DOCUMENTI PONTIFICI (1528 – 1627)

PARTE PRIMA

ISPIRAZIONE E ISTITUZIONE

SEZIONE PRIMA

DOCUMENTI PONTIFICI (1528 – 1627)

INTRODUZIONE E TESTI

A cura di ISIDORO AGUDO DA VILLAPADIERNA
archivista generale dell’Ordine

I FRATI CAPPUCCINI. Documenti e Testimonianze del Primo Secolo. A cura di COSTANZO CARGNONI. Roma 1982, 13-56.

Table of Contents

Antecedenti e inizio della riforma cappuccina

Approvazione della riforma – anni difficili – conferma (1528-1536)

Consolidamento ed evoluzione – i decreti tridentini – oltre le Alpi (1537-1575)

Difesa della propria identità – nuove forme ‘apostolato – primato della contemplazione (1576-1607)

Verso l’autonomia (1608-1619)

I cappuccini veri frati minori e figli di san Francesco (1620-1628)

Edizione dei documenti

Ai sommi pontefici, supremi superiori dei singoli istituti di vita consacrata, compete approvare le forme di vivere, regolare con leggi la loro pratica e curarne la crescita e la fioritura secondo lo spirito del fondatore e le sane tradizioni dell’istituto. Nell’approvazione della riforma cappuccina nel 1528, Clemente VII menzionava esplicitamente la sua forma fondamentale di vita: «condurre vita eremitica e osservare la Regola del beato Francesco quanto lo consente l’umana fragilità»; ciò significava, nella intenzione degli iniziatori e poi espresso nelle prime costituzioni del 1536 e nelle successive revisioni, osservarla «semplicemente, alla lettera e senza glossa», rinunciando «a tutte le glosse ed esposizioni carnali, inutili, nocive e rilassative», e accettare come « singolare e vivo commento » di essa, le dichiarazioni dei sommi pontefici e la santissima vita, dottrina ed esempi del padre nostro san Francesco. Le stesse costituzioni comandavano ai frati di non domandare nella curia romana «alcuna lettera», e aggiungevano che il capitolo generale aveva rinunciato a «tutti i privilegi che rilassano la Regola».[1]

L’Ordine cappuccino si reggeva secondo le proprie costituzioni, commentario spirituale e pratico della Regola e guida per la sua osservanza stretta e integrale. Appunto perché le costituzioni erano delle semplici leggi ecclesiastiche particolari dell’Ordine, la Santa Sede non ritenne necessario approvarle esplicitamente e solennemente o in forma ordinaria; però nelle bolle confirmatorie dell’Ordine di Paolo III e di Pio IV le definisce «lodevoli» e nel 1608 e 1627 dichiarerà esplicitamente che esse «nulla contengono che non sia conforme alla

Regola di san Francesco».[2]

I cappuccini, già dall’inizio, furono molto riluttanti nel chiedere l’intervento della Santa Sede. Anche se nel regesto del bollario cappuccino vengono elencati circa 500 documenti pontifici per i primi cent’anni dell’Ordine, quasi tutti pubblicati nello stesso bollario,[3] di essi appena una settantina riguardano strettamente la storia generale dell’Ordine.[4] In questi documenti la S. Sede non interferisce nel programma di vita dell’Ordine e nella sua evoluzione e attuazione lungo i tempi: si limita ad approvare, confermare, tutelare e conferire validità e obbligatorietà alle varie scelte dell’Ordine, scaturite sempre dal primitivo carisma, cioè l’osservanza stretta e integrale della Regola. Del resto, nella legislazione particolare dell’Ordine non vi era niente contrario al diritto generale dei religiosi allora vigente; lo stesso

Ordine, nelle varie revisioni delle sue costituzioni, si premurò di accomodarsi ai nuovi decreti che riguardavano sia il diritto generale, sia quello particolare dell’Ordine francescano.

Tuttavia i documenti pontifici, nella loro scarna formulazione giuridica, vanno letti e interpretati come una testimonianza positiva e autorevole della Santa Sede sullo spirito e la vita dell’Ordine nel suo primo secolo.[5] Anche i documenti proibitivi circa la recezione degli osservanti nell’Ordine, vanno intesi e interpretati alla luce della premura della Santa Sede di conservare la pace entro le famiglie francescane. Così pure, i documenti che vietano ad altri Ordini e istituti religiosi di indossare l’abito cappuccino, o uno a esso simile, non si devono interpretare come un’arrogante pretensione dell’Ordine, ma come l’esercizio del suo diritto naturale a conservare e a difendere la propria identità anche esterna.

Abbiamo scelto, per la loro pubblicazione, soltanto dodici documenti papali che giudichiamo i più rappresentativi e importanti per la storia e la vita dell’Ordine nel suo primo secolo. Di essi, e degli altri, diamo in seguito una rassegna o guida di lettura nel loro contesto storico-giuridico.

Antecedenti e inizio della riforma cappuccina

L’apparizione della riforma cappuccina nel terzo decennio del secolo XVI non fu una novità nella storia francescana, nella quale sembra endemica la tentazione della vita eremitica, intesa come condizione indispensabile per un ritorno all’ideale primitivo, cioè al modello di vita di san Francesco e dei suoi primi compagni quale fu tramandato dalle fonti francescane d’ispirazione leonina e dalla letteratura degli Spirituali. La nuova riforma era stata preceduta, dopo la soppressione degli Spirituali nel 1317, da vari movimenti[6] che miravano all’osservanza letterale della Regola: l’Osservanza italiana iniziatasi nel terzo decennio del secolo XIV e consolidata dopo il 1370, e, fuori d’Italia, sul finire del secolo, diversi gruppi dello stesso segno, ma distinti e indipendenti dall’Osservanza regolare, alla quale confluiranno successivamente.

L’occasione immediata dell’apparire della riforma cappuccina fu un episodio interno dell’Ordine francescano. L’Osservanza regolare, fin dai tempi di san Bernardino, si era situata in una via media, caratterizzata dall’osservanza moderata della Regola secondo le dichiarazioni papali e da una vita attiva di apostolato. Essa, nel 1517, forte già di circa 30.000 frati e il piú potente e prestigioso di tutti gli Ordini religiosi, ottenne da Leone X la bolla Ite vos del 29 maggio, con la quale incorporava a sé i vari gruppi di stretta osservanza ancora esistenti: amadeiti, clareni, collettani e scalzi.[7] La bolla, detta d’unione, non piacque ai gruppi soppressi – alcuni di essi sussisteranno fino al 1568 – né ai numerosi osservanti insoddisfatti della vita standardizzata della loro famiglia: essi volevano una osservanza piú radicale della povertà e una maggiore facilità per il ritiro e la contemplazione. Già nel 1518 non pochi zelanti italiani cominciarono a raggrupparsi in romitori, in piú luoghi della penisola, ma presto furono obbligati, dal ministro generale Francesco Licheto, a fare ritorno ai conventi di città.

Nel 1523 il nuovo generale Francesco Quiñones cercò di placare gli zelanti della Spagna con l’istituzione, in ogni provincia, di cinque o piú case di ritiro, per una piú pura osservanza della Regola, soprattutto nella povertà e nell’orazione.[8] Senza aspettare una simile iniziativa per l’Italia, dove lo scontento degli zelanti cresceva di giorno in giorno – specialmente nelle Marche, focolaio di una forte tradizione mistica e integralista -, fu proprio un fraticello marchigiano a rompere le file: fra Matteo da Bascio, carismatico predicatore itinerante. Egli, volendo imitare piú da vicino san Francesco anche nel modo di vestire, nei primi mesi del 1525 si allontanò dal romitorio di Montefalcone per ottenere da Clemente VII il permesso orale di poter portare il cappuccio aguzzo, vivere la Regola «ad litteram» e predicare ovunque a suo piacimento. Fra Matteo non pensò, allora o mai, di dar vita a un gruppo di riformati; ma, prima di novembre dello stesso anno, fu raggiunto da altri due osservanti fuggiaschi: i fratelli germani Ludovico e Raffaele Tenaglia da Fossombrone, sacerdote il primo, non chierico l’altro, desiderosi anch’essi di osservare la Regola spiritualmente.[9]

A questo momento subentra il primo documento pontificio, negativo purtroppo. A richiesta infatti del loro ministro provinciale, Giovanni Pili da Fano, tutti e tre furono scomunicati, perché apostati, con il breve Cum nuper di Clemente VII dell’8 marzo 1526.[10] Per sfuggire alla cattura e all’incarcerazione, i tre fuggitivi cercarono rifugio presso i camaldolesi della congregazione di Monte Corona, recentemente fondata dal beato Paolo Giustiniani. Dietro suo consiglio, i tre si affrettarono a regolare la loro posizione canonica, sollecitando e ottenendo l’assoluzione dal penitenziere maggiore cardinale Lorenzo Pucci, il quale, dopo aver informato verbalmente il papa, firmava il 18 maggio seguente il rescritto o indulto Ex parte vestra; in esso i richiedenti venivano autorizzati, tra l’altro, a condurre perpetua vita eremitica nell’osservanza della Regola « quanto lo consente l’umana fragilità», sotto l’obbedienza e correzione dell’ordinario del luogo.[11]

Il 26 maggio, sempre del 1526, si riuni ad Assisi la congregazione generale dell’Osservanza, nella quale il Quiñones promulgò gli statuti per le case italiane di ritiro, sostanzialmente uguali a quelli della Spagna.[12] Ma per l’opposizione della maggior parte dei capitolari, preoccupati di evitare una rottura nell’unità monolitica dell’Ordine da poco raggiunta, gli statuti non furono eseguiti, con grande amarezza e delusioni degli zelanti.

