LE ORDINAZIONI DI ALBACINA (1529)

PARTE PRIMA

ISPIRAZIONE E ISTITUZIONE

SEZIONE SECONDA

PRIMITIVA LEGISLAZIONE CAPPUCCINA (1529 – 1643)

I

LE ORDINAZIONI DI ALBACINA (1529)

TESTI E NOTIE
a cura di
COSTANZO CARGNONI

I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, 178-225.

«CONSTITUZIONI DELLI FRATI MINORI DETTI DELLA VITA EREMITICA»

81 [Prologo] – Le constituzioni che fecero in Alvacina si trovano sotto il nome di fra Lodovico da Fossombruno, perché con esse egli dispose la congregazione capuccina tutto il tempo che la governò, e puote essere che egli vi aggiungesse alcuna cosa, secondo che nel progresso vedeva esser bisogno.[1]

[Servire il Signore]

82 1. Prima, circa le cose divine e spirituali, prego ed essorto tutti li nostri fratelli di questa nostra confraternità[2] e massime li superiori che tengono il luogo del Signore[3] in aiutare e mantenere e regere l’armonia e ordine del Signore. E se tutte le cose, etiam irrazionali, vivono e servano l’ordine che il Signore gli ha dato, molto più le creature razionali, massime quelli che sono dedicati e chiamati ad assistere e stare innanzi al Signore nelli suoi servizi, specchio e luce del mondo e mezo reduttivo ad esso nostro fine Dio benedetto, con verità, spirituali e santi documenti e intenzione.

E acciò che tutti li fratelli attendano uniformemente[4] a questo, che le presenti promulgano, non intendo per questo instituire nuova Regola, né che si muti nuovo modo di vivere; né ancora intendo di obligare alcuno dei fratelli al peccato mortale, contravenendo alle cose infrascritte. Ma essorto con il bascio delli piedi,[5] prima li su periori, dopoi tutti gli altri fratelli, che voglino osservare l’infrascritte ordinazioni puramente e semplicemente, senza giosa,[6] sin a tanto che il Signore si degnarà di ordinar altro per alcuno suo servo più di me illuminato.

E benché ordino le presenti, intendo sempre rimettere queste e tutte le altre cose mie alli più intelligenti e di meglio giudicio. Per ora parmi espediente notarvi queste poche constituzioni.

(Liturgia e contemplazione]

83 2. E prima del divin officio. Circa l’officio divino essorto e ordino che si dica devotamente, con le pause, senza coda o biscanti e voce feminile. Il mattutino, secondo il solito, nella meza notte, secondo la consuetudine della religione. Le altre ore canoniche si dicano alle sue ore competenti, eccetto terza e sesta, che si dicano secondo il consueto.[7]

84 3. Ancora ordiniamo che non si aggiunga altro officio di grazia in coro, eccetto quello della Madonna. E se ad alcuno delli frati piacesse e li rendesse più devozione dire li sette salmi, l’officio de’ morti, Benedicta o altre orazioni vocali, si contentarà dire da per sé, o vero con un altro compagno fuora di coro, a tempo che non si dice l’officio in coro, acciò non dia molestia ad alcun frate che stesse in chiesa o vero in coro ad essercitarsi in orazione secreta o vero mentale. E questo si ordina acciò che gli fratelli tutti insieme dicano piú devotamente e con le debite pause l’officio di debito, commandato dalla Regola, e acciò che li fratelli abbiano piú tempo da essercitarsi in orazioni secrete e mentali, molto piú fruttuose che le vocali.[8]

[Solitudine]

85 4. Item ordiniamo che la settimana santa, nelle terre e cittadi dove non manca a’ secolari di puoter andare alle tenebre[9] in altri luoghi, li frati dicano il mattutino e celebrino le tenebre la notte e non la sera. E questa era la consuetudine nelli tempi di quelli primi spiriti angelici.

86 5. Item ordiniamo che non si vada a officio de morti, né a mortori,[10] eccetto in caso di gran necessità, né anco a processione. eccetto a quella del Corpus Domini e delle Rogazioni, quando si vedesse che fosse scandalo a non andare, e in alcun’altra processione che si fa per qualche necessità, sempre intendendo che, se si ponno[11] schivare senza scandalo, si schivino, acciò che si ne stiamo nella nostra quiete.[12]

[Comunione fraterna e povertà]

87 6. Item ordiniamo che si dica solum una messa in chiesa per consuetudine, secondo l’usanza dell’Ordine.[13] E se alli altri fratelli sacerdoti satisfacesse star solamente a quella messa, alla qual cosa san Francesco ne ha esortato col bascio delli piedi:[14] ordiniamo che li frati sacerdoti, eccetto se non fussero tirati per lor devozione, non siamo costretti dalli prelati a dir messa, eccetto nelle solennità o necessità. E a questo ancora li prelati abbino diligenza e somma cura di non pigliare satisfazzione da’ secolari e di non ricever trigesimi, né altre messe, acciò per questo gli sacerdoti non fussero costretti a dir messa per necessità. E guardinsi gli prelati al tutto da questa cupidità di tirar li populi alli eremi e luoghi dove abitano con dir messe e offici, acciò li populi portino elemosine e altre cose.[15]

Il caso è questo: che vogliamo e ordiniamo che non si ricevano messe in qualunque modo. Ma se alcuno dirà: «Frati, ditemi una messa o piú», se gli risponda devotamente e discretamente, dicendo: «Noi pregaremo Dio per voi nelle nostre messe». E si potrà ponere ancora una colletta in particolare per quella persona in sua satisfazzione. E al tutto si schivi ricevere elemosine alcune per messe o per orazione. Ma se daranno pane o vino, o altre cose pertinenti al vitto, si possano ricevere come elemosine date da chi non dimandasse orazione. E l’orazioni si facciano pur per semplice carità e per amor di Dio.[16]

[Austerità discreta]

88 7. Item ordiniamo che la disciplina si faccia dopo il mattutino, eccetto in luochi molto freddi, dove l’inverno si possi far la sera.[17]

[Preghiera, silenzio, ospitalità delicata]

89 8. Item ordiniamo che l’orazione si faccia alli tempi ordinati dal. l’Ordine. E se alcuno si trovasse mal disposto in quell’ora, ordiniamo che un’ora d’orazione non lasci. Ma statuimo dui altri tempi a detta orazione, l’uno dopo il vespro, l’altro avanti terza, non però orazione publica o con suono di campana, ma secreta. E per questo non intendiamo che, se saranno occupati per alcuna necessità da’ suoi superiori, non abbiano ad obedire, ma similmente obediscano.[18]

E notare che questa ora è così deputata dalla religione e ordinata per un buon ordine e una ceremonia e ancora per molti delli fratelli tepidi e pigri, acciò che non manchino da quell’ora. Ma li fratelli devoti e ferventi non si contentano di una, né di due o tre ore, ma tutto il tempo loro spendano in orare, meditare e contemplare. E, come veri contemplatori, adorano il Padre in spirito e verità.[19] E a questo studio essorto li fratelli, perché questo è il fine per i quale sono fatti religiosi.[20]

90 9. Item ordiniamo che il silenzio s’osservi inviolabilmente dal primo segno di compieta fin detta la messa conventuale e ordinaria, e questo sempre. E da Pascha fin a mezo il mese d’agosto si faccia il segno del silenzio lavate le scuotelle, e tengasi fin al tocco di vespro.[21]

E se alcuno delli fratelli in questo mancasse, ne dirà la colpa, e faccia la disceplina coram fratribus.

91 10. Item ordiniamo che, in questo tempo e in tutti li altri, li prelati abbino diligente cura che, venendo alcun secolare o religioso alli eremi, dove noi abitamo, il portinaro, il qual sia eletto per il piú discreto, divoto e di buon essempio, chiami il guardiano, o vero alcun altro che per esso sarà ordinato, a sodisfare, a parlare e accompagnare essi forastieri. E li altri, alli quali non è imposta questa cura, s’astenghino di parlare con persone che vengono al luoco nostro senza gran necessità.[22]

[Nutrire il corpo e soprattutto lo spirito]

92 11. Item ordiniamo e vogliamo che li guardiani abbino solecita cura di far sempre legere alcuni libri spirituali e divoti come è usanza dell’Ordine, e questo è registrato nella decretale: Quod in mensa religiosorum habeatur lectio.[23]

93 12. Item, che non s’introduchino secolari a mangiar con li frati eccetto per gran necessità, e che non s’apparecchi con tovaglie, ma si ponga un tovaglino per frate, e poverino.[24]

94 13. Item ordiniamo che alla mensa non si dia altro che una sorte di vivanda, o ver minestra. E, quando si digiuna, a questo s’aggionga una insalata cotta, o ver cruda. E quando fosse donato un poco di pesce o altra cosa, li frati ne possino mangiare. Avertino sempre a

questo: che non si portino alla mensa più che due sorti di cibi, intendendo delle cose che vanno per le mani del cuciniero.[25]

95 14. Item ordiniamo che, se alcuno delli fratelli non vorrà mangiar carne, né bever vino, alla qual cosa li essorto, se possono astenersi, non si possino dalli prelati sforzare a mangiare le predette cose, eccetto se li prelati conosceranno alcuno non sapersi regere, né aver discrezione, e vedessero principio di alcuna infirmità per causa di detta astinenza. Li prelati a questo li essortino discretamente, timoratamente e divotamente, in quanto conosceranno che la necessità e discrezione ricerchi. Ed essorto ancora li fratelli nel Sienore che siano discreti e non siano di dura cervice; e che il vino che se pone alla mensa sia ben temperato.[26]

96 15. Item, se alcuno delli fratelli volesse degiunare o fare alcuna quadragesima,[27] non sia impedito, sempre intendendo ut supra; e, se sarà necessario, siali concesso una sorte di cucina solamente.

[Povertà in ogni cosa]

97 16. Item, che tutte le masariccie siano poche e sprezzate, tal che in omni re ad nostrum usum resplenda la paucità, la povertà e austerità.[28]

98 17. Item ordiniamo che non si cerchi, per cerca ordinaria, né carne, né ovi, né caseo; ma quando si cercarà l’elemosina, se alcuna persona ispirata dal Signore la proferirà, si possi pigliare, sempre intendendo che in ogni cosa s’osservi e riluca lo stato della santa povertà.

E se fosse mandato delle predette cose alli luchi dove noi abitamo, avertano li superiori e li altri fratelli che non siano vinti dalla poca fede o dall’avarizia o da cupidità; che, se saranno di queste cose nel luoco, si contentino e non ne piglino piú, considerando lo stato nostro[29] e la povertà altissima che avemo promessa: quae nos, carissimos fratres meos, haeredes et reges regni coelorum institut; pauperes rebus fecit, virtutibus sublimait. Haec sit portio vestra, quae perducit in terram viventium.[30] E ricevendole in tal modo, s’attenda la qualità e quantità che sia secondo la Regola nostra.

