PARTE SECONDA
STORIA E CRONACA
SEZIONE PRIMA
DOCUMENTI E TESTIMONIANZE ESTRANEE ALL’ORDINE
(1526-1632)
I
TESTIMONIANZE FRANCESCANE ESTRANEE ALL’ORDINE
(1527 – 1611)
INTRODUZIONE
TESTI E NOTE
a cura di
CONSTANZO CARGNONI
I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, II, 24-40.
SGUARDO D’INSIEME
In questa sezione documentaria, di incalcolabile valore storico per conoscere la riforma cappuccina, raggruppiamo in ordine logico e cronologico una serie di testimonianze che vedono, osservano, giudicano dall’esterno la vita cappuccina nel suo inizio e primo sviluppo. Praticamente è una visione del primo secolo cappuccino visto non dai cappuccini protagonisti, ma dagli altri, dagli estranei.
Essi da una parte garantiscono un’obiettività di presentazione del fenomeno «cappuccino» e, dall’altra, se assumono un tono acremente polemico o apologetico, servono a verificare il significato di una delle piú tribulate polemiche sorte, dopo le grandi diatribe degli Spirituali e dell’Osservanza, in seno all’Ordine francescano, sempre fecondo di «serafiche» battaglie.
E dal momento che, storicamente, i primi ad avvertire il sorgere della nuova riforma francescana furono i confratelli dell’Ordine e particolarmente gli osservanti, dai quali derivarono e si staccarono i cappuccini, presentiamo subito una raccolta di testi, per lo piú di estrazione osservantina, fervidi di contrasti polemici, dalla piú drastica opposizione al piú subdolo ridimensionamento e demitizzazione del fenomeno, ma anche decisamente comprensivi fino ad ammirare ed esaltare la nuova grazia di vita francescana apparsa nel sec. XVI (I. Testimonianze francescane estranee all’Ordine: docc. 1-13).
E sull’onda della controversia tra gli osservanti e i cappuccini si innesta e scivola vittoriosamente l’intervento «virile» di una gentildonna del Cinquecento, marchesa di Pescara, «la piú grande poetessa italiana», Vittoria Colonna (1490-1546). Presentiamo cosí, per la prima volta raggruppato insieme, l’epistolario «cappuccino» di V. Colonna, intendendo, con questo, le lettere scritte o ricevute dalla marchesa in favore dei cappuccini, in tutto 25 lettere. L’argomento è duplice: difesa della riforma cappuccina e ammirazione per la vita e predicazione evangelica di Bernardino Ochino, di cui segue tutta la parabola fino al dramma finale dell’apostasia. L’Ochino, come personaggio chiave della riforma cappuccina in quegli anni, a giudizio di queste e altre testimonianze estranee all’Ordine, condiziona molto l’epistolario di V. Colonna. Ad esso perciò aggiungiamo una piccola appendice di alcune lettere collegate alla figura di Ochino, sia nel momento «magico» della sua predicazione, sia nel momento tragico della sua fuga (II. Epistolario «cappuccino» di Vittoria Colonna: docc. 14-34).
Accanto a questa duplice serie di fonti, piú o meno condizionate da polemiche, si può porre una terza categoria di testimonianze storiche fornite da contemporanei estranei all’Ordine e fuori da ogni mischia interna, ma insieme favorevoli ai cappuccini, sia per partito preso nell’ambito della riforma cattolica pretridentina, sia per l’opportunità di servirsi dello zelo dei nuovi religiosi riformati allo scopo di tradurre in pratica i decreti di rinnovamento del concilio tridentino. Quest’ultimo evento, con la sua ufficiale approvazione della riforma cappuccina, fa da spartiacque tra i primi documenti importanti per la storia delle origini dell’Ordine, come ad es. l’intervento di P. Giustiniani e di C. Cybo, e altri dopo il Concilio che dànno piuttosto il senso della prima fortunata espansione cappuccina, soprattutto in Italia. Questa dilatazione geografica trova in san Felice da Cantalice la piú significativa dimensione spirituale e giustificazione ideale (III. Testimonianze varie sulle origini e primo sviluppo dell’Ordine: docc. 35-52).
