INTRODUZIONE ALLE ANTICHE CRONACHE DELL’ORDINE

PARTE SECONDA

STORIA E CRONACA

SEZIONE QUARTA

CRONACHE CAPPUCCINE PRIMITIVE (1565 – 1645 C.)

I

VITA QUOTIDIANA DEI CAPPUCCINI NEL CINQUECENTO SECONDO LE ANTICHE CRONACHE DELL’ORDINE

INTRODUZIONE
a cura di
MARIANO D’ALATRI

I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982 vol. II, 1091-1096.

Introduzione

Questo florilegio di testi ha i pregi e i limiti propri di questo genere di raccolte. Sono stati estratti da una serie di cronache relative al primo secolo di storia della Riforma cappuccina, scritte da quattro frati che furono testimoni di gran parte delle cose narrate. Un accenno al loro curriculum vitae, oltre che dare credibilità alla loro testimonianza, aiuta a comprendere il significato di quello che ci hanno trasmesso. In fondo, essi, piú che registrare date e dati relativi a personaggi, fatti ed eventi, vollero soprattutto dire quello che fu la vita cappuccina nel Cinquecento. Se non sempre riuscirono a documentare con precisione i fatti esterni, seppero nondimeno evidenziare molto bene quel che vollero, come vissero e cosa fecero i primi frati. Le pagine delle loro cronache sono ampie finestre aperte sulla vita del populus dei nuovi figli di san Francesco, anziché asettica informazione su circostanze ed eventi meramente esterni.

Tra i cronisti, Mario Fabiani da Mercato Saraceno (ca. 1512/13 – 6 maggio 1580) è il piú antico. Aveva studiato filosofia e teologia tra gli agostiniani, e passò ai cappuccini negli anni 1539/40. Compiuto il noviziato a Camerino, fu impegnato quasi ininterrottamente, fino alla morte che lo colse in viaggio a Tolentino mentre si recava al capitolo generale, in uffici di grande responsabilità come quelli di maestro dei novizi, guardiano, vicario provinciale (almeno tre volte), definitore generale (quattro volte) e vicario di tutto l’Ordine per due trienni (1567-1573). Ebbe quindi modo di conoscere e di influire sulla vita dell’Ordine, al quale assicurò un regime moderato. Ciò rispondeva alla sua indole mite, che peraltro non gli impedì di intervenire decisamente a difesa dell’autonomia dell’Ordine allorché, nel 1568, corse voce che Pio V volesse riunire i cappuccini alle altre famiglie francescane.[1]

Circa le origini della riforma cappuccina scrisse tre relazioni: la prima, molto breve, nel 1565, per soddisfare il desiderio di Cosimo I dei Medici, che voleva esserne informato; la seconda, piú ampia, nel 1578, a richiesta del card. protettore dell’Ordine, Giulio Antonio Santori; la terza, finalmente, nel 1580, per ristabilire la verità dei fatti contro il veneziano Giuseppe Zarlino, il quale aveva attribuita la paternità della riforma a Paolo da Chioggia, anziché a Matteo da Bascio.

Tutte e tre le relazioni abbracciano il breve arco di tempo che va dal 1525 fino alle tribolazioni seguite all’apostasia dell’Ochino (1542). Mario infatti considera l’anno 1525 come la data di nascita della riforma cappuccina. Perciò egli scrive le cose per la maggior parte avvenute prima che entrasse tra i cappuccini, ma a lui riferite da testimoni autorevoli e diretti, tra i quali occupano il primo posto Eusebio da Ancona, Giuseppe da Collamato e lo stesso Matteo da Bascio. Ma, per quel che qui maggiormente ci interessa, egli è un testimone ben informato ed oggettivo di quanto riguarda la vita della prima generazione di cappuccini.[2]

Una triplice redazione ebbe anche la cronaca, molto piú voluminoisa ed estesa nel tempo, di Bernardino Croli da Colpetrazzo (25 nov. 1514 – 7 febbraio 1594). La prima fu approntata all’inizio del 1580, a richiesta del vicario generale Girolamo da Montefiore, il quale peraltro aveva sollecitato Bernardino a fornire soltanto alcuni dati sulle virtù, la penitenza e i miracoli degli antichi frati, ed invece si vide presentare un grosso volume, ricco di notizie anche sugli inizi dell’Ordine. Una seconda redazione fu da Bernardino approntata di propria iniziativa negli anni 1582-84, dopo che, per la morte del Fabiani (1580), aveva vista frustrata l’attesa che fossero utilizzate le notizie da lui fornite. La terza e definitiva redazione, Bernardino la preparò in due tempi e per incarico avuto da diverse personalità. Nel capitolo generale celebrato in Roma il 18 maggio 1584 era stato stabilito che si pubblicassero le cronache dell’Ordine e; nell’agosto successivo, il vicario generale Giacomo da Mercato Saraceno ordinò a Bernardino di recarsi a Roma per poter preparare il manoscritto. Il lavoro fu portato a buon punto ma non terminato, poiché, con tutta probabilità in seguito a delibera del capitolo generale del maggio 1587, l’incarico fu passato a Mattia Bellintani da Salò, a dire di Bernardino, « piú dotto e piú sufficiente».[3] Vi rimise mano a richiesta del celebre Federico Cesi, duca di Acquasparta, ed anche perché mons. Fulvio Tesorieri, familiare del card. Giangarzia Millini, gli aveva mandata da Roma la carta necessaria, «tanto buona e tanto fina» che meglio non si poteva desiderare.[4] Scriveva cosí nella dedica allo stesso Cesi, in data 2 settembre 1592. Ma, per Bernardino, scrivere le memorie degli inizi dell’Ordine era un bisogno e anche un dovere, dal momento che «che eran già morti tutti i vecchi c’harebbon potuto e ricordarsi e.… scrivere», e riteneva un «gran peccato» lasciar cadere nell’oblio «le memorie de l’opere di quei cosí gran servi di Dio che diedero principio alla nostra congregazione, e con opere tanto sante e predicazioni e miracoli non poco illustrarono la Chiesa di Dio».[5]