18. Item ordiniamo che li superiori siano molto avertiti nel cercare l’elemosine che non s’abbi a far longhe provisioni, ma quotidianamente per due o tre giorni, o vero al più per una settimana, secondo l’essigenzia dei luochi e lor distanzia, sempre avendo in cuore e in essecuzione d’opere, quant’è possibile, il nostro povero stato.[31]

100 19. Item ordiniamo che niun prelato, né altro delli fratelli, ardisca di riponere bote di vino nei luoghi, né boticelli, né barili, ma abbiano alcuni fiaschi o fiaschetti, quanto si richiederà alla povera essigenzia delli frati.[32]

[Austerità nel vestire]

101 20. Item ordiniamo che se alcuno delli fratelli non vorrà portare altro che un abito, li sia concesso, perché gliel concede la Regola,[33] e a quello che non gli basta l’abito abbia una tunica povera e corta, che passi il genocchio quattro dita; e se vi fosse alcuno di molto fredda complessione, che avesse fatto esperienzia di sé non poter resistere con un abito e una tunica, come sono fratelli vecchi, debil di spirito, se gli conceda una capuccia[34] tanto longa che, estendendo li bracci, cuopra l’estremità delle mani, e che non sia eccedente

ma equale alla detta estremità, o vero pochissimo piú, in tanto che la cuopra e non piú. E le corde siano grosse e sprezzate e con semplice nodo, non lavorate a posta.[35]

102 21. Item ordiniamo che li panni si provedano secondo la necessità presente, avendo sempre speranza nel Signore e fede.

103 22. Item avertano li superiori e li fratelli che la longhezza delli abiti non sia piú di undeci palmi communi, o vero alli corpulenti dodeci, e la tunica sette palmi. E avertino che le maniche siano strette e poverelle, tanto che il braccio possi entrare libero e uscire.[36]

[Calzature all’apostolica]

104 23. Item ordiniamo che chi non può andare scalzo, avendo prima provato, se non può resistere, porti li sandali, come portavano gli apostoli e li antichi padri nostri, poveramente quanto piú si può, come richiede il nostro stato, e che non si porti li zoccoli.[37]

[La grazia della predicazione]

105 24. Item ordiniamo che li predicatori ch’hanno a predicare il verbo del Signore, quando vanno per viaggio e di luoco in luoco, non portino se non tre libri che il loro officio richiederà.[38]

E si ordina ancora alli prelati che li predicatori, alli quali il Signore darà la grazia, non lascino star oziosi, ma li faccino essercitar la vigna del Signore in predicare, non solamente la quaresima, ma infra l’anno ancora nelle feste occorrenti e altri giorni espedienti. E siano di tal qualità quelli che saranno ordinati al detto officio che la prima predica sia la sua buona vita e il suo buono essempio; non curioso di ornato parlare, né ancora sotile speculazione, ma pura[mente] e semplicemente predichino l’Evangelio del Signore. E li altri sacerdoti e chierici, che non sanno predicare, gli sia concesso un libretto spirituale, scritto a mano o a stampa, e il breviario ad uso loro, e non altro.[39]

[Usare senza possedere]

106 25. Item ordiniamo che nisun frate pigli cose concesse ad uso d’alcun frate, senza licenza del superiore, o vero di quello al quale è stata concessa ad uso; e chi contrafarà mangi una volta pane e acqua e dica la colpa coram fratribus; e il padre guardiano gli faccia un buon cap[p]ello, ché un’altra volta non lo faccia. E ciascuno faccia qualche segno a quella cosa che gli è concessa ad uso.[40]

[Semplicità senza curiosità]

107 26. Item ordiniamo che li fratelli si vestino tutti di panni vili, come dice la Regola,[41] e delli piú vili che si troveranno in quelli paesi, e delli piú abietti e sprezzati e mortificati di colore che troveranno.

108 27. Item ordiniamo che niuno porti fiasco, tasca o cap[p]ello, ma solo due para di mutande e due poveri mocechini, chi n’averà bisogno; e guardinsi che li breviari e altri libri non siano curiosi né abbino ancora curiosi segnacoli, né corone curiose, né altre cosoline, che sono più tosto cose feminili che da religioso, e che le corone siano vili e sprezzate.[42]

[Studio e devozione]

109 28. Item che niuno presuma ponere studio, eccetto leggere alcuna lezzione delle sacre Scritture e qualche libretto devoto e spirituale, che tirino all’amor di Cristo e ad abbracciar la sua croce.[43]

[Lavoro pastorale e solitudine]

110 29. Item che non si ordini confessori se non averanno almanco quaranta anni e che siano di buona vita, discreti e di buon essempio e alquanto ben istrutti. E che non si pigli per consuetudine il confessare, eccetto in alcuni casi urgenti e spedienti e sommamente necessari, e questo giudicato per li prelati, quia omnis regula patitur esceptionem.[44]

111 30. Item ordiniamo che a niun modo si pigli cura de’ monastery de monache, senza licenza del capitolo generale.[45]

[Senza nulla possedere]

112 31. Item, che li libri stiano tutti in un luoco in commune,[46] eccetto quelli che sono concessi per divozione ad alcun frate per uso suo. E che quando li fosse dimandato in prestito da alcuno, lo dia con licenza del prelato, altrimente saria proprietario. E così di qual si voglia ogn’altra cosa picciola.[47]

113 32. Item ordiniamo che niun frate doni cosa alcuna, né dentro né fuora dell’Ordine, senza licenza de’ suoi superiori.[48]

114 33. Item, che non scrivano lettere né a sé né ad altri, né anche ne mandino o ricevino senza licenza de suoi superiori.[49]

[Pastorale vocazione e formazione]

115 34. Item, quando alcuno volesse ricevere questa nostra vita e venir nell’Ordine, sia tenuto per quindeci giorni nel luoco e li frati puramente osservino quel passo della Regola: quod vadant et vendant omnia sua et ea studeant pauperibus erogare. E seguita: postea concedan eis parnos probationis. Si che prima debbano dare li suoi beni a’ poveri, avanti che siano vestiti.[50]

116 35. Item, non sia ricevuto all’Ordine alcuno che non abbia passati quindeci anni e con questo ancora che non abbia apparenza puerile, altramente non sia ricevuto; e a questo li prelati siano avvertiti che a nisun modo li ricevino.[51]

117 36. Item, che li novizi chierici abbino ad imparar la Regola a mente nel tempo del noviziato, e a questo li loro maestri siano soliciti.[52]

118 37. Item, che li chierici e laici giovani se gli dia il maestro per quattro anni dalli prelati, e siano in detto tempo ammaestrati nella via perfetta dello spirito.[53]

119 38. Item, che niun professo ardisca, o vero presumma entrar in cella dei chierici senza licenza de suoi maestri o guardiano, e niun chierico ardisca entrar in cella d’alcun altro frate senza licenza del suo maestro o guardiano. E chi contrafarà mangiarà un giorno pane e acqua, dicendo la sua colpa coram fratribus.[54]

[Ancora povertà e austerità]

120 39. Item, che i frati non abbiano rasori, eccetto uno per loco per alcuna necessità occorrente e per cavar sangue alli infermi. Ma si facciano la chierica in ogni vinti giorni con la forfesetta.[55]

121 40. Item, si guardino li frati che quando riceveranno luochi, o vero pioliaranno alcun eremo, non ricevano altro, salvo quanto sarà giudicato espediente al povero viver nostro.[56]

122 41. Item, delli procuratori e sindici non ne facciamo menzione, perché si osserva inviolabilmente, e però ordiniamo che non s’abbia altro procuratore e altro sindico che Cristo benedetto, e la nostra procuratrice e protettrice sia la Madonna Madre de Dio, e lo nostro sustituto sia il nostro padre san Francesco. E inviolabilmente volemo che non s’abbia stare alla protezzione e cura d’altri.[57]

123 42. Item, che non si tenghino bestie, né muli, né cavalli, né asini per li luochi, e li prelati vadino a piedi. E se pur alcun fosse debile e fosse necessario il cavalcare, vada con un asinello, perché ci andò Cristo, nostro Signore, e il nostro padre san Francesco in sua estrema necessità. E se accadesse un caso molto necessario, la Regola è scritta.[58]

124 43. Item, che li frati si guardino che a niun modo portino berette, o vero cap[p]elli.[59]

125 44. Item, che li casi che sono riservati nella «famiglia» si riservano ancor qui alli suoi superiori e che nissuno si possa assolvere.[60]

126 45. Item, che il mercore a niun modo s’abbia a mangiar carne.[61]

127 46. Item ordiniamo che niun frate tenga chiave né lucchetto in cella, né in altro luoco, e che le celle stiano aperte senza chiave.[62]

[Della vita eremitica]

128 47. Item si ordina che in ogni luoco, dove si potrà, si faccia una celluccia, o ver due alquanto discoste dal luoco, in solitudine, acciò che, se alcuno avesse grazia dal Signore vivere con silenzio anacoritamente e giudicato per li superiori esser idoneo, li sia data commodità con ogni carità che si ricerca. E a questo essorto li superiori e prelati che, trovando alcuni atti, non gli neghino questa carità. E stando detto fratello in solitudine, tenga silenzio e nisuno vada a dargli impaccio, e non abbi a parlare, eccetto col suo padre spirituale, né ad alcuno altro parli senza licenza del suo superiore. E li sia portato il suo povero vivere sino alla celluccia con silenzio e senza streppito, acciò che sia sempre unito col suo amoroso Gesù Cristo, sposo dell’anima sua.[63]

[Superiori per servire]

129 48. Item, li superiori vicari e guardiani possino esser confirmati nelli loro offici tanto quanto saranno rieletti e che si portaranno bene e manteneranno il vivere regolare.[64]

130 49. Item ordiniamo che se li prelati maggiori e minori, cioè vicari e guardiani, non si porteranno bene, e fosse il lor stare pericoloso e rovinoso della confraternità, volemo che li discreti e li vocali che hanno eletti li superiori maggiori li possano cassare e farne un altro. E li guardiani che non si portaranno bene, li vicari, di consiglio delli diffinitori del capitolo, li possino deponere e farne un altro.[65]

E la confirmazione del vicario [generale] sia fatta di tre anni in tre anni; delli provinciali ogn’anno; il simile delli guardiani, avertendo sempre d’andar puramente e semplicemente ad attendere all’onor e gloria del Signore e alla conservazione del vivere regolare, senza alcuna ambizione, pratiche o conventiculi, le quali cose chi fa, credo sia dall’Eterno Dio e dal padre san Francesco maledetto.[66]

[Piccole e povere abitazioni dei frati]

131 50. Item, che non si ricevino luochi fuori del capitolo, eccetto che alcuno avesse particolar autorità e licenza dal vicario generale; e che li luochi tutti siano presi fuori delle città, distanti per un miglio o poco manco; e che detti luochi che s’hanno a pigliare e fabricare stilino sempre sotto il dominio delli padroni, o vero delle città,[67] e siano sempre presi con questa condizione che, ogni volta che lí si trovasse impedimento alla vita nostra, li fratelli liberamente si possino partire. E quando alli padroni non piacesse che li fratelli abitassero in detto loco, senza alcuna contradizzione s’abbiano a partire e andar in altro laoco a far penitenzia con la benedizzione del Signore, dove saranno posti dalli suoi superiori.[68]

132 51. Item, che li luochi che s’hanno a fabricare, si fabrichino più umilmente che sia possibile, de vimini e luto, o vero pietre e terra, eccetto la chiesa, la quale si faccia picciola. E questo intendemo quando si trovano vimini e luto e buona terra da fabricare. E che le celle appareno e siano picciole e povere, in modo che abbiano piú tosto similitudine de sepolcri che di celle; e dette celle siano umili e basse.[69]

133 52. Item, che li frati non tengano, né abbiano in cella figure curiose, ma alcuna poverina cosa, o ver qualche crocifisso, o ver qualch’altra semplice figura o semplice crociolina con li misteri della passione, come lancia, spongia, chiodi.[70]

134 53. Item ordiniamo che li luochi fatti, quali ne fossero offerti, a niun modo si piglino, se non saranno picciolini e poverini di chiesa e di abitazione, secondo che di sopra abbiamo detto e secondo che è la voluntà del nostro padre san Francesco, qual dice: quod fratres habeant ecclesias et abitacula paupercula; et quae pro ipsis construuntur omnino non recipiant nisi fuerint secundum sanctam paupertatem, quam in Regula firmiter promisimus, ibi hospitantes sicut peregrini et advenae.[71] E quando si pigliaranno tali luchi, si stia al consiglio delli detti frati da bene, spirituali, devoti e stimolati.