Per l’omogeneità di documentazione, abbiamo aggiunto un quarto settore di documenti spulciati dall’enorme epistolario di san Carlo Borromeo: una serie di interventi coi quali il «vescovo ideale della riforma tridentina» appoggia l’espansione e la predicazione dei cappuccini, contribuendo alla fondazione di diversi loro conventi. In questa raccolta figurano ovviamente anche alcune lettere scritte al santo (IV. Dall’epistolario di san Carlo Borromeo: docc. 53-68).
Un caratteristico tipo di documentazione estranea all’Ordine è rappresentato dalle cronache cittadine e diari che possono trovarsi anche sotto forma di autobiografie o ricordi o registri di notizie o memorie storiche. L’osservatore esterno qui è di varia estrazione: o si tratta di suore che stilano le memorie dei loro monasteri, o di notai e di cronisti della città per tradizione di famiglia, o sono religiosi ed eruditi, o chierici e cardinali. Questa varietà di estrazione sociale contribuisce a presentare la venuta, la presenza e l’operosità spirituale e sociale dei cappuccini nelle varie città con particolari inediti efficacissimi, coloriti nel linguaggio e, spesso, immediati come tante istantanee (V. Cronache e Diari: docc. 69-91).
Complemento necessario di questa cronachistica cittadina sono le cosiddette «riformanze» dei vari Comuni, alle quali, per la loro importanza storica, è consacrata una particolare sezione di questa nostra raccolta documentaria (cf. parte II, sezione II: Testimonianze delle autorità pubbliche, a cura di C. Urbanelli).
Siccome le cronache, spesso, per non dire quasi sempre, documentano la predicazione dei cappuccini, causa ordinaria della fondazione dei loro conventi, abbiamo voluto raccogliere in questo senso alcune caratteristiche testimonianze sulla predicazione cappuccina del secondo Cinquecento e primo Seicento, periodo piú prolifico di insediamenti cappuccini, esemplificata su alcune figure emblematiche come Alfonso Lupo, Mattia Bellintani da Salò, Cristoforo Facciardi da Verucchio, Giacinto da Casale e, sinteticamente, in un anonimo cappuccino. Questa predicazione tipica risalta da lettere scritte da osservatori estranei magari per motivi letterari o politici, ma viene anche valutata autorevolmente, nel contesto della predicazione cattolica del tempo, come fa pensosamente il card. Federico Borromeo (VI. Testimonianze particolari sulla predicazione cappuccina: docc. 92-95).
Come conclusione di questa sezione, ci è parso importante e utile raggruppare alcune informazioni generali sull’Ordine cappuccino, redatte ora in forma sommaria, ora in modo piú analitico, sia in un contesto di elenco o catalogo di religioni riformate o di luoghi sacri di città, sia come capitolo di una storia di ordini religiosi, sia infine come annotazione particolare in una raccolta di documenti giuridici e pontifici. A sé stante è una presentazione «poetica» e succosa della vita cappuccina (VII. Informazioni generali sulla riforma cappuccina: docc. 96-105).
INTRODUZIONE
I primi francescani che parlano dei cappuccini appartengono alla famiglia dell’Osservanza. E ne parlano con preoccupazione, con timore, perché vedono un grosso pericolo di divisione dell’Ordine. Usano tutti i mezzi giuridici a loro disposizione per bloccare sul nascere questa pericolosa corrente centrifuga.
Giovanni Pili da Fano è il primo che interviene concretamente, sulla scia di alcune prescrizioni emanate dal ministro generale degli osservanti, lo spagnolo Francesco Quiñones, zelante fautore delle case di recollezione nell’Ordine.
