

[sul retro] Sanctissimo domino nostro domino Clementi papae octavo.

A monsignor Morra che la vegghi et parli al papa.

Capuccinorum reformationis.

  1. Cf. Jean Maizaize, Etat de l’Eglise en France au debut du XVIIe siècle, in id., Le role et l’action des capucins de la Province de Paris dans la France religieuse du XVII siècle [thesis at the Sorbonne in Paris], 1-34.
  2. Per questi numeri e le tavole successive delle province e dei conventi di Francia cf. Tabulae capitulorum generalium, in AGO, AG 1-6; per altre fonti particolari cf. Le role et l’action cit., 60-95 (= Les implantations de convents et leurs causes sociologiques, ora anche in Laurent. 33 [1992] 57-87).
  3. Ibid., 80.
  4. Ibid., 80-89.
  5. Cf. Pas-de-Calais, Arch. départ., J, coll. Barbier, 43.
  6. Le réle et l’action cit., 94s.
  7. Circa questo tema si legga il cap. II della grossa sopracitata ricerca di J. Mauzai ze, Le réle et l’action, 242-271, intitolato: Modalités de recrutement et classes sociales.
  8. Mancano le cifre per questo capitolo generale.
  9. Cf. Minutier Central des notaires de Paris. Vedi J. Mauzaize, Les testaments « ante professionem » des capucins parisiens aux XVIe et XVII*siècles, in L’’histoire des croyants, mémoîre vivante des hommes. Mélanges Charles Molette, Abbeville 1989, 599-609.
  10. Circa questo libretto cf. Ubald d’A lencon, Nos maîtres de spiritualité: le p. Jo seph de Dreux, in EF 38 (1926) 312-320; 39 (1927) 464s. Vedi anche più avanti, nn. 9393-9415.
  11. Circa la fondazione, la presenza e l’influsso spirituale e culturale dei cappuccini a St.-Honoré cf. il grande studio ancora inedito di Jean Mauzaize [p. Raoul de Sceaux], Etude topographique, institutionel le et historique sur le couvent des frères mineurs capucins de la rue Saint-Honoré à Paris. 1574-1792, Paris 1972 (tesi di 1057 pp. per il dottorato del 3° ciclo alla Sorbona).
  12. Cf. Paris, Bibl. nat. f. fr. 25.044, p. 239; £. fr. 25.046, p. 129; Marcellin de Pi se, Annales III, 272: da J. Mauzaize, Le ròle et l’action des capucins cit., 970.
  13. Cf. ibid., 954s.
  14. Questa introduzione è una velocissima sintesi della grossa tesi di laurea difesa presso la Sorbona da J. Mauzaize, Le role et l’action, cit. sopra alla nota 1; l’a. ne ha raccolto alcuni punti fondamentali nella conferenza (qui sostanzialmente seguita) La vie des premziers capucins en France, in La réforme capucine (1525-1625), [Paris 1983], 51-63. — Nella serie dei documenti raccolti, la redazione editoriale ha aggiunto i docc. 8, 10, 11, 18, 21 e 30.
  15. Pietro Deschamps, nato a Amiens nel 1543, entrò nel convento dei frati minori di quella citta nel 1560 e vi dimorò quattro anni. Inviato al Grande convento di Parigi, fece i suoi studi alla Sorbona. Desideroso di ritrovare la vita francescana primitiva, fuggì presso gli Alcantarini in Spagna, donde fu riportato a Parigi e messo in prigione nel Grande convento. Sempre tormentato da quest’ansia di riforma, avendo saputo che a Meudon erano presenti due frati cappuccini portati dal cardinal di Lorraine, scappò una seconda volta e si portò in Italia, vestì senza autorizzazione l’abito dei cappuccini e ritornò in Francia dove, con la protezione del vescovo di Sisteron poté vivere nel romitorio di Picpus, a est di Parigi.