[Ancora austerità discreta]

135 54. Item, che li frati che non sono deboli usino sotto nel dormire tavole, o vero stuore o paglia o félici, senza saccone, con una schiavina o capezzal di paglia chi lo vorrà.[72]

[Per evitare le distrazioni]

136 55. Item si avertisca con gran diligenzia che non si lascino facilmente entrare donne nelli luochi ed eremi dove noi abitamo; e se con buon modo si può fare, che in niun modo ce n’entri alcuna, facciasi, quia mundus et mulier non facile aliter quam fusiendo vincuntur, ut ait Augustinus.[73]

137 56. Item ordiniamo che non si ricevano morti, eccetto qualche poverello che lo portassino sino al luoco, senza che li frati vi andassero e che altri non l’avessero voluto sepelire perché era povero e non li pagava.[74] Questi tali, quando saranno portati alli luchi ed eremi dove noi stiamo, possino essere sepeliti, quia est opus pietatis et misericordiae; e non ricevino cosa alcuna, eccetto che preghino per carità e per amor di Dio per l’anima sua.[75]

138 57. Item si ordina che li frati non presumano di pigliar alcuna refezzione fuora della mensa e luoco ordinato, e si suardino, come o cosa inconveniente e irregolare, andar pigliando alcuna cosa per l’orto, né mangiar frutti, né alcun’ altra cosa senza licenzia e benedizzione de’ suoi superiori.[76]

E quando vanno fuora del luoco, s’assuefaccino sempre, quando occorrerà alcuna necessità di pigliar refezzione, che la piglino, se n’hanno bisogno, con licenzia e benedizzione del piú antico fratello. E quando arrivaranno ad altri monasteri e luochi, non piglino niente senza licenzia e benedizzione del superiore di detto luoco.[77]

[Fratelli anzitutto]

139 58. Item si ordina, come cosa congrua e religiosa, che quando acadi alli fratelli alcuna necessità di parlar o in tempo di silenzio o fuora in altra ora, parlino sempre summisse e con ogni piacevolezza e umiltà e con ogni riverenza l’un all’altro, non usando atto alcuno di superbia o di maggioritade: cosí conviene alli devoti e umili servi del Crocifisso.[78]

[Dell’obbedienza]

140 59. Item ordiniamo, sotto pena della scomunica e privazione d’officio, che niun frate, che è stato della nostra confraternità, si riceva da una provincia in un’altra senza la obedienza del vicario generale.[79]

141 60. Item, che niuno delli nostri fratelli vada senza l’obedienzia, quando camina da luoco a luoco o di provincia in provincia, e sempre con il compagno, se commodamente si può fare.[80]

[Piccola fraternità]

142 61. Item, che per li eremi il numero delli frati non passi sette o otto, eccetto se non fosse città grossa, dove comodamente vi potessero stare e con ogni facilità dieci o dodeci fratelli, vel circa. Nelle altre terre o città communi voglio che non passi il numero di otto frati.[81] E questo acciò piú comodamente e facilmente s’osservi la nostra Regola e povertà, secondo la voluntà del nostro padre, del quale si legge nelle croniche dell’Ordine che questa era la sua voluntà, cioè che stessero puochi frati per li luoghi.[82]

[Fedeltà alla norma di vita]

143 62. Item ordiniamo, acciò che le presenti costituzioni meglio s’osservino, che li prelati le facciano leggere una volta la settimana; e se in questo saranno negligenti, siano puniti ad arbitrio de loro vicari. E, ammoniti che saranno dalli loro superiori per tre volte e non s’emendaranno, siano deposti dalli loro offici.[83]

144 63. Item, se li superiori maggiori saranno [negligenti] a far osservare le predette costituzioni e leggerle secondo si ordina e penitenziar i deffettuosi, – qual penitenzia lascio in suo arbitrio -, ammoniti che saranno, se non s’emendaranno, siano deposti dall’officio.[84]

[Esigenze di semplicità]

145 64. Item, che in chiesa non si abbiano più di due paramenti, o vero tre, uno festivo e due feriali, senza veluto, seta o oro e ogni altra curiosità, eccetto in alcuni luochi dove si trovassero fatti, e massime le fimbrie e croci sí di pianete come de càmisi e palî.[85]

146 65. Item, che li nanti-altari, o ver pali, siano puri, semplici edi panno. E nelli luochi non siano più di due calici; se si potranno avere di peltro, s’abbiano; e a questo si faccia diligenzia d’averli di peltro, acciò che dalli luochi dove noi abitamo sia esclusa ogni curiosità e superfluità e preziosità di oro, argento, seta e veluto, e riluca in essi ogni povertà e austerità, considerando che il Signore non resguarda alle mani e alli vasi, ma alli nostri cori, che siano puri e netti da ogni sozzura e pieni di affetti e desideri di povertà, la quale, secondo dice il nostro padre san Francesco, heredes et reges nos regni coelorum instituit, pauperes rebus fecit, virtutibus sublimavit; haec sit portio vestra, fratres carissimi, si vere divites esse cupimus et beati.[86]

147 66. Item ordiniamo che tutti li abiti vecchi dei luochi si pongano in communità, e si faccia un communitiero che n’abbia diligente cura a racconciarli e lavarli. E quando alcun frate vorrà lavar il suo abito, abbia da mutarsi, e che lo communitiero sia solecito e che non se

ne scordi poi dell’abito che averà imprestato, che lo lascia tener due o tre mesi e poi lo renda lordo e rotto, come è solito de frati.[87] E però si ordina che chi pigliarà detti abiti s’espedisca presto di lavar e racconciar il suo, acciò che non abbia da tener l’abito della communità piú di tre o quatro giorni.

[Seguire Cristo Crocifisso]

148 67. E se ad alcuno delli frati paresse difficile queste cose predette, si ricordino del nostro Signore Gesú Cristo, che apparse e nacque al mondo povero e umile, e tutta la sua vita è stata a noi specchio ed essempio d’umiltà e povertà. E questo insegnò e mostrò esso al

nostro padre san Francesco e hallo insegnato a tutti li suoi servi, a dar ad intendere che il principio, mezo e fine della nostra conversione sia tutta in compagnarlo alla croce santa.[88]

Chi ha trascorso e letta la vita delli santi e loro detti, lo può comprendere, come s’ha di san Martino che, essendo alla morte vicino, disse alli suoi discepoli che l’essortavano ut saltem vilia sibi sinerer stramenta supponi: «Non decet – inquit – fili, christianum nisi in cinere et cilicio mori; ego si vobis aliud exemplum relinguo, ipse pecco».[89]

E del glorioso Ieronimo che si legge? Or non dice lui di sé medesimo: quod nuda humo vix ossa baerentia collidebat et quod de cibiset potu tacet, cum etiam languentes monachi aqua frigida uterentur? Et coctum aliquod accepisse luxuriae esset?.[90]

Sí che, fratelli carissimi, seguitiamo le dottrine, essempi e costumi dei veri santi, i quali non sono suspetti, e lasciamo andare l’invenzione e detti degli uomini, massime di quelli che sono discordanti dalla penitenzia e croce di Cristo, la qual vi essorto e conforto che seguitiate.[91]

Valete in Domino semper e recordatevi di me, fratelli carissimi, nelle vostre orazioni.

149 Expliciunt ordinationes fratrum minorum vitae heremiticae per reverendum patrem fratrem Ludovicum Forosemproniensem generalem vicarum ordinatae.[92]

