ORDINANCES of 1549 & 1552 in original Italian

PARTE PRIMA

ISPIRAZIONE E ISTITUZIONE

SEZIONE SECONDA

PRIMITIVA LEGISLAZIONE CAPPUCCINA (1529 – 1643)

III

LE ORDINAZIONI DEI CAPITOLI GENERALI (1549 e 1552)

INTRODUZIONI
di
FRANCESCO SAVERIO TOPPI

TESTI E NOTIE
a cura di
COSTANZO CARGNONI

from I Frati Cappuccini, a work of Costanzo Cargnoni, Edizioni Frate Indovino, Perugia, 1991, I, pages 465-478.

Table of Contents

INTRODUZIONE

1 ORDINAZIONI GENERALI DEL 1549

2 ORDINAZIONI GENERALI APPROVATE NEL 1552

INTRODUZIONE

Si cominciò nel capitolo generale del 1549 ad emanare ordinazioni, delle quali alcune, poi, furono inserite nelle costituzioni. Nel 1578 furono fatte dichiarazioni speciali sui casi riservati nell’Ordine. Tradotte e pubblicate in italiano, resta finora irreperibile l’edizione.

Nel capitolo generale del 1593 il card. A. Santori, protettore dell’Ordine, tenne un discorso sull’opportunità di raccogliere in un sol libro le ordinazioni e farle approvare dalla Santa Sede. Non furono difatti approvate, ma probabilmente proprio per questo suggerimento, dal capitolo generale del 1596 si cominciò a raccoglierle nelle Tavole dei capitoli generali (Tabulae capitulorum generalium, in AGO, Ms. AG/1).

Per il Cinquecento – fino al 1596 – mancano i testi originali delle ordinazioni, ad eccezione di quelle del 1549 e del 1552 che qui pubblicheremo. Furono raccolte nel 1671 dai manoscritti storici dell’Ordine, specie dagli Annales del Boverio.

Esistono due edizioni:

– Ordinationes et decisiones capitulorum generalium Ordinis fratrum minorum capuccinorum revisae, ordine chronologico dispositae, Romae 1851;

– Collectio authentica ordinationum a decisionum capitulorum ge-neralium Ordinis minorum sancti Francisci capuccinorum, in AO 5-8 (1889-1892).

1 ORDINAZIONI GENERALI DEL 1549

Dopo gli ordinamenti di Albacina e le costituzioni del 1536 e la lettera circolare di Bernardino d’Asti, il primo documento ufficiale capitolare sono le ordinazioni generali del 1549, conservateci da Paolo da Foligno nel testo italiano e dal Boverio in latino, ma un po’ differenti nella redazione e contenuto.

Il cronista Paolo Vitelleschi spiega il motivo: «Perché crescendo il numero de’ frati, nascono de’ disordini». Vi si intravvedono le lamentele dei frati per l’accumularsi di leggi, ma i capitolari nell’introdurre il breve testo di 11 punti nella redazione italiana e di 8 in quella latina, si giustificano dicendo che basterebbe non commettere tanti difetti e allora «non faranno bisogno le tante ordinazioni» (MHOC VII, 356).

In pratica è lo scontro tra la concezione spiritualistica e carismatica della riforma e la progressiva giuridicizzazione dell’Ordine. Si intravvede quel movimento che porterà alla formulazione analitica e dettagliata del «codice penale» cappuccino.

Inoltre si tratta di norme piuttosto disciplinari e giuridiche relative alla partecipazione al capitolo e alle elezioni dei custodi, dei guardiani e dei discreti. E non è che sia troppo esemplare e ammirevole percepire in quegli scarni accenni un sottofondo di spinte troppo umane verso l’esercizio del superiorato. Quel riportare i «difetti del vicario provinciale » al padre generale e definitori nel capitolo generale, manifesta un metodo che riflette piuttosto una mentalità corrente, accentuata da una prassi inquisitoriale in piena espansione nella disciplina della Chiesa cattolica, per scoprire focolai di eresia. Così pure il fatto di voler punire «quelli frati che saranno stati troppo pertinaci nel proprio parere» nell’elezione del discreto (ibid., 357).