  16. Si chiamavano cordiglieri («Cordeliers») in Francia i frati minori osservanti. I frati minori erano arrivati a Parigi nel 1219. Installati a Saint-Denis, erano in seguito venuti a Vauvert vicino a Parigi, poi sui terreni dell’abbazia di Saint-Germain des Prés. Avendo san Luigi riscattato questo terreno nel 1230, essi trovarono finalmente presso il quartiere delle scuole una dimora stabile.
  17. Questo romito divenne poi fr. Michele d’Epernay. La vestizione canonica ebbe luogo nel 1574. Mori di peste a Chartres il 9 luglio 1598.
  18. La dicitura del cronista è fallosa. Il vero nome è Villecourt. Era un mercante che possedeva una casetta nel villaggio di Picpus all’estremità del sobborgo Saint Antoine.
  19. Picpus era a quell’epoca un villaggio a est di Parigi, in direzione di Vincennes.
  20. Ossia il già citato Aymeric de Rochechouart-Mortemar, figlio d’Aymeric III e di Giovanna di Pontville-Rochechouart. Fu vescovo di Sisteron (Alpi dell’Alta Provenza) dal 1543 al 1580.
  21. Caterina de’ Medici (1519-1589), fi glia di Lorenzo de’ Medici, duca d’Urbino e di Maddalena de La Tour d’Auvergne, nata a Firenze. Nipote di Clemente VII, sposò il re Enrico II e fu la madre dei tre ultimi re della casa dei Valois.
  22. Charles de Lorraine, nato il17.2.1524. Dopo studi brillanti a Parigi nel collegio di Navarre, ebbe l’amministrazio ne della diocesi di Reims. Consacrato vescovo nel 1545, fu fatto cardinale nel 1547. Nel lo stesso anno fondo a Reims una università. Dopo la morte di suo zio, Giovanni, cardinale de Lorraine, Charles lasciò il nome di cardinal de Guise per prendere quello di cardinal de Lorraine. Rappresento la Francia nel concilio di Trento e morì il 26.12.1574.
  23. Pietro de Gondi, già vescovo di Langres, divenne nel 1568 vescovo di Parigi e cardinale nel 1587. Morì il 17.2.1616. Il vescovato di Parigi fu eretto in arcivescovato nel 1622.
  24. Simon Vigor nacque a Dreux. Dottore nel collegio di Navarra nel 1540, rettore dell’Università e parroco di SaintGermain le Vieux, fu un grande predicatore e un avversario dei protestanti. Partecipò al concilio di Trento come teologo di Carlo Le Veneur, vescovo d’Evreux. Ritornato nel 1563, fu nominato canonico e teologo di Parigi, parroco di Saint-Paul e predicatore del re. Promosso da Carlo IX all’ arcivescovato di Narbonne nel 1572, vi morì il primo nov. 1575.
  25. Per questi religiosi si allude, particolarmente a quell’epoca e a Parigi, ai Benedettini, ai canonici regolari di Sainte-Geneviève, agli Osservanti, ai Carmelitani e ai Domenicani.
  26. Il Parlamento di Parigi (ce ne furono dodici) era una corte sovrana stabilita per fare giustizia in ultima istanza in nome del re, ma i parlamentari s’attribuirono anche i poteri politici e amministrativi e svolsero perciò un’enorme influenza.
  27. C’erano i privilegi apostolici di cui i protettori erano i cancellieri di Notre-Dame e dell’abbazia di Saint-Geneviève e anche i vescovi di Beauvais, Meaux e Senlis. Ma, alla fine del secolo XVI non restava piu’ nulla dell’antico potere pontificio sull’Università. Il prevosto di Parigi era conservatore dei privilegi temporali: l’esenzione, per i suoi membri, dalla taglia, dalla servitù, dai diritti di aiuto e di asilo.
  28. Il principale ostacolo era la bolla Dudum siquidem del 5 gennaio 1537, promulgata da Paolo III a istanza degli Osservanti, che proibiva ai cappuccini di stabilirsi fuori dei confini d’Italia. Anche se questa proibizione, nell’intenzione del pontefice, era temporanea, essa si trovava ancora in vigore all’epoca del Concilio di Trento.