La bolla di «unione» di Leone X, unendo sotto l’Osservanza molte espressioni di riforma, aveva però definitivamente diviso l’Ordine nelle due famiglie dei conventuali e degli osservanti. Ora bisognava salvaguardare l’unità e non permettere altre divisioni. La brillante soluzione delle «case di recollezione» poteva bastare a colmare le attese dei piú zelanti, senza bisogno di passare agli scalzi o ai cappuccini. L’Osservanza può garantire nell’unità ogni forma di rinnovamento francescano.
Con questi criteri Giovanni da Fano si propone di colpire direttamente i cappuccini. Egli era ministro provinciale delle Marche. Qui era stato acceso il fuoco dal gesto imprevedibile di Matteo da Bascio di cambiare l’abito della religione con uno nuovo «deforme con il capuccio vituperabile» e di darsi alla predicazione itinerante della penitenza. Il gesto di questo oscuro fraticello, suo suddito, sembrava rievocasse altri simili gesti verificatisi proprio nella sua provincia nei tempi passati. Egli non era disposto a tollerarlo. Anzi, appena possibile, mise il responsabile a pane e acqua e disciplina in una prigione del convento. Sappiamo poi come sarà costretto da un deciso intervento di Caterina Cybo, duchessa di Camerino, a liberarlo e come, nonostante tutta la sua azione repressiva, il movimento andrà estendendosi anche fuori i confini della regione.
Il mezzo piú intelligente e piú efficace che Giovanni da Fano, però, mise in opera non fu questa violenza fisica, per cui ricorse anche al cosiddetto «braccio secolare», ma un libretto che fece stampare ad Ancona nel 1527 per disinnescare con abili argomenti la miccia di questa riforma intraprendente. Alla violenza contrappose il Dialogo de la salute (doc. 1) che ebbe larga diffusione e vasta risonanza. Certo che il principio del «dialogo» non è che venne osservato. Per convincere i «poveri e semplici frati» piú esposti alla sirena dell’idealismo cappuccino, dialogò sui capitoli della Regola francescana con un «frate stimolato», portavoce dei «semplici», ancora dubbioso se l’Osservanza garantisse un sincero rinnovamento; però continuò col metodo della violenza, anche se stavolta solo verbale, nei confronti dei cappuccini senza direttamente nominarli, ma chiaramente trasparenti e identificabili. Si possono contare almeno una dozzina di allusioni lampanti contro i cappuccini.
Una valutazione cosí passionale e negativa della riforma cappuccina, metodologicamente influente, ma imperfetta sul piano critico, nascondeva nell’autore una probabile perplessità di fondo. Realmente dubitava e i suoi dubbi li pone sulla bocca del «frate stimolato». I principi dottrinali e le diverse spiegazioni del «frate razionabile» non soddisfano. Le prospettive spirituali e quel dinamismo interiore, nutrito dalla spiritualità della «devotio moderna», che continuamente sembrano sottostare alle domande del «frate stimolato», non possono trovare una soluzione definitiva in risposte sostanziate di violenze verbali, di puro rigorismo di osservanza, di contrapposizioni formali, di giustificazioni giurisdizionali e glorificazioni di una tradizione di santità.
Quando il toscano Onorio Caiani informò, drammaticamente, pochi anni dopo, nel 1532, il papa Clemente VII (doc. 2) sul problema scottante dei cappuccini, userà lo stesso pensiero e linguaggio del Pili. Ma è proprio a questo procuratore generale dei frati osservanti che, un anno dopo, scriverà lo stesso Giovanni da Fano (doc. 5) dal conventino di Cingoli e questo fatto è la dimostrazione della sua sofferta ricerca, insoddisfatto delle garanzie di riforma all’interno dell’Osservanza. Anche se non accenna ai cappuccini, questa lettera appassionata è forse la rivelazione e la spiegazione piú vera dei motivi che spinsero nel 1534 i piú zelanti osservanti a passare nelle file dei cappuccini.