Bernardino infatti, entrato tra gli osservanti nel 1531, era passato ai capuccini l’11 gennaio 1534 e, fatta eccezione per tre soltanto, aveva conosciuto tutti i primi frati della riforma. Nella sua lunga vita fu guardiano in piú luoghi, maestro dei novizi, vicario provinciale dell’Umbria, compagno dei generali Francesco da Jesi e Bernardino d’Asti. Egli scrive: «Hebbi stretta familiarità con tutti quei padri che governarono in quel principio la nostra congregazione, i quali familiarissimamente mi riferivano tutte le cose secrete che erano trattate cosí in corte come ne’ capitoli, per esser da loro amato».[6] Non solo vide ed ascoltò, ma era anche dotato di una memoria di ferro, come lui stesso sottolinea: «incominciando io a scrivere…, con tanta facilità io mi ricordavo di tutte le minutaglie e opere, come se con gli occhi corporali attualmente le havesse vedute. Per grazia di Gesú Cristo so’ stato da natura dotato di buona memoria».[7] Insomma, Bernardino, piú che uno storico, è un testimone informato e veridico, niente affatto condizionato da preoccupazioni letterarie o di altro genere. Egli scrive per il bisogno di raccontare, per non portare nella tomba il ricordo dei travagliati inizi della riforma cappuccina, e perché non veda perduta la memoria di tanti frati da lui conosciuti, i quali si erano distinti per santità di vita, austerità e miracoli.[8]

Come si è accennato, nel 1587 al «semplice» Bernardino da Colpetrazzo fu sostituito, come memorialista dell’Ordine cappuccino, il dotto Mattia Bellintani da Salò (29 giungo 1535 – 20 luglio 1611). La sua cultura era soprattutto teologica e biblica, come si conveniva ad un lettore e famoso predicatore cappuccino del Cinquecento, richiesto da un capo all’altro d’Italia. Il Bellintani viaggiò molto anche per impegni di governo (fu definitore generale e; piú volte, vicario delle province di Milano e di Brescia) e per propagare l’Ordine oppure visitare i frati in Francia, Svizzera e Boemia. Ebbe quindi un’esperienza diretta della vita cappuccina, cosí come essa veniva evolvendosi col passar degli anni e quale era nella pratica quotidiana in tante province dell’Ordine. Ed è precisamente questo valore di testimonianza del suo racconto (esso va dagli inizi fino al 1584, con l’aggiunta di notizie sparse che si riferiscono fino all’anno 1600) quello che gli dà il diritto a figurare nel nostro florilegio.[9]

Quarto tra i cronisti ufficiali, i cui scritti rimasero inediti sino ai nostri giorni, è Paolo Vitelleschi da Foligno (ca. 1560-1638). L’incarico gli fu affidato intorno al 1615 e, aiutato da una piccola équipe di collaboratori, lavorò a preparare la sua cronaca fino al 1627, anno in cui il ministro generale Giovanni Maria da Noto gli revocava il mandato. Benché sollecitato a consegnare tutti i manoscritti in suo possesso, il Vitelleschi mantenne almeno gli originali della cronaca da lui scritta, a quanto pare, tra il 1620 e il 1627. Il racconto si arresta al 1552, e ad esso seguono le biografie di 18 frati. Stando cosí le cose, il Vitelleschi non è testimone diretto delle cose riferite, anche se un paio di volte si rifà alla propria esperienza: egli dipende da racconti di confratelli, da documenti archivistici e, piú ancora, dagli antichi cronisti.[10]