In seguito al breve-rescritto del 18 maggio, fra Matteo tornò alla sua predicazione itinerante, mentre i due fratelli Tenaglia prendevano dimora presso una chiesa rurale nelle vicinanze di Camerino, attendendo alla preghiera, al lavoro manuale e ad un occasionale ministero nei dintorni. Per la loro carità nell’assistere i malati durante la peste che nel maggio 1527 colpí la zona, si acquistarono la stima e la protezione della duchessa di Camerino, Caterina Cybo, nipote di Clemente VII, la quale darà in seguito un aiuto determinante per l’approvazione della riforma promossa dai fratelli Tenaglia.

Approvazione della riforma – anni difficili – conferma (1528-1536)

Di fronte alla sistematica opposizione dei superiori dell’Osservanza all’apertura delle case di ritiro, molti osservanti zelanti chiesero ai fratelli Tenaglia di accoglierli nella loro compagnia. Fu allora che fra Ludovico pensò seriamente di dar vita a una congregazione eremitico-francescana. Siccome egli continuava ad essere un osservante, anche se esclaustrato, per avviare una nuova riforma gli occorreva, a tenore della bolla Ite vos, il permesso esplicito del generale o del provinciale, i quali certamente lo avrebbero negato. Ma come già avevano fatto gli scalzi spagnoli, proprio nel 1517, per separarsi dall’Osservanza, anche Ludovico eluse astutamente la prescrizione, col porsi, insieme al fratello e a fra Matteo, sotto la giurisdizione dei conventuali, dopo aver avuto il permesso del nuovo provinciale osservante delle Marche.

Autorizzato dal provinciale conventuale e dal cardinale protettore dell’Ordine francescano Andrea della Valle a rivolgersi al papa, Ludovico si recò con Caterina Cybo a Viterbo, dimora di Clemente VII dopo il trauma del «sacco» di Roma. Nel «libellus supplex» Ludovico chiedeva di poter portare un abito di mendicante ed eremita con un povero cappuccio quadrato, una barba lunga, abitare sotto la protezione dei conventuali in luoghi solitari adatti alla vita di orazione, eleggere un custode con autorità analoga a quella dei ministri provinciali, accogliere chierici, religiosi di qualunque Ordine e laici,[13] La supplica fu respinta dalla segreteria dei brevi perché non portava il benestare del cardinale protettore dell’Ordine, al quale o non fu presentata o non fu gradita perché avrebbe comportato l’ammissione di osservanti, cosa inaccettabile per i superiori dell’ Osservanza. Nella nuova supplica – il cui testo non ci è pervenuto -, l’astuto Ludovico avrebbe surrogato il punto relativo all’ammissione di religiosi con la clausola di poter partecipare ai privilegi dei camaldolesi, i quali avevano la facoltà di accettare religiosi di qualsiasi congregazione, casa o

monastero di Mendicanti o no.[14]

In Il 3 luglio 1528 fu spedito il breve Exponi nobis, convertito, con la stessa data, in bolla dal titolo Religionis zelus (doc. 1), che è l’atto giuridico di nascita della famiglia cappuccina.[15] Nel retro della minuta del breve si leggeva: «Intercedente Ducissa Camer». In verità, soltanto il potentissimo intervento della nobildonna Caterina Cybo rese possibile la concessione, inusitata, di una bolla che autorizzava due soli richiedenti esclaustrati – fra Matteo non viene menzionato – a fondare una congregazione religiosa, quando di norma una bolla o documento del genere veniva rilasciato per confermare, oppure per regolare, una riforma che avesse conseguito un certo sviluppo e collaudo.

Ai fratelli Ludovico e Raffaele, «dell’Ordine dei frati minori», messosi sotto la protezione dei conventuali e desiderosi di condurre vita eremitica e osservare la Regola in quanto lo consentisse l’umana fragilità, e previa un’ampia assoluzione da tutte le censure e impedimenti canonici che potessero ostacolare la validità del documento papale, veniva concesso di condurre vita eremitica secondo la Regola di san Francesco, di portare l’abito con il cappuccio quadrato, di ricevere nel loro consorzio chierici secolari, preti e laici, di portare la barba, di ritirarsi in qualsiasi romitorio o luogo con il consenso dei padroni e ivi dimorare, condurre vita eremitica e mendicare ovunque, di godere «aeque principaliter» tutti i privilegi, gli indulti e le grazie concessi fino ad allora o elargiti in futuro all’Ordine dei frati minori e ai camaldolesi di san Romualdo e ai suoi eremiti. L’esecuzione della bolla era affidata a tutte le autorità ecclesiastiche e, in fine, veniva menzionata la esplicita deroga e abrogazione di tutte le disposizioni emanate dalla Chiesa che avessero potuto rendere dubbia la legalità della nuova famiglia o congregazione.[16]

A tenore della bolla la nuova congregazione, ancora senza un nome specifico, potrebbe giuridicamente dirsi una riforma dei conventuali, ma come vedremo in seguito, essa sarà sempre considerata nei documenti pontifici come una vera e distinta famiglia francescana, internamente autonoma. Tuttavia non vi erano delle novità rispetto alle precedenti riforme di stretta osservanza, i cui componenti erano stati autorizzati a condurre vita eremitica e ad osservare la Regola «ad litteram», nella primitiva purezza. La formula programmatica di fra Ludovico, già presente nel breve del 18 maggio 1526, e cioè «osservare la Regola del beato Francesco in quanto lo consente l’umana fragilità», era ancora piú esplicita nelle bolle concesse ad altre riforme francescane.[17] Perfino l’autorizzazione di portare il cappuccio quadrato o piramidale, che secondo la tradizione degli Spirituali faceva parte dell’autentica forma dell’abito di san Francesco, era stata già concessa nel 1496 agli scalzi spagnoli di fra Giovanni di Guadalupe, chiamati appunto «frati del cappuccio» o volgarmente «capuchos». L’unico elemento nuovo, oltre la comunicazioni ai privilegi dei camaldolesi, sarebbe l’uso della barba, mutuato forse dagli eremiti camaldolesi, ma anche per essi la barba era un distintivo dell’onestà e della qualità di vita eremitica, come verrà espresso nel breve Inter multiplices di Clemente VII del 3 settembre 1529, che amplificava e confermava i privilegi dell’Ordine di san Romualdo.[18] La vera differenza tra la riforma cappuccina e le altre riforme francescane precedenti di stretta osservanza è da ricercarsi nel modo con cui i cappuccini impostarono e risolsero il problema della vita contemplativa abbinata alla vita apostolica, e nella sopravvivenza, fino ad oggi, come terza famiglia autonoma del primo Ordine francescano.

La notizia della nascita della nuova riforma francescana di stretta osservanza fece accorrere ad essa un numero notevole di osservanti, tra i quali i componenti di un gruppo di cinque frati marchigiani a cui faceva capo fra Matteo da S. Leo, entrati tutti quanti nella neonata congregazione dopo il settembre 1528.[19] All’inizio del 1529 vi erano già quattro eremitori con una trentina di frati. Si era quindi in grado di dare una struttura interna ed esterna alla nuova famiglia, ciò che avvenne nel capitolo di Albacina, riunito nell’aprile, o forse anche prima, dello stesso anno. Dopo l’elezione di Ludovico a vicario generale in seguito all’immediata rinuncia di fra Matteo a tale carica, una piccola commissione, o forse il solo Ludovico, dettò le prime ordinazioni o statuti, impropriamente chiamati «costituzioni» di Albacina. In questi statuti, disposti un po’ disordinatamente, prevale il primato accordato alla contemplazione e alla strettissima povertà; essi peraltro erano un correttivo dei vari abusi serpeggianti nell’Osservanza.[20] Per quanto riguarda la denominazione della nuova riforma, già nel titolo degli statuti i seguaci di essa si autodenominarono «frati minori della vita eremitica», nome che però non divenne ufficiale nei documenti pontifici, nei quali soltanto a partire dal 9 aprile 1534 viene adoperata la denominazione di «capucciati» e in seguito «capuccini», il nome volgare affibbiato quasi dall’inizio ai nostri eremiti, a causa del cappuccio.