  1. Il nome «constituzioni», sebbene risulti nel titolo originale riportato dal Bellintani e nei numeri 1, 62 e 63, non è appropriato a questo documento legislativo. Più preciso è il termine giuridico «ordinazioni», come è usato espressamente nell’avvertenza finale latina e come, del resto, suggerisce la ripetizione continua del verbo «ordinare» nelle forme: «si ordina», «ordiniamo». Il testo di Albacina è qui riprodotto tenendo presenti le edizioni di Melchiorre da Pobladura (MHOC V, 158-172), di G. Santarelli (IF 62 [1987] 7-21) e quella del ms. apografo (Constitutiones antiquae, 18-31). La traduzione latina del Boverio è ricavata da AC I, 117-125 (nn. 15-73), riedita in AO 5 (1889) 13-21. Per i diversi problemi critici e bibliografici si veda l’accurato studio di F. Elizondo, Las constituciones capuchinas de 1529, in Laurent. 20 (1979) 389-440; per le fonti cf. O. Schmucki, La figura di san Francesco, in Le origini, 121-157; C. Cargnoni, La tradizione, in CF 52 (1982) 88-90 (= tavola sinottica delle fonti francescane nelle ordinazioni di Albacina).
  2. Si noti il timbro della «fraternità» che contrassegna queste primitive ordinazioni, ma anche un certo rapporto con riforme di confraternite laicali.
  3. Cf. Spec. perf. 46 e 80: «Il suddito deve considerare il suo superiore non come un uomo, ma come Dio, per amor del quale si è a lui sottomesso… E vorrei che, come vicario di Cristo, sia da tutti onorato con devozione e rispetto…» (FF n. 1734 e 1775). Il concetto è presente anche nella Leg. per. 11 e in altre fonti francescane discusse nel loro contesto da R. Manselli, Nos qui cum eo fuimus. Contributo alla questione francescana, Roma1980, 62-77.
  4. Il concetto di «uniformità» è desunto dalla legislazione francescana ordinata sistematicamente per la prima volta da san Bonaventura nelle costituzioni Narbonensi del 1260.
  5. Espressione
caratteristica di san Francesco: Rnb 23: «Prego tutti, baciando loro i piedi»; Lett. ai fedeli 86: «vi prego e vi scongiuro nella carità che è Dio, e col desiderio di baciarvi i piedi»; Lett. al cap. gen. e a tutti i frati 13: «Perciò scongiuro tutti voi, fratelli, baciandovi i piedi» (FF nn. 72, 206, 217). «Bascio» (= bacio) è forma dialettale umbro-marchigiana.
  6. Reminiscenza del Testamento di san Francesco: «Ma, come il Signore mi ha dato di dire e scrivere semplicemente e puramente la Regola e queste parole, cosí voi semplicemente e senza glossa intendetele e con santa operosità osservatele sino alla fine» (Test. 47: FF n. 130). Si veda anche Spec. perf. 1, 70, 80 (FF nn. 1678, 1763, 1776): «Voglio che sia [la Regola] osservata alla lettera…, senza commenti»; «nella pura osservanza del Vangelo che sono obbligati a seguire in purità e semplicità»; «porgendo a tutti con purezza e semplicità, in se stessi, esempio e norma dell’osservanza del Vangelo, secondo l’ideale presentato nella Regola».
  7. Cf. S. Francesco, Lett. a tutto l’Ordine: «I chierici recitino l’officio con devozione davanti a Dio, non mirando alla melodia della voce, ma alla consonanza della mente, di modo che la voce sia in armonia con la mente e la mente con Dio, affinché possano rendere propizio Dio con la purezza del cuore, anziché dilettare le orecchie del popolo con la seduzione della voce» (FF n. 227); Spec. disciplinae, pars prima, XV, 6; pars secunda I, 7 (S. Bonaventura, Op. omnia, VII, 596s, 616a); Statuti degli Scalzi (1501), n. 7: «Que el oficio divino se había de decir de día y noche, pausando en el final y en la mediación del verso; sin sentarse, sino todos en pie, con reverencia y devoción; y mando se cantase non fuese a punto, sino en tono llano y bajo» (AIA 22 [1962] 537); vedi anche: Statuti degli Scalzi di Giovanni de la Puebla: «Que no se cante canto llano, y mucho menos canto de organo; sino que se cante à tono con la voz algo baxa, y con igualdad; de suerte, que suene canto humilde, mortificado y devoto» (Andrés de Guadalupe, Historia de la santa provincia de los Angeles, Madrid, 1662, libro V, сар. 4, р. 143a).
  8. Cf. Leg. maior 4, 3: «Erano continuamente intenti a pregare Iddio applicandosi all’esercizio dell’orazione e della devozione piú con la mente che con la voce» (FF n. 1067). Ma si veda in questo statuto un’applicazione del regolamento di san Francesco per gli eremi (FF n. 136-138) e per coloro che stavano alla Porziuncola (cf. Spec. perf. 55: FF n. 1745). – «Officio di grazia» vuol dire libero, mentre «officio di debito» significa obbligatorio. I sette salmi penitenziali erano una devozione alle anime del purgatorio («officio dei morti» era molto sentita nell’Ordine. dei morti») era molto sentita nell’ordine. Benedicta è un’antica formula di preghiera mariana tradizionale nell’Ordine francesca-no, su cui cf. D.-M. Montagna, Cinquecento devoto minore. L’ufficio della «Benedetta» ed altre preci in un opuscolo di origine francescana attorno al 1525 (Milano, Trivulziana M 87), in Studi Storici O.S.M. 23 (1973) 266-275; cf. anche E. Clop, Office de la Benedicta, in EF 30 (1913) 482-492; si confronti inoltre questo statuto con un passo delle costituzioni di san Giovanni da Capistrano: « Inquirant etiam (superiores tempore visitationis) attente contra negligentes et lentos ad divina officia et missarum solemnia persolvenda; de ieiunis, de disciplinis ter in hebdomada fiendis; de officiis de gratia, ut mortuorum, Benedicta, psalmorum penitentialium secundum bonas consuetudines Ordinis» (Spec. Minorum, pars III, f. 226); vedi anche gli Statuti della recollezione (1523), cap. 2 (AIA 5 [1928] 266).
  9. Per «tenebre» s’intendeva l’officio del sabato santo.
  10. Funerali.
  11. Forma verbale antica per: possono.
  12. «Si ne stiamo» per «cene stiamo». La paura dello scandalo e la salvaguardia della «quiete» ( = contemplazione, ritiro, silenzio) sono una continua attenzione di san Francesco. Cf. per es., Spec. perf. 2 e 11: «Temeva molto lo scandalo, in sé e negli altri»; «egli molto paventava lo scandalo» (FF n. 1680 e 1694).
  13. Circa questa antica consuetudine di celebrare una messa cf. Octave d’Angers, La messe publique et privée dans le pieté de saint François, in EF 49 (1937) 475-486; Hugo Dausend, Die Brüder dürfen in ibren Niederlassungen täglich nur eine hl. Messe lesen. Eine Weisung des hl. Franziskus nach deutschen Erklärung, in FS 13 (1926) 207-212.
  14. Cf. Lett. a tutto l’Ordine, 38-40: «Ammonisco, perciò, ed esorto nel Signore che, nei luoghi dove dimorano i fratelli, si celebri una sola messa al giorno, secondo il rito della santa Chiesa. Se poi nel luogo vi fossero più sacerdoti, per amore di carità sia l’uno soddisfatto di ascoltare la celebrazione dell’altro sacerdote, poiché il Signore Gesù Cristo ricolma di sé presenti ed assenti che sian degni di Lui» (FF n. 222-223).
  15. Celebrare senza ricevere elemosine è una norma comune agli statuti degli Scalzi e delle case di recollezione (cf. alcune citazioni in F. Elizondo, Las constituciones capuchinas de 1536, in Estud. Franc. 83 (1982) 193 nota 1). Senz’altro, nella mente dei primi legislatori cappuccini erano presenti anche molti passi che si leggono nello Spec. perf. 18 e 22: «Offrite, a quanti domandate la carità, l’amore di Dio in contraccambio, dicendo: – Per amore del Signore Dio, fateci la carità! -. E al confronto di questo amore, cielo e terra sono un nulla»; «l servo di Dio chiedendo l’elemosina offre in cambio l’amore di Dio a quelli cui si rivolge» (FF n. 1701 e 1706).
  16. Cf. Lett. a tutto l’Ordine 15-17: «Prego poi nel Signore tutti i miei fratel-li, che sono e saranno e bramano essere sacerdoti dell’ Altissimo, affinché, ogni qual volta vorranno celebrare la messa, puri, compiano con purità e riverenza il vero sacrificio del santissimo Corpo e Sangue del Signore nostro Gesú Cristo; e ciò facciano con intenzione santa e pura, non per alcuna cosa terrena, né per timore o amore di alcuno uomo, quasi che volessero piacere agli uomini» (FF n. 218); vedi anche gli Statuti delle case di Recollezione (1526), n. 4: «Si vero sub conditione, si Deo placuerit, dicantur missae pro aliquibus personis […]. Et tunc dicantur mera caritate, nullo penitus habito retributionis pacto» (cf. AIA 21 [1961] 469).
  17. Cf. le costituzioni del 1508, c. 7: «Et quia in multis provincis et locis observantiae regularis consueverunt fratres Post completorium vel matutinum accipere disciplinam in communi ter in ebdomada luxta alia Ordinis statuta ob memoriam passionis Christi…» (cf. Firmamentum trium Ord., Parisiis 1512, h. 28ra).
  18. Circa i tempi di preghiera tra i francescani cf. C. Cargnoni, Esperienze e vita di preghiera nella storia dell’Ordine francescano, Roma 1980, 25s, e anche in AO 97 (1981) 124s e in DIP VII, Roma 1983,628-651 (v. Preghiera: IV. I Francescani); citazioni di statuti in Estud. Franc. 83 (1982) 197 nota 3.
  19. Gv 4, 24. Ci sono anche molte allusioni a testi di san Francesco, come: Rnb 22, 26; 23, 32 (FF n. 60 e 71); Ammoniz. 16 (FF n. 165); Lett. ai fedeli 19-20: «Amiamo dunque Dio e adoriamolo con cuore puro e con puramente, poiché egli, desiderando ciò sopra ogni cosa, disse: – I veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità -. Infatti, tutti quelli che lo adorano, devono adorarlo in spirito e verità» (FF n. 187). Per i verbi «orare, meditare e contemplare» che alludono a espressioni bonaventuriane e, probabilmente, alla Forma orationis et meditationis di L. Barbo, cf. C. Cargnoni, I primi lineamenti, in IF 59 (1984) 131s.
  20. Il primato della vita contemplativa è una convinzione che i nostri primi cappuccini hanno ricavato dall’osservanza spirituale della Regola. «L’orazione è il fine della Regola», dicevano essi (cf. МНОС III, 80, 263, 367; VI, 21, 124 ecc.). Su questo paragrafo degli ordinamenti di Albacina cf. il commento di Remigio da Alosto, De oratione mentali in Ordine fratrum minorum capuccinorum, in CF 3 (1933) 40-49.