Si parla anche dell’OFS sul modo di «ricevere donne» che devono aver finito «40 anni» di età ed essere «di buona fama»; e lo stesso vale per gli uomini. C’è la proibizione di confessare sia queste donne che altre persone «senza licenza del parochiano» o del vicario generale o per «estrema necessità». È la scelta di vita «eremitica» che continua in un atteggiamento di distacco dai secolari per mantenere la «quiete», ma che poteva risultare in seguito pericoloso e poco ecclesiale.

Appare infine già in atto il processo di «clericalizzazione» nella distinzione netta tra chierici e laici.

Fonte: per il testo italiano cf. MHOC VII, 356s; per il testo latino cf. AC I, 411: ad an. 1549, n. II-IX; e anche Collectio authentica, in AO 5 (1889) 74s.

430 Nel nome del Signore incominciano alcune cose che furono ordinate nel nostro capitolo generale celebrato in Napoli l’anno 1549.

Primo. È d’avvertire che niuno si può dolere di tante ordinazioni, sapendo che sono state ordinate contra li difetti che si fanno; non si facciano adunque e non faranno bisogno le tante ordinazioni.

431 1. Ai capitoli generali che si fanno, vengano tanti custodi da ogni provincia in quante custodie saranno li nostri luoghi, come si ha nelle Conformità;[1] ma che non eccedano il numero di cinque, né siano meno di tre.

432 2. Che in ogni provincia uno delli custodi si elegga per scrutinio secreto dalla maggior parte delli vocali del capitolo provinciale; al quale custode li predetti vocali dicano li difetti del vicario provinciale, li quali li abbiano a riferire al padre generale e alli diffinitori nel capitolo generale.

433 3. Quelli che vengono dal secolo alla nostra congregazione non si facciano guardiani insino che non averanno finiti li cinque anni alla religione senza licenza del padre generale. Li religiosi che vengono alla nostra congregazione non abbiano voce attiva né passiva per un anno, eccetto se al padre generale di alcuni altramente paresse.

434 4. Alla elezzione de’ discreti locali non si facciano piú di cinque scrutini, e nel quinto si scriva tanto chi dà la voce quanto chi la riceve. Per il quale scrutinio non essendo eletto il discreto, si mandi ben sigillato al padre vicario e alli diffinitori, accioché siano puniti quelli frati che saranno stati troppo pertinaci nel proprio parere.

Qui è da avvertire che questo ordine fu fatto avanti la promulgazione delli decreti del concilio di Trento in questa materia di elezzione.[2]

435 5. Dalli frati nostri non si ricevano donne nel Terzo Ordine, se non averanno finiti quaranta anni, e con protesta di non averle a confessare, e che sempre siano state e siano di buona fama. E queste due ultime condizioni similmente si osservino in ricevere gli uomini al predetto Terzo Ordine.

436 6. Morendo il guardiano d’alcun loco un mese avanti il capitolo provinciale, il vicario provinciale col consenso di due padri diffinitori faccia un altro guardiano; ma morendo piú tardi, facciano un vicario del loco fin al capitolo.

437 7. Niun frate presuma confessare alcuna persona senza licenza del parochiano. E nessun frate abbia ardimento di confessare secolari se non sarà stato licenziato dal nostro vicario generale, eccetto in estrema necessità.

438 8. Quando si celebrano i nostri capitoli, non si faccia provisione se non di cose necessarie.

439 Non si riceva alcun novizio per chierico se non saperà leggere almanco mediocremente.

440 Nessun laico abbia libretto alcuno, eccetto la Regola volgare.

2 ORDINAZIONI GENERALI APPROVATE NEL 1552

Nelle ordinazioni del 1552, nel capitolo generale di Roma del 3 giugno, in cui venne eletto Eusebio Fardini d’Ancona, si insiste particolarmente sulla povertà. La casistica naturalmente si presenta sempre più varia con il modificarsi delle situazioni storiche e ambientali.