In data 16 agosto 1529 fu stipulata tra Ludovico da Fossombrone e fra Bernardino da Reggio, capo di un gruppo di 12 riformati calabresi, una convenzione di aggregazione di essi alla riforma cappuccina, ma l’incorporazione definitiva avverrà soltanto il 20 maggio 1532.[21]

Queste trattative e l’afflusso continuo degli zelanti osservanti, ricevuti dai cappuccini in base al surricordato privilegio comunicato dai camaldolesi, misero in allarme i superiori dell’Osservanza regolare, ossessionati dall’unità dell’Ordine. Inizia cosí una serie di brevi pontifici a richiesta dei detti superiori, vietando il transito degli osservanti ai cappuccini in nome dei disordini, abusi e liti che comportavano tali fughe. Il generale Paolo Pisotti (1529-33) otteneva da Clemente VII il breve Cum sicut nuper del 14 dicembre 1529, con il quale venivano annullate tutte le concessioni pontificie fatte ai girovaghi e ai fuggiaschi dell’Osservanza, e inoltre si ordinava che non fossero permesse «nuove sette», né che i frati si chiamassero con un nome diverso da quello dato da san Francesco al suo Ordine.[22] Il breve, troppo generico, non menzionava espressamente i cappuccini e la loro riforma; perciò con un secondo breve, Cum sicut accepimus del 27 maggio 1530, indirizzato al generale e al procuratore dell’Osservanza Onorio Caiani, che peraltro era confessore del pontefice, Clemente VII revocava tutte le concessioni fatte dalla penitenzieria ai fratelli Ludovico a Raffaele da Fossombrone, ai riformati di Calabria e ad altri; tutti quanti dovevano essere obbligati a ritornare ai conventi d’origine sotto pene e censure ecclesiastiche e anche con l’aiuto del braccio secolare.[23] Ancora un altro breve, Alias postquam del 2 dicembre 1531, indirizzato agli stessi superiori dell’Osservanza, ricopiava il testo dell’anteriore e ordinava agli osservanti, passati ai cappuccini dopo il 27 maggio dell’anno precedente, di fare ritorno all’Osservanza; ai cappuccini veniva diffidato di ricevere candidati osservanti. Quest’ultimi, senz’ altra formalità sarebbero stati dichiarati apostati e scomunicati.

Questo breve fu ancora rinnovato il 3 luglio 1532 espressamente contro il gruppo degli ex riformati calabresi, che dovevano rientrare nell’Osservanza sotto gravi pene canoniche.[24] L’esecuzione del breve fu però sospesa perché il papa preferì affidare la controversia ai cardinali Antonio del Monte e Andrea della Valle. Essi, il 14 agosto seguente, dettarono un decreto intimatorio vietando agli osservanti di molestare i cappuccini e a questi di ricevere quelli finché non fosse trovata una soluzione adeguata.[25]

Una soluzione immediata, anche se sfavorevole ai cappuccini, sarebbe forse scaturita dalla promulgazione della bolla In suprema militantis Ecclesiae del 16 novembre dello stesso anno, con cui Clemente VII imponeva la riforma dell’Osservanza mediante l’istituzione, in ogni provincia, di quattro o cinque conventi per gli zelanti che aspirassero a una osservanza pura e piena della Regola secondo le dichiarazioni papali e a una vita piú intensa di preghiera e di contemplazione.[26] La bolla costituita l’atto di fondazione della riforma detta dei

«Riformati» e doveva quindi togliere qualsiasi pretesto di optare per la famiglia cappuccina. Di conseguenza, la bolla metteva in repentaglio l’esistenza e la sopravvivenza della riforma cappuccina, fino ad allora alimentata quasi esclusivamente dai transfughi dell’Osservanza.

Ma la bolla fu sospesa fino al prossimo capitolo generale da celebrarsi nel 1535. Questo favorì una fuga generale degli osservanti zelanti verso i cappuccini. Sul finire del 1533 e gli inizi del 1534 passarono alla famiglia cappuccina figure prestigiose come Bernardino d’Asti e Francesco da Jesi due dei quattro osservanti che avevano sollecitato la bolla In suprema -, due altri futuri vicari generali del l’Ordine Bernardino Ochino e Eusebio ‘Ancona, il futuro cronista Bernardino da Colpetrazzo e perfino l’acerrimo persecutore dei fratelli Tenaglia, Giovanni Pili da Fano.

I superiori dell’Osservanza, per mezzo del procuratore Onorio Caiani, chiesero un breve estintorio della riforma cappuccina. Esso, durante la sua redazione definitiva, venne sdoppiato in due. Col primo, Cum sicut accepimus del 9 aprile 1534, indirizzato a Ludovico da Fossombrone «frate capucciato» e compagni, si imponeva, sotto pena di scomunica, di non ricevere piú gli osservanti né di accettare nuovi luoghi senza un permesso speciale della Santa Sede.[27] Il breve forse sembrò troppo blando ai superiori dell’Osservanza, e cosí ne ottennero un secondo, Pastoralis offici cura del 15 aprile seguente. In esso si ordinava agli osservanti passati ai cappuccini di tornare ai loro conventi d’origine entro 15 giorni, sotto pena di scomunica dopo una triplice ammonizione canonica individuale.[28] Abbiamo scelto questo breve per la pubblicazione (doc. 2), perché vi è accennato il vero motivo di fondo dell’opposizione dell’Osservanza alla riforma cappuccina e, allo stesso tempo, viene espressa una preziosa testimonianza, anche se involontaria, di ciò che i cronisti dell’Ordine definiscono «la piú disperata vita» dei primi cappuccini:[29] costoro pretendono di osservare la Regola alla perfezione, non già secondo le dichiarazioni dei romani pontefici, ma secondo il suo senso letterale, e conducono una vita cosí austera e rigida, quasi disumana, da provocare una gravissima crisi di coscienza nei frati zelanti sul proprio modo di osservare la Regola e la povertà.

Dietro suggerimento dell’auditore Girolamo Ghinucci, annotato sulla coperta della prima redazione del 9 aprile e cioè, che non sembrava decente che il Santo Padre obbligasse un religioso a seguire un tenore di vita piú rilassato, il breve fu indirizzato al cardinale protettore dell’Ordine francescano Andrea della Valle. Egli però, a quanto sembra, non gli diede corso sia perché non era un lavoro facile e breve fare ai singoli frati incriminati una triplice ammonizione, sia perché non se la sentiva di procedere cosí duramente contro i cappuccini, ai quali egli stesso, nel 1530, aveva donato il convento generalizio di S. Eufemia a Roma.[30]

Il 13 ottobre 1534 saliva al soglio pontificio Paolo III. Con la morte di Clemente VII (25 settembre) era scomparsa dalla scena Caterina Cybo, ma la difesa e la protezione dei cappuccini saranno riprese da un’altra nobildonna Vittoria Colonna, marchesa di Pescara, molto legata alla riforma pretridentina.[31] Da parte loro, i superiori dell’Osservanza tornarono a far pressione contro la riforma cappuccina, nella speranza di aver maggior successo con il nuovo pontefice. Essi ottennero il breve Accepimus quod del 18 dicembre 1534, nel quale si proibiva agli osservanti di passare ai cappuccini senza licenza speciale della Santa Sede; a questi veniva ingiunto, sotto pena di scomunica, di non ricevere religiosi osservanti e di qualsiasi altro Ordine e di aprire nuove case o luoghi finché nel capitolo generale dell’Osservanza, da celebrarsi nel maggio seguente, non fosse stato approntato l’opportuno rimedio.[32] Ma in seguito, il papa con il breve Nuper accepto del 12 gennaio 1535, indirizzato «ai diletti figli frati dell’Ordine dei Minori chiamati cappuccini», si affrettò a spiegare che la proibizione precedente fatta ai cappuccini non riguardava l’accoglienza di religiosi di altri Ordini.[33]

Il capitolo generale degli osservanti, celebrato a Nizza il 15 maggio, accordò l’erezione delle case di ritiro per i riformati in tutte le province. Non c’era piú il motivo valido per il passaggio degli osservanti ai cappuccini, e quindi con il breve Pastoralis offici cura del 14 agosto seguente, il papa rinnovava la proibizione ai cappuccini di ricevere osservanti senza il permesso speciale della Santa Sede o del ministro o commissario generali dell’Osservanza. Quest’ultimi peraltro erano pregati di ricevere caritativamente i frati passati ai cappuccini e che volessero far ritorno ai loro conventi osservanti.[34] Ma il decreto del capitolo non fu messo in pratica e quindi il papa, stanco di questo eterno litigio, emanò il breve Dudum postquam del 29 agosto dello stesso anno 1535, ordinando ai superiori dell’Osservanza di erigere, entro due mesi, le case per i riformati; in caso contrario sarebbe stata tolta la proibizione agli osservanti di passare ai cappuccini e a questi di riceverli e di accettare nuove case e luoghi senza incorrere nelle censure e pene canoniche.[35] Neppure questo breve fu eseguito entro la data fissata. Conseguentemente, i cappuccini si ritennero in diritto di continuare a ricevere gli osservanti. In seguito il nuovo generale dell’Osservanza Vincenzo Lunel e il cardinale Ouiñones tentarono, attraverso l’imperatore Carlo V in visita in Italia, di far sopprimere la «setta» dei cappuccini aggregandola pacificamente all’Osservanza.[36] Ancora per trovare una soluzione fu nominata, nel mese di dicembre, una commissione di tre cardinali, poi saliti a sei, ma anche allora non si approdò a niente di nuovo.