Le due lettere di p. Bonaventura De Centi da Venezia, una a Gian Pietro Carafa (doc. 3) e l’altra a Clemente VII (doc. 4), riportano invece un momento indietro il discorso, prima cioè, anzi pochi giorni prima della bolla In suprema del 16 novembre 1532. Questo frate minore osservante di Venezia caldeggiava con entusiasmo la riforma dell’Ordine, ma, impulsivo e fazioso, volle ingolfarsi nelle beghe che dal 1528 al 1532 sconvolsero la sua provincia.[1] Scrivendo a Gian Pietro Carafa, sottolineava la soddisfazione degli osservanti anelanti alla riforma, perché la riforma si sarebbe fatta, a suo giudizio, secondo il modulo delle «case di recollezione», 4 oppure 5 in ogni provincia e con una certa autonomia come custodie, ma senza la grande divisione dei cappuccini staccatisi dall’Ordine e però già ridimensionati (« un picol numero»), molti anzi rientrati nell’ovile. Cosí il motivo di separarsi per riformarsi non aveva piú senso: il «picol numero» dei cappuccini presto si sarebbe sciolto.
Al papa ribadiva il pensiero, esortandolo ad approvare presto i riformati, senza sapere che già da un giorno Clemente VII aveva promulgato la bolla. Era cosí convinto che per i cappuccini ormai si profilava il totale insuccesso, da voler suggerire al papa un suo meditato progetto, una «forma» di riassorbimento di essi nell’Osservanza. Questi conti non tornarono, per i motivi espressi appunto da Giovanni da Fano, come si è detto.
Un altro zelante osservante, frate Cherubino Lusio da Feltre, scrive una lettera al nuovo papa Paolo III tre anni dopo, nel giorno anniversario della conferma della Regola francescana, il 29 novembre 1535 (doc. 6) Parla male dei cappuccini e bene dei riformati. In pratica riproduce i giudizi negativi del Dialogo di Giovanni da Fano e le preoccupazioni di Onorio Caiani. Chiama i cappuccini una «setta» di frati di «mala vita». Il termine è un’eco dei giudizi del Quiñones che aveva escogitato la piú subdola azione contro i cappuccini, facendo intervenire lo stesso Carlo V imperatore con una lettera scritta pochi giorni dopo a Paolo III per metterlo in guardia contro «una certa setta chiamata dei cappuccini».[2] Tuttavia è scomparsa la sicurezza di Bonaventura De Centi e del Caiani. Resta come un tarlo il dubbio di fondo: «Se la secta de li capucini scia da Dio, nescio». Ma ormai erano le ultime battute da parte degli osservanti, che speravano, con sempre minor certezza, nello sfascio della riforma cappuccina.
Invece quest’ultima andava consolidandosi e col capitolo generale di Roma-S. Eufemia del 1535/36 acquistò forza e compattezza spirituale, legislativa e giuridica.
Per trovare altri giudizi sui cappuccini da parte di frati minori osservanti o francescani in genere, bisogna attendere fino a dopo il Concilio di Trento (1545-1563), allorché la riforma cappuccina ottiene la sua definitiva autenticazione ecclesiale. La differenza di linguaggio ora è enorme. Si parla dei cappuccini come di un Ordine a sé stante, con le sue caratteristiche, la sua storia, le sue finalità.
Come spartiacque o, meglio, come collegamento tra la prima e la seconda maniera, abbiamo posto una raccolta di documenti e di testimonianze degli anni 1552/53 e seguenti, relative alla figura di Matteo Serafini da Bascio († 1552), che resta sempre un riferimento ineludibile delle origini cappuccine, pur nella sua vicenda personale. Ma la sua riforma personale, la sua iconografia come segno di riscoperta di un san Francesco vivo e la sua itineranza apostolica restano come slancio incancellabile ed emblema di una nuova riforma.
