INTRODUZIONE GENERALE Di COSTANZO CARGNONI

I FRATI CAPPUCCINI

Documenti e Testimonianze del Primo Secolo

A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982 XVIII-XCVII

INTRODUZIONE GENERALE Di COSTANZO CARGNONI

Table of Contents

I. GENERALITA’ STORICHE, CULTURALI E SPIRITUALI

1) Francescanesimo: una tensione continua di riforma

2) Conventuali, Osservanti e Cappuccini

3) Ritratto e spiritualità dei primi cappuccini

4) Icone popolare del frate cappuccino

5) Alcune testimonianze letterarie moderne

6) La meditazione profetica di Paolo VI sul carisma cappuccino

II. RICERCA DELLE FONTI E ALCUNI ASPETTI METODOLOGICI

1) Criteri fondamentali di scelta e di presentazione dei documenti

2) Giustificazione dell’ambito cronologico

3) Criteri di trascrizione dei testi

III. CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI NELLA STORIOGRAFIA CAPPUCCINA

IV. QUADRO SISTEMATICO E STRUTTURA DELLE FONTI CAPPUCCINE

1) Parte prima

Sez. I: Documenti pontifici (1528-1627)

Sez. II: Primitiva legislazione cappuccina (1529-1643)

Sez. III: Primi commenti cappuccini alla Regola (inizio sec. XVI-1614)

Sez. IV: «Modus vivendi», costumanze di provincia, formulari, cerimoniali (1536-1641)

2) Parte seconda

Sez. I: Documenti e testimonianze estranee all’Ordine (1526-1632)

Sez. II: Testimonianze delle autorità pubbliche (1526-1611)

Sez. III: Carteggi dei primi cappuccini (1536-1628)

Sez. IV: Cronache cappuccine primitive (1565-1630 c.)

3) Parte terza

Sez. I: Letteratura spirituale ascetico-mistica (1535-1628)

Sez. II: Apostolato ed evangelizzazione (1528-1630)

Sez. III: Testimonianze sulla vita cappuccina dai processi di canonizzazione (1587-1626)

Sez. I: Testimonianze sui primi cappuccini in Francia (1575-1625)

Sez. II: Testimonianze sui primi cappuccini in Belgio-Olanda (1585-1625)

Sez. III: Testimonianze sui primi cappuccini in Svizzera (1571-1630 c.)

Sez. IV: Testimonianze sui primi cappuccini in Spagna (1578-1619)

Sez. V: Testimonianze sui primi cappuccini nei paesi del Centro-Est europeo (1593-1630 c.)

Appendice I: Iconografia, architettura e « arte » cappuccine

Appendice II: Origine e primo sviluppo delle Clarisse cappuccine (1535-1611

Conclusione

Chi sono i frati cappuccini? Le risposte possono essere diverse nei particolari, ma alla fine tutte si riducono ad una sola, semplice, povera, umile, disadorna, quasi rude. Il lettore potrà trovare in questo primo volume già una sicura risposta che andrà sempre più acquistando in precisione e in dettaglio con l’apporto degli altri volumi documentari. Perché realmente la domanda è stata posta furtivamente ai documenti e alle testimonianze del primo secolo di storia dell’Ordine. Sono tante voci che si fondono, pur tra contrasti, contrappunti, stecche, dissonanze, per formare un’orchestra armoniosa e possente. Nell’ascolto di queste voci, nella rilettura di questi documenti e testimonianze, è possibile individuare una risposta che identifica con chiarezza, senza ambiguità e sbavature, i frati cappuccini come essi vollero essere nella Chiesa e come vennero giudicati.

È necessario allora premettere alcune generalità storiche, spirituali e culturali, per poi precisare lo spirito, il quadro, il metodo e i limiti di questa antologia documentaria.

I. GENERALITA’ STORICHE, CULTURALI E SPIRITUALI

Che i frati cappuccini, nella loro reale luce storica, siano discepoli di san Francesco d’Assisi, sorti oltre 450 anni fa dal travaglio di una delle più sofferte e fortunate riforme del francescanesimo ed espressione tra le più convincenti di una diffusa aspirazione di rinnovamento nella Chiesa del sec. XVI, forse non tutti lo sanno.

Essi furono concepiti in Italia sullo scorcio del ‘400 e agli albori del ‘500 nella solitudine e nel silenzio di piccoli eremi in Basilicata e in Calabria ad opera di Ludovico e Bernardino da Reggio, ma anche nelle province di Roma e di Napoli con Stefano Molina, Bernardino d’Asti e Nicolò Tomacelli, e nell’Umbria e nelle Marche ad opera di molti zelanti.[1]

Nacquero, per cosí dire, a Montefalcone in quel di Fermo tra il mese di aprile e di maggio, nella primavera del 1525 col gesto di una estemporanea fuga mundi conventuale decisa da Matteo da Bascio, un frate minore osservante che con «habitello stretto et capuccio aguzzo, scalzo, con una croce in mano»,[2] ottenne dal papa Clemente VII una benevola approvazione orale della sua forma vita di predicatore itinerante. Nessuno allora avrebbe potuto immaginare che un gesto così furtivo e irrilevante, che sfugge all’attenzione della «grande» storia, avrebbe fatto esplodere un rinnovamento religioso e spirituale così intenso da dilagare in seguito in tutta Italia e, dopo il concilio di Trento, nelle diverse regioni europee e nelle missioni cattoliche extraeuropee.

Non fu una riflessione sui tempi calamitosi e sui costumi immorali dell’umanesimo paganeggiante che spinse i primi cappuccini al drastico moto di riforma, ma l’ansia di rivivere in sé e difendere il «vivo spirito di Gesù Cristo» secondo l’esempio degli apostoli e l’esperienza di san Francesco, in un’osservanza integrale, letterale e spirituale dell’«evangelica e serafica Regola» dei frati minori.[3]

Non fu soltanto un moto locale, marchigiano o calabrese o veneto o di altre zone d’Italia. Nella sua complessità deve riportarsi piuttosto su un piano nazionale, in quanto molteplici erano i germi di rinnovamento che pullulavano in seno all’ Osservanza minoriticia, a somiglianza di quanto avveniva non solo in altre compagini religiose, ma per l’opera della gerarchia e dei santi riformatori, in tutto il cattolicesimo.[4]

Pure bisogna rimarcare l’innegabile valore del fermento calabrese e dell’operosità marchigiana la quale, sotto l’influente protezione della duchessa di Camerino, Caterina Cybo, ottenne in quel memorando venerdì 3 luglio 1528, con i fratelli Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone, il primo ufficiale documento pontificio di approvazione, la bolla Religionis zelus di Clemente VII, che può benissimo figurare come il «battesimo» dei cappuccini.[5]

Nel 1529, «confermati» segretamente sui monti di Albacina in territorio di Fabriano, i cappuccini rinnovarono e chiarirono solennemente e definitivamente le loro «promesse battesimali» nel capitolo generale di Roma-S. Eufemia nel 1535/36 con Paolo III Farnese.

È questo il primo assestamento dopo i primi dieci anni di storia. Un secondo assestamento si verificò dopo il concilio di Trento con le costituzioni del 1575. A partire dal 1619, resisi autonomi dai conventuali, i cappuccini raggiunsero il massimo sviluppo operativo e trovarono la loro definitiva fisionomia e istituzionalizzazione spirituale e sociale. Talmente che all’interrogativo: «Chi è un frate cappuccino?», anche un avvocato al Parlamento di Parigi, «maître» Filippo di Monthouri poteva dare una risposta esauriente in un opuscolo del 1613 dedicato al famoso Angelo di Joyeuse, col titolo: L’image du parfait capucin.[6]

In queste coordinate cronologiche si colloca tutta la gamma storica della primitiva germogliazione, piantificazione, fioritura e fruttificazione dei cappuccini. L’immagine dell’albero è francescana quanto mai e si presta a fare da preciso supporto a un racconto che può narrarsi in molti modi, come tanti rami che si intrecciano, ma partono tutti dallo stesso tronco. E se avete ammirato un «albero francescano» che sventaglia i suoi rami con incredibile fecondità, secondo un’immagine suggerita già nel sec. XIV, ma realizzata iconograficamente soprattuto nel sec. XVII da Carlo d’Arenberg, noterete come ai piedi, o meglio, alla radice, sta Francesco d’Assisi. Dal suo cuore, tutto serafico ed evangelico e cattolico, nasce e si alimenta la vitalità dell’Ordine. Non si può capire chi sono i cappuccini e quando e dove e perché sono sorti, se non si parte da questa radice?[7]

1) Francescanesimo: una tensione continua di riforma

Il Poverello ha lasciato in eredità un orizzonte immenso di libertà e di semplicità. La sua Regola di radicale povertà e umiltà era stata dettata per mediare e facilitare ai discepoli questo entrare nell’obbedienza e da qui nella libertà spirituale del Vangelo. E invece, stranamente, questo documento di libertà si era quasi subito trasformato in una pietra d’inciampo.

L’Ordine, cresciuto smisuratamente nel sec. XIII fino a superare i 30.000 membri, non riusciva più a tenere il passo con l’eroismo della primitiva fraternità. Era diventato una potenza religiosa e monastica e poteva vantare dottissimi professori a Parigi e a Oxford, leggendari viaggiatori e missionari, eroici santi e martiri, apostoli itineranti e popolari, ma anche grandi conventi e chiese monumentali nelle città più importanti. Non era più uno sparuto gruppo di ioculatores, che non avevano stabile dimora e cantavano le laudes Domini. Era un esercito compatto, strutturato, utilizzato con insistenza dalla Chiesa in un apostolato organizzato con precise norme giuridiche e privilegi. San Bonaventura vide in questa evoluzione un simbolo della Chiesa, partita con umili origini e divenuta in seguito maestosa e potente.[8]

Ma ecco dal tronco possente spuntare un groviglio di rami che volevano essere diversi, quasi ritornando alla radice. Non tutti infatti applaudirono a questa grandezza e potenza, ma alcuni, legati cordialmente ad un’esperienza di semplicità e povertà come l’avevano vista in Francesco, gridarono allo scandalo di un Ordine che, crescendo, s’ allontanava dallo spirito del Fondatore e lo tradiva?[9]

Questi zelanti avevano gustato la soave e forte poesia dei Fioretti. Indossavano un abito piú stranamente diverso, rozzo e stretto; optavano per gli eremi sui monti e nelle valli, che i frati evoluti e urbanizzati avevano abbandonato; non volevano privilegi e rinunciavano all’esenzione dai vescovi; desideravano solamente osservare la Regola francescana alla lettera, cosí semplicemente come suona, col solo accompagnamento e commento del Testamento di san Francesco, e aspiravano al rinnovamento della Chiesa.

Accogliendo poi il profetismo gioachimita, alcuni si esposero pericolosamente all’eresia con avventate applicazioni riformistiche e passarono allo scisma quando Giovanni XXII condannò la tesi della povertà assoluta di Cristo e degli apostoli. Vennero denominati, e anche oggi la storiografia usa chiamarli, «Spirituali», e i piú riottosi «Fraticelli». E ingaggiarono una battaglia che ebbe sviluppi imprevedibili di correnti e complicati risvolti anche politici. Ma erano piccoli rami sul grande tronco dei frati della Comunità; erano un piccolo gruppo, ma instancabile, e polemizzarono per circa ottant’anni dal 1244 al 1318, fino a quando furono recisi e bruciati con la bolla Gloriosam Ecclesiam.[10]

Eppure questi uomini, tormentati e pur innamorati di Francesco, non finirono la loro avventura spirituale. Lo spiritualismo francescano, nei suoi valori positivi, al di là di ogni proscrizione, inoculò nelle file del francescanesimo come un’inquietudine o tensione di riforma che fu all’origine di un fecondo rinnovamento spuntato in molte province e destinato a diventare il grande movimento di riforma degli osservanti, il fatto predominante del ‘400 francescano.[11]

Dapprima la linfa dello spiritualismo fece rispuntare ramoscelli delicati, con vari tentativi a carattere eremitico e locale, guidati da Giovanni della Valle, Gentile da Spoleto e Paoluccio Trinci da Foligno; poi l’apporto di san Bernardino da Siena e degli altri santi dell’Osservanza aprì il movimento a dimensione europea ed ecclesiale, riesumando, con nuova vitalità e vivacità sociale e religiosa, l’apostolato itinerante e popolare del primo francescanesimo. E l’albero a poco a poco si configurò in due grossi tronchi, chiaramente distinti già a metà del sec. XV con la bolla Ut sacra di Eugenio IV del 1446, ma giuridicamente e definitivamente divisi solo nel 1517 con la bolla Ite vos di Leone X, proprio mentre Martin Lutero lanciava la sua sfida alla Chiesa romana, che pur avrebbe portato a una grossa divisione e sofferta lacerazione.[12]

2) Conventuali, Osservanti e Cappuccini

Le due famiglie francescane, ormai divise, dei conventuali e degli osservanti, riproposero le stesse battaglie degli Spirituali e della Comunità. Gli Spirituali sembravano rivivere nella riforma degli osservanti, che predilesse all’inizio una radicale povertà e la vita eremitica.

Ma dopo il grande successo realizzato dalle «quattro colonne dell’Osservanza», da san Bernardino da Siena, san Giovanni da Capistrano, san Giacomo della Marca e dal beato Alberto da Sarteano, con tutta una serie di grandi predicatori itineranti, gli osservanti divennero potenti, influenti, politicizzanti. Si sentivano, nel grande successo incontrato in tutta Europa, l’unica vera riforma del francescanesimo e pretendevano che ogni pianta serafica dovesse fiorire solo nel loro giardino, fra le loro aiuole. Non erano lecite altre riforme separatiste. Ma, di fatto, l’anima dell’Osservanza era composita.

Si muovevano in essa molti fermenti di spiritualità riformistica: il movimento dei romitori in Portogallo, gli austerissimi villacreziani di Castiglia, i frati della Cappucciola aragonesi, cosiddetti per il cappuccio piramidale, i colettani francesi, gli Amadeiti in Lombardia, la riforma di Giovanni de la Puebla, i Guadalupesi o Capuchos, i Pasqualiti, tutti «pies por tierra», cioé gli Scalzi spagnoli che poi sarebbero confluiti nei penitentissimi Alcantarini.[13]

Bisognava tener unite queste «fronde sparte». Tentò l’impresa papa Leone X; ma la sua bolla di unione Ite vos in pratica diventò il documento della divisione. Cessò l’equilibrio del ‘400. Una coincidenza era anche nella politica italiana del tempo, così divisa nell’indipendenza e frammentazione degli stati. Sembrava giunto il momento di unità. Un certo «sentimento nazionale» apparve quando l’unione degli stati della penisola, e specie di Venezia e dello Stato Pontificio, venne realizzato sotto il segno dell’italianità; ma il sogno svanì fra la sconfitta di Pavia (febbraio 1525) e l’incontro di Bologna (autunno 1529), ossia negli anni in cui la minaccia di predominio spagnolo andava sempre più configurandosi, rafforzandosi fino a culminare clamorosamente nel terribile «sacco di Roma» del 1527.[14]

È in un momento drammatico come questo che la riforma più strana e fortunata del francescanesimo viene concepita. Si prepara inconsapevolmente nella solitudine delle case di recollezione, istituite in Spagna all’inizio del ‘500, ristrutturate e diffuse anche in Italia dal generale dei francescani osservanti Francesco Quiñones nel 1526.[15] Questo modulo «strategico» per frenare e impedire nuove scissioni nelle file del francescanesimo, servì invece a nutrire una schiera di uomini ferventi che avrebbero in seguito gettato le fondamenta della riforma cappuccina. «Recollezione» indicava, da una parte, separazione, ritiro, reclusione eremitica e penitenziale, e, dall’altra, ripiegamento dell’anima su se stessa, interiorizzazione e raccoglimento delle potenze dell’anima e spirito di orazione.

Mentre in piccoli eremi del territorio romano, nelle Marche, Umbria, Toscana e, piú a sud, in Basilicata e Calabria, ma anche nelle regioni lombardo-venete, trovavano conforto molti di questi religiosi zelanti, Matteo da Bascio esce allo scoperto in foggia cappuccina nel 1525, seguito in breve dai fratelli Ludovico e Raffaele da Fossombrone, suggerendo involontariamente una ipotesi, una alternativa di rinnovamento. Sono questi i tre corifei dei cappuccini, itineranti e fuggiaschi, braccati e perseguitati. Ma trovarono rifugio tra i Camaldolesi di Cupramontana e poi a Camerino, nel palazzo ducale dei Da Varano e ad Arcofiato.[16]

In questo periodo avviene il terribile saccheggio di Roma ad opera di arrabbiati Lanzichenecchi, e subito dilaga il flagello della peste. I primi cappuccini ante litteram escono di nuovo allo scoperto nel caritatevole servizio degli appestati e moribondi, ed entrano subito nel cuore del popolo.

3) Ritratto e spiritualità dei primi cappuccini

Clemente VII riesce a fuggire da Roma. E a Viterbo rilascia a Ludovico da Fossombrone, il 3 luglio 1528, la bolla di fondazione dei cappuccini, che inizia con le parole significative: Religionis zelus. È ritmata dallo slogan «vitam eremiticam ducere», ossia condurre vita eremitica, in foggia penitenziale con cappuccio e barba, e molto coraggio e zelo di francescanesimo rinnovato. La frase nasconde un impegno enorme di orazione e di povertà radicale, ma è anche un modulo che corrisponde solo in parte alle aspirazioni globali della riforma cappuccina. E piuttosto la fotografia della prima fase, della prima generazione, fondamento di una solida costruzione.[17]

Quando papa Clemente VII, il 6 ottobre, rientrerà in Roma ancora nella desolazione dell’umilizione subita, porterà una barba lunga e canuta. Si potrebbe dire con fondamento che, se il ‘400 fu un’età glabra, il ‘500 dei cappuccini favorì i volti barbuti. Una lunga barba indicava un penitente, un prigioniero, un eremita o un appartenente alla Chiesa d’Oriente.[18] Non per nulla Vincenzo Gioberti scriverà che «poetico è il cappuccino eziandio all’apparenza, perché l’abito, la portatura, i modi rappresentano idealmente il genio del popolo che è poetichissimo… La barba e il saio del cappuccino piacciono anco in pittura, e hanno non so che di antico e di primitivo, che ricorda l’Oriente e i tempi patriarcali».[19]

Nel 1529 un drappello di questi cappuccini si radunò segretamente nella chiesetta di S. Maria dell’Acquarella, un eremo sui monti di Albacina, per chiarire i loro propositi e il loro programma. E così il primo passo che determinò la direzione di fondo della spiritualità cappuccina fu fortemente orientato verso una totale riappropriazione dell’interiorità, «opera» questa – come la presenta uno dei primi cronisti, Bernardino Croli da Colpetrazzo – «che rimirava a tutte le azioni dello spirito havendo l’occhio a distogliersi con ogni affetto non solo dal mondo, ma etiandio da se stessi, per meglio unirsi col suo fine che è Dio glorioso e santissimo».[20]

 

Questa pratica di silenzio e di intensa e sana valorizzazione dell’interiorità e di seppellimento esterno della propria personalità era un affrontare per contrasto, di petto, tutto il costume e la filosofia umanistica della grandezza e potenza e autosufficienza dell’uomo, del godimento estetico ed edonistico delle bellezze e forze della vita, come pure lo spirito curiale di una pericolosa fiducia nei maneggi politici nel governo della Chiesa e nella tutela del regno di Dio.

La condotta esteriore, secondo una rigorosa e integrale applicazione della Regola e dello spirito di san Francesco, si modellava sulle forme di una radicale e quasi insopportabile povertà negli abiti «hirsuti e salvatici», nel «mangiare cose grosse e semplici, com’è dire d’herbe e legumi, et anco altre sorti di minestre alla rusticana», nella suppellettile meschina di miserabili abitazioni, cosí traboccanti di spiritualità che «pareva che le mura odorassero di semplicità e santità».[21]

Questi «puoverini, tutti scalzi, pallidi in viso, che parevano corpi scavati»,[22] volevano affermare col netto predominio di un evangelismo (che era poi francescanesimo vivo e perenne) e di un ascetismo a oltranza, la prevalenza assoluta di Dio sull’uomo, della conquista interiore di Dio sulle affermazioni contingenti e sensibili dell’intelligenza e della volontà umane, della vita futura su quella transitoria di questa terra.

I furtivi appunti di Albacina verranno ripresi e sviluppati ufficialmente a Roma – all’ombra di san Pietro – nel cuore della cattolità, vicino a S. Maria Maggiore, nelle costituzioni del 1536, tessera «carismatica» di identità del cappuccinesimo di tutti i tempi. E allora le pattuglie dei primi cappuccini incominceranno a infiltrarsi come fermento evangelico in tutta la massa del popolo italiano e a comparire ovunque c’era una sofferenza da lenire, un servizio da prestare con amore gratuito, nelle chiese, sui pulpiti, negli ospedali, nelle corti e, «per semplici e idioti che fossero la maggior parte di loro, parlavano tant’ altamente delle cose de Iddio e del gran bene e gloria dell’altra vita, che parevano infocati serafini».

Essi fecero rivivere i fioretti del monachesimo antico, dei padri del deserto. Apparvero agli occhi del popolo come uomini di un altro mondo, ma non di un mondo che divide, ma che infonde fraternità e unità. La gente capì questo messaggio di liberazione e di comunione e accolse con amore la figura inconfondibile del frate cappuccino.

4) Icone popolare del frate cappuccino

Ma non è facile un veritiero ritratto. I primi cappuccini non si mettevano facilmente in posa. Amavano il nascondimento e la solitudine. Eppure è rimasto un ritratto come trascrizione di una reazione spirituale, risultato di una lunga e penetrante osservazione. Come un’icone. Il popolo ne ha tracciato le linee essenziali, come un identikit che ci dà la possibilità di scoprire con molta verosimiglianza e di riconoscere il volto interiore dei primi cappuccini.