Nonostante i brevi proibitivi, dal 1530 al 1535, i romitori cappuccini erano saliti a 60, sparsi per quasi tutta l’Italia, con almeno 500 frati. A questo punto si può tentare una spiegazione sul palese inadempimento dei mandati pontifici, soprattutto da parte dei cappuc-cini, professori della piú stretta osservanza della Regola nella quale è imposta una ferma obbedienza ai sommi pontefici. La ragione va ricercata, innanzi tutto, in un motivo di coscienza fondato sul diritto naturale e divino, nella convinzione che nessuno si sentiva obbligato a rinunciare a una vita piú perfetta per riprendere a seguirne una piú rilassata.[37] Inoltre, nei citati documenti, mai era stata nominata né abrogata la bolla Religionis zelus, base giuridica dell’esistenza della famiglia cappuccina, né era stato disdetto il privilegio di ricevere candidati di qualsiasi Ordine, comunicato dai camaldolesi. Lo stesso susseguirsi di brevi ripetitivi e inefficaci sta a indicare la loro labile obbligatorietà. Infatti, il papa non conosceva tutte le lettere dettate, nel suo nome, dalla segreteria dei brevi; esse portavano il benestare del cardinale protettore dell’Ordine, e poi l’auditore si limitava a informarne brevemente del contenuto il santo padre. Ma non va dimenticato che anche i cappuccini usufruivano nella curia romana di potenti protettori, cardinali e altri prelati, oltre le nobildonne Caterina Cybo e Vittoria Colonna.

Mentre non cessava l’ostilità dell’Osservanza contro la nuova famiglia cappuccina, in quest’ultima le cose non procedevano pacifica-mente. La congregazione continuava ad essere retta da Ludovico da Fossombrone. Egli nel 1532 avrebbe dovuto riunire il capitolo triennale, richiesto dalle ordinazioni di Albacina, per la conferma del vicario generale. I provenienti dall’Osservanza, molti di essi qualificati per la loro spiritualità e scienza, erano scontenti dei modi autoritari e della chiusura mentale del Tenaglia; essi volevano chiarire l’identità cappuccina e dare alla riforma una fisionomia definitiva, spirituale e giuridica.

Per i buoni uffici di Vittoria Colonna, Paolo III autorizzò la celebrazione del capitolo generale nel novembre 1535.[38] Ludovico aspettava di essere confermato nell’ufficio di vicario generale, ma già nel primo scrutinio risultò eletto fra Bernardino d’Asti. Costui immediatamente, insieme ai definitori e ad altri frati esperti, provvide a dettare le prime costituzioni dell’Ordine. Da parte sua, Ludovico, che durante il capitolo si era opposto arrogantemente a qualsiasi cambiamento nella forma di vita fino allora seguita, indispettito per la sua non avvenuta conferma come superiore generale, cercò subito, con pretesti e intrighi, di impugnare l’elezione di fra Bernardino, invocando l’invalidità del capitolo non liberamente convocato da lui, come unico superiore legittimo in forza della bolla Religionis zelus. Anzi, sarebbe stato pronto a porre la congregazione sotto la giurisdizione dell’Osservanza. Fra Bernardino d’Asti chiese allora una dichiarazione pontificia sulla validità delle elezioni fatte nel capitolo, e il conseguente trasferimento, a lui e ai suoi successori, delle concessioni che Clemente VII aveva fatto ai fratelli Tenaglia nella bolla di fondazione.

Il papa in parte annuì alla richiesta con il breve Cum sicut nobis del 29 aprile 1536 (doc. 3), nel quale si confermava l’elezione di Bernardino d’Asti e si dichiaravano estromessi dall’Ordine, con la proibizione di indossare l’abito cappuccino, coloro che si rifiutassero di prestare obbedienza a fra Bernardino e ai suoi successori.[39] Fu in forza di questo breve che Matteo da Bascio, rimasto sempre in disparte nella formazione e organizzazione della congregazione e non essendo disposto a inserirsi nella vita comunitaria, depose il suo caro cappuccio quadrato e tornò all’ Osservanza, continuando in essa la sua vita itinerante di predicatore penitenziale.[40]

Fra Ludovico e i suoi sostenitori riuscirono a far indire una seconda celebrazione del capitolo generale, nella speranza di vincere ancora la partita e poi assoggettare la riforma all’Osservanza. Ma nel frattempo Vittoria Colonna aveva ottenuto la bolla Exponi nobis del 25 agosto 1536 (doc. 4), con la quale il papa confermava «ad litteram» la bolla di fondazione dell’Ordine e trasferiva nella persona di Bernardino d’Asti e dei suoi successori quanto Clemente VII, nella predetta bolla, aveva concesso a fra Ludovico da Fossombrone.[41] Inoltre, per togliere all’Osservanza qualsiasi pretesa su questa stretta riforma francescana, il papa riconobbe e specificò la giurisdizione su di essa del maestro generale dei conventuali: egli doveva confermare, entro tre giorni, il neoeletto vicario generale, conferendogli la piena e libera giurisdizione su tutti i frati dell’Ordine,[42] ma senza mai intromettersi nel suo regime e governo; inoltre sia i vicari generali come i vicari provinciali erano veri ministri, ai quali i frati dovevano obbedire secondo il precetto della Regola. In altre parole: l’Ordine cappuccino veniva riconosciuto come una vera e propria famiglia francescana autonoma, almeno internamente.

Il capitolo generale, ripetuto nel settembre 1536, ratificò all’unanimità, il 22 del mese, l’elezione di Bernardino d’Asti a vicario generale.[43] Il papa, con il breve Superioribus diebus del 10 ottobre seguente, confermò l’operato del capitolo e decretò l’espulsione dall’Ordine del ribelle Ludovico.[44] Inoltre, nel predetto capitolo furono promulgate le costituzioni pronte già da mesi. Esse non costituivano una rottura con la forma di vita che Ludovico aveva inaugurato, bensì una sua verifica e un suo perfezionamento. Divise in 12 capitoli, corrispondenti a quelli della Regola, erano un commento spirituale e una applicazione pratica della Regola da osservarsi letteralmente, senza attenuazioni né privilegi rilassativi; fissavano una più chiara organizzazione della fraternità e un maggior equilibrio tra la vita contemplativa e attiva.[45] Il testo rimarrà quasi immutato nelle successive revisioni, opportunamente aggiornato a causa della naturale evoluzione dell’Or dine e delle nuove disposizioni canonico-giuridiche emanate dalla Santa Sede.

Consolidamento ed evoluzione – i decreti tridentini – oltre le Alpi (1537-1575)

Tuttavia l’anno 1537 si apriva con due documenti pontifici restrittivi per i cappuccini. La commissione cardinalizia sopraccennata, che dal dicembre 1535 cercava una soluzione alla vertenza tra osservanti e cappuccini, mascherò la sua inefficienza con un compromesso che traspare nel breve Regimini universalis Ecclesiae del 4 gennaio, con il quale Paolo III vietava il transito degli osservanti ai cappucini, e di questi a quelli, senza una speciale licenza «in scriptis» dei loro rispettivi superiori.[46] Ancora per accontentare gli osservanti e l’imperatore Carlo V, il giorno seguente, 5 gennaio, il papa emanava il breve Dudum siquidem (doc. 5), ingiungendo ai cappuccini, in virtú di santa obbedienza e sotto pena di scomunica «latae sententiae», di non varcare le Alpi, finché la Santa Sede non avesse preso un altro provvedimento nel prossimo capitolo generale dell’Osservanza.[47]

Ma ormai la famiglia cappuccina, con l’afflusso di vocazioni di varia provenienza, non avrà più bisogno dei transfughi dell’Osservanza,[48] e l’obbligata limitazione geografica gioverà al consolidamento e al collaudo dell’Ordine nella sua esperienza italiana. D’ora in poi i documenti pontifici mireranno piuttosto a rafforzare e a mantenere le varie scelte dell’Ordine inserendole anche nell’ordinamento religioso-giuridico scaturito dal concilio di Trento.

La celebrazione del capitolo generale dell’Osservanza, accennata nei brevi del 4 e 5 gennaio 1537, fu dilazionata, e alcuni osservanti, irrequieti per la mancata riforma o forse per altri motivi, tornarono a passare ai cappuccini, tra i quali però non sempre perseverarono. Per rimediare a tali perturbazioni e scandali, il papa, con il breve Accepimus quod nonnulli del 23 agosto 1539, insolitamente indirizzato al vicario generale «dell’Ordine di san Francesco dell’Osservanza chiamato dei cappuccini», gli proibiva di ricevere qualunque frate «degli Ordini riformati dei Mendicanti dell’Osservanza», che non portasse una licenza speciale ed espressa del suo generale o della Santa Sede.[49]

Finalmente, nel giugno 1541, l’Osservanza tenne il capitolo generale a Mantova, ma ancora niente fu deciso sulla propria riforma e sul passaggio dei frati ai cappuccini; perciò questi, credendo cessata l’anteriore proibizione pontificia, ottennero dal papa un «viva vocis oraculo» che li autorizzava a ricevere osservanti; ma la concessione venne annullata, a richiesta dei superiori dell’ Osservanza, con il breve Romani pontificis del 5 agosto dello stesso anno, che ribadiva quello del 4 gennaio 1537.[50]

A giudizio di Bernardino da Colpetrazzo, il periodo 1533-1541 sarebbe stato il piú glorioso dell’Ordine «appresso il mondo» per il numero di frati dotti e grandi predicatori.[51] Ma questa gloria e stima accusarono un duro colpo con l’apostasia del vicario generale Bernardino Ochino, avvenuta verso la fine di agosto 1542. Secondo il racconto, forse troppo drammatizzato, dei cronisti,[52] Paolo III e altri membri della curia romana sarebbero stati del parere di abolire l’Ordine cappuccino. Una approfondita indagine sulla purezza di fede dell’Ordine, condotta dal cardinale Pio di Carpi protettore di tutto l’Ordine francescano, coadiuvato dal commissario generale cappuccino Francesco da Jesi, dimostrò la sua perfetta ortodossia. Inoltre i predicatori, sospesi per un certo tempo dal loro ministero, vennero riabilitati in seguito ad una doverosa spiegazione dei 19 articoli dottrinali a loro proposti.[53]

Un segno della riacquistata fiducia fu la presenza di fra Bernardino d’Asti, a nome del vicario generale, nelle sessioni del primo periodo del concilio di Trento (1545-47). Egli si oppose all’unione dei cappuccini con gli osservanti, voluta dal generale dell’Osservanza Vincenzo Lunel, e il 14 luglio 1546 tenne un discorso sul primo stato della giustificazione.