Vi si nota, in particolare, il sorgere, tra i frati, di interessi farmaceutici ed erboristici, prodromi di una successiva e ricca tradizione, anche letteraria; oppure la partecipazione a ministeri di esorcismo, non ben vista dai superiori, o un’ingenua appropriazione di libri, segno del primo formarsi di fondi di biblioteche ad uso delle singole comunità.

C’è anche un’istantanea notturna accanto allo «scaldatoio» in cucina, con spontanei e innocenti colloqui fraterni, pagati cari in refettorio il giorno dopo con una calda flagellazione. E ancora una volta un ‘impennata dei fratelli laici che si sentono in stato d’inferiorità tra i chierici e vorrebbero imparare a leggere e a scrivere, ma gli improvvisati maestri vengono subito bloccati. Insomma, anche un arido ed estemporaneo elenco di prescrizioni può rivelare la realtà della dura vita quotidiana delle prime generazioni dei cappuccini con le sue note di umana spontaneità e verità.

Queste «ordinazioni» sono riferite in italiano nella cronaca del Vitelleschi, ma datate nel 1553 e piuttosto come iniziativa del capitolo provinciale di Roma, guidato da Bernardino d’Asti, poi suggellata e approvata da Eusebio d’Ancona. Il testo italiano amplifica un po’ la piú stringata redazione latina del Boverio.

Fonti: cf. MHOC VII, 359-361 (per il testo italiano); per il testo latino sunt, cf. AC I, 465s: ad an. 1552, n. II-XIX; e anche in Collectio authentica, in AO 5 (1889) 75s.

441 Le infrascritte cose sono state ordinate nel nostro capitolo provinciale dal reverendo padre fra Bernardino d’Asti vicario generale; e dal reverendo padre fra Eusebio d’Ancona vicario generale confermate, e da tutto il capitolo provinciale nell’anno 1553 in Roma nel nostro loco celebrato accettate.

442 1. In primis che da tutti li frati che sono o saranno in questa provincia di Roma si osservi la santa povertà e tutta la Regola da noi promessa integramente secondo la pia volontà del nostro Signore Gesù rivelata ed espressa al nostro seraffico padre san Francesco, al quale disse che voleva la detta Regola osservasse ad litteram senza glosa.[3]

443 2. Si osservino le nostre costituzioni, non però obligando ad alcun peccato, ma alle penitenze che in esse si contengono, se li prelati le commandaranno.

444 3. Non si faccia comperare directe né indirecte cosa alcuna, se non è veramente necessaria, che con buon modo non si possa avere mendicando, e specialmente cose da mangiare.

445 4. I frati non permettano che persona alcuna pigli danari per comperar carne, pesce, né alcuna cosa da mangiare.

446 I frati non permettano che persona alcuna dimandi alcuna delle predette cose per loro, eccetto in caso di necessità che i frati non potessero andar loro. In tal caso potrebbono dimandar quelle cose che potrebbono dimandare i frati quando non potessero andare alla cerca.

447 5. Nel dormire si servino le costituzioni che li frati, non infermi o molto deboli, non dormano sopra li sacconi o altri panni; ma come dicono le prefate costituzioni.[4]

448 Li mantelli siano come dicono le prefate costituzioni,[5] e senza coda; e li piú lunghi si taglino.

449 6. Nessun frate porti né tenga in cella cosa da mangiare.

450 7. I padri guardiani correggano gli officiali, quando non fanno bene i loro offici; ma, altramente, né loro né altri si impaccino né si intromettano delli loro offici. E vadano alla mensa non sapendo quello che hanno da mangiare; e si sforzino non saperlo.

451 8. Li prelati e officiali siano solleciti che alli infermi e sani non manchino le loro necessità, talmente però che non offendano la santissima povertà. Stiano in mezzo di queste due virtù; e nelle cose necessarie pieghino alla carità, e in quelle che non son necessarie pieghino alla povertà.