  21. Cf. Const. Narb. c.4, n. 11: «Similiter [si osservi il silenzio] hora dormitionis a Pascha usque ad festum Exaltationis Sanctae Crucis» (in AFH 34 [1941] 57); Statuti Recollezione (1526), c. 1, n. 10-11: «Secundo [si osservi il silenziol in horis debitis, scilicet: a signo salutationis angelicae in sero usque ad primam pulsationem primae horae diei sequentis… Similiter hora dormitionis a festo Resurrectionis Domini usque ad festum Exaltationis Sanctae Crucis quolibet die, transacta hora post prandium, pulsatur campanella refectorii et ex tunc sileatur usque ad nonam» (cf. AIA 21 [1961] 467). Questa sottolineatura del silenzio sembra un chiaro riferimento al regolamento di san Francesco per gli eremi: «Si sforzino di osservare il silenzio… e dopo terza rompano il silenzio…» (FF n. 137), e soprattutto alla constitutio silenti del luogo-modello della Porziuncola, come si legge in Spec. perf. 55: «I nostri antichi padri… incentivavano quel carattere di santità con continue preghiere e silenzio giorno e notte» (FF n. 1745), regola che doveva modellare anche coloro che andavano nel mondo: «Andate con umiltà e modestia, osservando il silenzio dal mattino fino all’ora di terza» (ibid. 65: FF n. 1757). Vedi altre citazioni di testi legislativi antichi e coevi in Le prime costituzioni, 110-112, note 27-28.
  22. Anche questa prescrizione sembra ispirarsi alla Regula pro eremitoris data e al regolamento per la Porziuncola di san Francesco già citati.
  23. Cf. Decretum Gratiani, pars prima, dist. 44, c. 8 e 1, in CIC I, col. 158s; Cost. 1336 («Benedictinae»), c. 4, n. 2:«In mensa lectio habeatur» (in AFH 30 [1937] 339); Cost. 1500, c. 3: «Semper autem, dum fratres ordinarie refectionem sumunt, lectio habeatur in mensa, ut dum corpus pane suo nutritur, anima etiam pane angelorum alatur» (in CHL I, Neapoli 1650, 1546-155a); Cost. 1508, c. 3: «Volumus quoque ut iuta ecclesiasticas sanctiones et generalem usum Ordinis semper in mensa conventus lectio continua habeatur» (cf. Firmamentum trium Ordinum beatissimi patris nostri Francisci, Parisiis 1512, pars III, h. 7va); vedi anche De lectione ad mensam [in Ordine franciscali), in Acta O.F.M. 31 (1944) 182-84.
  24. È probabile l’allusione al noto episodio di san Francesco contro la curiositas et superfluità, che si legge in Spec. perf. 20 e anche in 2 Cel. 61 (FF n. 1703 e 647). Per i precedenti legislativi cf. Statuti recollezione 1523, c. 4: «No ternán manteles en el refitorio; más tengan panizuelos» (AIA 5 [1928] 270); nella versione latina: «Non habebunt mappas in refectorio, sed tantum parva manutergia» (AM XVI, 196).
  25. Cf. Const. Narb. c.4, n. 7: «Item contra superfluitates ciborum statuimus, quod fratres […] uno tantum ferculo pro pitantia sint contenti. Et caveant proposse a sumptuosis cibariis» (AFH 34 [1941] (56); Lope de Salinas, Memorial, c. 20: «Las viandas que más acostumbramos son pan, è cocinas de hortalizas o de legumbres, e frutas, e uvas, e en ivierno agua cocida con finojo. E cuando Dios lo envía comemos sardinas, dando a cacha fraire una sardina, o dos, si las hay, sin pescado alguno» (AIA 17 [1957] 741).
  26. Nel ms. c’era: adacquato, poi corretto con: temperato. Questo ordinamento, col seguente, che riguarda l’astinenza e il digiuno e la mortificazione nel cibo, si rifà, indirettamente, a molti episodi che si possono leggere per es. in Spec. perf. 27, 61 e 97 (cibi poveri e discrezione nell’astinenza) o in 2 Cel. 22. Cf. O. Schmucki, La figura di san Francesco, in Le origini, 139 e nota 69. Si notino, in particolare, queste frasi: «Dobbiamo rifuggire un digiuno esagerato, poiché il Signore vuole misericordia e non sacrificio (Mt 12, 7) … Voglio e ordino che ogni fratello doni al suo corpo il necessario a misura della nostra povertà…» (Spec. perf. 27: FF n. 1712); oppure quest’altra: «Il servo di Dio nel mangiare, nel bere, nel dormire e nel soddisfare le altre necessità corporali, deve provvedere con discrezione al suo fisico, in maniera che fratello corpo non abbia a protestare…» (ibid. 97: FF n. 1796). Cf. anche Statuti recollezione 1526, c. 3, n. 3: «Item ut fratres istorum conventuum possint in humilitate et asperitate crucem portare post Christum, si qui eorum voluerint, a carne vel a vino abstinere vel aliud penale subire, dummodo sint sale discretionis condita, a prelatis permittantur Pagere talia; ipsi tamen prelati, qui ut spirituales debent omnia iudicare, possint interdum filiorum suorum fervorem remittere, cum eis secundum Deum visum fuerit opportunum» (AIA 21 [1961] 473).
  27. Dice «alcuna quadragesima», perché oltre le due quaresime prescritte dalla Regola e quella libera della «benedetta», c’erano altre quaresime che san Francesco era solito fare, come quella dello Spirito Santo, dell’Assunzione, di S. Michele Arcangelo e dei santi apostoli Pietro e Paolo (cf. Conf. V, 190). Vedi anche gli Statuti recollezione 1523, c. 4: «Sean amonestados a ayunas la Quaresma de los benditos, y la del Espiritu Sancto; y no las dexen sin causa, por alcanzar la benedición de nuestro Santísimo Padre» (AIA 5 [1928]270).
  28. Cf. S. Bonav., Expositio super Regulam, c. 4, n. 15 (Op. omnia VIII, 422). Ma è una frase impregnata di reminiscenze dello Spec. perf. 5: «E non solo odiava le case confortevoli, ma detestava gli utensili abbondanti e ricercati. Non amava che nelle mense e nella suppellettile ci fosse sentore di mondanità, affinché ogni cosa profumasse di povertà…» (FF n. 1685); «Voglio esser contento di scarsi e miseri cibi, e usare d’ogni altra cosa secondo povertà, aborrendo tutto ciò che sia costoso e ricercato» (ibid. 27: FF n. 1713); «Non voleva assolutamente che nelle case o chiese, orti o altre cose di loro uso, i frati debordassero dai limiti della povertà… Questo fu il suo ideale dal principio della sua conversione sino alla fine: che in ogni cosa la povertà fosse osservata totalmente» (ibid. 10: FF n. 1691); «Tutti i fratelli con vibrante fervore e zelo osservavano in ogni cosa la santa povertà, in angusti edifici e modesti utensili» (ibid. 71: FF n. 1764).
  29. Cf. MHOC V, 281, 343s, e altri riferimenti in: Le prime Costituzioni, 116 nota 49, e 133 nota 19. Questo continuo riferirsi allo «stato della santa povertà», allo «stato nostro» e alla «povertà altissima» ecc. (vedi anche piú avanti allo statuto 18 dove si parla del «nostro povero stato») è un linguaggio ricavato dallo Speculum perfectionis status fratris minoris.
  30. «La quale [povertà] ha costituito noi, carissimi fratelli miei, eredi e re del regno dei cieli, ci ha fatti poveri di cose e sublimati nelle virtù. Sia questa la vostra porzione, che conduce alla terra dei viventi» (Rb 6: FF n. 90). Si noti come il testo passa dalla prima alla seconda persona plurale.
  31. Lo Spec. perf. 19 è più radicale: «E per lungo tempo parecchi frati in mol ti luoghi osservarono questo, specie in città, non volendo raccogliere o ricevere piú elemosine di quelle indispensabili per un solo giorno» (FF n. 1702). Si noti la frase stupenda: «avendo in cuore e in essecuzione d’opere», che sottolinea la tensione verso l’ideale della povertà e la sua continua concretizzazione.
  32. Cf. Statuti recollezione 1526, c. 2, a. 10: «Idcirco, nolo vindemiarum tempore quod fratres isti querant vinum ad reponendum in futuro nec frumentum nec oleum nec alia huiusmodi, nisi essent omnino certi quod ab his congregationibus abstinentes non possent habere necessaria vitae» (AIA 21 [1961] 471).
  33. Cf. Rb 2: «Abbiano una tonaca con il cappuccio e, coloro che vorranno averla, un’altra senza cappuccio» (FF n. 81); vedi anche Test. 20: «Ed erano contenti di una tonaca rappezzata di dentro e di fuori con il cingolo e le brache» (FF n. 117); Leg. 3 Soc. 40: «I servi di Dio […] secondo l’ideale evangelico, non portavano che una sola tunica» (FF n. 1444).
  34. Cf. Const. Narb. 1260, c. 2, n. 5: «Nullus frater inferiorem tunicam habeat nisi unam, vel simplicem vel repeciatam» (AFH 34 [1941] 43); Statuti degli Scalzi 1501, n. 6: «Que la permisión que da la Regla para usar además del hábito de túnica, la renunciaban voluntariamente y se contentaban por abrigo con el manto, el cual había de ser sin pliegues ni aobleces ni más largo que hasta cubrir (rendido el braso) las extremidades de los dedos de las manos» (AIA 22 [1962] 536). Qui c’è una chiara allusione al dettato di A. Clareno: «Longitudo manicarum usque ad extremitatem digitorum, ita quod manus operiret et longitudo manuum non excederet» (Hist. 7 trib., ed. A. Ghinato, p. 221), citazione mediata probabilmente da Conf. V. 104.
  35. Cf. Const. Narb. 1260, c. 2, n. 10: «Cingulum habeatur chorda communis, et nihil portetur appensum ad chordam» (AFH 34 [1941] 44; Statuti Lionesi (1518); «Cingulum habeatur chorda communis et rudis et omnis curiositas ab ea penitus rescindatur» (in SF 72 [1972] 59). La «capuccia» è il mantello.
  36. E ancora un passo del Clareno: «Latitudo earum esset tanta quod manus libere exire posset et intrare» (Hist. 7 trib., cit., 221). Per la misura del «palmo» cf. Eduardus Alenconiensis, Primigeniae..., in Liber memorialis, 422; e l’edizione anastatica delle Const. antiquae, 206, 284, 636; vedi inoltre F. Elizondo, in Estud. Franc.83 (1982) 187 nota 2.
  37. Const. Narb. 1260, c. 2, n. 8: « tem cum ab institutione nostri Ordinis de forma habitus sit, sine calceamenta incedere, et Regula calceamenta non concedat nisi iis ‘qui necessitate coguntur’, ordinamus, ut nullus frater vadat consuetudinarie calceatus, nisi cuius evidens necessitas fratribus innotescit…»; n. 9: «Item o qui calceamentis indigent, non portent stivallos, sed calceos corrigiatos et antefixos» (AFH 34 [1941] 43s); Statuti degli Scalzi 1501, n. 6: «Que todos habían de andar descalzos, pies por terra, excepto los necesitados, a los cuales se les concedía usar de choclos o alpargates abiertos o sandalias, sin talones» (AIA 22 [1962] 536); altre citazioni di statuti in F. Elizondo, Las constituciones capuchinas de 1536, in Estud. Franc. 83 (1982) 189 nota 3. – L’esclusione degli zoccoli era un segno di distanza dagli osservanti.
  38. Ouesti «tre libri» erano, verosimilmente, gli appunti di prediche, un Interrogatorio per i confessori e il breviario (con la Regola). Cf. Giovanni da Fano, Dialogo de la salute (emendato), piú avanti, in corrispondenza alle note 316-317 (cf. n. 613). Ma, forse, c’è anche una reminiscenza della Leg. 3 Soc. 59: «Andavano per il mondo come pellegrini e stranieri, nulla portando nel viaggio all’infuori dei libri indispensabili per recitare le ore liturgiche» (FF n. 1471), con la spiegazione di fondo dello Spec. perf. 3 (FF n. 1681-82).