Dopo la morte di Paolo III (10 novembre 1549), i cappuccini credettero scaduti i suoi brevi sulla proibizione di ricevere gli osservanti. Ma a richiesta del generale dell’Osservanza, e sempre per gli stessi motivi di scandali, discordie e litigi, Giulio III, con il breve Offici nostri del 28 agosto 1550, rinnovò il divieto fatto da Paolo III ai cappuccini, i quali non potranno, sotto pena di scomunica e di altre censure, ricevere gli osservanti senza la licenza scritta dei loro superiori; questi dovranno riprenderli e ricondurli anche con il ricorso al braccio secolare.[54] Inoltre, con il breve Boni Pastoris del 7 novembre seguente, rinnovò contro i cappuccini la proibizione di varcare le Alpi e vietò agli osservanti di indossare un abito simile a quello dei cappuccini.[55]

I cappuccini consideravano assurdo o incongruente il divieto fatto agli osservanti di passare alla vita piú austera dei cappuccini e, d’altra parte, permettere ad alcuni di questi di abbracciare quella meno austera dell’Osservanza. Per evitare simili litigi e perturbazioni, Giulio III, a petizione dei superiori dell’Ordine cappuccino, rilasciò il breve In eminenti del 15 febbraio 1551, diffidando gli osservanti di ricevere i cappuccini, e viceversa, senza licenza scritta dei loro rispettivi superiori generali o provinciali.[56]

Senza aspettare la conclusione del concilio di Trento, dove si avrebbe ancora trattato della riforma dei regolari, il capitolo generale del 3 giugno 1552, decise di aggiornare le costituzioni del 1536, alla luce delle esperienze finora vissute e della realtà dei tempi. Furono espunte alcune prescrizioni ormai impraticabili, come la rinuncia all’esenzione, le cellucce per gli anacoreti, la questua per i poveri in tempo di carestia, il servizio agli appestati, ma ciò non significava un allentamento nel servizio dei poveri e dei sofferenti, che continuerà ad essere una caratteristica dell’Ordine.[57] Anzi, quasi per tranquillizzare i piú zelanti e i piú nostalgici dei primissimi tempi della riforma, nelle ordinazioni fatte nel predetto capitolo, vi era questa al primo posto: «Altissima paupertas et Regula serventur ad mentem sancti patris Franci-sci, ad litteram et sine glossa».[58] Del resto in queste costituzioni del 1552 il testo primitivo del 1536 era rimasto intatto, non però lo stile.

I superiori dell’Osservanza, mentre continuavano a dilazionare l’esecuzione della riforma loro imposta nel 1532, tentarono ancora una volta di assoggettarsi la famiglia cappuccina, servendosi del cardinale Carlo Carafa, nipote di Paolo IV. Sembra che fosse già stata approntata la bolla d’unione, all’insaputa dei cappuccini. Scoperta la manovra, il vicario generale dell’Ordine, Tommaso da Città di Castello, riuscì a parare il colpo, ottenendo da Pio IV la bolla Pastoralis officia del 2 aprile 1560 (doc. 6), con la quale il pontefice confermava «ad litteram» la precedente bolla di Paolo III, inoltre, per tutelare l’identità anche esterna dell’Ordine, vietava espressamente agli eremiti di san Francesco, fondati dal siciliano Girolamo Lanza, di portare un abito simile a quello dei cappuccini.[59]

Nel dicembre 1563 si chiudeva il concilio di Trento. Diversi cappuccini erano intervenuti, come teologi, nel secondo (1551-52) e terzo periodo (1562-63). In quest’ultimo fu invitato anche il vicario generale Tommaso da Città di Castello, il quale prese posto tra i generali degli Ordini mendicanti. Più volte nelle discussioni dello schema di riforma dei regolari, fu messa in pericolo l’identità cappuccina. Grazie alla difesa fatta da non pochi padri conciliari, fu salvato l’abito, che a norma di un canone, poi soppresso, avrebbe dovuto essere quello dei conventuali, ai quali i cappuccini erano giuridicamente soggetti; inoltre, ai cappuccini e agli osservanti fu accordato il privilegio di non possedere beni mobili ed immobili in proprietà comune.[60] Alcune decisioni del concilio furono subito incluse nelle ordinazioni del capitolo generale del 1564, tra le quali l’istituzione degli studi teologici in ogni provincia.[61]

Un segno di benevolenza verso l’Ordine cappuccino e un tacito riconoscimento della sua quasi autonomia, si riscontrano nel breve Exhibita quidem del 20 aprile 1564, con il quale Pio IV, a richiesta del vicario generale, nomina vice protettore dei «frati minori della penitenza chiamati cappuccini» il cardinale Giulio della Rovere, con diritto di successione alla morte dell’allora protettore di tutto l’Ordine francescano Rodolfo Pio Leonelli (morto il 2 maggio seguente).[62] Invece, gli osservanti e i conventuali continuarono ad avere in comune lo stesso protettore, san Carlo Borromeo.

Con il breve In principis Apostolorum del 17 febbraio 1565, Pio IV revocava tutti i privilegi concessi alle chiese e agli Ordini religiosi e che fossero contrari ai decreti e canoni del recente concilio di Trento.[63] Già il 27 agosto seguente il vice protettore dell’Ordine cardinale Marcantonio Amuli – il protettore era assente dichiarava con un attestato di essere stato sanato il capitolo generale del 1564 per quanto riguardava la votazione contraria alla forma tridentina (elezioni con voto segreto), e urgeva l’ulteriore osservanza dei decreti del concilio.[64] Vi era però nel decreto di riforma della sessione XXII, c. 4, una disposizione che avrebbe tolto all’Ordine il suo carattere laicale tradizionale, e cioè la negazione del diritto al voto dei chierici «in minoribus» e dei fratelli laici. Nel 1566 il procuratore generale dell’Ordine Eusebio da Ancora interrogò in proposito Pio V il quale confermò «vivae vocis oraculo» l’antica prassi dell’Ordine.[65] La prerogativa sarà mantenuta in tutte le revisioni successive delle costituzioni.[66]

Un ripetuto rientro di cappuccini tra gli osservanti consta dal breve di Giulio III già segnalato. Per la prima volta, forse, ci troviamo davanti anche al fatto del passaggio, talvolta senza licenza, di cappuccini all’Ordine dei minimi di san Francesco di Paola, di vita eremitica, e dei minimi ai cappuccini, con turbamenti, inquietudini e cattivi esempi in ambedue gli Ordini. Con il breve Sedis apostolicae solertia del 6 ottobre 1567 Pio V, «motu proprio» e non a istanza delle due parti, vieta quello scambio, degli uni e degli altri, in qualunque tempo e sotto qualsiasi pretesto, anche con la licenza dei superiori.[67]

Nei primi mesi del 1569 vi furono delle trattative per l’unione degli osservanti e dei conventuali, portate avanti dal viceprotettore delle due famiglie, cardinale Alessandro Crivelli, il progetto però non fu gradito né a Pio V né al cardinale protettore san Carlo Borromeo. Si sparse rumore che anche i cappuccini fossero coinvolti nell’unione e questo causò una grave inquietudine nell’Ordine. Il papa, interpellato dal vicario generale Mario da Mercato Saraceno, lo tranquillizzò dicendo che non era mai stata sua intenzione di far entrare i cappuccini in tale unione.[68]

Le costituzioni del 1552, come già abbiamo accennato, espunsero l’ordinazione relativa al servizio degli appestati. Ciò non significava l’interdizione di questo atto eroico di carità. Anzi, sarà proprio san Pio V ad affidare ai cappuccini una nuova forma di apostolato, non meno eroica e rischiosa: il ministero castrense, che comportava un pericolo di morte sia per il contagio della peste che per le azioni belliche. Costituita la Lega Santa contro i turchi, Pio V volle che il p. Girolamo da Pistoia, suo teologo personale e procuratore generale dell’Ordine, si occupasse, con altri 26 confratelli, dell’assistenza spirituale della flotta pontificia in partenza per Candia, dove approdò nell’agosto 1570. Scoppiata la peste, i cappellani cappuccini si prestarono eroicamente per il conforto e servizio dei malati, trovando la morte lo stesso p. Girolamo (30 ottobre) e altri suoi confratelli. Nell’immediata organizzazione della Lega, Pio V volle ancora i cappuccini come cappellani della sua flotta, e il vicario generale, Mario da Mercato Saraceno, mise a disposizione 29 frati, con a capo il p. Anselmo da Pietramolara, nominato guardiano e commissario apostolico. Con il breve Cum dilectus filius del 10 marzo 1571 (doc. 7), il papa concedeva a quei cappellani amplissime facoltà e privilegi per l’amministrazione dei sacramenti e per l’assoluzione da censure; li autorizzava a raccogliere elemosine in servizio dei malati, amministrate però da un sindaco o procuratore secondo il diritto francescano, e finiva raccomandando ai frati di osservare in tutto la propria Regola e di obbedire umilmente ai precetti del vicario generale.[69]