L’icone è la rappresentazione plastica di una comunicazione spirituale. Esige una visualizzazione intima e raccolta nel cuore, richiede un ascolto prolungato del suo messaggio. E un ritratto che concentra mille volti e mille atti, i volti e gli atti di una fraternità ecclesiale. Cosí diventa stereotipo e potrebbe apparire formalistico se non esprimesse una viva esperienza spirituale. L’icone si ammira solo con gli occhi dello spirito.[23]

Per questo fra Francesco da Cartoceto, divenuto cieco a forza di piangere e gemere per la riforma dell’Ordine, ritirato a vita contemplativa in un «luoghetto» presso Matelica, vide in visione un giovane «frate scalzo, solo, vestito di un habito rapezzato, grosso, aspro e corto, con un cappuccio in capo longo et aguzzo, e con la croce in mano se ne correva molto in fretta per una bella pianura».[24] In questa rappresentazione c’è già l’identikit del cappuccino. Cosí apparirà Matteo da Bascio, «uomo semplice e di gran spirito», intento sempre a predicare. Non diversamente alla gente apparvero i primi cappuccini: «Andavano squallidi, rapezzati, in silenzio, col capo sprofondato nel capuccio, con gli occhi bassi, magri, macilenti e lagrimosi».[25]

Quando Giovanni da Fano col suo compagno si presentò a Milano nel 1535 davanti al duca Francesco Sforza, «il duca gli mirò fisicamente ambidue senza parlare e considerando l’habito rozzo tutto pezzato, essi discalzi, scarni, e cosí estenuati dall’asprezza della penitenza e dei disagi che pativano per non essere conosciuti, che parevano piú simili a’ morti che a’ vivi…, disse tutto stupefatto: – Non mi piace tanta estremità di vivere -».[26]

La moderna raffinatezza estetica e le inesauribili e fantastiche comodità del benessere materiale ci faranno ripetere forse con piú forza questo giudizio negativo. Ma il messaggio rimane: l’abito povero, la croce, la penitenza, l’orazione e l’ardore mistico e apostolico.

La letteratura popolare ha trovato subito un motivo di ammirazione e di ispirazione. Ha reagito alla presenza religiosa dei cappuccini con una perfetta intuizione e comunicazione spirituale. Ha guardato al di là delle forme esterne, leggendo tuttavia i caratteristici segni di questa presenza choccante. Il frate cappuccino non appariva bello. Proprio come san Francesco visto da Tommaso da Spalato a Bologna, che «portava un abito dimesso, la persona era spregevole, la faccia senza bellezza».[27] Ma il popolo comprese che questo strano frate romito, «brutto di vista d’occhi e di faccia», era però «bello nella coscienza e chiaro».[28] E per suggestione spontanea di immagini giustapposte e di assonanze di parole, l’anima popolare, nel desiderio di vedere il volto di Gesú morto fra la commozione degli angeli e il sospiro della Madonna, scopre accanto, come guida e valido interprete, la figura del cappuccino orante ed estatico:

Madona, Santa Ciara,
impresteme la vostra scala
per andare in paradiso
a veder chel bel viso.

Chel bel viso l’era morto:
tuti li angeli incantava;
la Madona la suspirava;
el Segnor en senocion.

O che bela l’orazion,
l’orazion dei capuccini
pien de rose e pien de spini.[29]

In questa immagine il popolo ha condensato con ingenua bellezza l’intera metodica spirituale della pietà cappuccina, contrastata violentemente da effusioni mistiche e contemplative e riprese ascetiche e penitenziali. Sí, il cappuccino è brutto, ma la sua orazione è bella. Ecco il suo vero volto, delineato e interpretato con profetica sicurezza dalla gente semplice.

La stessa iconografia viene rivelata dalle incisioni e stampe anti-che. I volti dei cappuccini vi appaiono proprio «scavati», in un atteggiamento di grande concentrazione, gli occhi fissi sulla croce in mano o appoggiata accanto, un teschio ai piedi della croce o sul tavolo o anche in mano, spesso un libro aperto, gli occhi lacrimosi, la corona del rosario, il giglio, l’abito rappezzato e aspro, e la scena magari è ambientata sull’entrata di una grotta.[30] Religiosità fortemente segnata da motivi seicenteschi e controriformistici, si dirà. Ma è un ritratto che rende chiaro il messaggio.

La croce con la passione di Cristo continuamente contemplata è la segreta sorgente che tutto muove. L’abito poverello «era la forma di croce… Non dovea piantarsi senza croce la riforma cruciforme, però permise Dio che il novello habito il quale esprime la forma della croce, fosse tosto dalla croce consecrato», scrive il cronista Paolo da Foligno.[31]

Che lotte per l’abito! É un tratto inconfondibile dell’iconografia cappuccina. Qui l’abito fa il cappuccino. Per questo c’è la croce in mano o il libro aperto. Il cappuccino deve abituarsi a leggere il libro della croce per imparare la sapienza del cuore. Allora diventa acutamente sensibile di fronte al dolore dei poveri e al gemito dei miseri.

Il cappuccino, se ha compiuto eroici sacrifici o troncato legami forti, non è però duro di cuore, stoico, cinico o masochista. È un uomo che ha il genio del buon cuore. È una figura nobile, gentile, di affetti profondi, di generose amicizie, gioviale e spiritosa e molto simpatica. Per questo il popolo ha avuto sempre un debole per i cappuccini. Li ha amati a suo modo, con tenerezza e forza, con rispetto e trastullo, come cosa propria.[32]

5) Alcune testimonianze letterarie moderne

Ci sono a questo proposito varie testimonianze caratteristiche di scrittori valorosi che meritano di essere qui riferite.

Un protestante, W. Mendel, critico e letterato, scriveva che «i cappuccini si distinguevano per una operosità disinteressata a pro delle anime e per l’austerità della vita. Il popolo… sentivasi tratto verso loro che andavano a piedi da un paese all’altro, che erano come in casa propria nei piú umili casolari, e rendevano evidente pei poveri la sentenza dell’Evangelio, che è di loro il regno dei cieli. Nella bocca di un frate con lunga barba e piedi ignudi, che fuori della sua tonaca non aveva sul corpo camicia, e che dormiva su nude tavole, la dottrina che il cristiano deve crocifiggere la sua carne e non volgere lo sguardo che verso la patria celeste perché estraneo e pellegrino sulla terra, pareva molto piú convincente».[33]

L. Palomes, frate minore conventuale, affermava che «i cappuccini, dal 1525 ad oggi, sono, tranne poche e lievissime modificazioni, gli stessi, almeno per ciò che riflette la forma esterna. Nacquero professando la Regola ad litteram: povertà nelle case, nelle chiese, negli arredi, negli addobbi, nel vestiario, nella refezione, senza redditi, senza dispense, coll’accatto cotidiano, e facendo per giunta limosina, cioé dividendo col povero la minestra ed il pane d’ogni dí. La soppressione che in piú paesi d’Europa gli fece abbandonare le case, e poi provvedersene d’altre, li costrinse eziandio a vestire un saio meno ruvido di quello che loro fabbricavano nei lanifici dei loro conventi; ma chi discorresse le terre dell’Europa, troverebbe, meno poche eccezioni, i frati cappuccini di Matteo da Bascio immaginati negli odierni cappuccini… e ciò dopo trecento cinquant’e piú anni; la qual cosa è argomento di straordinaria vitalità, assai piú di quanto ordinariamente si vede nelle riforme. E cosí è il vero, ché il cappuccino è un bisogno della società ».[34]

Francesco Renato, visconte di Chateaubriand, padre del romanticismo francese, nel suo famoso libro Genio del cristinaesimo cosí presentava l’incontro di due frati cappuccini con una famiglia di campagna che aveva dato loro ospitalità:

«Chi di noi non ha visto almeno una coppia di questi venerabili uomini viaggiar per le campagne, ordinariamente verso la festa dei Morti, sull’avvicinarsi dell’inverno, al tempo della questua delle uve? Essi andavano domandando ospitalità nei vecchi castelli situati lungo il loro cammino. Sul fare della notte i due pellegrini arrivavano all’abitazione del solitario castellano, salivano sopra un antico verone, collocavano dietro la porta i lunghi loro bastoni e le bisacce, battevano al portico risonante e domandavano ospizio. Se il padrone respingeva questi ospiti del Signore, essi profondamente inchinandosi e senza profferir parola, ripigliando le bisacce e i bastoni, scuotevano la polvere dai sandali e avviavansi nell’oscurità della notte, a cercar la capanna dell’operaio. Accolti, dopo dato loro di che lavarsi, come ai tempi di Giacobbe e di Omero, eran fatti sedere intorno all’ospital focolare.

A somiglianza dei secoli antichi, per rendersi favorevoli i padroni della casa ed anche perché amavano, al pari di Gesú Cristo, i fanciulli, cominciavano dal far carezze ai figlioletti, donando loro reliquie ed immagini. Il padre e la madre con un sorriso di tenerezza guardavano a quelle scene innocenti, a quell’interessante contrasto fra la preziosa giovinezza dei loro figlioli e la canuta vecchiezza degli ospiti. La famiglia sedevasi a mensa vicino ad ampio focolare. Il pasto era cordiale e le maniere affettuose. Quei buoni padri trattenevano la famiglia con piacevoli ragionamenti, raccontando qualche storia assai commovente, come quelli che avevano imparato cose notevoli nelle lontane loro missioni presso i selvaggi dell’America e i popoli della Tartaria. La lunga barba di questi padri, quel loro vestire secondo l’usanza dell’antico Oriente, la maneria onde avevano domandato ospitalità, richiamavano alla memoria quei tempi nei quali Talete, Anacarsi e i loro simili viaggiavano in egual modo per l’Asia e la Grecia.

Dopo la cena uno dei padri era pregato a fare in comune la solita preghiera; quindi i due religiosi se n’andavano alla camera loro destinata, augurando agli ospiti ogni sorta di felicità. Alla dimane cercanvansi i vecchi viaggiatori, ma essi eransi dileguati, come quelle sante apparizioni che visitano talvolta l’uomo dabbene nel suo proprio soggiorno».[35]

Altri due francesi, notevoli oratori del secolo scorso, difesero la validità della presenza dei cappuccini nella società moderna. Il domenicano P. Lacordaire, sul pulpito di Notre-Dame di Parigi nel 1841 sostenne il ripristino dei frati cappuccini come rappresentanti del piú autentico e popolare francescanesimo:

«Ebbene, signori, noi veniamo oggi a domandarvi di ristabilire l’Ordine della moltitudine, della popolarità e della povertà… Io sono convinto che il ristabilimento degli Ordini religiosi e in peculiar modo quelli di san Francesco sarà tale atto che favoreggerà l’incivilimento contro lo scadimento e la barbarie. Richiamate dunque in questa metropoli della Francia l’Ordine che è moltitudine, l’Ordine che è popolarità. E in questa città ove la miseria è sí grande, richiamatevi l’Ordine della povertà… Voi avete, ben lo voglio, la verità nei vostri libri, nelle vostre accademie, nello spirito dei vostri professori decorati e dotati; ma piú in basso? Chi porterà la verità piú in basso? Chi la farà discendere fino al popolo, figlio di Dio come voi, ma che non ha la comodità di vederla come vede il sole, che lo raggiunge al mattino? Chi irraggerà la luce dell’intelligenza alle povere anime delle campagne, cosí incline a curvarsi sulla terra, come i loro corpi, e li terrà eretti di fronte all’augusta presenza del vero, del bello, del santo, di ciò che rapisce l’uomo e gli dà il coraggio di vivere? Chi si recherà a trovare mio fratello il popolo per amore di Lui, con un disinteresse che si percepisce, per il solo piacere di trattare con lui della verità, e di parlare con semplicità di Dio tra il sudore della giornata e quello dell’indomani? Chi gli porterà non un libro morto, ma la cosa senza prezzo, una fede viva, un’anima nella parola, Dio sentito nell’accento d’una frase, la fede, l’anima e Dio, che gli dicono tutt’ insieme: – Eccomi, io uomo come te; io ho studiato, ho letto, ho meditato per te, che non potevi farlo, e io ti porto la mia scienza? Non cercarne da lontano la dimostrazione; tu la vedi nella mia vita; l’amore ti dona la sua parola che è la verità – Chi potrà, chi oserà parlare cosí al popolo, se non l’apostolo del popolo, il cappuccino, con la sua corda e i suoi piedi al vivo?… Il povero ha bisogno come voi delle ebbrezze della parola, ha delle viscere da commuovere, degli angoli del suo cuore dove la verità dorme, e dove l’eloquenza deve sorprenderla e svegliarla di soprassalto».[36]

L’altro avvocato fu L. Veuillot che cosí caratterizzava tra i vari Ordini religiosi il frate cappuccino: «Il certosino è in coro, il cappuccino percorre le campagne, assiste un moribondo, consola un povero, spiega il catechismo a un bambino…. Il gesuita occupa il confessionale o la cattedra. Il benedettino restaura qualche vecchio codice sbiadito…». E contrastava coloro che consideravano i frati come inutili alla società, con queste parole convincenti: «Noi non accettiamo che un cappuccino, che passa i suoi giorni a predicare, a studiare scalzo in una celletta senza riscaldamento, che trascorre una parte delle sue notti in coro, e il resto su un letto di paglia, possa sembrare un tipo molle e fannullone. Questo cappuccino, costantemente occupato alla predicazione, alla meditazione, allo studio, alla preghiera e alle opere del ministero sacro; questo sacerdote che porta ovunque le parole della pace, i sentimenti della carità, i pensieri di vita eterna; questo religioso che si è staccato da ogni gioia e ambizione del mondo, e che rinuncia anche al suo nome; non è vero che questo uomo, nonostante il suo saio, la sua barba, i suoi piedi scalzi, faccia meno onore alla specie umana di un ballerino d’opera, di un autore di canzonette, di un poeta, uno scrittore e di qualunque altra specie di personaggi letterari e politici».[37]

Anche in Italia due autori italianissimi, sempre del secolo scorso, che vissero i momenti difficili di una sofferta maturazione sociale e politica che sfociò nell’unità della nazione e preparò la democrazia popolare, V. Gioberti e A. Manzoni, dipinsero in diversa proporzione, ma con uguale ammirazione, le caratteristiche dei frati cappuccini.

V. Gioberti, in una pagina del suo Gesuita moderno, spiega i motivi della sua simpatia verso questi frati popolari, cosí spiritualmente nobili, evangelici, penitenti:

«Benché uomo del secolo decimo nono, io confesso di amare i cappuccini; e se il loro pio instituto per la mutata ragione dei tempi non reca oggi alla società cristiana tutti quei servigi, di cui le fu largo in addietro, io credo che conformandosi ai tempi, senza dismettere il proprio carattere, potrebbe ancora riscuotere le antiche benedizioni. La ragione, che al parer mio lo fa capace di una lunga vita, assai piú di altri Ordini religiosi, è quella appunto che lo rende caro a molti e che, se non piglio errore, fa la sua essenza. Il cappuccino è il frate del popolo. E finché vi sarà un popolo, come quello delle nostre ville, costretto a sudar sulla gleba e a rusticarsi nei campi, una confraternita religiosa che si dedichi specialmente a dirozzare quegli animi e ad addolcir quei sudori, emulandone l’asprezza coll’ esempio, e nobilitandone la bassezza colla religione, potrà sempre essere di gran frutto morale e civile.

Il cappuccino è il tipo dell’uomo povero, faticante e plebeio, innalzato e purificato dall’Evangelio. Umiltà e dignità, semplicità e grandezza si accoppiano nella sua persona, in virtú di quell’idea, che accorda gli estremi, vi formano un’armonia cristiana.

Poetico è il cappuccino eziandio all’apparenza, perché l’abito, la portatura, i modi rappresentano idealmente il genio del popolo, che è poetichissimo; e l’Ordine cappuccinesco è la democrazia del chiostro… So bene che la barba e il saio del cappuccino piacciono anco in pittura, e hanno non so che di antico e di primitivo, che ricorda l’Oriente e i tempi patriarcali. Forse tal poesia deriva in parte da piú alta origine e riverbera dalla rimembranza del primo fondatore, alla cui semplicità antica e greggia mirò il Baschi nella sua riforma. E veramente nel cappuccino sopravvive e rinverdisce del continuo quel vecchio tipo di Francesco di Assisi cosí bello, cosí poetico, cosí italiano».[38]

È stato però A. Manzoni, il piú grande romanziere della letteratura italiana, a offrire il ritratto piú penetrante e suggestivo, piú storico e ideale insieme, dei frati cappuccini. La sua famosa pagina merita di essere qui ricordata prima di scorrere questi volumi di antologia documentaria:

«Ma tale era la condizione de’ cappuccini, che nulla pareva per loro troppo basso, né troppo elevato. Servir gl’infimi, ed esser servito da’ potenti, entrar ne palazzi e ne’ tuguri, con lo stesso contegno d’umiltà e di sicurezza, esser talvolta, nella stessa casa, un soggetto di passatempo e un personaggio senza il quale non si decideva nulla, chieder l’elemosina per tutto, e farla a tutti quelli che la chiedevano al convento, a tutto era avvezzo un cappuccino. Andando per la strada, poteva ugualmente abbattersi in un principe che gli baciasse riverentemente la punta del cordone, o in una brigata di ragazzacci che, fingendo d’esser alle mani tra loro, gl’ inzaccherassero la barba di fango.

La parola “frate” veniva, in que’ tempi, proferita col piú gran rispetto, e col piú amaro disprezzo: e i cappuccini, forse piú d’ogni altr’Ordine, eran oggetto de due opposti sentimenti, e provavano le due opposte fortune; perché, non possedendo nulla, portando un abito piú stranamente diverso dal comune, facendo piú aperta professione d’umiltà, s’esponevan piú da vicino alla venerazione e al vilipendio che queste cose possono attirare da diversi umori, e dal diverso pensare degli uomini».[39]

6) La meditazione profetica di Paolo VI sul carisma cappuccino

A questi diversi giudizi, come sintesi di fiducia particolarmente commovente, è suggestivo aggiungere alcune riflessioni di Paolo VI che, dei 43 papi della storia cappuccina fino ad oggi, forse è stato quello che piú profondamente e schiettamente ha intuito, interpretato, valorizzato e ribadito la validità e l’attualità della forma di vita cappuccina.

In piú modi e in diverse occasioni egli ha manifestato apertamente e fortemente il suo pensiero a questo riguardo. Addirittura ha lanciato, per cosí dire, all’Ordine l’idea e la prospettiva di una ricerca storica rinnovata, di una piú chiara definizione e spiegazione della «caratteristica della vita cappuccina» e di un esame piú profondo e piú ampio della «particolare tradizione» distintiva dell’Ordine stesso. «Tutto ciò – disse nel 1974 – esige che voi rivolgiate diligentemente l’animo alle origini, ai primordi della vostra famiglia», nell’intento di «tornare alle radici, alla propria essenza iniziale e ispiratrice».[40]

Un cammino a ritroso non è facile. Il grande albero frondoso, ramificato, screpolato, lascia vedere solo il termine massiccio delle radici. Ed esse sono profonde, penetranti nel terreno della storia. Non si possono afferrare con una sola occhiata, o a prima vista. Neanche si possono vagliare con un cliché di esperienza prefabbricata. Bisogna osservare, studiare, scavare con pazienza e fiducia, e ci vuole del tempo e della fatica e della passione, come uno che cerca un tesoro nascosto. Ma non si tratta di scavi archeologici.

Forse è colpa dei primi cronisti se i primi cappuccini sembrano oggi un po’ come delle radici tortuose, poco attraenti perché poco umani, forse, santi macilenti, ruvidi, inflessibili, duri come ferro battuto, consumati dall’ardore della penitenza e della contemplazione segreta, segregati e lontani dalle abitazioni, come sembrano lontani dalle innocenti debolezze della nostra natura. Erano uomini di carattere multiforme. La narrazione del lato straordinario e miracolistico forse non è stato un buon servizio per la storia. La nebbia che discende fra noi e un passato ormai lontano fa intravvedere questi primi cappuccini come ombre che fuggono via e si dileguano. Perché può avvenire che piú si frequentano personaggi straordinari e sempre meno straordinari essi finiscono per apparire. E cosí si preferisce demitizzarli, secolarizzarli. Si finisce per criticare e respingere il passato come ombra inconsistente danzante nella nebbia dell’utopia e dell’alienazione. Mentre ogni giorno la vita cappuccina dovrebbe rivelarsi come una realtà nuova e originale, accostabile in un amoroso processo di continua e operosa contemplazione.

In questo si fondono con «limpida intelligenza» – dice Paolo VI – le due realtà «in un’unica visione: la realtà storica e spirituale delle sorgenti di un istituto religioso e la realtà pratica e apostolica dei bisogni attuali; il passato e il presente; la tradizione e l’esperienza; la fedeltà alle costituzioni originarie e ispiratrici e l’aderenza alle necessità e ai doveri del nostro tempo… Antica e moderna può essere dunque la vostra vita».[41]

La modernità sta nella fedeltà. I cappuccini non sono «individui che sembrano venuti da chissà quale sentiero del medioevo»; la loro testimonianza non è «incomunicabile»; non c’è «un abisso fra il mondo moderno e l’umile saio del frate. Invece è proprio questa distanza che li rende vicini…».[42] È un pensiero che dominava la mente del papa. Egli toglie ogni dubbio: «La vostra tradizione cammina per la via difficile, per la via stretta del Vangelo, e arriva ai giorni nostri fra lo stupore del mondo, il quale non sa come giustificare il grosso anacronismo… Può nascere un dubbio: Mah! Siamo dei relitti di una storia che ormai è passata, o abbiamo ancora una funzione, cosí come siamo?… Sí, sí, fratelli, siete moderni! Siete di attualità!».[43]

Paolo VI colse la difficoltà e la strettezza di questa via francescana nell’esperienza incandescente di san Francesco e del suo carisma e nelle pieghe della storia delle origini cappuccine che si caratterizzano come spirito di orazione contemplativa, « serena e saggia austerità » nella penitenza e nella povertà, predicazione e apostolato popolare, completa fedeltà alla Sede Apostolica ed esperienza genuina di fraternità evangelica in radicale conformità al francescanesimo primitivo nelle sue «piú umili, piú ardue e piú originali espressioni».[44]

Questi pensieri erano la conclusione di una riflessione lungamente meditata, col peso e la forza interiore con cui papa Montini sapeva meditare. E la sua convinzione col passare degli anni era divenuta sempre piú forte; eppure era già stata cosí all’inizio delle sue responsabilità di pastore quando, come arcivescovo della vasta diocesi di Milano, venne in visita pastorale alla città di Lecco e volle visitare la chiesa e il convento dei cappuccini, fuori dello schema d’un atto canonico, ma con la cortesia e l’amabilità di un padre che intendeva dare un riconoscimento autorevole all’opera ed efficace presenza dei frati in quell’ambito sociale della città e nella vita religiosa cittadina.