452 9. Nessun frate presuma di medicar secolari, né dia consiglio ad alcuno infermo che pigli alcuna cosa per bocca, senza consiglio del medico.

453 10. Nessun frate s’intrometta a scacciar o scongiurare spiriti.

454 11. Alli frati incorrigibili e insopportabili il padre vicario provinciale metta il capparone per sei mesi o per un anno; e dicano ogni giorno la colpa; e facciano ogni venerdì la disciplina in refettorio. E vedendo che non basta, si aggiunga il lunedì e ‘I mercordí pane e acqua, acciò si emendino o diano loco alli altri.

455 12. Non si introducano secolari in refettorio a mangiar co’ frati, né etiam senza frati. Ma accadendo che alcuni vogliano la carità da frati, se gli dia nella stanza de’ forastieri o fuori in loco onesto. Né etiam vogliamo che introduchino secolari nelle nostre officine, come sono refettorio, cucina, caneva, dormitorio, il coro; eccetto per un transito, quando per devozione volessero vedere il loco. E chi lassa longamente e intromettesse secolari in tali luoghi, faccia la disciplina in refettorio per un Miserere.

456 13. Nessun frate suddito né guardiano demandi limosina per alcuna persona fuori della nostra congregazione senza particolare [licenza) in scriptis del reverendo padre vicario generale, al quale dica a chi e quanto vuole dimandare. Il quale padre vicario generale non gli conceda tal licenza se non quanto obliga la carità.

457 14. Nessun frate presuma andare a mangiare con secolari, eccetto in viaggio per necessità; e facciano come li poveri, accettino un poco di pane e dimandino da bere; e reficciati si partino e seguitino il suo viaggio. E chi contrafarà, il guardiano di quel luogo dove arriveranno, li faccia fare la disciplina in refettorio per un Miserere.

458 15. Nessun frate pigli alcuna cosa delli luoghi convertendola ad uso proprio, come libri e simili, né guasti abiti, o far pezze senza licenza del padre guardiano. E li guardiani non possano dar licenza di portar via in altri luoghi libri, li quali dal padrone sono stati deputati per quel loco, né libri di gran valore; eccetto se in quel loco fossero piú che uno di quella medesima materia; ma solo con licenza[6] del padre provinciale. E li confessori che trovassero frati in tal fallo, non li assolvano, se non restituiscono tali cose.

459 16. Non si portino erbe alla terra o alli devoti; ma quando vengono o mandano alli nostri luoghi a dimandarne, se li potranno dare onestamente.

460 17. Nell’inverno dopo matutino non restino a parlare in cucina. Ma pigliato ch’aranno il lor bisogno di scaldarsi, vada ognuno per lo fatto suo. E quando ne fosse notabil difetto di tal cosa, la mattina seguente faccia la disciplina in refettorio per un Miserere.

461 18. Nessun frate in modo alcuno insegni leggere o scrivere a’ laici, né in secreto né in publico; e chi insegna non possa essere assoluto di tale disobedienza se non dal padre vicario provinciale con una buona penitenza.

  1. Cf. Conf. IV, 503-533.
  2. Infatti il concilio di Trento aveva stabilito che le elezioni dovevano sempre farsi «per vota secreta, ita ut singulorum eligentium nomina numquam publicentur» (cf. Sessio XXV: Decr. de regularibus et monialibus, cap. VI: Conc. cecum. decreta, 754,25-38).
  3. (Footnote 1 in hardcopy) Secondo il noto episodio di san Francesco a Fonte Colombo. Cf. Leg. per. 113; Spec. perf. 1 (FF nn. 1672, 1577-78).
  4. (Footnote 2 in hardcopy) Cf. Cost. 1536, n. 25, 3 (n. 185), e varianti.
  5. (Footnote 3 in hardcopy) Cf. Cost. 1536, n. 23, 2 (n. 183) e varianti.
  6. (Footnote 4 in hardcopy) Nel testo del Vitelleschi si legge invece: ma senza licenza.