Dopo la vittoria di Lepanto (7 ottobre 1571) i sommi pontefici continueranno a servirsi dei cappellani militari cappuccini. Gregorio XIII, con il breve Concessimus del 30 maggio 1572 indirizzato a don Giovanni d’Austria, comunicava di aver concesso ai cappuccini il potere di assolvere coloro che avevano liberato o occultato prigionieri turchi.[70] E ancora lo stesso sommo pontefice, nel nuovo progetto di campagna contro i turchi, con il breve Ut animarum del 1° settembre 1573, nominava cappellani delle triremi pontificie i pp. Vincenzo di Spagna e Antonio da Pisa con le solite facoltà e privilegi.[71] Troveremo in seguito i cappuccini cappellani, mandati dai papi, nelle campagne contro i turchi fino in Ungheria, e in quelle della Lega Cattolica contro i protestanti.[72]

I cappuccini italiani erano ormai ben conosciuti e apprezzati da alti personaggi ecclesiastici, anche esteri, venuti al concilio di Trento e da altre personalità civili e militari che avevano visto da vicino il loro eroismo a Lepanto. Nessuna meraviglia, dunque, se già nel 1562 la presenza cappuccina verrà chiesta e sollecitata da piú parti dell’Europa, specialmente dalla Francia. Nel capitolo generale del 1573 fu deciso di mandare in questa nazione alcuni frati per portare a compimento la fondazione già iniziata formalmente a Parigi nel 1572.[73] Gregorio XIII, desideroso lui stesso della propagazione europea dell’Ordine, già sufficientemente collaudato nel servizio della Chiesa e del popolo in Italia, emanò il 6 maggio 1574 la bolla Ex nostri pastoralis offici (doc. 8), con la quale abrogava il breve di Paolo III del 1537 e autorizzava i cappuccini a stabilirsi liberamente nella Francia e nelle altre nazioni della terra, dove essi potessero fondare case, luoghi, custodie e province secondo la loro consuetudine o diritto particolare.[74]

Benché alcune prescrizioni del concilio di Trento, in concreto l’erezione di case di studio, fossero già inserite nelle ordinazioni capitolari del 1564, Gregorio XIII, con il breve Cum capitulum generale del 10 maggio 1575, indirizzato al cardinale vice protettore Giulio Antonio Santori, ordinava al capitolo generale di quell’anno di revisionare le costituzioni, che dovevano essere in tutto conformi ai canoni e decreti del concilio di Trento.[75] Le nuove costituzioni, «corrette e riformate», ricalcavano quelle del 1552; ma con l’accettazione espressa dei decreti tridentini esprimevano un’apertura e un perfezionamento della vita dell’Ordine inserita nella riforma cattolica. Inoltre, con l’accettazione esplicita delle decretali di Nicolò III e di Clemente V come «singolare e vivo commento» della Regola, l’Ordine s’immetteva nel tradizionale diritto francescano. Da notarsi ancora che le costituzioni del 1575 si rifacevano, nello stile, alle prime del 1536, segno di risveglio e di sensibilità verso il primitivo carisma, che l’Ordine porterà con sé nella sua espansione in Europa.[76]

Difesa della propria identità – nuove forme ‘apostolato – primato della contemplazione (1576-1607)

La riforma cappuccina, ben affermata e universalmente apprezzata anche nella sua identità esterna, dovrà intraprendere una strenua difesa del proprio abito, segno e distintivo della sua stretta povertà e austerità. Non mancavano gruppi e congregazioni religiose che si servivano dell’abito cappuccino, o di uno molto simile, per carpire piú facilmente elemosine, con pregiudizio dell’Ordine e soprattutto con scandalo dei secolari che non avevano mai visto e creduto che un cappuccino, nella sua integrale osservanza della Regola, potesse accettare e usare del danaro, fino ad allora sempre totalmente avversato. Una questione penosa che si trascinerà per lungo tempo, coinvolgendo diverse congregazioni, francescane o no, e con un susseguirsi di brevi pontifici non sempre efficaci.

Abbiamo già accennato alla proibizione fatta da Pio IV il 2 aprile 1560 ai terziari o eremiti di san Francesco del siciliano Lanza di portare un abito simile nel panno e nel colore a quello dei cappuccini. Ufficialmente soppressi il 10 marzo 1562 e confluiti per lo più nei conventuali riformati, essi continuarono ugualmente a portare l’abito loro interdetto. Perciò Gregorio XIII con il breve Regularium personarum del 4 ottobre 1581 ripeté, sotto pene canoniche, il divieto di usare un abito come quello dei cappuccini, e impose loro di vestire la divisa propria dei conventuali.[77] A questo, il 22 giugno 1582, seguirà un intimazione del protonotario apostolico Girolamo Mattei ai frati ospedalieri di san Giovanni di Dio e ai conventuali riformati di Napoli, ingiungendo loro espressamente l’osservanza della bolla del 2 aprile 1560.[78] Più refrattari a spogliarsi dell’abito simile a quello dei cappuccini furono i predetti frati ospedalieri (o Fatebenefratelli). Ad essi saranno indirizzati successivamente nuovi decreti proibitivi, con il ricorso anche al braccio secolare.[79] Più tardi entreranno nel conflitto anche le varie riforme di stretta osservanza francescana.

Un altro segno della stima di Gregorio XIII verso i cappuccini sarà l’affidamento ad essi, anche se in forma saltuaria, di una nuova forma di apostolato eroico, e cioè la cura spirituale e materiale, degli schiavi cristiani nell’Africa settentrionale. Nelle incursioni barbaresche, molto frequenti nella seconda metà del secolo XVI, alcuni cappuccini erano stati catturati e imprigionati; altri confratelli, che avevano raggiunto Algeri per portare conforto spirituale agli schiavi cristiani, erano stati pure incarcerati. Nel 1584 l’arciconfraternita romana del Gonfalone per il riscatto degli schiavi cristiani, decise d’inviare la sua prima missione di redentori in Algeri; nel gruppo dei missionari c’erano due cappuccini, i pp. Pietro da Piacenza e Filippo da Rocca-contrada. Con il breve Cum Algerium del 5 dicembre 1584 Gregorio XIII concedeva a p. Pietro e al suo compagno licenza e ampie facoltà per svolgere il ministero.[80] I due, vittime della peste, incontrarono la morte l’anno seguente, e riceveranno un commosso ricordo e una lode da Sisto V nel breve Cum benigna Mater del 21 marzo 1586, indirizzato ai guardiani dell’arciconfraternita.[81] Piú tardi, Clemente VIII con il breve Pastoralis offici del 10 giungo 1600 deputerà i pp. Ambrogio da Soncino (o da Milano) e Ignazio da Bologna a predicare il giubileo agli schiavi cristiani in Algeri.[82] E ancora con il breve Ex omnibus christianae caritatis del 23 aprile 1624 Urbano VIII darà al p. Angelo da Corleone – già una volta incarcerato in Africa – la licenza apostolica di esercitare l’ apostolato e la redenzione degli schiavi cristiani in Algeri e in altre terre africane.[83]

Il 24 aprile 1585 fu elevato al soglio pontificio il conventuale Sisto V, e quindi particolarmente sensibile alla pace e al progresso di tutto l’Ordine francescano. Anche se ormai era cessata la fase più acuta del transito degli osservati ai cappuccini, forse perché questi si mostrarono più ossequiosi ai precetti pontifici in materia,[84] vi erano ancora dei casi di passaggio illegale. Per porre fine a questa odiosa questione, fonte di litigi e scandali, il papa prese un provvedimento drastico. Rifacendosi alle norme dettate da Paolo III e da Giulio III, con il breve Pro ea del 28 gennaio 1586 tornò a vietare ai superiori generali, provinciali e locali cappuccini di ricevere e di ritenere gli osservanti passati ad essi senza la licenza speciale della Santa Sede o senza quella «in scriptis» dei ministri generali o provinciali; ai trasgressori, osservanti e cappuccini, venivano comminate la scomunica e altre pene canoniche; inoltre ai cappuccini si revocavano e annullavano tutte le concessioni, facoltà e indulti, anche quelli avuti «aeque principaliter» per comunicazione di privilegi, riguardanti l’ammissione di osservanti.[85]