  29. Antonio-Maria Salviati apparteneva a una nobile famiglia fiorentina imparentata coi Medici. Nato nel 1536, fu nominato vescovo di Saint-Papoul nel 1561. Internunzio in Francia nel 1571, poi nunzio nel 1572, esercitò questa carica fino al 1578. Creato cardinale il 12 dicembre 1583, mori a Roma il 26 aprile 1602.
  30. Il manoscritto di Claude Hatton, conservato nella Biblioteca nazionale di Parigi è stato pubblicato da F. Bourquelot con il titolo: Mémoîres contenant le récit des événements accomplis de 1553 à 1582 principalement dans la Champagne et dans la Brie, 2 voll, Paris 1857.
  31. Ossia Pietro Deschamps.
  32. Ossia Roanne sul fiume Loira.
  33. Orléans.
  34. Il fatto prodigioso, sul quale il compilatore, nel gusto dell’epoca, indugia con compiacenza, è illustrato anche da una bella incisione dei Flores seraphici.
  35. Ossi Monpensier.
  36. Il compilatore di questa vita scrive alla fine che «la vita del sopra detto padre Pacifico è stata cavata da un manoscritto fatto dal padre Leandro da Venezia, sacerdote cappuccino, che fu prima discepolo di esso padre Pacifico, e poi suo compagno nel viaggio di Francia. E questo afferma con suo solenne giuramento essere vero quello ch’egli ha scritto e noi abbiamo di sopra registrato» (Ibid., 34).
  37. Ossia Carlo d’Angennes de Rambouillet, che allora si trovava a Roma come oratore di Carlo IX.
  38. È lo stesso autore della cronaca, Mattia da Salò.
  39. Circa questi fatti cf. Godefroy de Paris, Les frères mineurs capucins en France. Histoire de la province de Paris, t. I, Paris 1937-1939, 40-102; Pierre Dubois, Les capucins italiens et l’établissement de leur Ordre en Provence (1576-1600), in CF 44 (1974) 71-140, specie 71-81.
  40. Pietro da S. Sisto, benefattore dei cappuccini ad Avignone.
  41. Il compagno di Girolamo da Milano era Petronio da Bologna.
  42. Il sobborgo di Saint-Honoré s’esten deva all’esterno delle mura della città e oltre la omonima porta.
  43. Padre Pacifico da San Gervasio, nato verso il 1512, aveva già fatto parte del monastero di San Giorgio in Alga presso Venezia, dipendente dai canonici regolari di san Lorenzo Giustiniani. Entrato nei cappuccini, nel 1569 esercitò l’ufficio di commissa rio dei missionari cappuccini a Candia. Fu anche provinciale a Milano e in altre province. Commissario generale in Francia, vi morì nel 1575.
  44. Padre Filippo da Parigi entrò nel l’Ordine il 18 aprile 1613 a Meudon, dopo aver compiuto i suoi studi nel collegio di Clermont Parigi. Trascorse tutta la sua vita nel convento di Saint-Honoré dove, pur essendo di salute malferma, compose una importante cronaca sulla storia della provincia, col titolo: Chronologie historique de ce qui s’est passé de plus considérable dans la province de Paris depuis l’an 1574.
  45. Carlo IX (1550-1574), secondo figlio di Enrico II e di Caterina de’ Medici, fu spettatore, durante il suo regno, delle prime funeste guerre di religione.
  46. Enrico III (1551-1589), fratello di Carlo IX, fu eletto re di Polonia, ma la morte del fratello lo richiamò in Francia. Pur essendosi sforzato di stabilire la libertà di coscienza, si trovò contrariato dalla sua famiglia e dalla Lega cattolica. Morì assassinato da un fanatico della Lega nel 1589.
  47. Cioè Pacifico da S. Gervasio.
  48. Monaci di Notre-Dame des Feuillants, una congregazione di Cisterciensi riformati (osservanti della primitiva regola di san Bernardo) sorta in Francia nell’abbazia di Feuillant in Guascogna, come reazione contro la rilassatezza e le molte diserzioni provocate dal Calvinismo. Cf. Diz. ecclesiastico, Torino 1953, 1103.