Riproduciamo qui, per la prima volta, il libretto rarissimo, ormai irreperibile, dell’osservante Francesco Montegiano da Pesaro su La morte et miracoli del beato fra Matheo da Bassi (doc. 7) e altre testimonianze sull’iniziatore involontario dei cappuccini (doc. 8), come alcuni brani da un’inchiesta o « Processo dei miracoli» (doc. 8,1) avvenuti alla sua tomba, e da un catalogo dei miracoli (doc. 8,2), con altri frammenti biografici di estrazione osservante (doc. 8,3-4).
Ne risulta un ritratto molto umano, anzi commovente, dolce e ricco di misericordia, e non cosí duro come potrebbe far sembrare la sua predicazione penitenziale: molto adatto, quindi, al carisma francescano-cappuccino.[3]
Una cosa, ad ogni modo, è certa: chi vorrà parlare d’allora in poi, della riforma cappuccina, non potrà piú prescindere dalla figura di Matteo da Bascio. Cosí avviene per quell’entusiasta della riforma cappuccina e di ogni altra riforma francescana, Yves Magistri di Laval († post 1611), minore osservante francese che cercò di introdurre la riforma recolletta nella sua provincia di Touraine. La sua testimonianza sulla vita cappuccina, osservata acutamente e sperimentata nei suoi viaggi in Italia negli anni 1569-1571, è presentata come un giornale di viaggio in una serie di impressioni incisive (doc. 9). Per lui i cappuccini «vivono la Regola alla lettera senza commenti» e assieme agli scalzi spagnoli sono da imitarsi. Egli mette sullo stesso piano l’iniziatore della riforma degli osservanti, il b. Paoluccio Trinci con san Pietro d’Alcantara, fondatore degli Alcantarini, e con il «b. Matteo, riformatore della Religione alla vera norma e stato e abito primitivo dell’Ordine », il quale « con pochi frati principiò la congregazione dei reverendi padri e fratelli nostri cappuccini, cosí grande e famosa ».
L’amore alla riforma e l’intento pragmatico e apologetico del suo scritto, come si nota, gli impedisce di soffermarsi in maniera piú critica sulla riforma cappuccina. Non si pone neanche il problema della vicenda personale di Matteo da Bascio, ma esalta l’apporto di Bernardino d’Asti, Eusebio d’Ancona, Giuseppe da Ferno, Girolamo da Pistoia, Francesco Tittelmans, Onorio da Montegranaro e Mario da Mercato Saraceno e apprezza la legislazione cappuccina.
Ben diverso, invece, per intento e costruzione logica, è lo scritto dell’osservante portoghese Marco da Lisbona († 1591) inserito nel disegno generale delle sue Chroniche (doc. 10). La copia di notizie che via via Marco da Lisbona andava raccogliendo, particolarmente in Italia, gli permise di introdurre nella terza parte delle sue cronache alcuni capitoli riguardanti i cappuccini, e particolarmente un capitolo sulle origini dell’Ordine e sulla vita, morte e miracoli di Matteo da Bascio.[4] Il suo racconto è piano, ricco di particolari edificanti, sereno, senza atteggiamenti critici, per cui il lettore ne ricava un’impressione di simpatia verso i cappuccini e Matteo, da Bascio. L’unico aspetto « osservante», del resto oggettivo, è quella particolare compiacenza con cui insiste sul fatto che la riforma cappuccina è opera di osservanti e i piú rinomati iniziatori provengono dall’Osservanza. Non c’è l’entusiasmo di Yves Magistri; eppure questo racconto del cronista portoghese, contemporaneo, redatto nel 1570/71, resta ugualmente affascinante ed elogiativo della riforma cappuccina.
Una nota critica inserisce il conventuale Pietro Ridolfi da Tossignano († 1601) parlando brevemente delle origini cappuccine (doc. 11). Ormai si incominciava, anche da parte dei cappuccini, a rileggere la propria storia e giravano molte notizie al riguardo. Egli constata che non c’è una serie di indizi o notizie certe sull’origine dei cappuccini e il loro fondatore. Tuttavia, senza citare le fonti sulle quali poi fa leva, afferma che queste concordano nell’indicare Matteo da Bascio come fondatore, checché ne dica l’unica voce discorde che è il racconto «campanilistico» di Giuseppe Zarlino che indica invece p. Paolo Barbieri da Chioggia.[5]
Al di là di alcune incongruenze e incertezze, il giudizio del Tossignano è positivo e perentorio: Matteo da Bascio sta all’origine della riforma cappuccina; manca però qualsiasi cenno al suo rientro tra gli osservanti e alla sua vicenda personale.