Merito di Sisto V fu anche la conferma della scelta cappuccina dell’apostolato tra gli infedeli. Già prima vi era stato il caso sporadico di due missionari operanti in Costantinopoli intorno al 1550: Giovanni Zuazo da Medina del Campo e Giovanni di Puglia (o da Troia), che, imprigionati, morirono d’inedia al Cairo nel 1551. Ma la prima missione ufficiale fu decisa nel capitolo generale del 1587, accettando di dare l’obbedienza ad alcuni frati desiderosi di andare tra gli infedeli, in particolare a Costantinopoli. In data 20 giungo il neo eletto vicario generale Girolamo da Polizzi Generosa rilasciava le lettere obbedienziali ai pp. Pietro della Croce, Egidio da S. Maria e Dionigi da Roma. Con il breve Cum vos del 27 giugno seguente (doc. 9), indirizzato ai tre missionari, Sisto V dava la sua benedizione e conferiva numerose facoltà e privilegi per lo svolgimento del ministero, e finiva con un fervente incoraggiamento a duplicare i talenti nel servizio del Signore.[86] Per malattia del p. Egidio, il vicario generale aggiungeva all’obbedienza una clausola autografa, datata Assisi 1° agosto, aggregando al gruppo p. Giuseppe da Leonessa – il futuro santo- e fra Giuseppe anche lui da Leonessa.[87] La missione falli per la morte dei pp. Pietro e Dionigi, e con il ritorno nel 1589 del p. Giuseppe – atrocemente torturato – e del suo compagno, e sarà ripresa solo trentacinque anni dopo, nel 1624.[88]

Quando stavano per compiersi i cinquant’anni di vita dell’Ordine che continuava l’osservanza delle costituzioni del 1536, attraverso la revisione del 1575, apparvero alcuni segni di rimpianto delle origini contemplative dei primi padri. Durante il governo del vicario generale Girolamo da Montefiore Conca (1575-81), e con il suo incoraggiamento personale, non ufficiale, era nata nella provincia romana, e anche a livello nazionale, una specie di congregazione segreta i cui seguaci furono chiamati «Maddalene» o «Maddaleniti» appunto perché propugnavano una vita esclusivamente contemplativa. Il gruppo fu sciolto dal capitolo generale del 1581, e il vicario generale venne penitenziato per la sua durezza nel correggere gli abusi.[89]

Rimase però una palese nostalgia dei tempi antichi, ben chiara nelle relazioni che sulle origini dell’Ordine scrivevano, tra il 1579 e il 1594, Mario da Mercato Saraceno e Bernardino da Colpetrazzo.[90] Inoltre, prosperava nell’Ordine un atteggiamento negativo, o almeno molto restrittivo, verso una certa forma specifica di apostolato: la confessione ai secolari, che secondo le costituzioni del 1536, e le successive revisioni del 1552 e 1575, doveva esercitarsi soltanto in casi particolari, quando cioè lo richiedessero la carità e la necessità. Tale licenza però doveva essere concessa dal capitolo generale o dal vicario generale.[91] Il capitolo del 1578 revocò tutte le licenze fino allora concesse; in seguito esse dovevano essere rilasciate con il consenso della maggior parte del definitorio. Il capitolo generale del 1581 restringerà ancora la norma, esigendo di non dare le licenze «se non al capitolo generale».[92] Ma le concessioni furono ancora tutt’altro che rare, per le ripetute petizioni di personaggi generalmente illustri sia in Italia come all’estero, dove i frati svolgevano un’attività veramente missionaria. Sotto il vicariato del p. Girolamo da Polizzi Generosa (1587-93), uomo particolarmente duro e austero e favorevole al partito della contemplazione come p. Girolamo da Montefiore, il problema si fece particolarmente intollerabile. Il vicario generale riusci a ottenere da Gregorio XIV un provvedimento drastico. Con il breve Decet seraphicam religionem del 1° giugno 1591 (doc. 10), dato «motu proprio» e valido in perpetuo, il papa vietava assolutamente ai cappuccini di confessare laici e chierici secolari, e revocava qualsiasi licenza fino allora concessa.[93] Il provvedimento si dimostrò in seguito piuttosto penoso e controproducente, specialmente nelle regioni europee dove l’apostolato dei cappuccini era praticamente missionario, e piú tardi verrà attenuato da un decreto del 2 agosto 1602 della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, sanzionato con il breve Alias felicis recordationis del 3 febbraio 1603, nel quale si concedeva al vicario generale e al suo definitorio, da capitolo a capitolo, la facoltà di deputare dei frati per questo ministero delle confessioni.[94] Ma ancora le costituzioni del 1608, e quelle del 1643, continueranno a mantenere il divieto assoluto di confessare i secolari, « com’è consuetudine della nostra Religione, servato però l’ordine dei pontefici».[95]

Sempre nel 1591 furono emanati altri provvedimenti per tutelare l’identità e anche la fisionomia esterna dell’Ordine. Con il breve Beati Francisci del 6 luglio, Gregorio XIV rinnovò la proibizione, già fatta dai suoi predecessori, dell’uso indebito dell’abito cappuccino, e questa volta espressamente rivolta ai riformati conventuali e a certi eremiti acefali e vaganti.[96] Un altro segno del ritorno al primissimo carisma riguardava l’osservanza della Regola in tutta la sua purezza. Un «vivae vocis oraculo» rilasciato da Innocenzo IX 1’11 dicembre 1591, a richiesta del procuratore dell’Ordine, Bonaventura da Montereale, confermava tutti i privilegi papali anteriori, « quibus tamen Regulae puritas nostrae non relaxatur.[97]

Verso l’autonomia (1608-1619)

Il capitolo generale del 1608 decise di aggiornare le costituzioni del 1575. Nelle nuove costituzioni furono inserite alcune prescrizioni dei capitoli dopo il 1578 e vari nuovi decreti pontifici. Esse però erano un semplice anello della catena legale che attualizzava le anteriori e che sarà superato dalle seguenti del 1643.[98]

I ripetuti riconoscimenti da parte dei sommi pontefici dell’Ordine cappuccino come vera e terza famiglia francescana, e la continua difesa della sua identità interna ed esterna, avrebbero dovuto togliere ogni dubbio sulla sua legittimità giuridico-francescana. Ma non fu cosí. Una contestazione verrà ancora da parte di alcuni osservanti. Vi era stato già un precedente. Insinuazioni e perfino pubbliche calunnie avevano messo in giro che i riformati, i quali già nel 1579 e ancora nel 1596 avevano ottenuto una autonomia quasi completa delle loro custodie sotto la dipendenza diretta del generale dell’Osservanza, non erano veri frati minori perché osservavano «una nuova Regola». Con il breve Ex intuncto nobis del 7 settembre 1602, Clemente VIII ebbe a dichiarare che essi osservavano la vera e unica Regola di san Francesco nella sua purezza e secondo le dichiarazioni pontificie.[99] Una simile campagna denigratoria fu condotta, forse dagli stessi religiosi, contro i cappuccini. Ad essi veniva contestato il titolo di veri frati minori perché non erano stati istituiti al tempo di san Francesco. A questo punto Paolo V, con il breve Ecclesiae militantis del 15 ottobre 1608, chiuse la bocca ai calunniatori attestando che i cappuccini erano anch’essi veri frati minori che professavano la Regola di san Francesco, alla quale erano in tutto conformi le loro costituzioni.[100] Una ripetizione di questo breve, con una esaustiva spiegazione, verrà fatta da Urbano VIII nel 1627, come vedremo piú avanti.

Con questa dichiarazione pontificia e tenuto conto del crescente sviluppo europeo dell’Ordine esso nel 1608 comprendeva 35 province, 808 conventi e 10.708 frati -, i cappuccini erano in grado di meritare la propria autonomia e di non dipendere piú giuridicamente dai conventuali. Ormai vi erano stati alcuni segni premonitori. Un segno esterno della dipendenza giuridica dai conventuali era l’obbligo di procedere dietro la loro croce nelle processioni. Ma già nel lontano 1587 Sisto V, con un «vivae vocis oraculo» del 24 aprile, aveva concesso ai cappuccini di andare in processione dietro la propria croce e immediatamente prima degli osservanti, qualora non vi fossero i conventuali.[101] Un’ordinanza del 12 settembre 1614 del cardinale Lante della Rovere, in merito alla precedenza dei Mendicanti e delle confraternite nelle processioni, stabilita dal breve Exposcit pastoralis del 15 luglio 1583 di Gregorio XIII, dichiarava che i cappuccini non erano tenuti ad incolonnarsi dietro la croce dei conventuali sia quando andavano alla processione come quando se ne ritornavano.[102] Con data del 12 settembre 1616 la Congregazione dei Vescovi e dei Regolari determinava ancora che i cappuccini, «ubique locorum», potevano portare la propria croce nelle processioni,[103] e questo venne ratificato da Paolo V con il breve Pastoralis offici del 12 ottobre 1617.[104]

Alla vigilia dell’autonomia, la Santa Sede emanò ancora alcuni decreti che davano, per cosí dire, gli ultimi ritocchi allo spirito della struttura dell’Ordine. Benché a norma delle costituzioni (cap. XI) i frati non dovevano accettare nessuna cura di monasteri, confraternite e congregazioni, Paolo V con il breve Sacri apostolatus dell’11 agosto 1618, dato «motu proprio» e valido in perpetuo, ratificava la predetta proibizione, esonerando i cappuccini da ogni cura spirituale e temporale delle monache, perché avessero più libertà di dedicarsi con maggior impegno all’osservanza stretta della Regola, ai digiuni, alle orazioni e alle sacre predicazioni.[105] Le costituzioni del 1536, 1552 e 1575 fissavano la durata dell’ufficio del vicario generale, e quindi la celebrazione dei capitoli generali, a tre anni, mentre quelle del 1608 a cinque anni. Per rendere piú prospero e funzionale il governo dell’Ordine, Paolo V, con il breve In supremo Sedis del 29 ottobre determinò che la durata dell’ufficio del vicario generale fosse, in perpetuo, di sei anni.[106]