  39. Tutto questo statuto che riguarda le caratteristiche del predicatore e del modo di predicare, risente di molti testi degli Scritti di san Francesco e dello Spec. perf. Per es. Rnb 17 (FF n. 46-47); Spec. perf. 4 con l’es. di Francesco che risponde al quesito se il frate minore possa avere libri, dicendo tra le altre cose: «Un uomo è tanto sapiente quanto opera, ed è il religioso bravo predicatore nella misura in cui mette in pratica» (FF n. 1684); ibid. 10: «… sempre avendo di mira… il buon esempio che siamo tenuti a dare in ogni cosa» (n. 1691); ibid. 63: «Il servo di Dio deve talmente ardere e risplendere di vita e santità in se stesso, da biasimare con la luminosità dell’esempio e con la lingua di un santo comportamento tutti i malvagi» (n. 1742); ibid. 80: «… Coltiverà le virtú in se stesso e negli altri, praticandole di continuo e incitando ad esse con l’esempio piú che con le parole » (n. 1775); ibid. 73: «Come voleva e insegnava che prelati e predicatori devono esercitarsi nell’orazione e nelle opere di umiltà» (n. 1768). Molte di queste citazioni si leggono in Conf. IV, 615-619. – Un breve commento a questo statuto in C. Cargnoni, La predicazione dei frati cappuccini nell’opera di riforma promossa dal Concilio di Trento, Roma 1984, 13s.
  40. «Cappello» significa ramanzina, correzione. La sottolineatura frequente della necessità della «licenza del superiore» o della penitenza del digiuno in pane e acqua è ricavata da reminiscenze di testi francescani, oltre che dalla prassi ordinaria della tradizione dell’Ordine, come, per es. nelle Const. Narb. dove si dice spesso «sine licentia prelatorum», oppure «tantum in pane et aqua ieiunet». Gli oggetti appartenenti ai frati, specie i libri, anticamente erano segnati con lo stereotipo: «A semplice uso di».
  41. Cf. Rb 2, 17; Rnb 2, 14 (FF n. 81 e 8); vedi anche molti passi dello Spec. perf. 15: «Come evitare le vesti troppo delicate e abbondanti e come nelle strettezze si deve usare pazienza» (FF n. 1698); Spec. perf. 112: «mi faccia avere del panno monacale color cenere» (n. 1812); ibid. 113: «Il vestito dell’allodola, il suo piumaggio cioè, ha il colore della terra: cosí offre ai religiosi l’esempio di non avere vesti eleganti e di belle tinte, ma di modesto prezzo e colore somigliante alla terra, che è l’elemento piú umile» (n. 1813). C’è anche una risonanza del testo di Ugo di Digne, Expositio, 112: «Omnes indistincte vilibus uti debent… Attendenda est haec vilitas in pretio et colore et secundum aestimationem hominum regionis in qua fratres morantur [cf. Quat. Mag., 136] servata nihilominus honestate», anche le Const. Narb. 1260, c. 2, n. 1: «Cum Regula dicat, quod ‘fratres omnes vestimentis vilibus induantur’, statuimus, ut vestimentorum vilitas attendatur in pretio pariter et colore»; n. 12: «in omnibus quae ad habitum fratrum spectant, ad imitationem patrum nostrorum reluceat semper austeritas, vilitas et paupertas» (AFI 34 [1941] 42 e 44); lo stesso ripetono le Cost. Del 1354, del 1430 e 1508 (cf. F. Elizondo, in Estud. Franc. 83 [1982] 186, nota 2).
  42. Vedi, piú avanti, Giovanni da Fano, Dialogo de la salute (emendato), in corrispondenza alla nota 318 (cf. n. 613) e annotazione di E. d’Alençcon, Primigeniae legislationis, in Liber memorialis 429s, nota 140, 2; cf. anche Spec. perf. 2 e 2 Cel. 62: «Ecco la mia prima intenzione e ultima volontà e volesse il cielo ch’io fossi riuscito a convincerli! – che cioè Nessun frate abbia se non l’abito che la Regola autorizza, con il cordiglio e le brache»; «Insegnava a cercare nei libri la testiminianza del Signore (Sal 18, 8), non il valore materiale; l’edificazione non la bellezza» (FF n. 1679 e 648).
  43. L’ispirazione di questo ordinamento si può trovare, tra l’altro, nello Spec. perf. 69: «Non diceva questo perché gli dispiacesse la lettura della Sacra Scrittura, ma per distogliere tutti dalla superflua preoccupazione di imparare» (FF n. 1762); ibid. 70: contrappone a coloro che confidano «nella propria sapienza e scienza» l’importanza preminente di esercitarsi «nelle opere virtuose, nella via della croce e della penitenza» (FF n. 1763); oppure l’esempio del perfetto frate minore che, come fr. Ginepro, nutre «ardente desiderio d’imitare Cristo seguendo la via della croce» (Spec. perf. 85: FF n. 1782) e soprattutto quelle sofferte parole dei primi compagni rivolte a Francesco che nel decorso della sua malattia aveva subito una grave crisi e sembrava spacciato: «Dove sarà l’anima infuocata, che ci diriga nella via del la croce e ci rafforzi nella perfezione evangelica?… le tue parole [erano per noi] fiaccole ardenti e incendianti a vivere la croce, la perfezione evangelica, l’amore e l’imitazione del dolce Crocifisso» (Spec. perf. 87: FF n. 1784). Tramite Conf. V, 381-384, che spiega tutta la vita di san Francesco nella luce della croce, in 32 episodi, c’è anche l’influsso della Leg. maior, per es. 4, 3 (FF n. 1067)g e degli Actus-Fioretti.
  44. Questa prescrizione, rimasta nella lettera della legislazione cappuccina per molto tempo, può ispirarsi a Spec. perf. 50: «E se starete lontani da ogni cupidigia e avrete convinto il popolo a soddisfare ai suoi doveri verso le chiese, i vescovi vi pregheranno di ascoltare le confessioni della loro gente, sebbene di ciò non dobbiate curarvi, poiché se sono veramente convertiti troveranno con facilità confessori» (FF n. 1738). Per la citazione del canone cf. Ius canon. univ., vol. VII, de Regulis iuris, pars 2, n. 12. Cf. Le prime Costituzioni, 135s, nota 1.
  45. È una prescrizione, ribadita ancora piú fortemente nelle Cost. 1536, n. 135 (cf. n. 404).
  46. Cf. Spec. perf. 5: «E volle che tenessero pochi libri e in comune, a disposizione dei fratelli che ne avessero bisogno» (FF n. 1685); Leg. 3 Soc. 43: «Nessuna cosa ritenevano proprietà privata, ma i libri e altro erano messi a disposizione di tutti, secondo la direttiva trasmessa e osservata dagli apostoli (cf. At 4, 32)» (FF n. 1450); cf. Conf. IV, 192 e 397; V, 110.
  47. Cf. 2 Cel. 180: «Voglio che i miei frati si dimostrino figli della stessa madre, e che si prestino a vicenda generosamente la tonaca, la corda o ciò che uno avrà chiesto all’altro. Mettano in comune i libri e tutto ciò che può essere gradito ed anzi, direi di piú, li costringano ad accettarli» (FF n. 766).
  48. Cf. Const. Narb. 1260, c. 3, n. 4: «nec auctoritate propria dent vel recipient aliquid vel permutent, sine suorum licentia praelatorum» (AFH 34 [1941] 45); Cost. 1336, c. 7: «Caveant ne personis extra suum Ordinem… munera et donaria dare seu offerre prorsus attentent» (Venantius, Monumenta, 305); Cost. 1443, c. 6: «nec audeat quisquam aliquid dispensare, vel aliquid donare, nec intra Ordinem, nec extra Ordinem, nisi de licentia sui praelati, scilicet vicari vel guardiani» (CHL I, Neapoli 1650, 105b).
  49. Questa prescrizione è ripresa nelle Cost. 1536, n. 132, ma solo per i frati giovani (cf. n. 398).
  50. Cf. Rb 2, 1.7; Rnb 2, 1-2.4.7 (FF n. 117); Spec. perf. 57: «Fratello, se vuoi far parte della nostra vita e della nostra società, bisogna che tu ti espropri di tutte le cose che possiedi onestamente e le dia ai poveri, secondo la prescrizione del Vangelo. La stessa cosa hanno fatto tutti i miei frati che l’hanno potuto» (FF n. 1747); cf. Conf. V, 112 e 277; e anche Const. Narb. 1260, c. 1, n. 1: «Statuimus in principio, quod nullus ad Ordinem recipiatur nisi expropriatus omnino, cum secundum Evangelii veritatem et nostrae Regulae professionem, paupertas sit totius spiritualis aedifici primarium fundamentum» (AFH 35 [1941] 38s).
  51. Const. Narb. 1260, c. 1, n. 2: «Ordinamus etiam, ut nullus recipiatur citra XVIII annum, nisi per robur corporis vel industriam sensus seu per excellentem aedificationem a XV anno et supra, aetas secundum prudentium iudicium suppleatur» (AFH 34 [1941] 39); nelle Cost. Farin. 1354, c. 1, n. 1: «recipiendus… sit… aetate XIV annorum ad minus, nisi fuerit a parentibus oblatus» (AFH 35 [1942] 83); l’età oscilla tra 14 e 18 anni, in altre costituzioni (cf. Lope de Salinas, Constituciones, c. 6: AIA 17 [1957] 760, 762; Cost. 1500, c. 2: CHL I, 149b-150a; Cost. 1508, c. 2: Firmamenta trium ordinum, Parisiis 1512, h. 2vb-3ra; «Statuti Lionesi», in SF 72 [1975] 55); cf. anche Cost. 1536, n. 12, 4 (n. 162).
  52. Cf. più avanti, Giovanni da Fano, Dialogo de la salute (emendato), in corrispondenza alla nota 242 (cf. n. 590).
  53. Si noti come il noviziato significa imparare a vivere spiritualmente, a camminare la via nuova, perfetta, dello spirito: quindi centralità dell’ascetica e mistica.
  54. Cf. Cost. 1500: «Non permittantur per conventum in quo sunt sine socio vagari, aut cellas fratrum intrare… » (Venantius, Monumenta, 78); Cost. 1508, c. 2: «empore etiam novitiatus non loquantur novicii cum aliquo saeculari vel religioso alterius religionis sine licentia guardiani vel magistri sui…» (Firm. trium ord. cit., h. 3vb).
  55. Cf. Const. Narb. 1260, c. 4, n. 20-21: «Fratres XV vicibus radantur in anno, temporibus consuetis. Et sit rasura non modica, sicut decet religiosos, sic ut inter ipsam et aures non sint plures quam tres digiti. Tonsuram vero desuper aures tam clerici quam laici facere procurent, et fiat temporibus opportunis» (AFH 34 [1941] 58); Cost. 1508, c. 2: «Fratres comam vel barbam non nutriant, sed rasuram desu-per aures sibi fieri procurent: et ad quindenam communiter radentur vel citius [aut] aliquid tardius iuxta modum regionum et discretionem praelatorum» (Firm. trium Ord. cit. h. 4vab).
  56. Frase sintetica («povero vivere nostro») già ben sottolineata (cf. sopra alla nota 29), che riesuma Spec. perf. 10 che riguarda il modo di scegliere i luoghi («capiendi loca»), in cui si legge: «avendo sempre di mira la povertà e il buon esempio… perché non voleva assolutamente che… i frati debordassero dai limiti della pover ta…» (FF n. 1691); cf. anche Conf. V, 105.
  57. Sembra una reminiscenza delle parole di san Francesco a Onorio III nel racconto dell’indulgenza della Porziuncola: «Di questo non voglio altro strumento, ma la lettera sia solo la Beata Vergine, il notaio sia Cristo, i testimoni siano gli Angeli» (cf. Conf. IV, 584; V, 33); vedi anche Lope de Salinas, Memorial, c. 2: «Item, para la mejor y más segura guarda desta pobreza, porque sabemos que sin ella non podemos fundar edeficio alguno de la vida espiritual nin alcanzar la perfecta observancia de la Regla, nin las virtudes gratuitas, como dice el capítulo general y Buenaventura en sus constituciones, acostumbramos de non tener síndico alguno, procurador icónomo, que algunas declaraciones e constituciones más laxas otorgan a la Orden para recebir las pecunias, non juzgando nin condenando a los que usan dél» (AIA 17 [1957] 716); vedi più avanti le Cost. 1536, n. 57 (n. 239).