E fu allora che fiorí sulle sue labbra un discorso improvvisato sul momento.[45] L’assemblea era riunita nella chiesetta dei cappuccini come in un capitolo popolare, di cui egli ne assunse la presidenza con il classico saluto francescano: «Pace e bene» per quanti vi abitavano e per i «buoni religiosi, buoni frati», che diverrà la notazione specifica con la quale qualificherà sempre i cappuccini.

Ma il breve discorso s’allargò e s’incentrò sul valore della presenza dei frati cappuccini nel mondo contemporaneo. Nell’ambito geografico dei Promessi Sposi, con il suo cappuccinesimo del Seicento lombardo, l’arcivescovo Montini non poteva non chiamare come teste il loro autore milanese dell’Ottocento liberale e romantico, a conferma della propria esperienza e convinzione che erano maturate nella curia romana e nell’azione pastorale ambrosiana.

L’identità con padre Cristoforo assurse subito ad una testimonianza permanente: «Vedere un frate cappuccino, coi passi umili e solleciti, che va compiendo opere buone, e guardare di fronte il primo cappuccino che s’incontra per dire: – Sarà questo fra Cristoforo? -, è la stessa cosa».

Il cappuccino odierno si rispecchia piú che in un presente inventato a tavolino o in un futuro piú ipotetico che profetico, in un passato che risorge rinnovato insieme e ben stagionato dal pluralismo d’attività e di personaggi che il Manzoni inserisce nella sua storia romanzata come campioni di tutte le età e circostanze. Da grande maestro della psicologia sociale riassume, in un quadro a linee tutte caratteristiche, la figura tipica del cappuccino. Essa è piú espressiva e piú plastica delle stesse costituzioni e di altre norme legislative dell’Ordine, perché viene creata e voluta dal popolo e da tutte le sue classi come una componente religiosa della società. Ma la testimonianza religiosa personale di padre Cristoforo, della cui realtà storica tutt’ora si discute con prevalenza positiva, coinvolge tutto l’Ordine cappuccino come una sua microriproduzione.

L’arcivescovo di Milano si poneva con preveggenza un problema già sul tappeto della discussione prima che il concilio ecumenico Vaticano II ne facesse argomento di revisione e di nuova consapevolezza per tutti gli Ordini religiosi; ma per quello dei cappuccini la soluzione gli sembrò tanto precisa ed evidente da farla proporre democraticamente dagli stessi fedeli come una vocazione modernissima e come impegno di corrispondenza da parte dei religiosi in causa: «Penso che l’affermazione francescana in una popolazione come siete voi, cioè appartenenti ad una città che diventa modernissima e che manifesta in se stessa i fenomeni di tutte le trasformazioni civili, politiche, industriali, tecniche, sociali del mondo moderno, questa testimonianza abbia un valore ancor piú grande, che non fosse trecento anni fa».

Vengono capovolte le ragioni o le giustificazioni che sono addotte da quanti ritengono necessario l’abbandono della forma di vita esteriore del Seicento e dell’Ottocento, operante anche nella prima metà del Novecento, per una reinvenzione d’un cappuccino, che non sia piú un «oggetto di contrasti», ma si senta assorbito dalla società come un fermento nascosto, una forza segreta, una quinta colonna religiosa. La contemporaneità della secolare figura del cappuccino si regge invece sulla contrapposizione, sulla contestazione manifesta, sulla sua «massa d’urto». «Perché? – si chiedeva l’arcivescovo -. Ma perché il mondo è piú distante da questa testimonianza; il confronto fra quello che il mondo è e quello che questa voce, questo esempio ci porta, sembra essere incomunicabile, sembra che ci sia un abisso fra il mondo moderno e l’umile saio del frate francescano». La scelta fra contrasto e conformismo, mimetismo, occultismo è pronta e totale: «Invece è proprio questa distanza che rende vicini questi buoni frati…».

Egli non impose questa opzione con autorità, ma la propose come una esigenza del momento storico attuale, come un «segno dei tempi» proprio e specifico dei cappuccini. Ne colse anche con perspicacità il segreto, quale fu scoperto, come una folgorazione, dallo stesso giovane Francesco durante la liturgia della Parola nella celebrazione eucaristica dell’aprile 1208, nella cappella o chiesetta di S. Maria degli Angeli o Porziuncola, situata in un possedimento agricolo dell’abbazia di S. Pietro in Assisi, nella verde pianura della valle spoletana: « E proprio da parte di questo mondo che c’è tanto bisogno di Vangelo, che c’è tanto bisogno di consolazione spirituale, che c’è tanto bisogno di una testimonianza autentica, quasi letterale, di sapere che il Vangelo ci ha presentato nella persona di Gesú Cristo la povertà, l’umiltà, il servizio dei poveri, l’amore del prossimo, la dolcezza, il sacrificio».

Sembra di rivedere, in questo colloquio, il card. Ugolino che partecipava ai primi capitoli generali che san Francesco radunava a S. Maria degli Angeli. G. B. Montini non parlava da visitatore ecclesiastico, ma in veste di apostolo pellegrinante, che entra nella casa dei suoi «buoni» frati cappuccini, augura loro «pace e bene» e si rallegra della serenità domestica di questa famiglia popolare e urbana. Il suo discorrere, pur cosí preciso, sgorgava da un cuore soddisfatto, sereno, gioioso, compiaciuto; ma nel suo animo si faceva urgente che tanto bene evangelico e pastorale non venisse meno, come una grave iattura, in una società già depauperata, anzi depredata e spogliata di tanti volori spirituali: «Tutte queste virtú evangeliche, cari religiosi, cari cappuccini di Castello,[46] non lasciate spegnere in questa terra benedetta, ma cercate davvero di farle rifulgere e che questi fedeli che vi circondano e che tutta la città di Lecco e che tutta la diocesi ambrosiana, di qui possa attingere la gioia di una testimonianza evangelica, viva e autentica, che anche in voi vedano la bontà, l’eroismo umile di fra Cristoforo, che ancora sentano che il Vangelo durante i secoli non si è logorato, non si è alterato, ma si è reso ancora piú capace di diffondersi a consolazione e salvezza dei cuori umani».

Una esortazione cosí calda e pressante non è forse una ripresa del messaggio che Gesú Cristo ha affidato agli apostoli, che la Provvidenza ha rinnovato in san Francesco, che la Chiesa ha riconosciuto ai frati minori cappuccini con la bolla Religionis zelus del 3 luglio 1528, e che Paolo VI, già da arcivescovo di Milano, riconosceva come loro specifico «segno dei tempi» contemporanei? La sollecitudine del padre e pastore si premurava di sostenere la esemplarità evangelica con la comprensione, la benevolenza, la fiducia e soprattutto la collaborazione di tutto il popolo in una comunione di reciprocità ecclesiale: «E cosí voi, carissimi fedeli, siate davvero fedeli! Circondate di simpatia, di docilità, di capacità di comprensione, questi fenomeni strani che vi rappresentano, questi individui, che sembrano venuti da chissà quale sentiero del medioevo e che sono invece del nostro tempo».

Con una intuizione precisa delle fonti della spiritualità francescana dei frati minori cappuccini, ne riconduceva la loro «stranezza» alla «stoltezza» e allo «scandalo» della passione e della croce di Gesú Cristo, di cui san Francesco era stato maestro, imitatore e «segno» esteriore anche nel corpo stimmatizzato. Per consolidare i suoi figli prediletti in questa testimonianza e in questo impegno di modernità a rovescio, il pastore del popolo fece ricorso alla loro solidarietà secondo l’assioma carismatico «vox populi vox Dei»: «Sappiate comprendere, sappiate leggere nel loro sacrificio, sappiate cogliere il messaggio di bontà francescana che ancora vi portano. Sappiate diventare devoti di questa Via Crucis che distendono sulle pareti delle nostre chiese. Sappiate capire nel loro esempio e nel loro ministero la presenza sempre buona, sempre prodigiosa, sempre misteriosa di Cristo nostro Salvatore».

Il colloquio denso e conciso del pastore con i cappuccini e con la popolazione non si concluse con un finale rettorico o pietistico, ma con un appello e un impegno di tutta la popolazione che vive nella sfera locale e nell’atmosfera del cappuccinesimo, a raccogliere e a diffonderne il messaggio con la potenza di un trasmettitore, quasi che la chiesa locale diventasse un ordine francescano secolare non istituzionale e chiuso come un ghetto spiritualistico, ma cristianamente diffusivo come fermento sociale: « Ecco, a voi raccomando di saper leggere la testimonianza evangelica che vi è data e vi raccomando anche che la portiate nelle vostre case, che la portiate nei vostri stabilimenti, che la portiate nelle vostre scuole, che la portiate in tutta la città. Perché se san Francesco sarà ancora con noi, Cristo lo sarà; e con Cristo avremo la speranza e la salvezza».

II. RICERCA DELLE FONTI E ALCUNI ASPETTI METODOLOGICI

Questi appunti storici e riflessioni generali sulla spiritualità, iconografia, popolarità in alcune testimonianze letterarie del secolo scorso e sul significato di un autentico rinnovamento-aggiornamento secondo alcune persuasioni di Paolo VI, forse sfuggono ai piú. La velocità dei cambiamenti moderni, religiosi e culturali, probabilmente fa dimenticare tante pagine del passato, mentre l’inquinamento ecologico e mentale lascia passare con indifferenza tanta acqua sotto il ponte senza riflettere che quest’acqua, anche in situazione di inquinamento, ha sempre una sua purezza iniziale, possiede una sua sorgente cristallina, magari nascosta nel profondo di una roccia o tra le gole di un’alta montagna dalle nevi perenni. Siamo tutti alla ricerca, per non dire a caccia delle fonti. Vogliamo trovare acqua sorgente, fresca, cristallina.

La storia dell’Ordine cappuccino è, forse, una delle piú documentate. Ci sono tanti documenti e scritti, a partire soprattutto dalla seconda metà del Cinquecento. Ma sono nascosti negli archivi pubblici e privati, disseminati nelle diverse biblioteche. Non sono letti o perché inaccessibili o perché sconosciuti. Come far zampillare e rendere disponibile tutta questa sorgente segreta?

È necessaria a questo scopo una ricerca, un metodo di raccolta, un sistema di coordinamento, ma anche un discernimento. Ne segue una divisione di temi e di settori che diventano come un soggettario di un archivio, di una biblioteca, sotto il quale sta nascosta, siglata e cifrata tutta la vita di un ente che è vivo ancora dopo oltre quattro

secoli e mezzo.

Il metodo esige un ambito cronologico che deve perciò essere giustificato come quello che racchiuda in sé tutto il dinamismo generazionale della vita cappuccina, dalla sua gestazione alla sua nascita e ai primi passi incerti fino alla sua stabilità, espansione e definitiva organizzazione.

La ricerca comporta l’identificazione dei luoghi dove sono conservati i documenti con le testimonianze coeve. Il materiale può risultare già noto oppure sconosciuto, già edito oppure inedito o parzialmente edito.

Il sistema di coordinamento mette in risalto il valore dell’unità, per cui può nascere una visione nuova della storia dell’Ordine, o meglio, piú genuinamente antica, vera, proprio come è stata veramente, o come l’hanno vista gli altri sia all’interno dell’Ordine, sia fuori, dall’esterno, dall’alto e dal basso, da ogni angolo visuale.

La scelta di documenti e testimonianze vuol dire anche una distinzione fra scritti piú estesi, volumi, libri, trattati, e scritti piú legati all’impressione immediata, all’utilità o necessità del momento, come lettere, testi ufficiali, note, appunti. Scritture nate per essere lette piú volte e altre per essere lette solo nel momento occorrente, scritture private e scritture comuni, alcune per pochi, altre per tutti.

Non è facile allora una simile raccolta, soprattutto per la necessità di sacrificare moltissimi dei molti documenti e testimonianze. Pretendere di comporre un’antologia esaustiva di un secolo di storia, il primo secolo cappuccino, nella sua tormentata e differenziata evoluzione, potrà sembrare un’impresa irresponsabile e superficiale, tanto è complesso il quadro d’insieme. Ma crediamo che alla fine i documenti e le testimonianze parleranno da sé. Il discernimento si rende possibile da una corretta loro interrogazione. Bisogna farli parlare e quindi bisogna interrogarli nel modo giusto e togliere quell’apparente esteriore opacità che li rendono come dei relitti di una civiltà sommersa, frammenti di un passato che non funziona piú. Ma si deve anche superare la pigrizia e sottoporsi alla fatica di rompere il guscio per gustare il midollo nascosto.

Da una sostanziale aderenza filologica con lievi ammodernamenti testuali, i vari documenti e testimonianze fanno avvertire le varietà regionali marchigiane, romane, toscane, umbre, lombardo-venete, romagnole, napoletane, calabresi, siciliane, ecc.: un conversare ideale con un’Italia del Cinquecento e primo Seicento in cui i frati cappuccini si sono organizzati a Ordine dinamico nel servizio della Chiesa e della società.

Se nella verifica dei santi e della loro santità è necessario una disanima storica, anzi spietatamente storica, lo stesso vale per la comprensione di un carisma e delle sue componenti: i gesti, i fatti, le parole, le opere, le opzioni concrete, le attività apostoliche, tutto questo diventa un segno, un sacramento quasi di un carisma e di una missione. E allora si vede il san Francesco vissuto e pensato dai cappuccini; come essi hanno pensato e vissuto la vita spirituale, l’orazione, la vita sociale, la vita quotidiana. Si vede anche la persona del frate nella sua inconfondibile iconografia esistenziale, esteriore, ma anche nelle sue connotazioni interiori; e poi l’ambiente, dove questa figura trova la sua piú armoniosa coerenza: ambiente interno e privato: romitori, boschi, cappelle, solitudini, chiesette, capanne, grotte, casette basse, cellette, ossia un ambiente distribuito funzionalmente per conservare la vita dello spirito e l’ansia apostolica; e poi l’ambiente esterno, pubblico, piú frequentato: i paesi di campagna o di montagna, i borghi, le città, le chiese per la predicazione, le strade e, piú idealmente, i poveri, i piccoli, gli umili, dove c’è sofferenza e lavoro faticoso, dove manca la fede, dove c’è la Chiesa da creare.

Non si pretende di poter sceverare ogni cosa. Già in partenza siamo convinti, con la massima certezza, che altre testimonianze e altri documenti, magari anche piú importanti, sono ancora da scoprire. Questo è solo uno sforzo, un tentativo sorretto dall’amore. E, certamente, quello che alla fine emerge è l’humus culturale da cui è nata e si è sviluppata questa fioritura di francescanesimo nel cappuccinesimo. Ci sono dei «padri antichi» che hanno trasmesso modalità di lettura e d’interpretazione di san Francesco e della vita francescana e questo emerge continuamente negli scritti e in tutte le forme di vita cappuccina del Cinquecento. C’è tutto un «corpus» di fonti francescane, di letteratura spirituale, soprattutto bonaventuriana e della «devotio moderna», c’è un affondare le mani nella letteratura degli Spirituali del sec. XIII e del sec. XVI; c’è una formazione teologica e filosofica, inizialmente soprattutto scotista, su uno sfondo giuridico e disciplinare che sfoggia tutto l’ardore della spiritualità del concilio tridentino, di san Carlo Borromeo e della missionarietà controriformistica.

Piú che un’opposizione al nostro modo di vivere e di giudicare moderno, si sente in questo il bisogno di una riconciliazione con le sorgenti, gli ideali e i pensieri primitivi. Ignorare il proprio medioevo per ogni pensiero occidentale è ignorare se stessi. Cosí ignorare la propria storia è falsare la propria vita. Lo sviluppo ecclesiale di oggi, se da un lato sembra aver accantonato una logica di spiritualità specifica, distinta e divisa, dall’altro però ha incoraggiato a non lasciar cadere nell’oblio questa considerevole massa di documentazione storica, letteraria, spirituale, legislativa e ufficiale del passato.

E in questa prospettiva che abbiamo affrontato la ricerca e la scelta dei documenti e delle testimonianze secondo alcuni criteri generali e modalità di presentazione che ora brevemente spieghiamo.

1) Criteri fondamentali di scelta e di presentazione dei documenti

Uno dei criteri della scelta è stato quello di non trascurare nessuna tipologia e caratteristica di documentazione scritta reperibile nel l’arco del primo secolo cappuccino. Perciò, di tutte le specie, riferire una voce, un’eco.

A questo si aggiunge un secondo criterio, quello della varietà di estrazione geografica, privilegiando testimonianze rappresentative di diverse province italiane, cosí da scoprire negli accenti e tonalità differenti, l’unità che li fonde in una voce.

La distinzione tematica, «per materie», ha contribuito a definire questa scelta di testimonianze storiche e letterarie. Con questi criteri il tema può ritornare nelle diverse tipologie di documenti con molteplici sfumature e potrebbe sembrare una ripetizione se non fosse un arricchimento di interpretazione. Ad ogni modo resta sempre possibile la sintesi attraverso l’ausilio dell’indice analitico-sistematico posto alla fine di tutta l’opera.

Alcuni brani, si noterà, hanno una certa, anzi talvolta notevole ampiezza; altri, invece, sono piú brevi e ristretti. Alcuni sono riferiti parzialmente, altri integralmente, e sono testi come piccoli libri incastonati nel mosaico, per una loro specifica importanza esemplare nella logica della documentazione; cosí, ad esempio, alcuni scritti di Giovanni da Fano o il cerimoniale di Bartolomeo Vecchi o vari testi di spiritualità o di prediche.

L’aspetto dei testi è riferito con esattezza e sempre nella forma volgata. E per rispettarne la peculiarità si è scelto il criterio di aggiungere sempre alla eventuale traduzione in italiano, per quanto possibile semplice e rispettosa (l’italiano è il testo fondamentale di lettura in tutti i volumi dell’opera), il corrispondente brano nella sua lingua originale, normalmente latina, ma anche, seppur in misura assai inferiore, nelle lingue francese, spagnola, catalana, tedesca, olandese e inglese.

Molti testi sono pubblicati per la prima volta. Vari autori ignoti escono cosí dall’anonimato e offrono una loro testimonianza significativa per illustrare la storia e la vita cappuccine. Alcuni però preferiscono restare ancora nell’anonimato, anche quando offrono le proprie riflessioni.

Ai brani scelti sono state apposte annotazioni o storiche o lessicali con riferimenti ad altri documenti che dovrebbero contribuire a rendere piú unitaria tutta l’opera. Forse la molteplicità delle note apparirà a qualche lettore un’intrusione indebita, tra ingenua e presuntuosa, quando non addirittura fastidiosa, come un rumore estraneo che disturba il calmo ascolto del testo. Ebbene, sorvoli di pari passo. La veste tipografica è stata confezionata in modo da distinguere con corpo maggiore il testo fondamentale di lettura, in lingua italiana, mentre gli altri testi sono stati aggiunti in corpo piú piccolo, sia gli originali non in volgare, sia le note in calce a due colonne, e servono solo per un puntuale riscontro di esattezza testuale e storica della fonte e come verifica della fedeltà della versione italiana per i piú esigenti.

Le introduzioni generali ai vari blocchi di testi sono spesso dei veri piccoli studi monografici sul tema specifico. Ma, generalmente, non sono di lettura obbligatoria, o possono leggersi alla fine perché rappresentano il coordinamento storico e logico di una mappa variopinta e omogenea di documenti. Le piccole presentazioni dei singoli documenti, anche se talvolta hanno richiesto un discorso piú largo e particolareggiato, hanno lo scopo non di ripetere notizie già segnalate nell’introduzione generale, ma di suggerire al lettore, anche il piú sprovveduto, l’ambiente storico e il clima adatto, nonché il contenuto di fondo del testo per una sua esatta comprensione.

Ripetizioni di notizie nelle note su personaggi e fatti sono state in genere conservate per un motivo funzionale: rimandare agli altri volumi sarebbe stata un’impresa complessa e avrebbe creato difficoltà e fastidio ai normali lettori.

Precisati i criteri fondamentali di scelta e di presentazione dei documenti e delle testimonianze, resta da dire ancora molto per giustificare la cronologia adottata e la specifica classificazione dei documenti nel disegno generale dell’opera.

2) Giustificazione dell’ambito cronologico

Si può avvertire immediatamente l’intenzione di una raccolta sistematica dei vari tipi di documenti reperibili nel periodo di fondazione e di espansione dell’Ordine cappuccino. Al quadro storico che ne risulta potrebbe benissimo applicarsi il titolo della famosa opera di Gratien de Paris, adattata però ai cappuccini, ossia: Histoire de la fondation et de l’évolution de l’Ordre des Frères Mineurs Capucins au XVIe siècle. Realmente la presente antologia segue impercettibilmente, ma profondamente, tutti i gradi di sviluppo e di espansione del cappuccinesimo. Ed è possibile anche comprendere i motivi originari che hanno indotto ad una varietà di indirizzi spirituali e di scelte apostoliche e prestazioni gratuite di servizio ecclesiale e sociale.

Si impone subito una distinzione cronologico-geografica: 1) C’è un periodo italiano, che corrisponde praticamente ai primi cinquant’anni della riforma cappuccina (dal 1525 al 1575). È l’apporto e la forza fondatrice dell’esperienza di riforma francescana iniziata come opzione vitale in varie regioni italiane, specie in Calabria, nelle Marche, nel Veneto e piú o meno in altre regioni, ma confluita, per una fortunata e provvidenziale causalità storica, nella iniziativa marchigiana e rimasta poi rinchiusa nei confini della penisola per la sanzione della bolla di Paolo III, Dudum siguidem, del 5 gennaio 1537, sbloccata poi da Gregorio XIII il 6 maggio 1574.[47] Questo periodo resta un punto di riferimento indispensabile per una riscoperta dell’anima e del carisma della riforma. È la vita cappuccina che nasce, cresce fra molte contraddizioni, combattua da alcuni, stimata e amata da altri e divenuta adulta e ben strutturata.