  49. Maurice d’Epernay nacque verso il 1649. Dopo una giovinezza dedicata alla carriera militare, si converti ed entrò nell’Ordine il 18 giugno 1679. Predicatore, fu anche confessore delle clarisse cappuccine di Parigi e molte volte guardiano. Verso il 1704, chiamato a Saint-Honoré, ricevette l’ordine di continuare l’opera di Filippo da Parigi. Morti il 3 marzo 1721.
  50. I Terziari regolari, confluenza di numerose comunità medioevali, furono ricostituiti dal padre Vincenzo Mussard nel 1600-1601 che li riportò nel villaggio di Picpus dove erano stati i primi cappuccini.
  51. Della stanza del re («Chambre du Roy»), così chiamata probabilmente perché un re vi aveva alloggiato, si faceva ancora menzione su un piano particolare del convento di Saint-Honoré del sec. XVIII (Cf. Bibliothèque nationale di Parigi, Estampes Va 441).
  52. Il palazzo e giardino delle Tuileries (che significa delle fornaci o fabbrica di te gole), cominciato nel 1564 da Caterina de’ Medici che ne affidò la costruzione a Filippo Delorme sull’ampliamento di antiche fornaci, venne continuato da numerosi architetti tra i quali il Du Cerceau.
  53. Il cardinale di Lorena aveva affida to la costruzione del castello di Meudon a Filiberto Delorme. Situato nella zona ovest di Parigi, il castello si trovava non molto di scosto dal convento dei cappuccini che svettava su un poggio da dove si scorgeva Parigi.
  54. Questa torre così chiamata perché il poeta Pierre de Ronsard vi aveva soggiornato. Fu demolita nel 1680 per ordine di Louvois, signore di Meudon.
  55. Bernardino d’Asti, della grande famiglia dei Palli, nacque verso il 1484. Dopo gli studi a Roma entrò negli Osservanti nel 1499 e poi passò ai cappuccini nel 1534. Vicario generale nel 1535, rieletto anche in seguito due volte. Mori in concetto di santità nel 1554.
  56. Evangelista da Cannobio, nato in Lombardia, fu un giurista di razza. Prete se colare, divenne cappuccino in Umbria. Provinciale, fu fatto procuratore generale e poi vicario generale. Mori a Perugia nel 1595.
  57. Il padre Tommaso da Città di Castello, chiamato anche Tifernas a causa del nome latino del suo paese d’origine, era della nobile famiglia dei Gnotti. Cappuccino, fu eletto vicario generale nel 1558. Rieletto nel 1561, governò per sei anni e morì in fama di santità a Città della Pieve nel 1576.
  58. Cioè nel 1562 o 1563.
  59. Padre Dionisio da Milano esercitò in Francia un profondo influsso per la sua predicazione e azione spirituale, ma non conosciamo gran che della sua vita.
  60. Padre Girolamo da Milano apparteneva alla nobile famiglia Caluschi. Nato nel 1524, entrò nell’Ordine nel 1544. Morì a Lione nel 1584.
  61. È probabile che Girolamo da Milano dovette incontrare delle difficoltà nella fondazione del convento, poiché dovette ricorrere a Caterina de’ Medici, la quale scrisse agli scabini perché favorissero la fondazione.
  62. Pierre d’Espignac fu nominato arcivescovo di Lione nel giugno del 1573 e vi morì il 9.1.1599.
  63. Arrivò in Francia il 25 agosto 1575. Nel mese di marzo dell’anno seguente Mattia da Salò mandò padre Girolamo da Milano a prendere possesso del convento d’Avignone.
  64. Gregorio XIV, nato a Savona nel 1535, fu eletto papa nel 1590. Morì nel 1591.
  65. Giacomo Giussano da Milano, detto il Calderino († 1584).
  66. Il 15 agosto, festa dell’Assunzione.
  67. Il suo compagno era Petronio da Bologna.
  68. Cioè l’Imitazione di Cristo del Kempis, che girava stampato anche sotto il nome di Gersone.
  69. La città di Caen (Calvados) era particolarmente celebre per le sue due abbazie benedettine.
  70. Gaspard de La Vérune era discendente dei visconti di Narbonne. Non avendo avuto discendenti, i suoi beni per questo motivo passarono alla famiglia dei marchesi di Canisy.