  58. Per il riferimento all’es. di Gesù Cristo cf. Gv 12, 14. – Vedi Rb 3, 13 (FF n. 85); Conf. IV, 399: «Christus enim peditavit et apostoli, et non equitavit, sed asinavit per mundum praedicare (Mt 28, 19), non equitando, sed peditando misit; horum exemplo fratres minores sic debênt incedere»; 1 Cel. 98: «non avendo piú la foza di camminare, se ne andava per le contrade in groppa a un asinello» (FF n. 490); Leg. maior 7, 12: «Poiché erao infermo, chiese ad un pover’uomo che lo trasportasse sul suo asinello» (FF n. 1132); Spec. perf. 35: «Quando andava per il mondo a predicare camminando a piedi, o stando in groppa a un asino quando era infermo, o anche montato a cavallo quando gli era strettamente necessario (giacché altrimenti non si permetteva di cavalcare, e fece un’eccezione solo poco prima della morte) …» (FF n. 1721); per varie citazioni di costituzioni antiche cf. Const. Narb. c. 3, n. 23 (AFH 34 [1941] 49); Lope de Salinas, Memorial, c. 18 (AIA 17 [1957] 739); Statuti recollezione 1502, n. 9 (AIA 21 [1961] 30); Stat. recollez. 1523, c. 3 (AIA [1928] 269); Statuti Lionesi 1518, c. 5 (SF 72 [1975] 64).
  59. Già accennato al n. 27 di questi ordinamenti; cf. anche Cost. 1500, c. 2: «Birreta nigra, aut acu consuta, non deferant, nisi magistri in theologia in actu solemnis disputationis, aut in novitate magisterii» (CHL I, 152b).
  60. Si rimanda ai casi riservati esplicitamente stabiliti nell’Ordine francescano: cf. per es. Cost. 1354, c. 7, n. 2 (AFH 35 [1942] 178); Cost. 1508, c. 7 (Firm. trium Ord., h. 22 vab). I 14 casi riservati, secondo la «Famiglia» (= gli Osservanti), in Brendulino, Expositione, 159rv; E. d’Alençon, Primigeniae legislationis, in Liber memorialis 427, nota 94.
  61. Cf. Const. Narb., c. 4, n. 4: «In locis fratrum fratres carnes non comedant ullo tempore, exceptis debilibus et infirmis» (AFH 34 [1941] 55); Lope de Salinas, Memorial, c. 12: «Primeramente, acostumbramos la astinencia continua de la carne, sacados los enfermos atuales» (AIA 17 [1957] 735); Statuti degli Scalzi di Giovanni de la Puebla: «Item que los Lunes y Miercoles no se coma carne; y en estos dies sean las comidas tales, quales el habito, y profession lo piden» (Andrés de Guadalupe, Hist. de la santa Prov. de los Angeles, Madrid 1662, 142b). I primi cappuccini qui sono però piú moderati.
  62. Cf. Cost. 1443, c. 6: «Et nullus praesumat sub clausura quacumque aliquid retinere, neque in loco nostri Ordinis neque extra Ordinem» (CHL I, 105b).
  63. Cf. S. Francesco, Regolamento per i romitori (FF n. 136-138); Spec. perf. 55, dove si leggono gli ordinamenti di san Francesco per il luogo della Porziuncola, tra cui si dice: «Voglio altresí che nessuna persona e nessun frate entri in questo luogo, eccetto il ministro generale e i frati che li servono e col ministro quando li visita… E voglio particolarmente che nessuno entri in questo luogo cosí che i frati ivi dimoranti meglio conservino la loro purezza e santità» (FF n. 1745); vedi anche Conf. IV, 624; V, 329s; nella supplica di Pietro da Villacreces a Martino V, con la risposta favorevole del papa, in data 28 aprile 1418, si legge: «Item quod ut fratres, in predictis heremitoriis commorantes in majori pace et silencio, secundum intentionem b. Francisci, ut in eius legenda antiqua legitur, possint commorari, valeant fratres quibus a prelatis predictorum locorum fuerit concessum, in cella separata infra ambitum heremitorii residere, ac nullus frater religiosus, eciam nostri Ordinis, vel eciam secularis, corum et claustrum ac ambitum clausum eorum valeat intrare nisi minister generalis vel provincialis» (AIA 17 [1957] 657); Lope de Salinas, Constituciones, c. 2 e 5; id., Memorial, c. 13 e 14; id., Testamento, n. 15 (ibid., 570s e 755, 736, 919s); Statuti Giovanni de la Puebla: «Item, cerca de cada convento se funden algunos oratorios, ò hermitas en parte que se puedan conservar para que à imitación de las están en Santa Maria de los Angeles, se puedan recoger los religiosos à mayor retiro» (Andrés de Guadalupe, Historia cit. 1442); osservazioni e commenti diversi a questo statuto in vari studi: cf. Le prime Costituzioni, 131 nota 13.
  64. Quindi un superiore che è virtuoso e santo nell’osservanza e anima spiritualmente l’osservanza può essere sempre rieletto!
  65. Cf. Rnb 5, 4-6 (FF n. 16); Rb 8, 5 (n. 97).
  66. Vedi Const. Narb., c. 11, n. 1 (AFH 34 [1941] 309); anche c. 10 n. 1 (ibid. 301). Lo stesso nelle Cost. 1354, c. 10, n. 1 e nelle Cost. 1500, c. 8 (cf. F. Elizondo, in Estud. Franc. 83 [1982] 229 nota 2); vedi ancora Rnb 18 e Rb 8, 2-4.6 (FF n. 50 e 96-97).
  67. Cf. lo statuto n. 40. – È una, imitazione letterale delle norme dettate da san Francesco: Spec. perf. 10 e 55: «…ad attestare che i frati non avevano in proprietà nessun luogo e non intendevano dimorare in alcun posto che non fosse sotto il dominio altrui, e quindi non avessero facoltà di alienarlo» (FF n. 1744); vedi anche Leg. per. 14-16 e Conf. V, 105s, 107, 291, 246, 196; Lope de Salinas, Constituciones c. 3: «Deben los patrones, siempre de comienzo, reservar en sí el derecho del señorío e propiedad de los edificios e huertas, por delante notorio e testigos, en sí e en sus subcesores para siempre, come es nuestra costumbre» (AIA 17 [1957] 753); nella Regola della vita eremitica del b. Paolo Giustiniani (1520) si legge: «Siano gli eremiti, se vogliono quello esser che si chiamano, molto studiosi et amatori della solitudine; non habbiano né possino prender alcun loco per deputarvi conventualmente di fratelli che non sia doi o uno almeno miglio lontano da ciascaduna città» (P. Lugano, La Congr. Camaldolese, 160). Il miglio, in Italia, era diversamente misurato: Km 1,410 a Roma; 1,855 a Napoli. Cf. Enc. Ital., Roma 1934, v. Miglio.
  68. Cf. Test. 32: «Dove non saranno ricevuti, fuggano in altra terra a far penitenza con la benedizione di Dio» (FF n. 123). La distanza dei luoghi fuori città, questa accentuata solitudine, riflette di piú il pensiero degli Spirituali e l’influsso dei Camaldolesi. Cf. A. Clareno, Hist. 7 trib., I trib., 43,13-15: «Quando li vedrete abbandonare i luoghi poverelli, vili e piccoli e posti lontano dal mondo e, sotto pretesto di predicazione e della vostra utilità, mutare quei luoghi e comprarne altri nelle città e borgate…» (FF n. 2164); ibid. 15, 17-31: «I luoghi in cui i frati abiteranno come pellegrini e stranieri per adorarmi e lodarmi, saranno vili, poverelli, costruiti con legno e fango, lontani dai tumulti e dalle vanità del mondo, di proprietà e diritto altrui, li accetteranno dopo aver ottenuto l’obbedienza, la licenza e il beneplacito dei vescovi e del clero… dimorando in essi finché piacerà ai padroni di quei luoghi e sarà concesso dai vescovi, preparati sempre ad allontanarsi volentieri e con azioni di grazie quando fosse dato invito a partire da coloro che li avevano accolti» (FF n. 2126).
  69. È quasi la traduzione letterale di Spec. perf. 10: «Facciano poi costruire case poverelle di fango e legno, e alcune celle dove i fratelli possano pregare e lavorare… Facciano anche erigere piccole chiese… le cellette e le piccole umili chiese saranno esse stesse una predica» (FF n. 1692); ibid. 11: «Francesco aveva stabilito che le chiese dei frati fossero piccole e le loro abitazioni fatte soltanto di legno e fango, in segno di santa povertà e umilta» (n. 1693). Ma sembra che qui il legislatore di Albacina abbia riflesso all’obiezione di alcuni sul fatto che «in alcune regioni il legname era piú caro che le pietre, e non reputavano saggio apprestare abitazioni di legno e fango» (ibid.), e per questo abbia aggiunto: «E per questo intendemo ecc.»; vedi ancora ibid. 55: «avere una piccola casetta poverella, costruita di fango e vimini» (n. 1685); ibid. 7: «non disponevano che di un piccolo abituro coperto di paglia, con le pareti di vimini e di fango» (n 1687); ibid. 9: «E vicino a morte fece scrivere nel suo Testamento che le celle e le abitazioni dei frati fossero di legno e fango soltanto, per meglio conservare la povertà e l’umiltà» (n. 1690); cf. Op. crit. hist. II, 423-29 e, piú avanti, la descrizione del luogo di Colmenzone in AO 24 (1908) 22-24 (qui, nn. 2444.46); l’immagine e similitudine del sepolcro è già nei Padri del deserto e nella spiritualità monastica: San Basilio, nel De laudibus erem. scrive: «Cella dominicae sepulturae propemodum aemula, quae peccato mortuos suscipit, et post afflatum Sancti Spiritus Deo reviviscere facit».
  70. Cf. Spec. perf. 9: «Perché non voleva il b. Francesco stare in una cella confortevole (cella curiosa)» (FF n. 1689); ibid. 5: «E non solo odiava le case confortevoli, ma detestava gli utensili abbondanti e ricercati» (FF n. 1685).
  71. Cf. Test. 28-29 (FF n. 122) e sopra, Alb. n. 51 e nota 69. Circa Alb. nn. 51 e 53 si noti la duplice distinzione: 1) «li luochi che si hanno a fabricare»; 2) «li luochi fatti». È una distinzione già presente, per es. Nella lezione del Testamento secondo il cod. S. Isidoro 1/25: «in habitaculis et ecclesiis in quibus manere debemus, sive sint facta sive facienda» ed è un’aggiunta al Test. 28-29: quindi questa distinzione è un’applicazione del Test. qui chiamato «volontà del N.P.S. Francesco»; vedi anche Conf. V, 359-61: è un commento al Testamento!
  72. «Félici» significa felci. Il termine schiavina» designa una coperta di stoffa ruvida e grossolana. Per alcune riferenze di fonti francescane cf. 2 Cel. 63 (FF n. 649); Spec. perf. 5: «Nei giacigli e nei letti era così copiosa la povertà che se qualcuno poteva stendere sulla paglia qualche straccio, lo riteneva un talamo» (n. 1685); ibid. 21, dove si narra la visita del card. Ugolino ai frati della Porziuncola: «Osservando che i frati giacevano per terra e non avevano niente sotto di sé, eccentuata un po’ di paglia e alcune coltri miserabili e quasi tutte a brandelli e nessun cuscino, si mise a piangere davanti a tutti…» (n. 1704); Leg. maior 5, 1 ( = Conf. V, 193): «Letto per il suo corpicciolo affaticato era, per lo piú, la nuda terra; molto spesso dormiva seduto, con un legno o un sasso sotto il capo» (FF n. 1087). -Per alcuni testi legislativi cf. Const. Narb. 1260, c. 2, n. 11: «Sani fratres in locis in quibus morantur, culcitris et pulvinaribus de pluma non utantur» (AFH 34 [1941] 44); Cost. 1354, c. 2, n. 15: «Item fratres sani in dormitorio culcitris linteaminibus et pulvinaribus de pluma non utantur» (AFH 35 [1942] 89); Lope de Salinas, Memorial, c. 28: «Nuestra costumbre es que las camas, para los sanos, sean de sola paja con dos mantas encima de la paja, e un cabezal de sayal lleno de paja, e de arriba la ropa nescesaria tanto que non sea de pluma, salvo pellón o sayal» (AIA 17 [1957] 743); Statuti Recollezione 1502, n. 8: «Quanto al dormir no tengan en los lectos colchones sino para los enfermos e muy flacos. E solamente tengan xergones e mantas» (AIA 21 [1961] 30); Statuti Recollez. 1523, c. 3: «No tengan calchones en el dormitorio, ni cabecales, salvo algun viejo o neçessitado, y las almohadas tengan cubiertas de paño aspero o pobre» (AIA 5 [1928] 269). – Nel testo,dove si dice «senza saccone», è per non adeguarsi a un costume degli osservanti che, come afferma Giovanni da Fano, usavano «li sacconi di paglia» (cf. Dialogo de la salute [emendato], in corrispondenza alla nota 289 [n. 603].