2) Si aggiunge, in seguito, il periodo europeo, di eccezionale vitalità, a partire dal 1574/75, quando i primi frati cappuccini superarono i confini dell’Italia e vennero a Parigi. Con le costituzioni del 1552 si concludeva – al dire di alcuni storici – il periodo eroico e carismatico dell’Ordine. I cappuccini venivano ufficialmente approvati dal concilio di Trento nel 1563; l’anno successivo avevano un loro cardinal protettore. Già nel 1567 potevano installarsi nell’isola di Creta. I conventi divennero piú grandi, la disciplina piú rigida e irreggimentata. Avvenne la grande espansione geografica a livello europeo. In Francia, già alla fine del sec. XVI, erano sorti ben 32 conventi. Come in Italia, anche altrove l’apostolato cappuccino ebbe tonalità eucaristiche, mariane, missionarie e popolari. I frati penetrarono nel Belgio-Olanda nel 1586, passarono in Svizzera nel 1581, nel Tirolo settentrionale nel 1593, in Spagna già a partire dal 1578 e vi fonderanno cinque province con 91 conventi, che poi diventarono sei province. Un altro movimento espansionistico avvenne verso i paesi dell’Europa centrale, dove i frati cappuccini vennero chiamati e sollecitati perché considerati ineguagliabili nella lotta contro l’eresia. Vennero in Baviera nel 1600. Dal Belgio vennero in Germania nelle regioni del basso Reno e nel 1611 vi fondarono il primo noviziato a Colonia. San Lorenzo da Brindisi introdusse praticamente i cappuccini in Austria e in Boemia nel 1599.[48]

Questo grande sviluppo portò, alla fine del sec. XVI, alla fondazione di ben 40 province con 15.000 frati cappuccini! Un vero esercito scelto e disposto a tutto.

I problemi di questo impatto con le singole nazioni europee si potrebbero esprimere in particolari questioni come le seguenti: Che cosa produce la sintesi, o piú antropologicamente, l’inculturazione cappuccina? Quali elementi omogenei, identici, analoghi si verificano? Come restano o si trasformano la scelta eremitico-contemplativa e l’opzione apostolica? E, dove non c’è una precedente esperienza francescana, come si innesta culturalmente e spiritualmente questa carica di francescanesimo rinnovato?

In questi due periodi, completo il primo, quello italiano, e soltanto iniziale il secondo, quello europeo, si stende l’arco cronologico del primo secolo cappuccino. Qui la nostra raccolta documentaria è costretta a fermarsi. Troppo vasto è l’orizzonte che dai primi decenni del Seicento si allarga su fronti diversi con caratteristiche diverse di inculturazione cappuccina nella sostanziale unità dello spirito, ma anche in una certa uniformità di scelte di vita.

L’anno 1525, che campeggia anche su un antico sigillo del ministro generale dell’Ordine, vuole salvaguardare l’importanza del gesto intrepido e anticonformista di Matteo da Bascio, anche se la questione storica delle origini cappuccine non può stilizzarsi soltanto nella figura del fraticello montefeltrano. Più variegate sono le confluenze storiche di esperienze riformistiche in seno al francescanesimo italiano del Cinquecento; e qui, probabilmente, andrebbe ricuperata tutta la splendida ricchezza spirituale dell’iniziativa calabrese, senza con questo cambiare nulla della tesi storiografica tradizionale. Parleranno i documenti su questo punto, molti dei quali ancora inediti. Certamente è significativo che, ad esempio, un vescovo umanista del primo Cinquecento, Antonio Minturno Sebastiani (+ 1574), in una lettera del 1549 presenti in questo modo la nuova riforma cappuccina: «Nella Marca d’An-cona et in Calavria è nato un nuovo Ordine de’ frati di san Francesco o, come essi dicono, s’è rinovellato l’antico. Chiamonsi Eremiti», mettendo sullo stesso piano l’iniziativa marchigiana e quella calabrese.[49]

Sappiamo tuttavia che la data piú importante non è il 1525, ma il 1528, con l’approvazione di Clemente VII. La data finale, invece, è piú flessibile. Formalmente dovrebbe essere, per completare i primi cento anni, il 1625 o 1628; ma il discorso, per necessità logiche e storiche, tende qua e là a scivolare un po’ fuori e a tuffarsi nel mare magnum degli Annales di Zaccaria Boverio (Lione 1632 e 1639).

Non abbiamo voluto attraversare questo «mare» che pone molti problemi di veridicità storica e documentaria che in questa sede non è possibile affrontare. L’abbiamo come osservato, fermandoci sulla sua sponda. Ma gli strumenti per una sua verifica sono stati un pò segnalati dove si tratta delle primitive cronache cappuccine.[50]

Cosí abbiamo anche utilizzato uno scritto edito negli anni ’40 del Seicento da padre Valeriano Magni, come giudizio sintetico e retrospettivo sulla vita spirituale e apostolica dell’Ordine dopo un secolo di storia.[51] Lo stesso vale per certe testimonianze sulla peste del 1630, di manzoniana memoria, perché raccolgono una ricca esperienza di servizio ai poveri e ai malati incarnato in una caratteristica forma di vita già sperimentata soprattutto durante la peste di san Carlo.[52]

In tal modo resta giustificata la giustezza cronologica adottata, anche perché permette uno sguardo preciso su tutto l’orizzonte apparso nello sviluppo spirituale e apostolico dell’Ordine, fino alla sua completa istituzionalizzazione legislativa e organizzazione sociale, religiosa, culturale ed ecclesiale.

3) Criteri di trascrizione dei testi

Il criterio di fondo è stato quello di un lieve ammodernamento del testo volgare cinque-seicentesco e di una normalizzazione, in genere, del testo latino. Cosí si è cercato di rispettare di piú il profilo linguistico dell’autore e le eventuali inesattezze grafiche e grammaticali.

In particolare si sono sciolte quasi sempre le abbreviazioni senza far ricorso continuamente a contrassegni grafici che avrebbero disturbato la leggibilità del testo.

La punteggiatura è stata meglio dosata, scandita e interpretata, compresi gli «a capo», spesso inesistenti nel documento originale.

Le maiuscole sono state ridotte al minimo indispensabile.

La grafia è stata leggermente ammodernata, ma senza fargli perdere la patina originale latineggiante di cui solitamente si veste (spesso a monte sta un antigrafo latino), oppure l’eventuale radice dialettale.

L’uso dell’accento e dell’apostrofo è stato regolarizzato.

Piú specificamente: le lettere finali i, y e ii sono state ridotte semplicemente a i. La h etimologica, anche nel corpo delle parole, è stata regolarmente soppressa. La et è stata ridotta a e oppure, se davanti a vocale, a ed. I nessi -ti, -tti, -ct seguiti da vocale sono stati resi con -zi, -zzi, -cz, senza ridurre a -zi, rispettando cosí l’alternanza delle forme. La doppia ss oppure x seguite da vocale sono rimaste tali, senza ridurre a s.

Come segno diacritico si sono usate solitamente le parentesi quadre per integrare parole o sillabe o per indicare, con tre puntini all’interno, che si è tralasciato una parte del testo.

Il testo latino, in genere, è stato rispettato nelle sue oscillazioni grafiche, eccetto dove vien specificato diversamente. Si sono sciolte le abbreviazioni e limitate all’ indispensabile le maiuscole e si è curato

meglio la punteggiatura.

Per gli altri testi non italiani o latini si sono conservati i dettati originali, limitate le maiuscole e introdotta una piú accurata e attenta punteggiatura.

Altre indicazioni particolari, se necessario, verranno segnalate di volte in volta nel rimando alla fonte dei singoli documenti.

Resta ora il grosso problema: come classificare i documenti e le testimonianze.

III. CLASSIFICAZIONE DELLE FONTI NELLA STORIOGRAFIA CAPPUCCINA

Una raccolta di fonti è stata già fatta, ma non con criteri sistematici. E qui bisogna dar atto all’enorme lavoro dell’Istituto Storico dei cappuccini che ha messo a punto uno strumento importantissimo, bibliografico e documentario, con la collana Monumenta Historica Ordinis Minorum Capuccinorum (= MHOC), giunta ora al XVI volume e con la serie dei volumi di Bibliographia Franciscana (BF) dove anche gli argomenti che riguardano i frati cappuccini sono catalogati bibliograficamente in modo sistematico.

Se la BF riporta titoli di studi, di testi, di opere, di articoli classificati secondo un preciso soggettario, i volumi di MHOC permettono di leggere alcune fonti importanti dell’Ordine, come le cronache primitive piú importanti, o le lettere pastorali dei primi vicari generali, o il processo voluto da Sisto V nel 1585, e perciò detto «sistino» per la canonizzazione del primo santo cappuccino Felice da Cantalice, o l’inchiesta innocenziana del 1650 con altre testimonianze che però superano il nostro limite cronologico.

Altra documentazione importante, ma frammentaria, si può ritrovare in vari articoli della rivista internazionale Collectanea Franciscana (CF), sempre a cura dell’Istituto Storico citato, dove non raramente vengono editi testi significativi, anche abbastanza estesi; come pure nella collana Bibliotheca Seraphico-Capuccina che raccoglie ricerche monografiche su personaggi e problemi storici dell’Ordine.[53]

Ciò nonostante si tratta appena di alcune pietre di tutto l’edificio documentario della storia dei frati cappuccini, che si presenta tra i piú ricchi, pur dopo le varie soppressioni religiose e le traversie delle ultime guerre.

Del resto non bisogna dimenticare che i cappuccini, dal 1525/28, anno d’inizio, al 1569/70, anno della Breve dichiaratione del cronista Mario Fabiani da Mercato Saraceno, non ebbero il pensiero di scrivere le proprie memorie storiche e di raccogliere documentazione. E sono propriamente questi cinquant’anni circa di storia vissuta e non mai scritta i piú importanti a livello di fonti e i meno studiati, durante i quali esplose il carisma cappuccino come fondamento e alimento della successiva storia dell’Ordine.

Se a questo motivo aggiungiamo il fatto che la prima opera cappuccina a stampa sulle origini e i primi sviluppi della riforma, in pratica sul primo secolo di storia, apparve solo nel 1632 con i già citati Annales del Boverio, quindi oltre un secolo dopo, la difficoltà si fa piú rilevante. Anche perché il tono apologetico, panegiristico ed edificante del Boverio, in parte copiato dai primi cronisti cappuccini, ha condizionato la successiva storiografia dell’Ordine, non permettendo forse una visione piú storica della realtà, secondo i criteri e la sensibilità moderna, anche se hanno avuto il merito di aver saputo mantenere vivo presso i cappuccini, per oltre tre secoli, il ricordo appassionato delle loro eroiche origini.[54] La stessa valutazione è applicabile, con le debite proporzioni e sfumature, agli Annali successivi al Boverio

fino al secolo scorso.[55]

Un’altra difficoltà o lacuna è lo studio dei documenti estranei all’Ordine e che interessano le origini cappuccine, soprattutto i documenti notarili, gli atti dei vari comuni dove si insediarono le prime comunità dei frati, i rapporti con le autorità delle varie chiese locali e particolari ecc. Questo interessantissimo materiale, in gran parte inesplorato, potrebbe aprire nuovi orizzonti, piú vivi e palpitanti, piú umani e concreti e meno convenzionali, sui primi decenni di storia dell’Ordine, soprattuto testimoniando le primitive forme e modalità di apostolato e di vita di pietà di un movimento che permette di raggiungere l’anima del popolo cristiano, i ceti umili, la vita religiosa popolare e le reazioni delle varie classi sociali.

Infine manca uno studio (ad eccezione di poche monografie) sulle opere dei primi scrittori cappuccini, imbalsamate di spiritualità fresca, limpida e semplice. Sono di solito testimonianze pressoché sconosciute, eppure indispensabili per scoprire le pieghe nascoste del carisma cappuccino.[56]

Anche il Bullarium dell’Ordine, composto secondo un sistema di erudizione documentaria settecentesca, pur raccogliendo con un preciso criterio sistematico i documenti pontifici e divenuto perciò uno strumento documentario importante, lascia molto a desiderare come completezza di testi e correttezza di lettura e trascrizione testuale.

Il primo ad affrontare con esemplare senso critico e a classificare piú sistematicamente i documenti fondamentali, soprattutto primitivi, della riforma cappuccina è stato il benemerito archivista generale Edoardo d’Alençon (+ 1928) con alcuni studi monografici ancora oggi insuperati e punto di riferimento storiografico di prim’ordine.[57] Egli stabiliva subito un principio generale di critica storica e metteva al primo posto le testimonianze estranee all’Ordine e le fonti diplomatiche e archivistiche.[58]

Egli parti dai principali cronisti dell’Ordine, fino al Boverio, e ne segnalò il valore e i limiti, soffermandosi anche su altri cronisti minori come Girolamo da Montefiore, Giovannello da Terranova, Giuseppe da Colleamato e Francesco da Cannobio. Poi elencò una serie di scritti apparsi nel sec. XVI che trattano dei cappuccini: il primo Dialogo di Giovanni da Fano del 1527 e quello emendato e rimasto manoscritto; la sintesi del gesuato Paolo Moriggia sull’origine dei cappuccini, del 1569; le pagine dedicate ai cappuccini nella Cronaca di Marco da Lisbona, del 1570, con la traduzione italiana interpolata uscita a Venezia nel 1591; l’Informatione di Giuseppe Zarlino del 1574 che sostiene la tesi che Paolo Barbieri da Chioggia è stato l’antesignano dei cappuccini; gli appunti del conventuale Pietro Rodolfi da Tossignano nella sua «Storia serafica» del 1586 e quelli dell’osservante Francesco Gonzaga nel suo lussuoso e ponderoso volume che tratta dell’origine della religione serafica, del 1587. E poi una ricchissima documentazione archivistica di prima mano. Egli setacciò tutto l’archivio generale dell’Ordine in tutti i suoi documenti antichi superstiti e lasciò molte note autografe e critiche sul valore storico e critico di questi documenti. Inoltre scoprí e pubblicò per la prima volta gli originali di molti documenti pontifici, correggendo in tal modo le imprecisioni, talvolta grossolane, del Boverio e del Bullarium. Utilizzò anche epistolari e cronache coeve. Soltanto pochi documenti, dei principali, sfuggirono alla sua spietata e puntuale ricerca. Egli, tra l’altro, ha il grosso merito di aver ritrovato e pubblicato per la prima volta il testo stampato originale, che si credeva perduto, delle costituzioni del 1536. Ma ci vorrebbe uno studio a parte per segnalare l’importanza della sua storiografia che rappresentò la prima storia critica, serena e severa, delle origini della riforma cappuccina.[59]

Noi abbiamo rivisitato questi suoi testi e documenti, e, possibil-mente, li abbiamo riletti sull’originale, scoprendo cosí nuovi particolari e perfezionando varie volte la sua trascrizione.

Un altro «classico» della storia cappuccina è stato padre Cuthbert of Brighton, cappuccino inglese (+ 1939), il quale elaborò una storia del primo secolo cappuccino ancor oggi insuperata per potenza di sintesi e di intuizione.[60] Egli aggiunse in appendice una classificazione delle fonti della storia primitiva dei cappuccini, partendo da un giudizio critico sul Boverio piuttosto pesante: «Come storico non ha proprio alcun valore». Forse oggi avrebbe sfumato questa radicale espressione. Venne poi a trattare dei soliti primi quattro cronisti maggiori, e accennò ad altri minori, come Giovannello da Terranova giudicato poco sicuro nel testo che ci è rimasto, oppure Girolamo da Dinami, la cui cronaca importante (scrive egli) «è ora perduta», (ma noi per fortuna la pubblicheremo nello stato in cui è stata ritrovata);[61] Celestino da Bergamo per l’origine e sviluppo dei cappuccini nell’antica provincia di Brescia che comprendeva anche Bergamo; la cronaca compilatoria di Ruffino da Siena, molto adatta «ad una volgarizzazione popolare» e per questo egli la fece tradurre in inglese,[62] le Vite di alcuni cappuccini di Girolamo da Montefiore.

Elencò poi «altri scrittori non cappuccini» lo Zarlino, L. Wadding e i suoi Annales, il Tossignano, Gonzaga e Marco da Lisbona già citati. Infine segnalò «altri documenti» ufficiali e privati, come quelli pontifici del Bullarium, le lettere di Vittoria Colonna, i capitoli veneziani degli osservanti editi da E. d’Alençon, vari documenti pubblicati su Analecta Ordinis (= AO), su Études franciscaines (= EF), su Miscellanea Franciscana ( = MF), su L’Italia francescana ( = IF) e in molti libri di storia delle varie province cappuccine.[63]

Nonostante queste ricche indicazioni, p. Cuthbert concludeva con un certo disappunto: «Deve dirsi che lo studio critico della storia cappuccina è ancora nella sua infanzia», in particolare perché non era ancora stato affrontato «lo studio delle opere degli scrittori cappuccini… Una storia adeguatamente autentica dei cappuccini non può essere scritta finché le opere dei loro piú grandi scrittori non saranno tolte dall’oblio in cui sono state per lungo tempo abbandonate. Non è possibile conoscere un popolo finché non se ne conosce la letteratura». Così scriveva nel 1928.

Questa lacuna cercò di colmare p. Melchor de Pobladura (+ 1983) che, dando nuovo slancio all’operosità dell’Istituto Storico, raccolse e organizzò un enorme materiale soprattuto di questa «letteratura» e ne ricavò una notevole e voluminosa Historia generalis stampata a Roma negli anni 1947-1951 in quattro volumi.[64] Egli cosí classificò i documenti: dapprima i documenti pontifici, poi quelli giuridici dell’Ordine, ossia le costituzioni, ordinazioni e decisioni dei capitolo generali; i primi cronisti, con una nota critica al Boverio; le monografie storiche delle varie province che mettono a diposizione moltissimi documenti. Tutta questa documentazione venne organizzata in uno schema settenario di approccio storico che, partendo dall’interna evoluzione ed espansione esterna dell’Ordine, si sofferma sulla legislazione o diritto particolare, sulla costituzione o struttura dei luoghi, delle persone e gerarchia interna, sulla vita spirituale e intellettuale e sull’operosità apostolica, per finire con il tema dei rapporti dei frati con le persone estranee all’Ordine.

Questa trattazione sistematica, punto di arrivo e di partenza, sintetizzata da Lázaro Iriarte nel suo manuale di storia francescana,[65] se ha il merito di aver raccolto e ordinato un enorme materiale bibliografico, risulta piuttosto insufficiente per quanto riguarda i primi decenni della riforma cappuccina, cosí fondamentali per capire la fortunata espansione ed evoluzione dell’Ordine. Soprattutto perché manca ancora una ricerca analitica sulle fonti primitive, soprattutto nei vari archivi locali e regionali, pubblici e privati, in modo da sottolineare le incidenze, le risonanze e le ripercussioni che l’Ordine al suo primo apparire ebbe sulla società civile e religiosa del sec. XVI e nell’ambito della Chiesa pretridentina.

Un accenno a parte merita l’utilissimo prontuario storico-bibliografico Lexicon capuccinum aggiornato fino al 1950, vera enciclopedia del sapere cappuccino, anche se bisognoso di varie precisazioni, correzioni, complementi e aggiornamenti. Qui si trovano varie voci che interessano direttamente le fonti dell’Ordine.[66]

Sull’onda degli appunti critici di E. d’Alençon e di Cuthbert of Brighton riguardo alla validità storica delle cronache primitive e con le edizioni di quest’ultime approntate da Melchor de Pobladura, Theophil Graf (+ 1975) volle applicare fino alle ultime conseguenze il metodo di revisione critica delle cronache. Mettendo in evidenza la loro tendenziosità e il loro soggettivismo, giunse però in alcuni punti ad un estremismo razionalista, sfatando ingiustamente alcuni «dogmi» della storia cappuccina tradizionale, come la verità storica del capitolo di Albacina, il che provocò una forte reazione da parte di Melchor de Pobladura che demolí questo studio ipercritico, bloccando l’importante tentativo iniziato dallo studioso svizzero, anche se non ancora maturo, di analisi critica delle fonti. È molto utile la presentazione che in questo studio vien fatta delle fonti, divise in «cronache cappuccine» e «altre fonti», quest’ultime comprendenti anche gli Annales del Wadding, il Bullarium, il Dialogo de la salute del 1527, alcuni memoriali di Bernardino d’Asti, varie lettere di V.

Colonnna, e di altri personaggi come P. Giustiniani, G. Muzio, Luciano da Brescia, Nicola da Tolentino ecc. Ma non si tratta ancora di una classificazione ragionata e sistematica, ma solo in funzione della sua disanima critica.[67]

Anche il grande storico della Chiesa Ludwig von Pastor (+ 1928), nella seconda parte del IV e nel V volume della sua monumentale Storia dei Papi, aveva offerto una succosa storia del primo secolo della riforma cappuccina, basandosi soprattutto sulla cronaca di Bernardino

da Colpetrazzo, considerata la piú importante fonte, fino ad oggi, per la storia delle origini dell’Ordine. Sebbene il Pastor considerasse leggendari i piú antichi racconti su Matteo da Bascio, egli aderí alle piú importanti relazioni dei cronisti, ma sempre verificate, possibilmente, sui documenti originali dell’Archivio Vaticano e sulla cronaca di Giovannello da Terranova, «lasciando da parte le esasperazioni e abbellimenti del Boverio».[68]

Chi ha dato, durante gli anni del concilio Vaticano II, un apporto stimolante alla conoscenza del carisma cappuccino nel contesto del l’Ordine francescano, della Chiesa e della spiritualità, è stato Optatus van Asseldonk da Veghel nel suo studio fondamentale: La réforme des Frères minerus capucins dans l’Ordre franciscain et dans l’Eglise e in numerosi altri suoi studi e richerche.[69]

Egli stabilí immediatamente un criterio metodologico di priorità nell’uso delle fonti. Scartò subito la Cronaca di Mario Fabiani da Mercato Saraceno, l’Historia Capuccina di Mattia da Salò e gli Annali del Boverio e suoi continuatori, come fonti ingenue, edificanti, unilaterali, «légendes sans valeur!». A suo parere le fonti piú oggettive e valide erano : le opinioni di Giovanni da Fano, sia prima che dopo la « conversione » cappuccina; la legislazione ufficiale piú antica confrontata con quella degli altri gruppi francescani coevi; i giudizi della Chiesa, sia dei papi che di altre personalità ecclesiastiche; la Divota Historia di Bernardino da Colpetrazzo, come la piú conforme alla verità; e infine le testimonianze estranee all’Ordine, specie di un frate minore osservante, Ivo Magistri e di Vittoria Colonna, marchesa di Pescara.[70]

È soprattutto in questi ultimi anni del dopo concilio Vaticano II, a partire dal 1978, con lo stimolo del 450° anniversario della bolla di fondazione dell’Ordine, che sono apparsi studi fondamentali e in certo modo nuovi, sia come penetrazione nello spirito primitivo della riforma cappuccina, sia come riproposta di temi tradizionali in modo vitale e attualizzante, sia come suggerimenti metodologici e prospettive di ricerca, sia come analisi dell’ambiente piú propriamente locale e delle caratteristiche dei diversi insediamenti, sia infine come storia della letteratura spirituale primitiva e delle sue fonti.