  71. Charles d’Humière fu vescovo di Bayeux a partire dal 16.5.1548. Egli incorono Caterina de’ Medici, assieme al vescovo d’Evreux. Deceduto il 5.12.1571, la sua sede episcopale rimase vacante fino al 1573.
  72. Questa abbazia benedettina venne fondata nel 1077 da Guiglielmo il Conquistatore. Il primo abbate fu Lanfranco, priore del Bec.
  73. Questo priorato possedeva un oratorio fondato dal cavaliere Guglielmo di Brécourt nel 1311, dal quale derivò il nome.
  74. Alessandro Farnese, figlio di Pietro Luigi Farnese, duca di Parma, e di Gerolama degli Orsini, nacque a Roma il7.10.1520. Provveduto giovanissimo del vescovato di Parma, cardinale e arcivescovo di Avignone, fu anche abbate commendatario di numerose abbazie tra cui quella di Saint Etienne di Caen. Come nunzio svolse un grande ruolo in Francia, in Germania, nei Paesi Bassi e durante il concilio di Trento. Morì a Roma il 2.3.1589.
  75. Charles d’O, signore di La Ferrière, chierico della diocesi di Chartres, fu abbate commendatario di Saint-Julien di Tours e, nel 1582, di Saint-Etienne.
  76. In una lettera del 12.7.1580 il nunzio Dandino scriveva al segretario di stato che “les Jesuites et les Capucins s’exposoient au danger pour secourir les pauvres malades, tandis que ceux qui etoient obligés d’affron ter le péril avoient déjà pris la fuite» (ASV, Nunziatura di Francia, vol 14, f. 303).
  77. In realtà, gli storici contemporanei affermano che l’epidemia ebbe luogo nel 1580.
  78. In una lettera del 12 luglio 1580 il nunzio mons. Dandino parlava al Segreta rio di Stato di «… questi padri Gesuiti e alcuni cappuccini che si sono offerti ali magistrati della città, esporranno le persone loro al pericolo nella cura e consolazione delli corpi e delle anime delli infermi, e suppliranno al mancamento di quelli che dovranno farlo per obbligo, che lo sfuggono e lo ricusano» (ASV, Nunz. di Francia. vol. 14, f. 303).
  79. Si tratta del venerabile Cesare di Bus, fondatore dei Padri della dottrina cristiana.
  80. Cf. Mt 13, 31; Mc 4, 31-32.
  81. L’ospedale di Saint-Jacques de l’Epée era servito d’alloggiamento ai pellegrini in viaggio verso San Giacomo di Compostella o che erano di ritorno.
  82. Il duca Enrico de Joyeuse, conte Du Bouchage, entrò tra i cappuccini, alla morte della sua moglie, il 4 settembre 1587. Dopo tanti eventi, egli era contrario a rientrare nella vita civile. Governatore di Linguadoca per la Lega e maresciallo di Francia, non poté abbracciare la vita religiosa se non nel 1599. Guardiano, provinciale, la sua vita fu quella di un asceta. Definitore generale nel 1608, mori a Rivoli mentre ritornava in Francia il 28 settembre dello stesso anno.
  83. Padre Atanasio Molé, figlio di Edoardo Molé, prese l’abito cappuccino a Meudon il 15 ottobre 1606. Predicatore, di venne l’apostolo della gente di campagna e svolse anche un fecondo apostolato fra i protestanti. Morì a Saint-Honoré il 27.7.1631.
  84. Giambattista d’ Amiens, che fece la vestizione il giorno 13.6.1636, fu soprattutto un grande missionario in Francia, e specie dei bambini e dei contadini, ma anche nelle grandi città. Fedele all’osservanza regolare e uomo di preghiera, lasciò a tutti il ricordo di un santo religioso. Morì a Amiens il 10.2.1703.