Di altro tono, invece, sono le notizie che l’osservante Francesco Gonzaga dedica alla riforma cappuccina (doc. 12). Un certo senso di rispetto, un’ammirazione riverente, un linguaggio scarno e apparentemente distaccato non devono trarre in inganno. Se esalta i cappuccini è per esaltare l’Osservanza. Matteo da Bascio è «alunno della Regolare Osservanza »; i due fratelli Tenaglia sono « ambedue osservanti»; i padri Bernardino d’Asti, Antonio da Monteciccardo, Giovanni da Fano, Francesco Tittelmans sono « tutti della Regolare Osservanza ».
L’Osservanza è il movimento e il gruppo piú ecclesiale tra i francescani perché segue «le dichiarazioni pontificie»; essa possiede una solida tradizione di cultura teologica. Tutto sembra svolto in pace, al di fuori di ogni polemica. Anche se accenna a Matteo da Bascio, inventore del « cappuccino» e iniziatore dell’Ordine, spostandosi poi rapidamente all’opera di Ludovico da Fossombrone e ai dotti osservanti che entrarono fra i cappuccini, sembra quasi che il Gonzaga voglia mettere in ombra la figura di Matteo da Bascio « come la meno tridentina dei primordi cappuccini (scrive Daniela Traini). Sembra, cioè, che nella tradizione del Gonzaga traspaia la necessità per l’Osservanza di ristabilire un equilibrio ufficiale tra le forze francescane nuovamente articolate. Ciò può accadere demitizzando fra Matteo e scientifizzando la riforma cappuccina, facendola apparire come una necessaria filiazione dell’Osservanza stessa, che riacquista il suo equilibrio strutturale e spirituale solo dopo l’ufficializzazione dell’Ordine cappuccino ».[6]
Questa idea di fondo, insinuata dal Gonzaga, resta anche nei successivi interventi storiografici di altri scrittori francescani. Cronologicamente però ci spostiamo già nel sec. XVII. Qui altri orizzonti si aprono che ci porterebbero lontano e ci immergerebbero nel clima polemico sorto attorno agli Annales del Boverio.
Vogliamo però concludere questa serie di documenti francescani estranei all’Ordine cappuccino, accennando al giudizio su Matteo da Bascio e i cappuccini che il continuatore di Marco da Lisbona, p. Antonio Daza († ca. 1640), osservante, presenta nella quarta parte delle Croniche, edita a Valladolid nel 1611 e tradotta in italiano da Orazio Diola (doc. 13).
Il Daza cerca di demitizzare la figura di Matteo da Bascio, di cui parla nel libro 3°; capitolo 39 delle Croniche; ma incappa in molte affermazioni arbitrarie e in molte inesattezze storiche. La tattica di questa demitizzazione consiste nel dimostrare che l’abito col cappuccio aguzzo non è stato inventato da Matteo da Bascio, ma dai padri del Cappuccio (Capuchos) di Giovanni di Guadalupe († 1505) in Spagna, poi ripreso dai cappuccini italiani per mezzo di Matteo da Bascio, il quale l’avrebbe portato fin da giovane tra gli osservanti e col permesso di Clemente VII si sarebbe dato, cosí vestito, alla predicazione itinerante. Il carisma personale dell’iniziatore dei cappuccini (continua il Daza) alla fine non sarebbe stato accettato dall’Ordine ufficiale, presentato da lui come Ordine di eremiti di san Francesco e non di frati minori, quasi che la predicazione itinerante non fosse secondo lo spirito cappuccino. Di conseguenza i superiori l’avrebbero privato dell’abito col cappuccio ed estromesso dall’Ordine; e allora egli avrebbe trovato caritatevole accoglienza tra i padri dell’Osservanza: Ultimo argomento mistificatore addotto dal Daza è che Matteo da Bascio negli anni che fu tra i cappuccini non fece nessun miracolo.