Questi studi sono stati raccolti in varie riviste dell’Ordine, apparse per l’occasione in edizione speciale o numeri unici. Degne di memoria le seguenti:

Reformationis capuccinae recurrente anno 450° fasciculus memorialis, in AO 94 (1978) 301-432. I vari temi riguardano il significato della riforma cappuccina, il suo sviluppo in Italia, i suoi valori francescani, l’elemento contemplativo e l’impegno apostolico, lo spirito di povertà, carisma e autorità e infine la presentazione di due figure eminenti: Bernardino d’Asti e san Felice da Cantalice. Il tono celebrativo non ha impedito un apporto documentario nuovo ravvisabile nell’edizione critica della bolla Religionis zelus e nella pubblicazione delle inedite e finora sconosciute Orationi devote di Bernardino d’Asti.

La vita dei frati cappuccini ripensata nel 450° anniversario della loro riforma. Conferenze tenute al convegno nazionale (Roma 25-30 sett. 1978), Roma 1978. Si tratta di esposizioni saggistiche sullo spirito di servizio dell’Ordine nella Chiesa, sull’ apostolato come «redundantia di amore», sulla figura di san Francesco quale emerge dagli statuti di Albacina, sulla Regola francescana e i cappuccini e sullo Spirito di Gesú Cristo nelle costituzioni.

Sorvolando altre riviste piú particolari,[71] non si può qui non ricordare il notevole apporto dato dall’Istituto Storico nel numero speciale di CF 48 (1978) 241-449 con studi che riguardano san Francesco nelle costituzioni del 1536, l’evoluzione della primitiva letteratura spirituale dell’Ordine, i primi cronisti, la documentazione dell’Archivio Generale dell’Ordine e la storiografia cappuccina.

Infine non si possono trascurare tre importanti iniziative editoriali della provincia delle Marche, dove sono sorti i cappuccini: una legata alla circostanza del primo centenario della morte di Alessandro Manzoni nel 1973 con la pubblicazione, a cura di Giuseppe Santarelli, di Documenti cappuccini di interesse manzoniano relativi alla peste del 1630, di fondamentale importanza non solo per la rappresentazione manzoniana dei cappuccini, ma anche per la storia e spiritualità dell’Ordine.[72]

La seconda iniziativa riguarda un convegno di studi storici a Camerino sulle origini della riforma cappuccina, svolto nei giorni 18-21 settembre 1978 con vari studi assai pertinenti dove, a indagini sull’ambiente storico-culturale s’aggiungono ricerche particolari sull’origine della riforma a partire dai fermenti in seno alla grande famiglia dell’Osservanza francescana, per poi entrare in piú vitali argomenti di storiografia e di spiritualità.[73]

La terza e piú importante iniziativa è una voluminosa storia dei cappuccini marchigiani giunta per ora all’anno 1585 con due volumi di narrazione storica e un terzo in due tomi che raccoglie preziosissima e quasi del tutto inedita documentazione archivistica che va dal 1517 al 1609.[74] Particolarmente nel primo volume, che descrive i primi dieci anni della riforma e ha un interesse speciale per tutto l’Ordine, si trova probabilmente la piú accurata ricerca sulle origini cappuccine, spiegate con singolare equilibrio di interpretazione storica con un’acuta e appassionata rivalutazione di Ludovico Tenaglia da Fossombrone, considerato il vero iniziatore dei frati cappuccini. Forse l’aspetto storiografico piú significativo si trova nel fatto che l’abbondante documentazione di prima mano, raccolta in decenni di ricerche tra i molti archivi locali e provinciali, soprattutto le testimonianze estranee all’Ordine e le riformanze comunali, confrontate con le prime cronache cappuccine, in particolare con quella di Bernardino da Colpetrazzo, risulta tutta in favore alle cronache stesse. La conseguenza è forte: le prime cronache non sono poi cosí false, cosí leggendarie come si è spesso ripetuto; e allora anche gli Annali del Boverio, vagliati e confrontati sulle fonti ancora reperibili, forse non saranno cosí tendenziosi e polemici come si dice.

L’opportunità di questi confronti si è imposta nel convegno per gli archivisti cappuccini organizzato dall’Istituto Storico dell’Ordine per celebrare il suo 50° di fondazione nel 1980. Come si vede, è un interessamento crescente.

Ma sarebbe troppo lungo segnalare tutti gli apporti dati dai diversi studiosi cappuccini alla conoscenza delle fonti. Cosí l’immenso lavoro documentario di padre Arturo M. di Carminano di Brenta sia per la figura di san Lorenzo da Brindisi, sia per la storia della provincia veneta, resta un punto di riferimento fondamentale.[75] Se poi ci volessimo soffermare un poco sulle ricerche a livello provinciale e sulle monografie di conventi, dovremmo continuare ancora a lungo. Su quest’ultimo argomento, tuttavia, ha dato un sicuro indirizzo un altro convegno di studi cappuccini, svolto a Roma nei giorni 28-30 dicembre 1986, organizzato dall’Istituto Storico.[76]

Dopo questo rapido excursus storiografico su alcune significative opere che, piú o meno sistematicamente trattano delle fonti cappucci-ne, rimane ancor piú vero che è ben difficile per un normale lettore avere un’idea chiara e globale di questi documenti, che tuttavia richiedono di essere riletti per giungere ad una storia piú vera.

Sulla base, però, di questa storiografia, raggruppando e completando le varie indicazioni, noi abbiamo cercato di classificare in modo piú sistematico i documenti e le testimonianze del primo secolo di storia. Ne è risultato questo quadro, che è anche il progetto di costruzione di tutta la presente opera.

IV. QUADRO SISTEMATICO E STRUTTURA DELLE FONTI CAPPUCCINE

Il piano di lavoro all’inizio era modesto, ma anche le idee e la conoscenza del materiale documentario erano piú ridotte. Il lavoro è cresciuto, per cosí dire, in mano, e un documento ha richiamato un altro documento, una testimonianza ha fatto propaganda ad un’altra. Questi richiami sono stati verificati e i piú significativi sono stati raccolti. Ogni documento potrà senz’altro trovare una propria giustificazione.

Il « piano » di lavoro si è in tal modo trasformato in una grande « pianura », non sempre ben coltivata, in cui si sono dati appuntamento fatti e avvenimenti, personaggi e testimonianze, diritto e legislazione, epistolari e reformanze, santi e processi, predicatori e prediche, pietà e devozioni, preti, vescovi, cardinali e papi, suore e frati, cronache e diari, arte e povertà, meditazioni e affetti spirituali, prosa e poesia, vita quotidiana ed eroismo, ascetica e mistica, apologetica e polemica, tutto in svariatissime dimensioni e in scala cronologica degli inizi del Cinquecento ai primi due o tre decenni del Seicento.

L’unico volume inizialmente previsto, formato breviario, si è dilatato e spezzato in piú tomi che, grosso modo, corrispondono alle singole parti dell’opera.

1) Parte prima

Il primo volume corrisponde alla prima parte di tutta l’antologia documentaria e si propone di leggere la vita cappuccina nel fecondo dinamismo dialettico tra legislazione, carisma e istituzione. Per questo è stato intitolato: «Ispirazione e istituzione». I documenti e le testimonianze sono stati divisi in quattro sezioni secondo il seguente schema:

I
SPIRAZIONE E ISTITUZIONE
1. Documenti pontifici (1528-1627)
2. Primitiva legislazione cappuccina (1529-1643)
3. Primi commenti cappuccini alla Regola (inizio sec. XVI-1614)
4. «Modus vivendi», costumanze di provincia, formulari, cerimoniali (1536-1641)

L’ispirazione o il carisma precede la verifica dell’istituzione, ma è solo dopo la garanzia e la conferma dell’autorità ecclesiale che il carisma fiorisce. La gradualità del cammino spirituale dei primi «eremiti» cappuccini è legata agli sviluppi esterni della riforma. Ma sempre una linea carismatica, che emerge particolarmente nel periodo delle origini, continua a guidare gli iniziatori e gli organizzatori o animatori della riforma. C’è quindi un’ispirazione primigenia e c’è un modo di incarnazione di questa ispirazione, in cui l’apporto dei primi compagni o seguaci si rivela spesso determinante. Nel testo che traduce letterariamente l’ispirazione confluisce anche gran parte dell’esperienza degli iniziatori e delle prime comunità. Infatti l’esperienza, l’impatto con la vita quotidiana e con i diversi ambienti e circostanze servono per comprendere, descrivere e tradurre l’ispirazione primigenia. Come scrive F. Ciardi, il passaggio dall’ispirazione alla sua realizzazione storica di fondazione, e ancor piú nell’istituzione, può apparire mortificante. È come il dramma dell’Incarnazione. Dio, facendosi uomo, «perde» la sua luce, la sua gloria, il suo splendore. Allo stesso modo «l’ideale» del fondatore, quando prende «carne», sembra perdere la sua esube-ranza, la sua trasparenza, la sua visione luminosa. Sembra rimpicciolirsi, umiliarsi. L’ispirazione appare piú vasta, piú creativa dell’opera che essa realizza.[77]

Cosí, ad esempio, Matteo da Bascio ha visto l’anima, non il corpo della riforma; ha rimirato il suo spirito, non la sua organizzazione.

Corifeo involontario, ha garantito la sua ispirazione nell’obbedienza alla Chiesa. Lo stesso han fatto tutti gli altri iniziatori, i quali, pur essendo dei prototipi irrepetibili, hanno dato, ciascuno, il proprio apporto fondamentale, la propria sfumatura, il proprio tocco spirituale, il proprio dono, per configurare l’identità cappuccina di sempre.

Bisogna anche dire che la riforma cappuccina sorge non tanto come risposta alle esigenze della Chiesa, ma prima come impulso dello Spirito a ricuperare e continuare il carisma francescano nella sua purezza e radicalità. In seguito, nell’ obbedienza e nel servizio della Chiesa, diventa per forza intrinseca, connaturale, risposta adeguata alle esigenze della Chiesa, secondo un piano provvidenziale di Dio.

Sez. I: Documenti pontifici (1528-1627)

Per questi motivi, oltre che per un rispetto speciale all’esperienza stessa di Francesco d’Assisi ripresentata dai frati cappuccini, sono messi al primo posto i documenti pontifici che si snodano cronologicamente dalla bolla di fondazione Religionis zelus del 3 luglio 1528 al breve di Urbano VIII Salvatoris et Domini del 27 giugno 1627, due punti di arrivo e di partenza insieme: della riforma come ispirazione e dell’Ordine come istituzione.

Il curatore di questa prima sezione, Isidoro Agudo, ha scelto complessivamente dodici documenti: quattro bolle e otto brevi pontifici, come pietre miliari nella fondazione ed evoluzione dell’Ordine nel suo primo secolo. I testi sono tradotti in italiano e vengono riprodotti anche in latino, ma emendati sugli originali, con opportune annotazioni.

Un’introduzione generale spiega il significato storico e giuridico di questi interventi papali. Non è che ci svelino, a dire il vero, molte cose della vita cappuccina, che vi è presupposta e autorevolmente appoggiata. Ma c’è finalmente una puntuale risposta alla questione posta dieci anni fa dal compianto Ilarino da Milano che scriveva: «Questa serie di documenti pontifici o curiali… meriterebbe, forse, un esame giuridico piú specifico, per chiarire con quale giurisprudenza carismatica i cappuccini seppero conciliare da una parte l’obbedienza che essi professavano sempre all’autorità suprema della S. Sede, anche quando i provvedimenti della curia romana non erano loro favorevoli, anzi, pesantemente coercitivi, e d’altro canto la libertà di spirito con cui portarono avanti l’impresa riformistica dell’Ordine francescano».[78]

Sez. II: Primitiva legislazione cappuccina (1529-1643)

Dopo i documenti pontifici, come seconda sezione sono riproposti i testi legislativi primitivi condensati nei 67 statuti di Albacina e nei 152 paragrafi delle costituzioni di Roma-S. Eufemia del 1536 che documentano nel modo piú originale il progetto o l’ispirazione della riforma cappuccina.

Gli ordinamenti o statuti di Albacina vengono confrontati con la traduzione latina del Boverio, mentre le costituzioni del 1536 sono accompagnate da un apparato critico che evidenzia tutte le variazioni redazionali delle successive cinque riformulazioni delle stesse costituzioni, dal 1552 al 1643, che diventano cosí una speciale radiografia dell’evoluzione dell’Ordine nel primo secolo della sua storia.

E per completare il quadro legislativo vengono alla fine riportati nell’originale latino e italiano i primi due testi superstiti di ordinazioni dei capitoli generali, in data 1549 e 1552, come esemplificazione di questo tipo di legislazione primitiva.

Il fatto delle diverse revisioni delle costituzioni e della frequente variazione della legislazione particolare (espressa soprattutto negli ordinamenti generalizi e provincializi), manifesta la povertà e la ricchezza, a un tempo, del pensiero scritto, come quando un autore non è mai soddisfatto del suo lavoro e cerca di rifarlo, perfezionarlo, limarlo, adattarlo ecc. Però non rinuncia al testo, se non nel caso in cui volesse rinunciare, rinnegandolo, al suo stesso pensiero. Allo stesso modo le costituzioni del 1536 continuano a rimanere sostanzialmente identiche nelle diverse redazioni. Ciò fa capire come la tradizione è sempre piú ampia del testo. E forse anche per questo la storia vissuta e concreta e quindi l’osservanza e l’apostolato dell’Ordine nelle sue espressioni personali e comunitarie, sono piú significative rispetto al carisma istituzionale che non la stessa legislazione.

Le introduzioni a questa sezione sono elaborate da Francesco Saverio Toppi e sono cosí ordinate: dapprima un’introduzione generale a tutta la sezione, dove si tratta delle fonti della primitiva legislazione, caratterizzata da una grande apertura ai segni dei tempi e da un rapporto fecondo fra spirito e legge. A questa introduzione generale segue una introduzione particolare alle ordinazioni di Albacina, in cui si parla delle loro note qualificanti: vita contemplativa, povera e austera e altri temi, specie il lavoro manuale, la vita fraterna e le opere di carità.

Una seconda introduzione riguarda le costituzioni del 1536. Si narra il passaggio da Albacina al primo vero testo costituzionale. Di esso si evidenzia la spiritualità cristocentrica e serafica con alcune note peculiari. Dopo, quasi come appendice, vien prospettato il successivo sviluppo legislativo fino alle costituzioni del 1575. Le note storico-critiche intendono raccogliere il meglio degli ultimi studi apparsi sull’argomento, specie nell’individuazione delle rispettive fonti francescane, legislative e spirituali.[79]

Sez. III: Primi commenti cappuccini alla Regola (inizio sec. XVI-1614)

Le costituzioni dell’Ordine, in pratica, sono già un commento esistenziale alla Regola di san Francesco come doveva essere nella vita quotidiana. Eppure i cappuccini fin dall’inizio amarono approfondire la conoscenza vitale della Regola e per questo scrissero vari commenti, nati spesso da sermoni e conferenze ai confratelli, la maggior parte dei quali rimasero manoscritti. La sezione terza vuol ricuperare questa ricchezza di pensiero su un punto che sta all’origine della rifor-ma; perciò ripropone, idealmente collegati alle costituzioni, vari commenti della Regola scritti da alcuni cappuccini del primo secolo.

Si tratta di undici testi, piú o meno diffusi, ma assai sostanziosi: quattro risalgono al primo Cinquecento, altri cinque vennero composti nella seconda metà del sec. XVI e due nei primi anni del Seicento. Il materiale rappresenta spesso per i lettori moderni una assoluta novità.

Due commenti sono anonimi, dei quali uno è fonte importante del Dialogo emendato di Giovanni da Fano,[80] che trova tuttavia largo spazio, in questa raccolta, assieme al Breve discorso, sempre di Giovanni da Fano, in quanto ha ispirato largamente il testo costituzionale del 1536 ed è sempre stato considerato il primo commento cappuccino alla Regola. Si è riportata anche la Dichiaratione di Bernardino d’Asti sul vestire dei cappuccini, perché è un esempio del metodo e dello spirito con cui i primi cappuccini interpretavano la Regola.

Gli altri autori sono piú tardivi, ma non per questo meno interessanti. Per la prima volta si potranno leggere pagine curiose di Giovanni M. da Tusa e di Silvestro d’ Assisi, copiate direttamente dai manoscritti e che rivelano, soprattutto il da Tusa, lo zelo di animazione e lo stile di predicazione degli antichi ministri generali sulla Regola.

Solo quattro testi vengono scelti da edizioni coeve: due di Gregorio da Napoli, dall’Enchiridion ecclesiasticum e dalla Regola unica; gli altri dalle esposizioni di Girolamo da Polizzi (in latino) e di Santi Tesauro da Roma (in italiano). Ma già si è sviluppata una precisa istituzionalizzazione della riforma, anche se questi commenti ne sono una logica conseguenza.

Le pagine scelte riguardano per lo piú argomenti vitali e significativi per la «forma vivendi» dell’Ordine, sia per la lettura e interpretazione delle fonti francescane, sia per i valori perenni come l’osservanza spirituale della Regola, lo spirito di orazione e devozione, la carità fraterna, il lavoro, la predicazione, la missionarietà ecc.

Sez. IV: «Modus vivendi», costumanze di provincia, formulari, cerimoniali (1536-1641)

L’ultima sezione della prima parte è come un ulteriore logico corollario del materiale legislativo e raccoglie numerosi documenti e testimonianze di estrema importanza per comprendere la tradizione cappuccina di formazione religiosa, di osservanza della Regola, di vita spirituale e apostolica. Il titolo: «‘Modus vivendi’, costumanze di provincia, formulari, cerimoniali», già fa intuire la ricchezza e varietà di questa documentazione, la quale viene ulteriormente organizzata in sei sottosezioni:

1) Difesa e apologia del «modus vivendi» cappuccino: qui si raccolgono insieme alcuni memoriali rivolti da ministri e procuratori generali ai sommi pontefici e alla Santa Sede per difendere l’afflusso di vocazioni all’Ordine, l’iconografia esterna del cappuccino e l’autorità del ministro generale. Seguono due testi piuttosto lunghi, analitici, esempio di apologia dell’ideale cappuccino di riforma, dovuti a Celestino Colleoni da Bergamo e a un fantomatico frate minore conventuale di Savoia, Bonito Combasson: il primo in pratica diventa una specie di commento alle costituzioni dell’Ordine; il secondo invece attribuisce il successo della riforma cappuccina a quattro valori, da lui chiamati, con reminiscenza del successo dell’Osservanza francescana, «quattro colonne».

2) Tradizioni e pratiche di province e di noviziato: questa seconda sOttosezione comprende otto testi che suggestivamente descrivono il modo di vivere dei cappuccini marchigiani e lombardo-veneti, con altre particolarità, fra le quali l’edizione di un lungo inedito cerimoniale cappuccino per il noviziato, scritto, cosí sembra, da Bartolomeo Vecchi da Bologna, maestro dei novizi per diversi anni. Questi documenti fanno balzare davanti agli occhi il genuino metodo di formazione (il duro e possente noviziato antico) dei cappuccini maturato sulla scia della secolare tradizione francescana dall’esperienza del primo secolo cappuccino.

3) Consuetudini ascetiche e devozionali negli antichi libretti della Regola: questa sottosezione, frutto della biblio-storiografia di F. Elizondo che ha descritto in modo esemplare questo settore di edizioni cappuccine tascabili, intende valorizzare questa mini-letteratura che ha svolto un ruolo di primo piano, come strumento nelle mani di tutti i frati, a livello di formazione ascetica e devozionale. Da questi libretti, che di solito sfuggono all’attenzione, sono stati scelti diversi testi che riguardano la concreta vita ascetica e sacramentale aperta al dono mistico con l’esercizio dell’orazione affettiva, della purezza del cuore secondo l’insegnamento di Enrico van Herp e dell’«aspirazione». Altri testi fanno capire l’approccio cappuccino alla figura di san Francesco e alla Regola. In tutto sono 17 testi, parte dei quali in latino.

4) Vita cappuccina nei formulari di obbedienze, raccomandazioni e lettere di affiliazione: questa documentazione è un’altra novità della nostra raccolta. Per la prima volta è stato possibile riunire insieme sistematicamente tutti i formulari di obbedienze rilasciati dagli umili segretariati delle curie generalizie e provinciali. È un incredibile assortimento. Tutta la vita cappuccina, dall’inizio alla fine, appare cosí immersa nell’obbedienza. Ci sono obbedienze relative al periodo di formazione, obbedienze per la predicazione, per viaggi e trasferimenti, per nomine a uffici, per espellere dall’Ordine; ci sono lettere di raccomandazioni per pellegrini, poveri, benefattori e formulari relativi all’organizzazione del lanificio provinciale e alle costruzioni. La raccolta termina con un campionario di lettere di affiliazione spirituale all’Ordine. Purtroppo mancano esemplari di queste formule per i primi trenta/quarant’anni di storia cappuccina. O forse saranno sepolti in qualche archivio. Infatti la prima testimonianza da noi reperita risale solamente agli anni ’50 del Cinquecento. Ma nella seconda metà del sec. XVI si moltiplicano fino a raggiungere, nel Seicento, una incredibile varietà di espressioni e applicazioni.

5) I primi cerimoniali e «modus vivendi» stampati: si tratta di alcuni capitoli significativi estratti dal cerimoniale di Zaccaria Boverio stampato nel 1626 e da un libretto di Francesco di Chambéry del 1634 che dipinge con spirito e unzione la giornata del cappuccino con tutte le sue pratiche di preghiera, penitenza, lavoro e apostolato. Sono testi tradotti dall’originale latino, capaci, crediamo, di farci assaporare il clima di un convento cappuccino antico, di cui offrono un quadro estremamente lucido in uno standard di vita eroico e caratteristicamente articolato.