Da queste antiche cronache sono stati estratti i testi che seguono, con l’intento di suggerire un’idea della temperie spirituale e della vita di ogni giorno dei frati nel primo sessantennio della riforma cappuccina. Essi sono stati raggruppati a seconda dei vari temi, che possiamo cosí enunziare: significato e intenti della riforma, ruolo della Regola e delle costituzioni, primitiva dimora dei frati, noviziato, studi, silenzio, preghiera e lavoro, povertà, austerità, amor fraterno, umiltà, obbedienza, contemplazione, predicazione, ritiratezza e apertura al mondo. Nella scelta dei testi è stato privilegiato il Colpetrazzo, testimone di tanta parte delle memorie da lui tramandate con semplicità e immediatezza.[11]

Della presentazione del florilegio era stato incaricato il compianto padre Melchiorre da Pobladura (1904-1983), curatore dei sette volumi di Monumenta historica nei quali le dette cronache hanno. finalmente avuta una edizione critica e alle cui amplissime introduzioni rimandiamo per ulteriori informazioni circa gli autori, la tradizione letteraria e il valore storico delle medesime cronache.[12] Com’è noto, in un volume dal titolo «La bella e santa riforma dei frati minori cappuccini» che meritò due fortunate edizioni (Roma 1943 e 1963), lo stesso padre Melchiorre raccolse un gran numero di brani che mettevano in luce lo spirito e la vita dei primi cappuccini.[13] In omaggio a lui e in sua memoria i testi vengono ripresentati nella stessa prospettiva ideale, ma con maggior aderenza al dettato cinquecentesco originale.[14]

Si accennava ai limiti propri di ogni florilegio, che per sua natura accoglie dei brani o frammenti. Ci auguriamo che essi spingano molti a leggere, nella loro edizione integrale, testi che testimoniano la forza espressiva e la tormentata spiritualità dell’aureo Cinquecento italiano.

  1. Vedi nella parte I, sez. IV/I, doc. 3, пп. 1104-1107.
  2. Edizione: Marius a Mercato Saraceno, Relationes de origine Ordinis minorum capuccinorum in lucem editae a Melchiore a Pobladura (MHOC I), Assisi 1937, dove le tre relazioni occupano, rispettivamente, le pp. 1-20, 21-85, 87-475.
  3. Cf. MHOC II, 3.
  4. Ibid.
  5. Ibid. 12.
  6. Ibid. 13.
  7. Ibid.
  8. Edizione: Il Colpetrazzo divise la sua cronaca in tre parti, ognuna delle quali costituisce un volume a sé: Bernardinus a Copetrazzo, Historia fratrum minorum capuccinorum (1525-1593). Liber primus: Praecipui nascentis Ordinis eventus; Liber secundus: Biographiae selectae; Liber tertius: Ratio vivendi fratum. Ministri et vicarii generales. Cardinales protectores in lucem editus a Melchiore a Pobladura (MHOC II, III, IV), Assisi 1939, 1940; Romae 1941.
  9. Edizione: Matthias a Salò, Historia capuccina in lucem edita a Melchiore a Pobladura, 2 voll. (MHOC V VI), Romae 1946 e 1950.
  10. Edizione: Paulus a Foligno, Origo et progressas Ordinis fratrum minorum capuccinorim edidit Melchior a Pobladura (MHOC VII), Romae 1955.
  11. Cf. Mariano d’Alatri, Tipologia della santità cappuccina da una rilettura delle «Vitae Fratrum» del Colpetrazzo, in id., Messaggeri e santi seguendo Francesco d’Assisi, Roma-Curia Generale dei Cappuccini, 1987, 43-79; si veda anche: id., La riforma cappuccina vista da due cronisti del Cinquecento, in CF 48 (1978) 399-412, e anche in id., Aperti a Dio e al mondo seguendo Francesco d’Assisi, Roma-Curia Generale dei Cappuccini, 1986, 33-66; e per ultimo cf. id., Questi i fratelli dell’Ordine cappuccino, Roma-Provincia Romana dei Cappuccini, 1988.
  12. Per quanto attiene alle cronache cappuccine, oltre le edizioni di MHOC citate, si vedano: Melchior a Pobladura, De vita et scriptis P. Marii Fabiani a Foro Sarsinio, O.M. Cap., in CF 6 (1936) 552-595; id., Disquisitio critica de vita et scriptis P. Bernardini a Colpetrazzo, ibid. 9 (1939) 34,72; id., De cooperatorious in compositione Annalium Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, ibid 26 (1956) 9-47; Stanislao da Campagnola; Le origini francescane come problema storiografico. Seconda edizione riveduta e aggiornata, Perugia 1979, 99-107.
  13. Cf. Isidoro da Villapadierna, Padre Melchiorre da Pobladura (1904-1983) storico e agiografo, in CF 54 (1984) 101-158: accurato profilo bio-bibliografico. Per le due edizioni della Bella e santa riforma cf. ibid. 140 (n. 15; vedi anche n. 30) e 146 (n. 81).
  14. La fonte viene Citata dopo ogni singolo testo con numero romano (I-VII) per indicare il volume di MHOC, e poi la pagina in numero arabico. Per uniformità redazionale sono state aggiunte brevi introduzioni ai singoli temi e alcune note illustrative ai testi (n.d.E.).