Si tratta di argomenti che oggi possono far sorridere, ma allora avevano una forte consistenza e reale efficacia. Certi silenzi, certe allusioni e alcune palesi falsificazioni, tutto serviva per far rifluire nell’alveo dell’Osservanza il merito della figura e dell’esperienza di Matteo da Bascio, smobilitando il contenuto spirituale della riforma cappuccina.
Questo rischio venne immediatamente avvertito dai cappuccini che allora, con p. Giacomo da Salò e altri, stavano preparando organicamente il materiale per stampare le loro Cronache, un lavoro impegnativo che giungerà in porto con Zaccaria Boverio nel 1632-1639.[7] P. Luciano da Brescia scrisse a p. Giacomo censurando le singole affermazioni del Daza, basandosi su fonti sicure, scritte e orali, come egli stesso dice: «Quanto a quello che mi ricerca di saper le cose che sono nella IV. Parte delle Croniche pertinenti a’ capuccini, le scrivo volentieri, perché quasi tutte mi paiono degne di correzzione, per quello c’ho visto nelli scritti delli padri fra Mario [da Mercato Saraceno] e Petrazzo [Bernardino da Colpetrazzo], ed inteso dalla bocca propria del padre fra Marco da Bergamo nostro, il quale fu vestito da fra Ludovico da Fossombrone prima di fra Giovanni da Fano; però è necessario ben considerarle ».[8]
Venne cosí formata una precisa censura con annotazioni correttive sui diversi punti del racconto del Daza. Una copia venne consegnata al segretario della Congregazione dell’Indice e se ne trattò in congregazione, come si legge in un’altra lettera scritta ancora a p. Giacomo da Salò, probabilmente dal p. procuratore, in data Roma 13 marzo 1614, che inizia con queste parole: « La sacra congregazione non ha ex officio, come accenna vostra paternità nella sua, annullata la Cronica del Barezzo, ma stando io in congregazione col padre procuratore de’ zoccolanti e padre deputato de padri conventuali avanti il signor cardinal Santa Cecilia, capo della congregazione, discorrendosi come si poteva far, acciò la censura fosse presta e senza contese, furono proposti alcuni appuntamenti e ispedienti; né nessuno era riuscibile, massima che ‘I signor cardinale voleva che s’unissero due soli giorni la settimana in casa sua. Vedendo questo il sig. cardinale per dar soddisfazione et alle parti et al Barezzo, propose questo partito, che gli saria parso bene che ogniuno facesse da per sé la sua Cronica senza inserirvi i Beati e fatti d’altri, e che poi il titolo fosse comune a tutti, cioè: Croniche della religion di san Francesco. Parte etc. pertinente a’ padri capuccini, et sic de reliquis ».[9]
Non possiamo seguire tutta la trama di questa controversia. L’accenno è sufficiente per documentare come anche i cappuccini del primo Seicento avvertissero il tentativo della storiografia osservante piú impegnata di demitizzare Matteo da Bascio. Il tema ci porterebbe direttamente negli Annales di L. Wadding nei quali troviamo il tentativo piú lucido di analisi critica delle origini cappuccine secondo questa prospettiva demitizzante.[10]
Il Wadding si appoggia al racconto di Marco da Lisbona, ma critica l’edizione italiana che contiene molte aggiunte non autentiche e molte contaminazioni con fonti cappuccine legate alle relazioni di Mario da Mercato Saraceno; e sembra che egli voglia piuttosto mettere in crisi il valore storico e documentario di queste aggiunte. Il fatto sta che tutta la sua sintesi è di chiara polemica con il Boverio e, con maggior accortezza critica del Gonzaga, tende a ristabilire un equilibrio che nel sec. XVII appariva definitivamente compromesso nel quadro di una «pietas» postridentina chiaramente orientata nel senso di una rinnovata spiritualità di tipo cappuccino.