6) La prima parte di quest’opera termina con alcune pagine, anche inedite, di Valeriano Magni da Milano, che sono come uno sguardo critico e apologetico retrospettivo sui valori della vita cappuccina che diventa, per la santità che ha espresso nel primo secolo, criterio oggettivo di verità della Chiesa cattolica, ma richiede anche un aggiornamento in alcune espressioni legislative. Quest’ultime, forse, al dire di Valeriano Magni, avrebbero impedito un apostolato piú aperto ed efficace.

2) Parte seconda

La seconda parte dell’opera, corrispondente al secondo volume, ha una speciale importanza storiografica e potrebbe rappresentare la chiave per comprendere nel modo piú oggettivo la fondazione e l’evoluzione dei frati cappuccini e la loro vita quotidiana. Per questo è stata intitolata: « Storia e cronaca», non perché le altre parti non interessino la storia o la cronaca, ma perché in questa parte vengono maggiormente valorizzati i documenti estranei all’Ordine con particolare riguardo alle testimonianze delle autorità pubbliche da un lato, e dall’altro le corrispondenze epistolari e le cronache e compilazioni biografiche dei primi cappuccini, fondendo cosí i due lati della meda-glia: ciò che hanno visto, creduto e giudicato gli altri della riforma cappuccina, e ciò che i cappuccini han pensato, creduto e giudicato di se stessi e del loro Ordine.

Perciò anche in questa seconda parte i documenti e le testimonianze sono stati classificati in quattro sezioni secondo questo quadro:

II
STORIA E CRONACA

1. Documenti e testimonianze estranee all’Ordine
(1526-1632)
2. Testimonianze delle autorità pubbliche (1526-1611)
3. Carteggi dei primi cappuccini (1536-1628)
4. Cronache cappuccine primitive (1565-1630 c.)

Sez. I: Documenti e testimonianze estranee all’Ordine (1526-1632)

Questa prima sezione è di incalcolabile valore storico. Esso dipende, in parte, dai motivi già sottolineati da K. Eßer per il problema delle fonti francescane,[81] in quanto si tratta, in genere, di testimonianze al di fuori di ogni elemento polemico e apologetico; e seppure non manca la polemica, questa è portata avanti da persone estranee all’Ordine, cosí che si possono confrontare i suoni delle varie campane e capire meglio il fatto storico del cappuccinesimo.

I documenti scelti sono 105, raggruppati in ordine logico e crono-logico, ma potrebbero moltiplicarsi con una ricerca piú analitica e completa. Noi, come sempre, vorremmo dare solo il via, quasi aguzzare l’appetito.

Il documento piú antico di questa raccolta risale al 1526 ed è la famosa lettera del beato Paolo Giustiniani, fondatore della riforma dei Camaldolesi di Monte Corona; il piú tardivo si situa nell’anno 1632 e proviene dalla penna del card. Federico Borromeo.

Per una logica interna si è provveduto a dividere in vari settori tutto questo materiale e cosí facilitare al lettore e allo studioso la sintesi dei diversi contenuti:

1) Un primo gruppo di testi comprende tredici testimonianze francescane estranee all’Ordine, particolarmente provenienti dai frati minori dell’Osservanza che sono i primi, è ovvio, a reagire al movimento centrifugo dei cappuccini. Qui troviamo personaggi di primo piano, come Giovanni da Fano quando non era ancora cappuccino, Onorio Caiani procuratore generale degli osservanti, Bonaventura de Centi, Cherubino Lusio, Francesco Montegiano, Ivo Magistri, Marco da Lisbona, il conventuale Pietro Ridolfi da Tossignano, il ven. Francesco Gonzaga e Antonio Daza.

2) Il secondo settore indugia sui rapporti della marchesa di Pescara, Vittoria Colonna, con i cappuccini. Per la prima volta viene raggruppato insieme il suo epistolario «cappuccino», ossia 27 lettere ricevute o spedite che abbracciano solo sette anni, dal 1535 al 1542, ma di fondamentale importanza. Questo epistolario in alcune parti ridonda di passione polemica a favore della nuova riforma francescana e viene coinvolto nell’ esaltazione e, poi, nella tragedia di Bernardino Ochino, dalla quale, però, la marchesa tiene le distanze. E proprio come complemento di questo episodio drammatico nella storia dei frati cappuccini, sono state aggiunte due significative e lunghe lettere, una di Claudio Tolomei e l’altra di Gianmatteo Giberti.

3) Un terzo blocco riunisce 21 testimonianze sulle origini e primo sviluppo dell’Ordine, che trovano il loro fulcro nell’approvazione ufficiale della riforma da parte del concilio di Trento nel 1563. Si tratta di testimonianze di Paolo Giustiniani, del card. Del Monte, di Caterina Cybo, Eleonora Gonzaga, G. Francesco Bordini dell’Oratorio di san Filippo Neri, e di alcuni vescovi come Gaspare Viviani, A. Peruzzi e Nicolò Sfondrati, che diventerà Gregorio XIV, e di altri ancora. Esse fanno intuire e in parte rivelano le difficoltà del periodo «eremitico» della riforma e poi la sua prima fortunata espansione in Italia.

4) Si noterà come in questa seconda parte gli epistolari hanno una rilevante frequenza. Infatti in una quarta suddivisione vien proposta anche una raccolta di lettere di san Carlo Borromeo scelte dal suo immenso epistolario conservato nella biblioteca Ambrosiana di Milano.

Dodici lettere sono firmate dal santo e altre undici ricevute, nell’arco di circa vent’anni, dal 1565 fino all’anno di morte 1584. Il grande pastore che fece penetrare nella vita della Chiesa l’ispirazione del concilio tridentino, ebbe un debole per i frati cappuccini che appoggiò nelle fondazioni di vari conventi, difese e utilizzò come strumenti privilegiati di avanguardia apostolica e missionaria in Svizzera e nei Grigioni.

5) Un quinto settore documentario intende valorizzare storiograficamente il genere letterario delle cronache e diari estranei all’Ordine. Sono stati scelti 23 pezzi, alcuni anche abbastanza diffusi, disposti cronologicamente dal 1523/28 al 1625, ricavati da diari, cronache cittadine e memorie, che hanno per autori laici, preti e religiosi, notai cittadini, eruditi, cronisti per passione, storici locali, canonici, monache clarisse, un carmelitano, un card. protettore dell’Ordine. Ne risulta un quadro tra i piú suggestivi del cappuccinesimo delle origini e del primo secolo.

6) Un sesto gruppo di testi raccoglie testimonianze particolari sulla predicazione cappuccina. Sono quattro testi soltanto, tra la fine del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, sulla predicazione del Verucchino a Milano, di Giacinto da Casale a Brescia nel 1615, di un anonimo cappuccino a Parma e di Alfonso Lupo e Mattia Bellintani nel giudizio del card. F. Borromeo. Potrebbe sembrare una ripetizione di temi, dal momento che anche in altre sezioni documentarie si parla di predicazione e predicatori; ma altrove interessa piuttosto la tipologia documentaria cronachistica, qui invece soprattutto l’argomento specifico.

7) Il settimo e ultimo settore unisce quei testi che sono piuttosto delle informazioni generali sulla riforma cappuccina, scritte in formi di appunti o in modo piú ragionato dal 1542 al 1600. Gli autori sono Bartolomeo Stella, il napoletano Pietro De Stefano, il vescovo umanista Antonio Minturno Sebastiani, il gesuato Paolo Morigia, calabrese David Romeo, un sacerdote svizzero, il vescovo domenicano Feliciano Ninguarda, il camaldolese don Luca Spagnolo, il vescovo Pietro Matthieu, un canonico di Milano e, perché no?, un oscuro e devoto poeta locale umbro, Capoleone Ghelfuzzi.

Sez. II: Testimonianze delle autorità pubbliche (1526-1611)

La seconda sezione raggruppa vari esemplari di testimonianze delle autorità pubbliche (“riformanze”) ed è stata distinta, per la sua importanza, dalla prima sezione di cui realmente fa parte. È il primo scontrarsi dei frati cappuccini con la realtà socio-culturale del loro tempo. I consigli municipali offrivano luoghi, elemosine, facilitazioni per la fondazione di conventi presso le città e nel contado. A leggere le motivazioni dei loro voti favorevoli si scopre la ricchezza d’impressioni e d’e-mozioni che l’austerità e l’umiltà dei frati cappuccini producevano sugli animi. Essi, uomini di responsabilità e di governo, vedevano in quei frati il concretarsi e l’espandersi di quella riforma da tutti auspicata, ma che sembrava tanto difficile rendere generale e accetta.

Questa sezione, a cura di C. Urbanelli, propone documenti dal 1526 al 1611. Da essi appare come vennero recepite nella società del tempo la spiritualità e l’azione apostolica della nuova famiglia francescana fin dai suoi primi passi.

Un primo blocco di 83 documenti indaga sul tema della spiritualità con 14 testimonianze sulla vita evangelica dei primi cappuccini, 7 sulla loro vita di preghiera, 17 sulla povertà e austerità, 11 sulla benevolenza popolare e 14 sulla richiesta e accoglienza di fraternità cappuccine nel territorio comunale.

Un secondo blocco di 35 testi mette in evidenza l’azione apostolica socio-religiosa con 12 documenti sul tema dell’evangelizzazione, 5 sull’incremento della pietà popolare eucaristica e mariana, 10 sull’opera di risanamento morale della società, come la moderazione del lusso, pacificazioni cittadine, contro il gioco d’azzardo e il turpiloquio ecc.; e 8 testi circa prestazioni caritative e assistenziali, come aiutare i poveri, curare l’infanzia abbandonata, assistere malati contagiosi ecc.

Il metodo scelto di evidenziazione e raggruppamento dei vari te mi ha fatto spezzare i testi, distribuendoli, appunto, frammentati sotto i diversi argomenti e questo criterio non ha permesso una disposizione in stretta successione cronologica.

Le caratteristiche poi di questa documentazione, piú numerosa nel Centro-Nord Italia e quasi inesistente al Sud per le diversità di tradizioni socio-poilitiche, esigono che venga riportato anche il testo originale latino estratto dai volumi delle riformanze, in cui sono inseriti anche eventuali testi in italiano, come lettere di petizione o raccomandazione, che però trovano migliore collocazione in una successiva sezione.[82]

Sez. III: Carteggi dei primi cappuccini (1536-1628)

La terza sezione, sempre a cura di C. Urbanelli, procede a fare lo stesso sondaggio analizzando i carteggi dei primi cappuccini. Infatti le lettere superstiti dei cappuccini del Cinquecento e primo Seicento costituiscono una fonte privilegiata per la storia dell’Ordine. Esse offrono la possibilità di conoscere come venne inteso e praticato il programma di vita proprio della nuova riforma, attraverso le dirette testimonianze dei suoi seguaci della prima e seconda generazione.

Il materiale viene organizzato tematicamente in due parti con lo stesso metodo della precedente sezione. Sotto l’argomento “vita-spiritualità” sono proposte una quarantina di lettere dal 1536 al 1598 che illustrano la vita delle prime fraternità cappuccine. Altre 14 lettere, dal 1540 al 1615, affrontano il tema dell’amore e pratica della povertà; mentre un’altra dozzina, tra il 1536 e il 1613, servono a mettere in evidenza nei primi cappuccini la fedeltà, predilezione e difesa della propria tradizione spirituale.

Il tema dell’apostolato viene documentato da ben 65 lettere, disposte dal 1539 al 1628, di grande significato storico e spirituale. Di esse 16 riguardano il ministero della parola: 11 l’evangelizzazione, due la predicazione itinerante, e le altre la persistente richiesta di predicatori cappuccini; 22 lettere sottolineano l’attività svolta per incrementare la vita cristiana e altre 27 lettere intendono documentare alcuni interventi di carattere socio-religioso a favore dei poveri, degli emarginati, degli ebrei, dei carcerati, degli appestati, degli schiavi cristiani e per riportare la pace fra i cittadini e moderare il lusso.

Anche questi documenti, tutti originalmente in lingua italiana, non seguono una precisa successione cronologica, ma piuttosto un ordine logico. Dall’analisi complessiva risulta un vasto assortimento, molto interessante, dei carteggi cappuccini del primo secolo.

Sez. IV: Cronache cappuccine primitive (1565-1630 c.)

La quarta sezione si propone di dare un’idea possibilmente completa o quasi della cronachistica interna all’Ordine, sorta per un’esigenza pedagogica e formativa e di autocoscienza dell’Ordine stesso nel momento in cui iniziò il suo piú grande sviluppo numerico e la sua espansione europea. Le cronache erano punto di riferimento esemplare, ma senza, con questo, voler condizionare la verità storica. Come scriverà uno degli annalisti dell’Ordine, due secoli dopo, il lettore non doveva annoiarssi nel leggere ciò che gli antichi padri «praticarono di umiliazioni, di asprezze, di patimenti e altre simili virtú, tutte proprie del nostro religioso e serafico istituto, con le quali unicamente può comparire nella sua vera immagine un cappuccino interamente ben fatto».[83]

Il titolo «cronache cappuccine primitive» comprende sia le cronache maggiori che quelle minori. Per questo il materiale è stato diviso in due parti: la prima, a cura di Mariano D’Alatri, intende cogliere la «vita quotidiana dei cappuccini nel Cinquecento secondo le antiche cronache dell’Ordine», quelle maggiori, per intenderci, scritte da Mario Fabiani da Mercato Saraceno, Bernardino Croli da Colpetrazzo, Mattia Bellintani da Salò e Paolo Vitelleschi da Foligno, edite nei primi sette volumi di MHOC da Melchor de Pobladura. Da queste edizioni critiche sono stati estratti oltre 400 testi, articolati secondo una tematica e col metodo già usato dallo stesso Melchor de Pobladura nel volume «La bella e santa riforma dei frati minori cappuccini», pubblicata nel 1943 e in seconda edizione, riveduta e ampliata, nel 1963.

I temi abbracciano tutto il significato del vivere quotidiano del frate cappuccino. Vi vengono presentati personaggi, situazioni e problemi significativi, che hanno un messaggio da trasmettere. Dei quattro cronisti fa la parte del leone il buon Colpetrazzo, il quale fu testimone diretto, attento, onesto, anche se, mentre scriveva, era innegabilmente nostalgico: ma la sua nostalgia era per un ideale che – a suo parere – in un certo momento fu realizzato in pieno, e che egli cercava di trasmettere alle future generazioni dei frati.

Nella breve introduzione premessa ai testi, vengono caratterizzati cronisti e cronache.

La seconda parte di questa sezione affonda le mani nel vasto materiale delle cronache minori e compilazioni biografiche primitive. Qui c’è uno dei punti piú nuovi di questa antologia documentaria. Infatti questo materiale è piuttosto disperso in edizioni poco alla mano o è del tutto inedito in archivi e biblioteche. Col criterio della piú vasta rappresentatività geografica regionale abbiamo scelto vari testi in un arco cronologico che si stende dal 1536 ai primi tre o quattro decenni dei Seicento.

Ci siamo introdotti con la «tavola» del capitolo generale del 1536, memoria originale, quasi appunto, di Francesco da Cannobio che era segretario in quell’assemblea capitolare. Poi abbiamo ripresentato la cronichetta di Giovanni Romeo da Terranova, come è stata riportata nell‘Historia sacra del cistercense Silvestro Maruli, edita a Messina nel 1613. La novità piú sensazionale è la scoperta e l’edizione integrale della cronachetta di Girolamo da Dinami, intitolata «Riforma cappuccina», considerata fino ad oggi perduta (come già dicemmo), e che risale, come si legge nel manoscritto, purtroppo incompleto, al 1584.

Altra novità è la «cronaca cappuccina» inedita di Bonaventura Campagna da Reggio Calabria, da cui vengono estratti diversi capitoli. Queste tre ultime cronache sono state riportate per dare uno spazio particolare alla regione di Calabria e alle sue province e potranno offrire indicazioni preziose a proposito della «vexata quaestio» della priorità del movimento cappuccino calabrese su quello marchigiano.

Un’altra cronaca, dalla quale abbiamo scelto molte pagine, è quella di Ruffino da Siena (+ 1626), che risale agli ultimi decenni del Cinquecento. Cosa nuova è anche l’edizione integrale delle «Vite di cappuccini» scritte da Girolamo da Montefiore negli anni ’80 e sono quelle piccole biografie devote che egli leggeva ai frati durante le visite quando era generale.

E poi si aggiunge tutta una serie di «vitae fratrum» che rappresentano quelle, da noi chiamate, compilazioni biografiche primitive, già presenti anche nelle precedenti citate cronache, nate da una volontà dei superiori generali di conservare la memoria storica degli esempi virtuosi dei frati del passato. A questo scopo vennero incaricati alcuni religiosi nelle singole province dell’Ordine a raccogliere ogni materiale biografico utile, ogni documento significativo, anche interrogando i religiosi sacerdoti e fratelli laici piú anziani per far loro deporre notizie preziose. Questo materiale compilatorio era destinato al cronista ufficiale dell’Ordine, il quale l’avrebbe utilizzato per stendere il testo definitivo delle Cronache ufficiali per una loro edizione.

Abbiamo perciò scelto da diverse «vita fratrum» sempre col criterio della rappresentatività regionale e abbiamo individuato le seguenti: le « Biografie » scritte da Bernardino Marchionni da Orciano (+ 1622) per la provincia delle Marche, già edite da C. Urbanelli; le «Relationi» di Lattanzio Mazzancolli da Terni (t 1919) per la provincia umbra, già edite in CF da Francesco da Vicenza; le « Cose notabili occorse nella provincia di frati capuccini d’Abruzzo », di Mauro da Castelli, scritte nel 1611, le «attestationi» sui cappuccini di Sicilia, raccolte da Antonio di Trapani nel 1612; le «cronache de’ frati capuccini della provincia di Genova», composte da Agostino da Genova nel 1610; la « Narrativa della fondatione e principio della provincia de’ frati minori capuccini di Milano» e «Vite di alcuni frati capuccini», scritte da Salvatore Rasari da Rivolta nei primi decenni dei Seicento; la raccolta di memorie, intitolata « Vita e costumi di alcuni padri vecchi », scritta da Cherubino da Lendinara (+ 1616) nel 1614/15, e le «Vite exemplari» compilate da Amedeo e Dionisio da Verona verso la metà del Seicento, per la provincia di Venezia. E per concludere si riportano gli «Avvertimenti o istruzione per la raccolta della materia delle Chroniche cappuccine», testo attribuito a Mattia da Salò, che spiega il metodo di ricerca e di raccolta di questo materiale storico-biografico che poi andrà a confluire tutto negli Annales del Boverio.

3) Parte terza

La terza parte dell’opera corrisponde al terzo volume ed è dominata dalla vita di pietà, dalla letteratura devota e spirituale, dalla dottrina ascetica e mistica, dalla letteratura relativa ai vari settori dell’apostolato e, infine dalle deposizioni giurate dei processi canonici che testimoniano la santità di alcuni frati cappuccini.

Perciò la terza parte è stata intitolata: «Santità e apostolato». I documenti e le testimonianze sono organizzati in tre sezioni secondo il seguente schema:

III
SANTITÁ E APOSTOLATO
1. Letteratura spirituale ascetico-mistica (1535-1628)
2. Apostolato ed evangelizzazione: prediche, quarantore, assistenza ai malati, moribondi e condannati a morte, missioni e missionari (1528-1630)
3. Testimonianze sulla vita cappuccina dai processi di canonizzazione (1587-1626)

Sez. I: Letteratura spirituale ascetico-mistica (1535-1628)

Questa sezione è la piú ricca di documentazione e perciò, pur nella selezione dei testi, che tuttavia vogliono essere testimonianze rappresentative di tutto il territorio nazionale dal Nord al Sud Italia, abbraccia una notevole parte della nostra antologia.

I testi scelti e pubblicati sono spesso unici o rarissimi, altri ignoti e inediti, altri piú conosciuti, ma importanti per la fama del loro autore. Sono tutti scritti in volgare del Cinque – primo Seicento. La serie degli autori scelti privilegia scritti dei primi cinquant’anni della riforma cappuccina, ma accoglie anche diversi autori dell’ultimo 500 e del primo ‘600 per esemplificare una ricchezza della spiritualità francescana e cappuccina.

Gli autori, in ordine di apparizione, sono: Bernardino d’Asti, Francesco Tittelmans, Giovanni da Fano, Francesco da Jesi, Girolamo da Molfetta, Bernardino Ochino, Bernardino da Montolmo, Bernardino da Balvano, Francesco da Fognano, Mattia Bellintani da Salò, Silvestro da Rossano, Cristoforo da Verucchio detto il Verucchino, Gregorio da Napoli, Michelangelo da Venezia, Paolo da Terni, Francesco da Corigliano, Tommaso da Olera, Valerio da Venezia, alcuni testi inediti e anonimi e, sintesi conclusiva, Alessio da Salò.

Il criterio di scelta dei brani ha tenuto presente qualche volta anche l’aspetto letterario del testo, ma soprattutto ha badato all’insegnamento pratico, all’esperienza e metodo di preghiera che questi maestri spirituali (alcuni di grande rilievo) hanno insegnato nel loro tempo, creando schiere di anime oranti anche fra i laici. Il tema della preghiera affettiva, della meditazione e contemplazione, con tutte le diverse modalità, domina in queste pagine che, nella loro semplicità, ridondano di genuina spiritualità francescana e diventano punto di ispirazione per il nostro tempo.

Sez. II: Apostolato ed evangelizzazione (1528-1630)

Quantunque nel tema della predicazione si potrebbe inserire la maggior parte dei testi raccolti nella precedente sezione, in quanto si tratta di libretti nati dalla viva predicazione, in questa seconda sezione piú specificamente si cerca di raccogliere diversi testi che riguardano direttamente: 1) la predicazione; 2) le Quarantore; 3) l’assistenza ai malati e appestati, ai moribondi e agonizzanti e ai condannati a morte; 4) l’insegnamento del catechismo al popolo; 5) le missioni e i missionari. In tal modo resta diviso tutto il vastò materiale di questa sezione. Potrà sembrare, in molti casi, come nel tema della predicazione, già tante volte incontrato, una ripetizione, ma non lo è. La distinzione con altri testi che testimoniano l’apostolato cappuccino, raccolti in altre parti e sezioni, sta nel fatto che qui si riportano testi di letteratura cappuccina specifica su vari settori di attività apostolica.