  85. Su questo tema vedi, più avanti, la ricca antologia di testi e lo studio di Optatus van Asseldonk.
  86. Entrato nell’Ordine in giugno del 1597, Marziale d’Etampes venne formato al la vita religiosa da padre Benedetto da Canfield e fu soprattutto un direttore spirituale. Morì a Amiens il 20.6.1635.
  87. Ossia l’Exercice des trois clous amoureux et douloureux, stampato a Parigi presso Jean Camusat nel 1635.
  88. Cf. 1 Cor 10, 13.
  89. Cf. De consideratione ad Eugenium papam, l. II, cap. 6, n. 13 (PL 182, 750).
  90. Cf. Ct 3, 11.
  91. Cf. Mt 11, 29.
  92. Cf. Mc 15, 5.
  93. Cf. Gv 13, 14.
  94. Cf. Lc 22, 27.
  95. Cf. Gv 14, 2.
  96. Cf Lc 11, 13.
  97. Cf. Gen 50, 19; Est 13, 9.
  98. Cf. 2 Cor 1, 10.
  99. Cf. Sal 31, 10.
  100. Ossia Enrico di Lorena († 1624), sposato con Caterina di Navarra dalla qua le ebbe quattro figli. Circa i suoi rapporti con i frati cappuccini e con Natanaele da Pontoise cf. Godefroy de Paris, Les frères-mineurs-capucins en France. Histoire de la province de Paris. 1/2: Progrès, crise et redressement de la province Saint-Frangois, Paris-Rouen 1939, 185 e v. indice.
  101. Il capitolo generale del 1596.
  102. Cf. Sal 147, 10-11.
  103. Cf. 1 Cor 5, 3.
  104. Il superiore era allora Giuliano da Camerino, commissario dei cappuccini di Lorena, morto a Verdun nel 1611, sul quale cf. Godefroy de Paris, Les frères-mineurs-capucins cit., 185s.
  105. Si nota il tentativo, maldestro in un temperamento spiritualista come quello del l’autore, di rivestire con formule giuridiche la sua petizione.
  106. Cf. Homiliae in Ezechielem, lib. I, hom. VIII, n. 5 (PL 76, 842).
  107. La questione era realmente presente nell’Ordine cappuccino, sulla fine del Cinquecento, come si può notare, ad esempio, in una pagina dell’Enchiridion ecclesiasticum di Gregorio da Napoli, del 1588 (cf. sopra, nel vol. I, 941-958, nr. 930-938).
  108. L’autore, come scrive V. Criscuolo, accenna qui a Leone da Autré-court-sur-Aire che il 15 febbraio 1595 aveva ottenuto da Clemente VIII l’indulto di lasciare l’abito cappuccino e di trasferirsi tra gli agostiniani di Verdun per promuoverne la riforma. Cf. I cappuccini e la congregazione romana cit., vol. I, 376-378, doc. 402.
  109. Si tratta del famoso p. Angelo di Joyeuse, che lasciata la nobiltà e la carriera politica, si fece cappuccino nel 1587, ma poi, nel 1592, dovette lasciare l’abito per riprendere in mano le sorti della lega cattolica contro i protestanti. L’autore della lettera, come molti altri cappuccini devoti e spirituali, ne erano rimasti sconcertati, ma, certo, non potevano prevedere che egli, passati sette anni, sarebbe rientrato nell’Ordine, vivendo come un asceta fino alla morte avvenuta in Italia, mentre stava ritornando dai capitolo generale, il 28 settembre 1608. Su di lui cf. Lexicon cap., 73s; J. La Guerrande, Ange ou démon. Le duc de Joyeuse, capucin, Paris 1965.
  110. Questo ministro generale potrebbe essere Silvestro Pappalo da Monteleone (ora Vibo Valentia), delle provincia di Napoli (†1611), eletto nel 1593, che visitò le province francesi al tempo della famosa Lega Cattolica contro l’ugonotto Enrico IV.