Resta quindi vera, a nostro avviso, storiograficamente, l’affermazione conclusiva del citato lavoro della D. Traini che tutta la storiografia estranea all’Ordine di estrazione osservante, esclusi per motivi diversi Marco da Lisbona e Yves Magistri, non si possa salvare dall’accusa di falso ideologico.[11]
- Su di lui si veda l’accurato studio di B. Nicolini, Il frate osservante Bonaventura De Centi e il nunzio Fabio Mignanelli. Episodio di vita religiosa veneziana, in id., Aspetti della vita religiosa politica e letteraria del Cinquecento, Bologna 1963, 61-83. ↑
- La lettera di Carlo V è riportata anche in questa nostra raccolta, parte IV,. sez. IV, doc. 2; vedi inoltre Melchor de Pobladura, El emperador Carlos V contra los Capuchinos, in CF 34 (1964); 378. – La parola secta si trova però già nella bolla Ite vos di Leone X, ed è stata suggerita, probabilmente, dal Quiñones a Carlo V. Ecco il testo della bolla: «Et ne ex novarum sectarum in dicto Ordine forsan introductione fienda, Ordinem iterum in rixas devenire oporteat, volumus et in virtute sanctae, oboedientiae firmiter praecipimus et mandamus, quod de cetero nullae novae sectae vel reformationes in dicto Ordine introducantur aut fiant absque ministri generalis aut provincialium ministrorum reformatorum in suis provinciis respective expresso assens »: cap. VIII, S 4: in AIA 18 (1958) 349. – C’è in effetti anche una certa reminiscenza del linguaggio usato nel passato dalle bolle papali contro gli Spirituali, ai quali i cappuccini potevano facilmente essere assimilati. ↑
- Si vedano le articolate discussioni critiche e le varie osservazioni premesse a questi testi con la relativa bibliografica. ↑
- Cf. l’introduzione particolare: al doc. 10. ↑
- Su questo importante personaggio della riforma cappuccina cf. bibliografia in Lexicon cap., 1298s. – L’Informatione di G. Zarlino è stata studiata e pubblicata da Melchior a Pobladura, Narratio Josephi Zarlino circa originem Ordinis Minorum Capuccinorum, in MHOC I, 483-526 (=Appendix II). ↑
- Cf. D. Traini, La riforma cappuccina nella storiografia estranea all’Ordine nei secoli XVI-XVII (tesi di laurea), Perugia 1969, 77. – Un motivo, qui non accennato, che dispiacerà molto ai cappuccini e contro il quale punterà la penna il dotto ed erudito Celestino Colleoni da Bergamo, fu l’affermazione del Gonzaga che i cappuccini non erano veri figli e successori di san Francesco. Cf. sopra, parte I, sez. IV, doc. 7 (cf. nn. 1111-1136). ↑
- Sugli Annales del Boverio cf. Vittorio da Ceva, P. Zaccaria Boverio teologo e annalista, in IF 24 (1949) 133-141; Mariano D’Alatri, San Francesco negli Annali del Boverio, in Francesco d’Assisi nella storia. Secoli XVI-XIX, a cura di S. Gieben, Roma 1983, 135-147; vedi inoltre Lexicon cap., 1851s, e altri riferimenti in Collectanea franciscana-Bibliographia franciscana 1931-1970. Index, curavit Claudius van de Laar, Roma 1972, 104b (Boverio, Zacharias de Saluzzo, cap. [† 1638]). ↑
- AGO, PC 8 (cf. doc. 13, note 5-6). ↑
- Ibid. ↑
- Cf. AM XVI, 238-245, 296-301, 321s, 336, 387, 404s, 470S, 4865, 490. ↑
- Cf. nota 6 sopra. ↑