1) Cosí nella sottosezione predicazione si propongono testi di prediche fatte da frati cappuccini nel primo secolo della loro storia, desunte sia da stampati del tempo, sia da manoscritti inediti. Dopo un’introduzione poetica che raccoglie i temi della predicazione penitenziale del corifeo dei cappuccini, Matteo da Bascio, col famoso ritornello: “A l’inferno i peccatori!”, vengono riportate diverse magnifiche prediche di Bernardino Ochino, esempio della predicazione evangelica dei primi cappuccini; poi altri esempi di prediche di Girolamo da Pistoia, Bernardino da Balvano, Mario da Mercato Saraceno, Giovanni M. da Tusa, Alfonso Lupo, Mattia Bellintani da Salò, Matteo Lolli da Agnone, san Giuseppe da Leonessa, san Lorenzo da Brindisi, Anselmo Marzati da Monopoli, Giacinto da Casale e Girolamo da Narni.

Di questa predicazione vengono rilevate le caratteristiche, l’evoluzione, lo spirito, il metodo. I testi si potranno leggere, il piú delle volte, come se si trattasse di scritti di spiritualità, chiara dimostrazione che i libretti cappuccini nascevano, come si è detto, solitamente dall’esperienza della predicazione.

2) Le quarantore sono state, come è noto, un apostolato tipico dei cappuccini. In questa sottosezione vengono raccolte alcune regole da osservarsi nello svolgimento di questa devozione: quelle dettate da Giuseppe da Ferno nel 1538 e da Bernardino Ochino nel 1540; poi il Trattato di Mattia Bellintani del 1588; il “‘Modo et ordini” di Fedele da S. Germano del 1614 e molti altri testi che riferiscono il grande successo ottenuto dai predicatori cappuccini in questo apostolato.

3) L’assistenza ai malati e appestati, ai moribondi e condannati a morte è il tema che raccoglie vari scritti cappuccini che insegnano il comportamento e il metodo pastorale piú adatto in questo difficile settore dell’apostolato. Ma non trascura quelle testimonianze particolari che riferiscono la dedizione eroica dei frati in tempo di peste. Cosí si riporta una importante pagina di Salvatore da Rivolta sulla peste di san Carlo del 1576 e il servizio prestato dai cappuccini; si scelgono alcuni brani significativi dal “Dialogo della peste” di Paolo Bellintani da Salò; testimonianze di assistenza a soldati infermi; gli “Avvisi, ricordi et ordinationi”, ossia una lettera pastorale sulla peste, di Domenico da Palermo, ministro provinciale di quella provincia; varie pagine dal “Processo autentico” e altre relazioni di frati e testimonianze di medici sulla peste del 1630-31.

Per l’assistenza in genere ai malati, moribondi e condannati a morte viene proposto un opuscolo di Gregorio da Napoli che insegna come bisogna consolare spiritualmente un ammalato; un altro opuscolo di Mattia da Salò per “confortare e aiutare i condannati a morte” un capitolo del cerimoniale del Boverio che tratta della “disciplina da osservare nella visita ai secolari ammalati”. Finalmente, per completare il discorso, anche se si oltrepassa il limite cronologico, si ripor-tano, come testi rari, alcune pagine di Giuseppe da Cammarata sul modo di soccorrere le “anime tribolate, afflitte e agonizzanti” e un'”Instruttione al ben morire” di Giovanni da Sestola, ambedue scritti nel quarto decennio del Seicento.

4) Un aspetto importante della predicazione popolare dei frati cappuccini, già nel primo secolo è l’insegnamento del catechismo. I cappuccini scrissero molti catechismi e li divulgarono fra il popolo. Per ricostruire questa letteratura, piccola di formato e pressocché ignota, riportiamo alcuni elementarissimi appunti di dottrina cristiana inseriti da Giovanni da Fano nel suo libretto mistico “Arte de la unione” ad uso anche dei religiosi fratelli non sacerdoti, come il piccolo catechismo inserito nei libretti della Regola distribuiti dai frati; poi la “Dottrina de la religione cristiana” di Girolamo da Molfetta, del 1539. Accenniamo anche al libretto “I divini precetti” (1543) di Giacomo da Molfetta “senior”; un testo di un anonimo cappuccino che insegna un “breve modo di confessarsi” (1552) e quello inedito di Giovanni M. da Tusa (1580). Accenniamo anche all’insegnamento catechistico di Ludovico Galli da Trento a Modena a metà del sec. XVI e al catechismo controversistico di Maurizio Gambarino della Morra (1601). Ma soprattutto vogliamo valorizzare e riportare integralmente, perchè rarissimo, il “capolavoro”, a nostro giudizio, di questa letteratura cappuccina sul catechismo, ossia il “Dialogo del Maestro e del Discepolo”, la cui prima edizione risale al 1539 ed è opera del “predicatore evangelico” Antonio da Pinerolo.

5) Per completare la sezione che riguarda l’apostolato si è voluto inserire all’ultimo momento anche il tema missioni e missionari per poter riportare alcuni testi, pochi in verità, che non hanno trovato posto altrove, come la relazione del 1585 sull’apostolato dei cappuccini in Algeri tra gli schiavi, la lettera di padre Pacifico della Scala che chiede la fondazione della missione in Oriente al card. L. Ludovisi nel 1623; o brani scelti dalla lunga e succosa relazione di Bonaventura da Caspano sulla missione dei cappuccini nella Rezia e altre analoghe eventuali relazioni.

A scanso di equivoci, si noti che tutto questo materiale documentario risulta piú comprensibile se confrontato e collegato con le altre parti di questa antologia. Infatti l’apostolato è presente dappertutto dove vive il frate cappuccino, come lo spirito di orazione e devozione al quale tutto deve servire.

Sez. III: Testimonianze sulla vita cappuccina dai processi di canonizzazione (1587-1626)

La terza e ultima sezione della terza parte intende raccogliere, dalle deposizioni giurate durante i processi canonici, una antologia di brani significativi che colgono la vita cappuccina dei nostri primi santi, beati, venerabili e servi di Dio, nella convinzione che essi hanno interpretato lo spirito in modo autentico e, quindi, vivono piú genuinamente e manifestano in modo piú trasparente il carisma dell’Ordine.

Da queste testimonianze potrà rilevarsi cosa pensano, di questi santi frati, le diverse categorie di persone: la gerarchia, il clero, i religiosi, il popolo; una tipologia di santità che, pur mettendo in evidenza i legami stretti vigenti fra i modelli allora in onore, le strutture politiche e sociali in cui questi modelli si sono sviluppati e le aspirazioni religiose dell’epoca, offrono ai nostri contemporanei moltissime indicazioni e precisazioni sul senso concreto e fattivo della vita cappuccina, valido in ogni tempo.

Abbiamo scelto quattro sacerdoti e quattro fratelli, nell’ambito cronologico fissato, che hanno avuto ufficiali processi con le relative positiones. Al primo posto, è ovvio, sta san Felice da Cantalice (+ 1587), il cui “pocesso sistino”, disponibile nella bella edizione curata da Mariano D’Alatri, ci ha facilitato il lavoro; poi il ven. fra Raniero da Borgo S. Sepolcro (+ 1588), san Serafino da Montegranaro (+ 1604) e Fra Geremia da Valacchia (+ 1625), ultimamente beatificato da Giovanni Paolo II. Questi sono tutti fratelli laici.

I sacerdoti sono: san Giuseppe da Leonessa (+ 1612), san Lorenzo da Brindisi (t 1619), il beato Benedetto da Urbino († 1625) e il ven. Francesco da Bergamo (+ 1626). Abbiamo tralasciato san Fedele da Sigmaringen († 1622), protomartire di Propaganda Fide, per la natura stessa del processo e delle “depositiones”, volte a provare il fatto del martirio e quindi meno adatte ai nostri intenti.

Questa sezione diventa come una storia della santità cappuccina del primo secolo, non vista attraverso categorie piú o meno cerebrali, ma colta nella vita, appunto, dei santi. È bene, quindi, lasciare ai santi l’ultima parola, che è la piú vera.[84]

4) Parte quarta con due appendici e gli indici

La quarta e ultima parte, corrispondente al quarto volume dell’o-pera, raccoglie un materiale documentario composito, con prevalenza di documenti e testimonianze che riferiscono l’impatto e descrivono la prima espansione «europea» della riforma cappuccina, con tutti i suoi problemi antropologici di acculturazione e inculturazione. Perciò è stata intitolata: «Espansione e inculturazione». Infatti lo stile di vita e molte espressioni «materiali» e «mentali» della vita cappuccine «italiana» subiranno, sempre però nell’unità dello spirito e nell’ispirazione del carisma, diverse variazioni e sfumature, anche se non essenziali, a causa del nuovo ambiente religioso e culturale.

Per la complessità della tematica e la vastità dell’orizzonte documentario, le cinque sezioni, in cui è stata divisa quest’ultima parte dell’opera, sono state elaborate in modo piú contenuto e discreto, pur dando al soggetto un disegno sufficientemente completo e preciso. Ad esse sono state aggiunte due appendici, come due sezioni a sé stanti.

Infine, come strumento fondamentale di consulta e di utilizzazione pratica dei quattro volumi, vien posto tutto l’apparato dei diversi indici: delle abbreviazioni, della bibliografia, dei documenti e testimonianze in ordine cronologico, l’indice analitico-sistematico a modo di dizionario (questa è la vera chiave di studio e consulta delle fonti cappuccine), l’indice delle illustrazioni e, infine, l’indice generale. E allora, esclusi gli indici, ne risulta il seguente quadro:

IV
ESPANSIONE E INCULTURAZIONE
1. Testimonianze sui primi cappuccini in Francia (1575-1625)
2. Testimonianze sui primi cappuccini in Belgio-Olanda (1585-1625)
3. Testimonianze sui primi cappuccini (1571-1590) in Svizzera
4. Testimonianze sui primi cappuccini (1578-1619) in Spagna
5. Testimonianze sui primi cappuccini nei paesi del Centro-Est europeo (1593-1630 c.)
APPENDICI
1. Iconografia, architettura e «arte» cappuccine
2. Origine e primo sviluppo delle clarisse cappuccine (1535-1611)

Sez. I: Testimonianze sui primi cappuccini in Francia (1575-1625)

Questa sezione vuole essere solo un piccolo saggio di un’abbondantissima documentazione che non è possibile in questa sede riferire. L’abilità di questa scelta discrezionale è il risultato dell’intervento di due studiosi che si sono spartiti il tema. J. Mauzaize ha affrontato l’argomento piú in generale: «I primi cappuccini in Francia nel contesto del paese», ed ha raccolto una ventina e piú di documenti allineati cronologicamente dal 1572 fino al secondo decennio del sec. XVII. Optatus van Asseldonk ha completato lo studio presentando «la vita spirituale e sociale dei cappuccini in Francia» con una scelta ragionata di testi tipici di cinque autori spirituali cappuccini: Benedetto da Canfield (‡ 1610), Lorenzo da Parigi (+ 1631), Onorato Bochart de Champigny da Parigi (+ 1624), Giuseppe du Tremblay da Parigi (+ 1638) e Martial d’Etampes († 1635). Ne risulta una visione sufficiente, anche sotto il profilo del misticismo e della letteratura spirituale che, forse, è l’aspetto piú caratteristico della presenza dei cappuccini in Francia nel sec. XVII.

Sez. II: Testimonianze sui primi cappuccini in Belgio-Olanda (1585-1625)

Questa sezione, nella scelta di precise testimonianze, cerca di collocare i primi cappuccini nell’ambiente dei Paesi Bassi, sia in senso generale che «spirituale-sociale». Il tema è svolto da uno studioso specialista nel settore, Optatus van Asseldonk, che propone una dozzina di documenti e testimonianze che riflettono giudizi di vescovi e di altre autorità ecclesiastiche e civili sui cappuccini, soffermandosi particolarmente sul problema del «misticismo» e relative controversie scoppiate contro autori cappuccini verso la fine del sec. XVI.

In particolare vengono pubblicate alcune pagine inedite del Caeremonale belga del 1594, probabilmente il primo del genere nell’Ordine, e altre testimonianze sul tema del «misticismo»; e dopo la difesa di Francesco Nugent, il ministro generale Girolamo da Castelferretti che richiede un manuale mistico per i cappuccini. Poi diverse testimonianze relative a Cipriano Crousers d’Anversa che difende l’ortodossia mistica di Benedetto da Canfield e di Lorenzo da Parigi contro il duro attacco del carmelitano Girolamo Graziano. Infine vengono estratte alcune pagine significative dagli scritti spirituali di Giovanni Evangelista da ‘s-Hertohenbosch e di Costantino da Barbençon e da altri testi mistici, anche poetici, di cappuccini olandesi.

Sez. III: Testimonianze sui primi cappuccini in Svizzera (1571-1630 c.)

Questa sezione, curata da R. Fischer, noto studioso della storia dei cappuccini in Svizzera, raccoglie dodici significativi documenti cronologicamente allineati dal 1571 al 1590. Inizialmente si nota la «longa manus» di san Carlo Borromeo, che difende alcuni cappuccini in una lettera a Melchior Lussi; poi la richiesta della comunità di Altdorf al santo cardinale per avere i cappuccini (1579), una prima relazione di Francesco da Bormio sulla venuta dei frati in Svizzera (1582), un’interessante testimonianza di un protestante e del nunzio

Ottavio Paravicini (1582 e 1590), una descrizione del «modus vivendi» dei frati da parte del commissario provinciale Francesco Foresti da Brescia (1584), una descrizione del convento di Lucerna (1584) e preparativi per costruire un convento cappuccino nel racconto di Rufino von Baden (1585); infine l’attività apostolica di Ludovico da Sassonia in una sua relazione (1589), le ordinazioni del commissario generale Michele da Sala (1589) e alcuni formulari (1590).

A queste testimonianze si è voluto aggiungere qualche testo di letteratura spirituale cappuccina, estratto da alcuni scritti e lettere di Ludovico da Sassonia, di Bonaventura von Pluvio, di Gianpietro da Obergam (+ 1634) e di san Fedele da Sigmaringen († 1622).

Sez. IV: Testimonianze sui primi cappuccini in Spagna (1578-1619)

Questa sezione, elaborata con puntuale ricerca da Germán Zamora, raccoglie le testimonianze e i documenti, numerati progressivamente fino a 82 pezzi, in tre parti: 1) Mezzo secolo di tentativi e di opposizioni all’ingresso o diffusione dei cappuccini in Spagna (1535-1577); 2) il sorgere delle province (1575-1637); 3) la vita cappuccina in Spagna.

Il tema è analizzato in tutte le sue componenti e tratta anche dei diversi frati spagnoli che per farsi cappuccini furono costretti a espatriare e a venire in Italia, tra i quali Juan Zuazo proto-martire cappuccino, Giovanni da Valencia, Pietro Trigoso e Alfonso Lobo.

La prima parte raccoglie 15 documenti dal 1535 al 1577: interventi del card. Quiñones e di Carlo V contro i cappuccini (1535-36) e l’impegno di molti zelanti per favorire la nuova riforma, fino alla richiesta degli Scalzi di entrare tra i cappuccini; poi i tentativi di Francesco Alarcon, l’opportunità della vittoria a Lepanto nel 1576 per introdurre i cappuccini in Spagna e il breve di Gregorio XIII Inter caetera (27 aprile 1577) che autorizza una fondazione eremitica cappuccina in Spagna.

La seconda parte enumera ben 42 documenti, dall’iniziativa in Catalogna (1576) con la fondazione di Barcellona e di molti altri conventi, e l’ostilità degli osservanti. Ciò nonostante viene fondata la provincia di Valencia (1605) con l’interessamento e aiuto di san Giovanni de Ribera e sorgono le province di Aragona (1609) e di Castiglia nel periodo di san Lorenzo da Brindisi (1605-1618). Si aggiungono molte altre fondazioni di conventi famosi, come quello di El Pardo a Madrid (1612), di Antequera e altri.

I restanti documenti delineano la vita cappuccina in Spagna, caratterizzata da austerità, povertà, umiltà, osservanza delle costituzioni. Infine vengono riportati alcuni testi della prima letteratura spirituale cappuccina.

Sez. V: Testimonianze sui primi cappuccini nei paesi del Centro-Est europeo (1593-1630 c.)

Questa sezione si è resa necessaria per completare, anche se in modo sommario, il disegno e l’ambito di tutta la prima espansione europea dei frati cappuccini dalla fine del sec. XVI ai primi due o tre decenni del Seicento, e abbraccia geograficamente il Centro-Est europeo, ossia la zona della Germania attorno a Köln e Westfalen, in Baviera, Tirolo e poi Austria, Boemia e Polonia. Dalla provincia belga, come madre, hanno origine la provincia renana o di Colonia e i primi fondamenti della provincia di Westfalia. Dalla provincia veneta, invece, come madre, inizia la provincia del Tirolo fino a Monaco di Baviera.

Essendo vastissimo l’ambito geografico, articolata e diversificata la cultura, la raccolta documentaria segue con discrezione questo sviluppo utilizzando anche varie testimonianze inedite.

Appendice I: Iconografia, architettura e «arte» cappuccine

In questa sezione, aggiunta come prima appendice, si vuol catalogare e interpretare lo stile e il messaggio della prima iconografia cappuccina ricavata da stampe antiche del Cinquecento e primo Seicento. Per il Cinquecento le immagini sono piuttosto rare e sono reperibili sia sui frontespizi o antiporte di edizioni cinquecentine cappuccine, sia, piú raramente, in stampe isolate. Nel Seicento, invece, l’iconografia cappuccina ha un grande sviluppo e trova la sua espressione piú significativa e matura nelle famose stampe dei Flores Seraphici di Carlo d’Arenberg.

Una seconda parte di questa sezione si propone di raccogliere quegli elementi descrittivi e interpretativi dell’architettura e arte povera dei conventi e chiese cappuccine e altri oggetti caratteristici della vita conventuale e sociale dei primi cappuccini (abito, corona, stampe e detti devozionali, ecc). È un modo anche questo di cogliere importanti risonanze spirituali espresse da inconfondibili segni esteriori di una vita religiosa e francescana incarnata e inculturata.

In particolare viene pubblicato per la prima volta il «Memoriale per fabbricare un nostro piccol et ordinato monastero», opera dell’architetto e fabbriciere cappuccino Antonio da Pordenone (‡ 1628). Tutto questo tema è sviluppato dal direttore del Museo Francescano di Roma, Servus Gieben, già qualificato in materia come specialista nell’iconografia francescano-cappuccina.

Appendice II: Origine e primo sviluppo delle Clarisse cappuccine (1535-1611)

Quest’ultima sezione, come seconda appendice, è elaborata con una certa ampiezza. Dopo un’introduzione che è un’attenta narrazione del primo sviluppo storico delle clarisse cappuccine, a partire dal monastero napoletano di S. Maria in Gerusalemme con la ven. Maria Lorenza Longo (1535) alla prima espansione a Perugia (1553), a Gubbio (1557), a Brindisi (1571), a Roma (1574), a Genova (1577), a Milano (1578) e anche in Spagna, Paesi Bassi, Germania e Svizzera, cui segue un’esposizione della legislazione e spiritualità delle cappuccine, Lázaro Iriarte, che ha attentamente curato questa parte, divide la rassegna dei documenti in tre punti: 1) Documenti pontifici (1535-1629); 2) Cronache e testimonianze (1560-1600); 3) «Osservanze» delle cappuccine (legislazione e regolamenti: 1538-1624 c.).

I documenti pontifici sono 22, dalla bolla di fondazione di Paolo III, Debitum pastoralis offici (19 febbr. 1535), rilasciata a Maria Lorenza Longo, fino al breve di Urbano VIII, Ex debito pastoralis offici (13 agosto 1629).

Le «cronache e testimonianze» comprendono sei gruppi di testi diversi: le pagine della Historia capuccina del Bellintani sull’origine delle cappuccine; la testimonianza di Pietro De Stefano (1560); i rapporti di san Carlo Borromeo con le cappuccine a Milano, e qui vengono riportati vari documenti: un brano dal libro delle vestizioni e professioni del monastero di S. Prassede (1578), lettere e sermoni di san Carlo (1579, 1583), la relazione di Giambattista Casale (1579); c’è anche una lettera della abbadessa di S. Prassede alla contessa Margherita Borromeo perché ottenga dal card Federico che i cappuccini prendano la direzione spirituale del monastero. Altri testi riguardano le fondazioni fuori Italia: c’è una testimonianza sul genere di vita delle cappuccine di Granada (1590), e lettere di Filippo III per la fondazione del monastero di Barcellona (1601), lettera di Ludovico da Sassonia alla comunità di Panneregg (1592).

Infine, nella parte relativa alla «legislazione», vengono presentati vari testi: le norme sulla clausura della ven. Maria Lorenza Longo (1538), postille alla Regola di santa Chiara e alle costituzioni colettine (1570 c.), le usanze del monastero di S. Maria in Gerusalemme a Napoli (1576 c.), la prima edizione delle antiche costituzioni delle clarisse cappuccine (1611), in 15 capitolo, da confrontarsi con le «Constituzioni delle reverende madri capuzzine di Padova» del 1607, molto piú libere dal testo delle costituzioni di santa Coletta. Si aggiunge anche un «Dialogo della regolare osservanza per le religiose novizie che hanno da fare la sua professione», di Valerio da Venezia (1610) e le costituzioni delle cappuccine svizzere di Antonio da Cannobio († 1624).

In questo quadro si ha una classificazione sistematica delle molteplici tipologie di documenti e testimonianze relative alla storia e spiritualità dei frati cappuccini nell’arco del primo secolo.

Conclusione

E ora the last, but not the least: se la mole dell’opera, nella sua «quadratura», e l’abbondanza esuberante della documentazione possono spaventare i lettori moderni che amano la brevità, la facilità e la velocità, si tenga presente che si è voluto fare un servizio che resti nel tempo, piú che un’opera di consumo nella cultura dell’immediato e dell’effimero, sapendo che questa è stata un’occasione unica, che non tornerà piú. E allora, piuttosto che sacrificare molti documenti e molte testimonianze, nel dubbio, abbiamo creduto che melius est abundare quam deficere.