  111. Cf. Ap 15, 3.
  112. Cf. Sof 1, 15.
  113. Cf. Lc 12, 48.
  114. Cf. Mt 3, 7; Lc 3, 7.
  115. Cf. Mt 24, 20.
  116. Reminiscenza del Sal 120 e 122.
  117. Cf. 1Tm 2,4.
  118. Cf. Lam 4, 1.
  119. Cf. Mt 6, 23.
  120. Mt 5, 13.
  121. Si tratta del convento di Ligny-en-Barrois, fondato nel 1583 per gran de, quasi eccessivo interessamento di Margherita di Savoia, contessa di Ligny, di cui ha lasciato una biografia p. Benedetto Picart di Toul (t 1720). Circa questa fondazione e la sua benefattrice cf. Lexicon cap., 953; [René de Nantes], Documents, 87-89.
  122. Cf. Epistola I, in S. Bernardi opera. VII: Epistolae. I: Corpus epistolarum, a cura di J. Leclercq e H. Rochais, Romae 1974, 9; vedi anche PL 182, 77.
  123. Cf. Apologia ad Guillelmum, cap. 11, n. 27 (PL 182, 913).
  124. Sal 1, 4.
  125. L’autore diventa qui sarcastico.
  126. Cf. Es 32, 6; 1 Cor 10, 7.
  127. Cf, Mt 7, 1; Lc 6, 37; Gv 7, 24.
  128. Cf. Mt 12, 32.
  129. Cf. Sal 44, 10.
  130. Cf. 1 Cor 7, 7.
  131. Cf. 1 Cor 12, 4. 6. 11.
  132. Cf. Gv 14, 2.
  133. Cf. 1 Cor 15, 28.
  134. È questo un pensiero espresso, curiosa coincidenza, anche da santa Teresa d’Avila, la quale scriveva: «Sento dire alle volte del principio degli Ordini religiosi che Dio faceva maggiori grazie a quei nostri antichi santi perché dovevano essere di fondamento. Si, è vero, ma non sì deve mai dimenticare che rispetto a coloro che verranno dopo sono pur di fondamento quelli che vivono oggi. Se noi di oggi conservassimo il fervore dei nostri antichi e altrettanto facessero i nostri successori, l’edificio si manterrebbe sempre saldissimo. Che mi giova avere antecessori santi, se io sono così misero da rovinare l’edificio con le mie cattive abitudini, giacché è evidente che i nuovi venuti più sì modellano su quelli che vedono, che non su quelli già passati da molti anni?» (CE. 8. Teresa di Gesù, Fondazioni, in Opere, Roma 1949, 965s, n. 6, 7).
  135. Cf. Clemente V, Bolla Exivi de paradiso (6 maggio 1312), in Seraph. legisl. textus originales, Quaracchi 1897, 254s, art. 16; BC VI, 83; vedi anche Alb. 65 (n. 146).
  136. Mt 10, 28.
  137. Cf. 1 Cor 10, 13.
  138. Sal 28, 7.
  139. Cf. Sal 27, 3.
  140. Cf. Sap 18, 15; Est 4, 17b.
  141. Mt 15, 27; Mc 7, 28; Lc 16, 21.
  142. Cf. 2 Sam 24, 17.
  143. Cf. Rm 9, 3-4.
  144. Cf. Gv 1, 45-49.
  145. Cf. Ap 3, 5.
  146. Cf. Rm 11, 4.
  147. Cf. 2 Cor 4, 6.
  148. Cf. 1 Cor 1, 27-28.
  149. Cf. Mt 7, 16, 20.
  150. Gv 15, 5.
  151. Cf. 2 Cor 3, 5.
  152. Cf. Sap 18, 15; 11, 22.
  153. Cf. Sal 7, 10.
  154. Cf. Filip 3, 13.
  155. Cf. Is 59, 1; 50, 2.
  156. Cf. 2 Cor 9, 8.
  157. Cf. 1 Pt 4, 11.
  158. Uno dei fondatori della provincia di Lorena, che contribuì alla fondazione dei conventi di Ligny-en-Barrois Les Andelys. Cf. Godefroy de Paris, Les frères-mineurs-capucins cit. 1/2, v. indice.
  159. Questo religioso non è noto agli storici.
  160. Cf. Dt 17, 8.
  161. È l’argomento della lettera, appuntato dal segretario.