  73. È la «constitutio» della clausura che si legge in Spec. perf. 55 (cf. sopra alla nota 63) e 112: «… per volontà di Francesco era stato deciso [in antiquo tempore, aggiunge lo Spec.-Lemmens] che in quel luogo, per preservarne il decoro e il raccoglimento, non vi entrasse alcuna donna» (FF n. 1812); cf. anche Statuti Recollezione 1523, c. 4: «Nunca entre mujer en lo interior de la casa, sino fuere persona Real o señora de la tierra, aunque tenga licençia del Prelado, sino fuere obedençia» (AIA 21 [1961] 271).
  74. Questo è un bellissimo esempio di «Osservanza spirituale» che sorvola le leggi canoniche col carisma della misericordia e la gratuità del servizio ai poveri. Le Const. Narb, c. 3 n. 22 prescrivevano: «Item sepultura in locis fratrum stricte servetur, ut nullum admittant, quem absque notabili scandalo potuerint declinare» (AFH 34 [1941] 48); Lope de salinas, Memorial, c. 1: «Item, para alcanzar esta pobreza de espíritu e de cuerpo, no usamos eterramientos, nin curamos de los provechos temporales dellos, nin de obsequias de defuntos particulares, nin de testamento» (AIA 17 [1957] 717).
  75. Fin dai tempi degli Spirituali, uno dei motivi di riforma era l’abuso di «sepulturas recipere propter emolumentum temporalium, ita quod alias parum aut nulla cura esset eas recipere» (A Clareno, Hist.7 trib., ed. A. Ghinato, 145).
  76. Si noti l’insistenza sul rapporto di dipendenza e obbedienza del frate che non fa nulla «senza licenza e benedizione del superiore», per osservare ciò che diceva san Francesco nel Test. 34: «E cosí voglio essere schiavo nelle sue mani che non possa andare e fare oltre l’obbedienza e la sua volontà, poiché è mio signore» (FF n. 124). Questo statuto passerà quasi ad litteram nelle Cost. 1536, n. 129 e un po’ anche al n. 48 (nn. 396 e 223).
  77. Cf. Const. Narb. 1260, c. 5, n. 8: «Fratres cum in itinere fuerint, et ad tempus comedendi vel hospitandi pervenerint, ad fratres veniant, nisi manifesta necessitate impediantur» (AFH 34 [1941] 63); Cost. 1354, c. 5, n. 10: «Fratres cum in itinere fuerint, si ad loca ubi morantur fratres, tempore comedendi vel hospitandi pervenerint, ad fratres veniant ad comedendum et hospitandum cum eis, vel saltem ad excusandum se rationabiliter apud eos, nisi manifesta necessitate fuerint impediti» (AFH 35 [1942] 105).
  78. Si potrebbero addurre molte citazioni di fonti francescane, per es. Rnb 5, 12-17: «Tutti i frati non abbiano in questo alcun potere o dominio, soprattutto fra di loro… per carità di spirito volentieri servano e si obbediscano vicendevolmente» (FF n. 19-20); vedi anche ibid. 7, 16-17 e tutto il c. 11 (FF n. 26-27 e 36-37), specie le prime espressioni: «Tutti i frati… cerchino di stare in silenzio, se Dio darà loro questa grazia. E non litighino tra loro, né con altri, ma procurino di rispondere con umiltà, dicendo: Sono servo inutile…». Molte altre allusioni a detti di san Francesco si colgono nei termini «riverenza» e «umiltà», contrapposti a «superbia» e «maggioritade», per es. Rnb 17, 10.12: «Tutti noi frati stiamo in guardia da ogni superbia e vanagloria… Lo spirito della carne, infatti, vuole e tenta di parlare molto, ma di fare poco» (FF n. 48); Rb 3, 11: «Non litighino, non contendano, né giudichino gli altri, ma siano miti, pacifici, modesti, mansueti e umili, parlando onestamente a tutti, cosí come conviene» (n. 85); vedi anche Spec. perf. 50: «Io voglio convertire per primi i prelati a mezzo della santa umiltà e riverenza… portare a tutti rispetto» (n. 1738); ibid. 65: «In nome di Dio, andate a due a due, con umiltà e modestia, osservando il silenzio… il vostro comportamento sia umile e dignitoso come se foste in un romitorio o in una cella» (n. 1757); anche Leg. 3 Soc. 42-43 ecc. È, insomma, uno di quei testi pregnanti di spirito francescano assimilato potentemente ed espresso con creativa e fresca sintesi. – Per riferenze a testi legislativi cf. Cost. 1508, c. 3: «Licet tamen fratribus quod necesse est loqui breviter et submisse» (Firm. Trium Ord., h. Gvb); Statuti Recollez. 1526, c. 1, n. 12: «Licet tamen, temporibus his et locis, fratribus quod necesse est loqui breviter et summisse» (AIA 21 [1961] 467).
  79. Cf. Statuti 1411: «Item, ordinavit reverendissimus pater generalis memoratus cum capitulo generali, quod nullus minister in sua provincia aliquem recipiat vel retineat de aliena provincia, nisi dictus frater sui ministri habeat licentiam, vel rev.mi patris generalis, in scriptis obtentam» (AF 2 [1887] 241); Statuti del 1504 e 1520 (CHL I, 210b, 237b).
  80. Cf. Spec. perf. 65, come sopra alla nota 78; Conf. IV, 498; Const. Narb. 1260, c. 5, n. 5: «Nullus frater vadat pedes nec eques sine fratre, aut sine fratre socio alicubi commoretur» (AFH 34 [1941] 63); Cost. 1500, c. 3: «Nullo autem modo soli, sed bini incedant, nisi manifesta impulerit necessitas» (CHL I, 155b).
  81. Le Cost. Narb. 1260, c. 9, n. 20 stabilivano al minimo 13 frati per convento: «Conventum autem dicimus, ubi XIII fratres et supra possint continue commorari» (AFH 34 [1941] 295). Appare quindi, nell’intenzione dei primi cappuccini, la volontà di escludere i conventi, ma di optare per «luoghi non conventuali», cioè eremi, luoghi poverelli, che è poi l’opzione di ogni riforma francescana, come quella di Pietro da Villacreces che nella supplica a Martino V del 1418 chiede il permesso di costruire luoghi, «in quorum quolibet fratres nostri Ordinis usque ad numerum duodenarium possint collocari» (AIA 17 [1957] 656). Fra gli Scalzi spagnoli per molto tempo si parla di 6 fino a 8 religiosi per convento (cf. Fidel de Lejaarza, Origenes de la decalcez franciscana, in AIA 22(1962] 38, 52, 84); anche Statuti recollezione 1523, c. 1 (AIA 21 (19611 265).
  82. Oltre il verosimile influsso della Regula pro eremitoris data, c’è chiaro, tramite le Conf. V, 105 (alle quali allude il testo con il termine di «Croniche dell’Ordine»), il riferimento a Spec. perf. 10: « Voleva che i frati non si riunissero in comunità numerose, poiché gli sembrava difficile che in un gruppo troppo grande si potesse osservare la povertà» (FF n. 1691)g; pensiero ripreso dai Villacreziani: Lope de Salinas, Testamento, n. 18: «Nunca excedades, nin subrepujedes el número de los moradores que en cada casa dejo ordenado, por la confusión que dende nasce, e porque la probeza, segun dice san Francisco, non se puede bien guardar en la muchedumbre como en los pocos» (AIA 17 [1957] 922; id., Constituciones, c. 3 e 24: ibid. 752 e 773).
  83. Vedi varie citazioni di antiche costituzioni in F. Elizondo (Estud. Franc. 83 (1982] 248 nota 4).
  84. Cf. Cost 1461, c. 12: «Sexto: Praecipitur omnibus fratribus, tam praelatis, quam subditis, quod has constitutiones integre et inviolabiliter observent. Item, quod praelati faciant eas inviolabiliter observari. Qui, si in praedictis fuerint negligentes, ipso facto suis officiis sint privati» (CHL I, 135b).
  85. Cf. Leg. per. 18; Spec. perf. 56: «che fossero solleciti nel conservare pulite le chiese e tutta la suppellettile che si adopera per celebrare i divini misteri» (FF n. 1746); Const. Narb. 1260, c. 3, n. 18a: «fratres aurifrigiatos vel sericos pannos non habeant» (AFH 34 [1941] 48); Lope de Salinas, Constituciones, c. 24: «Item, se ordena que en la casa de treinta fraires abasten tres cálices de plata, llanos, non curiosos, e así al respeto más o menos. E que los ornamentos de la sacristanía tampoco non sean superfluos nin curiosos, nin sean de oro, nin de seda, nin de o tros ricos panos; e, aunque ge los den, non los deben rescebir, salvo sean de lana de sus diversas colores, porque son duraderas, e asaz parescientes, e de poco precio. E non se procuren cruces nin encensarios en alguna manera… E, por tanto, se ordena que, en cuanto seer puede, los ornamentos no sean de oro, ni de plata, nin de seda, salvo, como dicho es, de lana colorada e de lienzos limpios» (AIA 16 [1957] 773; anche ibid. c. 3 e 4: p. 753-54; id., Memorial, c. 1: p. 718). Gli statuti degli Scalzi del 1501 e delle case di recollezione del 1523 e del 1526 ripetono piú o meno le stesse cose: cf. i diversi testi in F. Elizondo, (Estud. Franc. 83 [1982] 247 nota 1).
  86. Cf. Rb 6, 5-6 (FF n. 90) citata un po’ liberamente. Certo si nota qui, per es sere esatti, piú l’influsso della bolla Exiv de Paradiso di Clemente V del 6 maggio 1312 (cf. Seraph. legisl. textus originales, Quaracchi 1897, 254s, art. 16; oppure BC VI, 83) e della legislazione francescana riformista (cf. sopra, nota 85) che non di san Francesco il quale ha ripetutamente detto che «calices, corporalia, ornamenta altaris et omnia quae pertinent ad sacrificium, pretiosa habere debeant» (Lett. ai Custodi, 6: FF n. 241).
  87. Cf. Const. Narb. 1260, c. 2, n. 7: «Et tunicae quibus communiter fratres non utuntur ad necessitatem, pro tempore in communi serventur» (AFH [1941] 43).
  88. È la «mistica della croce» che contrassegna la riforma cappuccina.
  89. «Che almeno si lasciasse stendere sotto vili coperte», «non è conveniente – disse – o figli, al cristiano morire se non nella cenere e nel cilicio; io, se vi lasciassi un esempio diverso, sarei colpevole» (cf. Sulpicio Severo, Epist. III, in CSEL I, Vindobonae 1866, 149).
  90. S. Girolamo, Epist. 22 ad Eustochium (PL 22, 398, n. 7).
  91. È una reazione alla mondanità del Rinascimento.
  92. Anche se qui le ordinazioni vengono attribuite a Ludovico da Fossombrone, esse sono però frutto di una collaborazione, come ben spiega il Colpetrazzo. Cf. MHOC II, 148s.