Del resto, ogni lettore amerà sempre leggere quei testi che piú gli si confanno. Ma il vero metodo, lineare nell’oggettività e pellegrino infaticabile nella ricerca della verità, consisterà soprattutto nel coraggio di leggere anche i testi che sembrano meno attuali o relitti di una cultura superata, cosí da evitare il rischio di forzate attualizzazioni e modernizzazioni, per riuscire, invece, a risalire alle sorgenti e penetrare in profondità nelle radici del cappuccinesimo.

Non resta che esprimere i doverosi ringraziamenti ai collaboratori e ai traduttori che hanno lavorato con noi, permettendo di realizzare, dopo dieci anni, questa edizione. Un ringraziamento poi ai numerosi confratelli archivisti e bibliotecari, che sarebbe molto lungo elencare, col rischio di tralasciare qualcuno; e, particolarmente, a tutti i ministri provinciali d’Italia che hanno favorito, sostenuto e aiutato questo lavoro; ma soprattutto al fratello ministro generale, Flavio Roberto Carraro, che ha voluto, continuamente spronato, seguito le varie fasi del lavoro e ultimamente ci ha permesso di dedicarci completamente, liberati da altri impegni, alla realizzazione di questa iniziativa.

E, per finire, anche noi, insieme ai destinatari di quest’opera, sentiamo vivo il bisogno di elevare un inno di lode e di riconoscenza alla Vergine Immacolata, patrona e regina dell’Ordine francescano, al padre san Francesco, a santa Chiara, a san Felice da Cantalice e a tutti i santi cappuccini, piccoli e grandi noti e nascosti, che con la loro eroica fedeltà a Cristo e alla Chiesa hanno reso fertile di amore e di servizio l’Ordine dei frati minori cappuccini.

  1. Cf. E. d’Alençon, De primordis, 10-12; C. Urbanelli, Storia I/1, 160s.
  2. Cf. MHOC II, 26.
  3. Cf. Cost. 1536, prologo.
  4. Si veda, ad esempio: H. Jedin, Chie sa della fede, Chiesa della storia. Saggi scelti, Brescia 1972; A. Cistellini, Figure della rifor ma pretridentina, Brescia 1979 (ed. anastatica); M. Bendiscioli-M. Marcocchi, Riforma cattolica. Antologia di documenti, Roma 1963; e, per l’Osservanza: M. Fois, Osservanze, Congregazioni di Osservanza, in DIP VI, 1036-57.
  5. Cf. Stanislao Santachiara, La bolla «Religionis zelus», in Le origini della riforma cappuccina, Ancona 1979, 261-280.
  6. Cf. Ordres monastiques. Histoire extraite de tous les auteurs qui ont conservé à la posterité ce qu’il y a de plus curieuse dans chaque Ordre, tome troisième, Berlin 1751, 211s.
  7. Cf. Ch. d’Arenberg, Arbor seraphicae religionis seu Epilogus iconographicus totius Ordinis S. Francisci, Anverse 1650; Lexicon cap., 116-118 ( = Arbor seraphicae religionis); CF 3 (1933) 410s; Bavaria Franciscanaantiqua V, München 1961, 637.
  8. Cf. S. Bonav., Epistula de tribus quaestionibus, 13 (Op. omnia VIII, 336).
  9. Cf. Ilarino da Milano, L’incentivo escatologico nel riformismo dell’Ordine francescano, in L’attesa dell’età nuova nella spiritualità della fine del medioevo, Todi 1962, 1-55.
  10. Sulla polemica degli Spirituali cf. Chi erano gli Spirituali. Atti del III Convegno internazionale. Assisi, 16-18 ott. 1975, Assisi 1976; A. Frugoni, Dai «pauperes ere mitae domini Celestini» ai «fraticelli de paupere vita», in Celestiniana, Roma 1954, 125-167; René de Nantes, Histoire des Spirituels dans l’Ordre de saint François, Couvin-Paris 1909; Lydia von Auw, Angelo Clareno et les Spirituels italiens, Roma 1979; G. Luca Potestà, Storia ed escatologia in Ubertino da Casale, Milano 1980.
  11. Cf. A. Volpato, Gli Spirituali e “«intentio» di S. Francesco, in Riv. Storia Chiesa in Italia 33 (1979) 118-153; L. Di Fonzo, L’immagine di san Francesco negli scritti degli Spirituali, in Francesco d’Assisi nel la storia (secoli XIII-XV), Roma 1983, 63-122; M. Fois, L’« Osservanza » come espressione della ‘Ecclesia semper renovanda’ in Problemi di storia della Chiesa nei secoli XV-XVII, Napoli 1979, 13-107; R. Manselli, Dagli Spirituali all’Osservanza. Momenti di storia francescana, in Humanitas 6 (1951) 1217-1228; Il rinnovamento del francescanesimo: l’Osservanza. Atti dell’ XI Convegno internazionale. Assisi, 20-21-22 ott. 1983, Assisi 1985.
  12. Cf. Ilarino da Milano, San Bernardino da Siena e l’Osservanza minoritica, in S. Bernardino da Siena. Saggi e ricerche, Milano 1945, 379-406; M. Sensi, Le osservanze francescane nell’Italia centrale (secoli XIV-XV),Roma 1985; P.J.Meseguer Fernández, La bula « Ite vos » (29 de mavo de 1517) y la re-forma cisneriana, in AIA 18 (1958) 257-361.
  13. Per tutte queste riforme cf. ora D. Nimmo, Reform and Division in the medieval Franciscan Order from Saint Francis to the formation of the Capuchins, Rome 1987.
  14. Cf. A. Chastel, Il sacco di Roma, 1527, Torino 1983, specie 97-106.
  15. Cf. J. Meseguer Fernández, Programa de gobierno del P. Francisco de Quiñones, ministro general O.F.M. (1523-1528), in AIA 21 (1961) 5-51; Id., Constituciones recoletas para Portugal, 1524 e Italia, 1526, ibid.,459-489; A. Uribe, La Aguilera plantel de la Recollección y estatutos por que se regian, ibid., 9 (1918) 264-272; J. Poulenc, Le case di recollezione nel francescanesimo, in DIP VII, 1322-1331.
  16. Cf. Urbanelli, Storia I/1, 163-208.
  17. Cf. C. Cargnoni, Alcuni aspetti del successo della riforma cappuccina nei primi cinquant’anni (1525-1575), in Le origini cit., 224s, 236s.
  18. Cf. A. Chastel, Il sacco di Roma cit., 174-178.
  19. V. Gioberti, Il gesuita moderno, IV, Losanna 1847, 104s.
  20. Molte pagine dedica il Colpetrazzo a questo tema. Cf. ad esempio, MHOC II, 98, 212-216. Il tema riemerge continuamente nei primi scritti dei cappuccini e especie nelle Cost. 1536, nn. 63-64 (nn. 245-246).
  21. Cf. MHOC IV, 185, 166, 174s, 181s, ecc.
  22. Cf. MHOC II, 257.
  23. Cf. M.M. Lebreton, Iconographie fonctionnelle, in Rev. des Sciences religieuses 28 (1954); P. Scazzoso, Il problema delle sacre icone, in Aevum 43 (1969) 304-323; A. Provoost, La méthode iconologique et l’interpretation de représentations antiques, in Bull. de l’Inst. Histor. Belge de Rome, fasc. 44 (1974) 503-511.
  24. Cf. MHOC II, 128; I, 186.
  25. МНОС II, 26, 257, I, 255; VII, 179.
  26. Cf. Salvatore da Rivolta, Fondatione de’ conventi della provincia di Milano, in Metodio da Nembro, Salvatore da Rivolta e la sua cronaca, Milano 1973, 5.
  27. Cf. FF n. 2252.
  28. Cf. MHOC VI, 535. – Le stampe antiche testimoniano anche questo «bello orrido» dei primi cappuccini, simili a monaci ed eremiti del deserto. Si veda, nell’ultimo volume di quest’opera, lo studio di Servus Gieben sull’ iconografia cappuccina.
  29. Cf. A. Vecchi, Correnti religiose nel Sei-Settecento veneto, Venezia -Roma 1962, 129-131, e nota 1.
  30. Il Gabinetto di stampe del Museo Francescano di Roma, presso l’Istituto Storico dei cappuccini, raccoglie moltissimo materiale iconografico, circa 1300 disegni e quasi 15.000 stampe antiche, di cui moltissime riguardano l’iconografia cappuccina. Cf. Il Museo Francescano. Catalogo, a cura di P. Gerlach – S. Gieben – M. D’Alatri, Roma 1973.
  31. Cf. MHOC VII, 17.
  32. Si vedano i motivi della popolarità dei cappuccini espressi dal Colpetrazzo. Cf. МНОС IV, 1655.
  33. Citaz. da L. Palomes, Dei frati minori, Palermo 1897 3, 523.
  34. Ibid., 517.
  35. Cf. F. R. de Chateaubriand, Genio del cristianesimo, III, trad. di L. Toccagni. 7ª ediz., Milano 1846, 95-97; Oeuvres completes de Chateaubriand, II, Paris 1929, 433s: si noti in questa tenerezza romantica l’esaltazione dell’anzianità.
  36. Cf. H. D. Lacordaire, Conferenze, trad. A. Lissoni, Milano 1852, 218s (= Sullo stabilimento dei Padri Cappuccini); cf. Conférences de Notre-Dame de Paris, t. II, in Oeuvres III, Paris 1857, 196s.
  37. Cf. Modeste de Corpataux, L. Veuillot, avocat des Capucins, in St. Fidelis 25 (1938) 118-122.
  38. V. Gioberti, Il gesuita moderno, I, Losanna 1847, 104-106.
  39. A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti, Milano 1958, c. III, p. 53; vedi inoltre G. Santarelli, I cappuccini nel romanzo manzoniano, Milano 1970.
  40. Paolo VI, Lettera al ministro generale in occasione del capitolo generale straordinario dei cappuccini (20 agosto 1974), in Notiziario cap. 8 (1974) 10s; in latino in AO 90 (1974) 179; inoltre cf. Discorso ai partecipanti al capitolo generale (30 sett. 1974), ibid., 290; ora anche in Cari Cappuccini…, Discorsi di Paolo VI ai Cappuccini, Perugia – Edizioni Frate Indovino, [1985], 53 e 47s.
  41. Paolo VI, «Una via difficile e perfetta». Allocuzione in occasione del capitolo generale speciale dei cappuccini (21 ott. 1968), in AO 84 (1968) 315; Cari Cappuccini…, 32s.
  42. Discorso del card. Montini nella chiesa dei cappuccini di Lecco (27 sett. 1959), in Atti dei Fr. Min. Cap. della Provincia di S. Carlo in Lombardia IX/6-7 (apr.-sett. 1959) 248.
  43. Discorso ai partecipanti, 290; «Una via difficile e perfetta», 316.
  44. Ibid.; Cari cappuccini cit., 35 e 31; cf. anche Clemente di S. Maria in Punta, La vita religiosa in una lettera di Paolo VI ai cappuccini, in Vita Minorum 46 (1975) 27-30.
  45. La cronaca di questa visita quasi improvvisata, con il relativo discorso che impressionò molto i frati, essendo già in parte sensibilizzati al rinnovamento dell’Ordine, si può leggere in Atti dei Fr. Min. Cap. cit., 248s; e ora in E. Sala – U. Panzieri, I cappuccini nella storia di Lecco. Presenze – opera – testimonianze dalle origini ad oggi, Lecco 1987, 260-262.
  46. «Castello» è la zona ai piedi del pendio del monte detto di S. Martino, dove è stato costruito il convento cappuccino, ed era cosí denominata a causa di un «castello», appunto, dove, nel Seicento, alloggiava un comandante con una stabile guarnigione di soldati spagnoli, come ricorda anche il Manzoni nel suo romanzo, al cap. IV.
  47. Cf. parte I, sez. I.
  48. Cf. parte IV, sez. I-V.
  49. Cf. parte II, sez. I.
  50. Cf. parte II, sez. IV.
  51. Cf. parte I, sez. IV, alla fine.
  52. Cf. parte III, sez. II, dove si tratta anche dell’assistenza agli ammalati e agli appestati.
  53. Sulla storia e attività dell’Istituto Storico cf. l’accurato studio di Isidoro da Villapadierna, I cinquant’anni dell’Istituto Storico cappuccino. Gli uomini e le opere, in CF 50 (1980) 5-34.
  54. Sugli Annales del Boverio cf. Melchor de Pobladura, De cooperationibus in compositione Annalium Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, in CF 26 (1956) 9-47; id., De prima versione italica «Annalium» Zachariae Boveri Salutiensis hucusque inedita, ibid. 25 (1955) 305-312; Vittorio da Ceva, P. Zaccaria Boverio, teologo e annalista, in IF 24 (1949) 133-141.
  55. Cf. Eduardus ab Alençon, De Annalibus Ordinis decursu temporum typis evulgatis, in AO 21 (1905) 53-57; G. Santarelli, Documenti cappuccini di interesse manzoniano, Ancona 1973, 34-39; Melchior de Pobladura, Historia generalis O.F.M. Cap., II/1, Romae 1948, 432-460 (De historiografia Ordinis).
  56. Cf. in questo senso C. Cargnoni, Fonti, tendenze e sviluppi della letteratura spirituale cappuccina primitiva, in CF 48 (1978) 311-398.
  57. Cf. soprattutto: De primordiis O.F.M. Cap. (1525-1534). Commentarium historicum, Romae 1921; Tribulationes O.F.M. Cap. primis annis pontificatus Pauli III [1534-1541], Romae 1914: questi due studi fondamentali sono stati raccolti da vari articoli pubblicati su AO negli anni 1913-14 e 1918-21; Gian Pietro Carafa vescovo di Chieti e la riforma nell’Ordine dei Minori dell’Osservanza. Documenti inediti sul generalato di Paolo Pisotti da Parma e la provincia di S. Antonio, in MF 13 (1911) 33-48, 81-92, 112-121, 131-144; Il primo convento dei cappuccini in Roma. S. Maria dei Miracoli, Alencon 1907; Il terzo convento dei cappuccini in Roma. La chiesa di S. Nicola de Portis, S. Bonaventura-S. Croce dei Lucchesi. Memorie, Roma 1908; Primigeniae legislationis O. F.M. Cap. textus originales seu constitutiones anni 1536 ordinatae et anno 1552 recognitae cum historica introductione copiosisque adnotationibus, in Liber memorialis, Romae 1928, 333-430; e molti altri articoli disseminati in varie riviste. Cf. Lexicon cap., 525s.
  58. «Auctoribus nostrarum chronicarum integram fidem adhibere non licet, nisi eorum dicta, non semper inter se convenientia, aliis testimoniis extraneorum praesertim qui studi non possunt esse suspecti, vel documentis authenticis confirmentur» (De primordis, 1; 40 34 [1918] 8).
  59. Purtroppo questo studio non è stato ancora fatto. Molti suoi studi meriterebbero anche di essere tradotti in italiano. Essendo stati scritti in latino, la maggior parte dei frati non li ha letti mai.
  60. Cf. The Capuchins. A contribution to the Counter-Reformation, London 1928, 2 voll.; tradotto in italiano: I Cappuccini. Un contributo alla storia della controriforma, Firenze 1930.
  61. Cf. piú avanti, nella parte II, sez. IV, dove si riportano le Cronache minori.
  62. Cf. A Capuchin Chronicle. Now first translated and abridged from the original Italian by a Benedictine of Stanbrook Abbey (Capuchin Classic, III), London 1931).
  63. Cf. I Cappuccini. Un contributo cit 497-508 ( = «Intorno alle fonti della storia primitiva dei cappuccini»).
  64. Cf. Melchior de Pobladura, Historia generalis O.F.M. Cap., 4 voll. in 3, Romae 1947/48/48/51.
  65. Cf. L. Iriarte, Storia del francescanesimo. Ediz. italiana con aggiornamento bibliografico, a cura dell’Autore e di F. Mastroianni, Napoli 1982, 259-284.
  66. Lexicon capuccinum. Promptuarium bistorico-bibliographicum O.F.M. Cap. (1525-1950), Romae 1951, 1867 pp. – Cf. Cassianus ab Oberlutasch, De opere quod «Lexicon capuccinum» inscribitur, in CF 23 (1953) 265-284.
  67. Cf. T. Graf, Zur Entstehung des Kapuzinerordens. Quellen-kritische Studien, Olten u. Freiburg/Br. 1940; e recensione di Melchiorre da Pobladura in CF 10 (1940) 418-427). Stanislao da Campagnola giudicò queste critiche «troppo gravi e lesive»: cf. Le origini francescane come problema storiografico, Perugia 1979 2, 107 nota 106; di quest’ultimo autore, acuto e fecondo, è opportuno qui ricordare un articolo importante: L’esperienza dei primi decenni di vita cappuccina in alcuni studi recenti, in Laurent. 4 (1963) 497-516.
  68. Cf. L. von Pastor, Osservazioni sulle fonti piú antiche per la storia dei cappuccini e la critica del Boverio, in Storia dei Papi, trad. dal tedesco, IV/2, Roma 1956, 728-730; vedi anche ibid., 588-603; V, Roma 1942, 346-353.
  69. Questi suoi numerosi studi sono ora raccolti in: Optatus (de Veghel) van Asseldonk, La lettera e lo spirito. Tensione vitale nel francescanesimo ieri e oggi, 2 voll., Roma 1985.
  70. Cf. Optatus van Asseldonk, Le réforme des frères mineurs capucins dans l’Ordre franciscain et dans l’Eglise, in CF 35 (1965)6s, e ora in: La Lettera e lo spirito, I, 130s.
  71. Ad es. Estud. Franc. 79 (1978) 21-499, con diversi articoli significativi per la storia dei primi cappuccini in Spagna; Altöttinger Franzikusblatt. Sondernummer, München 1978; Boll. Ufficiale Prov. di Foggia – Numero speciale dell’anno 1979; I Cappuccini nella Chiesa. Storia e attualità nel 450° della riforma, Roma 1978; e molte altre iniziative editoriali (articoli divulgativi, commemorazioni ecc.) che sarebbe lungo elencare.
  72. Cf. G. Santarelli, Documenti cappuccini di interesse manzoniano, Ancona [1973]; su questo argomento l’a. ha due altri importanti studi: Il P. Cristoforo manzoniano nella critica, Milano 1971; I cappuccini nel romanzo manzoniano, Milano 1970.
  73. CE. Le origini della riforma cappuccina. Atti del convegno di studi storici. Camerino, 18-21 sett. 1978, Ancona 1979.
  74. C. Urbanelli, Storia dei cappuccini delle Marche. I/1: Origini della riforma cappuccina (1525-1536). I/2: Vicende del primo Cinquecento (1535-1585), Ancona 1978; I/3: Documenti (1517-1609), 2 tomi, Ancona 1984.
  75. Cf. Arturo M. da Carmignano di Brenta, San Lorenzo da Brindisi, Dottore della Chiesa universale (1559-1619). Vol. I-III. Vol. IV: Documenti. Parte I (nn. 1-911). Parte II. (nn. 912-1219), Venezia-Mestre 1960-1963: cf. CF 34 (1964) 200-202, e soprattutto Stanislao da Campagnola, S. Lorenzo da Brindisi (1559-1619) e il rinnovamento cattolico postridentino. A proposito di una recente biografia; in Laurent. 5 (1964) 403-420; altro volume di p. Arturo è inserito nella voluminosa storia della provincia: Storia dei cappuccini veneti. III: Conventi fondati dal 1582 al 1585 e loro vicende fino alla soppressione, Venezia-Mestre 1979.
  76. Cf. Per la storia dei conventi. Atti del 2° convegno di studi cappuccini. Roma, 28-29-30 dicembre 1986, Roma 1987; estr. da IF 62 (1987) 115-208.
  77. Cf. F. Ciardi, I fondatori uomini del lo Spirito. Per una teologia del carisma di fondatore, Roma 1982; vedi anche: E. Sastre, Aproximación a los origenes de un instituto de perfección, in Claretianum 20 (1980) 193s; M. de Certeaux, L’éprouve de temps, in Christus 13 (1966) 313s.
  78. Cf. Ilarino da Milano, Il carisma della riforma dei minori cappuccini e l’autorità gerarchica, civile e popolare, in IF 53 (1978) 551.
  79. Cf. F. Elizondo, Las constituciones capuchinas de 1536. Texto, fuentes, lugares paralelos, in Estud. Franc. 83 (1982) 143-252; id., Contenido de las constituciones capuchinas del 1575 y su relación con la legislación precedente, in Laurent. 16 (1075) 225-280; id., Constituciones capuchinas de 1575 en torno a un centenario, ibid., 3-52; id., Las constituciones capuchinas de 1529. En el 450° aniversario de su redacción en Albacina, ibid., 20 (1979) 389-440; O. Schmucki, Lo spirito francescano nelle «Costituzioni delli frati minori detti della vita heremitica» del 1529, in Le origini cit., (sopra, nota 73), 121-157, e anche in IF 53 (1978) 595-624; id., De loco sancti Francisci Assisiensis in constitutionibus O.F.M. Cap. anni 1536, in CF 48 (1978) 249-310; Le prime costituzioni dei frati minori cappuccini (Roma-S. Eufemia 1536) in lingua moderna con note storiche ed edizione critica, Roma 1982.
  80. Cf. C. Cargnoni, Una sconosciuta fonte inedita del «Dialogo» emendato di Giovanni Pili da Fano, in Estud. Franc. 89 (1988) 343-358.
  81. Cf. K. Eßer, Origini e inizi del movimento e dell’Ordine francescano, trad. daltedesco, Milano 1975, 13-23 (= «Il problema dele fonti»).
  82. Sul problema posto da questo tipo di documentazione si veda C. Urbanelli, Archivi locali e storia dei conventi, in CF 57 (1987) 273-288.
  83. Cf. Annali dell’Ordine dei Fr. Min. Cap. Appendice al tomo terzo divisa in due parti…, descritta ed accresciuta nell’italiana favella da Fr. Giuseppe da Cannobio, I, Milano 1744, nella prefazione.
  84. Su questo cf. Mariano ‘D’ Alatri, I frati minori cappuccini, ossia 450 anni di servizio nella Chiesa, in IF 5 (1978) 525; id., Da una rilettura della vita dei santi cappuccini, in id., Aperti a Dio e al mondo seguendo Francesco d’Assisi, Roma 1986, 105-137; id., Messaggeri e santi seguendo Francesco, Roma 1987.