Anche se ridotta alla sola conferma dei vicari generali, la dipendenza giuridica dai conventuali, durata 91 anni, era stata sempre pacifica e protettiva, e i superiori dell’Ordine cappuccino non avevano cercato di liberarsene, appunto per essere al sicuro delle pretese degli osservanti. Ma ormai l’Ordine poteva considerarsi sicuro e maturo nel suo sviluppo. Secondo le statistiche presentate al capitolo del 1618 vi erano 40 province, 1030 conventi, 6819 sacerdoti, 2825 chierici e 5202 fratelli laici, in tutto 14.846 frati, un numero poco inferiore a quello dei conventuali. Perciò i superiori dell’Ordine inoltrarono al papa una supplica chiedendo la completa autonomia. Paolo V acconsentì volentieri con il breve Alias felicis recordationis del 28 gennaio 1619 (doc. 11). In esso si dice che il papa, tenuto conto dei «frutti fecondi e soavi» che i cappuccini raccolgono ogni giorno nel campo del Signore, vuole rimunerarli con favori e grazie speciali: assolve da ogni censura o pena per conseguire l’effetto della concessione, e cioè l’esenzione, in perpetuo, di chiedere al maestro conventuale la conferma dell’avvenuta elezione del vicario generale. Con questa concessione il vicario generale e i vicari provinciali diventavano automaticamente ministri generali e ministri provinciali, con piena autorità secondo il diritto francescano.[107] D’ora in poi l’Ordine cappuccino sarebbe stato, «pleno iure», la terza famiglia del primo Ordine francescano.

I cappuccini veri frati minori e figli di san Francesco (1620-1628)

Prima di chiudere questo primo secolo di vita dell’Ordine, segnaliamo altri documenti pontifici. Nel 1617 il re del Congo, Alvaro III, aveva inviato a Roma una legazione chiedendo missionari. La Santa Sede inoltrò la richiesta al capitolo generale dei cappuccini, il quale, riunitosi il 1° giugno 1618, decise di mandare un visitatore generale con sei frati spagnoli per tastare il terreno e verificare la possibilità di una missione stabile in quel regno africano. Con il breve In proximis del 31 agosto 1620 Paolo V comunicò al re la prossima spedizione cappuccina, composta da 12 missionari, come si specificherà poi nel breve Mittimus ad Maiestatem del 13 gennaio 1621. Dopo la morte del papa, il successore Gregorio XV si premurò di avviare la spedizione, notificandola al re con il breve Sanctae memoriae del 19 marzo 1621; ma per motivi politici, creati dal re di Spagna, il progetto della missione cappuccina fu abbandonato e sarà ripreso solo nel 1640, e reso effettivo nel 1645.[108] Un successo piú immediato ebbero invece le missioni cappuccine tra i protestanti in Valtellina

(1575), Thonon (1594) e nella Rezia (1621), e quelle di Candia (1567), Costantinopoli (1624), Siria (1625) e Persia (1628) tra gli scismatici. La Congregazione di Propaganda Fide, creata nel 1622, utilizzerà largamente la disponibilità e lo zelo missionario dei cappuccini.[109]

Raggiunta la propria autonomia, come abbiamo detto, i cappuccini ripresero, con un diritto incontestabile, la difesa della propria identità esterna, rappresentata dall’abito, che continuava ad essere usurpato, in una maniera o nell’altra, da famiglie o congregazioni francescane.

Nella Francia era in atto, da qualche tempo, una controversia tra i cappuccini e i terziari regolari della congregazione di stretta osservanza di Vincenzo Mussart, detti «cappuccini neri» perché portavano un abito simile a quello dei cappuccini. Un decreto del 20 ottobre 1619 della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari fissava definitivamente la forma dell’abito di questi terziari; la decisione venne ripresa nel breve Ex inuncto nobis del 14 aprile 1620, con il quale Paolo V intimava l’osservanza del provvedimento e imponeva alle due parti un perpetuo silenzio sulla questione.[110] Con un altro decreto del 20 luglio 1621, la predetta Congregazione, a richiesta del procuratore generale dell’Ordine Girolamo da Castelferretti, intimava agli scalzi della Spagna e ai recolletti della Francia di non usurpare il nome e l’abito dei cappuccini.[111] Per una maggior efficacia di questa decisione, e con la speranza di stroncare definitivamente gli abusi in questione, lo stesso procuratore generale ottenne da Gregorio XV il breve Ex inuncto nobis del 9 dicembre 1621, col quale il papa, ricopiando «ad litteram» i brevi Regularium personarum di Gregorio XIII del 4 ottobre 1581 e Beati Francisci di Gregorio XIV del 6 luglio 1591, vietava ai religiosi di qualsiasi Ordine, società o istituto di arrogarsi il nome e l’abito dei cappuccini e faceva espressamente responsabili dell’esecuzione di questi brevi gli ordinari della Spagna, della Francia, dell’Italia e anche di altre nazioni.[112] Il decreto pontificio incontrò delle resistenze e diede adito a sotterfugi, per cui si rese necessario l’intervento della Congregazione dei Vescovi e dei Regolari. Un decreto del 2 febbraio 1623 dirimeva la causa circa il colore, qualità e foggia dell’abito tra i cappuccini e i conventuali riformati; a quest’ultimi si comminavano pene canoniche se entro un anno dalla pubblicazione del decreto non avessero indossato l’abito loro prescritto.[113] Con un altro decreto del 23 dicembre 1623 la stessa Congregazione imponeva ai recolletti della Francia e ad altri l’osservanza delle norme riguardanti gli zoccoli e il cappuccio,[114] norme che ricorrono nel breve In supremo apostolatus del 10 gennaio 1624, nel quale Urbano VIII, «motu proprio», ordinava tassativamente ai riformati italiani di lasciare i sandali e di riprendere gli zoccoli, e ai recolletti francesi di deporre il cappuccio aguzzo e di prendere quello rotondo con una mozzetta più larga, appunto per distinguersi tutti quanti dai cappuccini.[115]

La questione dei sandali e degli zoccoli tra cappuccini e riformati venne definita con il breve Nuper cum causa del 31 marzo 1624,[116] ma non cosí altrove. L’esecuzione del breve In supremo apostolatus del 10 gennaio 1624, per ciò che riguardava i recolletti della Francia, fu affidata dallo stesso Urbano VIII al cardinale Francesco de la Rochefaucould e al vescovo di Senlis Nicola Sanguin con il breve Alias cum causa del 31 luglio seguente.[117] Lo stesso compito fu dato il 20 settembre al nunzio in Belgio Giovanni Francesco Guidi di Bagno, il quale, il 23 marzo 1625, firmò il decreto esecutivo intimato ai recolletti belgi.[118] La contesa però non si spense cosí facilmente, perché i recolletti francesi appellarono contro le lettere esecutive del cardinale de la Rochefaucould e del vescovo di Senlis date il 28 novembre 1624. Il papa affidò la soluzione della vertenza al cardinale Guido Bentivoglio con il breve Alias cum causa del 31 maggio 1625, nel quale si vietava una qualsiasi ulteriore appellazione.[119] La sentenza fu emessa il 16 settembre seguente, con una precisa descrizione della forma e delle misure del cappuccio e della mozzetta da indossarsi obbligatoriamente.[120]

1° ottobre 1625, con il breve In specula, Urbano VIII elevava alla gloria degli altari il beato Felice da Cantalice, morto nel 1587. La sua santa vita, «illustrata con molti esimi doni di virtù, grazie e miracoli», era il frutto spirituale dell’osservanza, per 44 anni, dell’ideale francescano-cappuccino. La beatificazione era stata richiesta, oltre che dall’Ordine, dal principe elettore Massimiliano di Baviera, dai duchi di Lorena e dalle benedettine di Remiremont, una eloquente testimonianza della stima che, anche fuori Italia, godeva l’Ordine cappuccino.[121] Nei primi tre decenni del secolo XVII erano morti altri sei futuri santi e beati cappucci-ni: san Serafino da Montegranaro (1604), san Giuseppe da Leonessa

(1612), san Lorenzo da Brindisi (1619), san Fedele da Sigmaringen (1622), b. Geremia da Valacchia (1625) e b. Benedetto da Urbino (1625).[122]

Nel maggio 1625 l’Ordine comprendeva 42 province, 1192 conventi, 8394 sacerdoti, 2856 chierici e 5717 fratelli laici, in tutto 16.966 religiosi. Nonostante questa crescita numerica, questi palesi frutti di santità e di apostolato, e la stima che l’Ordine godeva presso la Chiesa e il popolo, i soliti denigratori continuavano a ripetere e a scrivere che l’Ordine cappuccino non era una autentica famiglia francescana.[123] Abbiamo già segnalato il breve Ecclesiae militantis del 15 ottobre 1608 con il quale Paolo V confutò tali dicerie, senza riuscire a far tacere i calunniatori a causa dell’inciso: «nonostante non siano [i cappuccini] istituiti al tempo del beato Francesco», da quelli stortamente interpretato. Già nel 1627 il procuratore generale Francesco da Genova aveva inoltrato una protesta su questo argomento presso la Congregazione dei Vescovi e dei Regolari, la quale con decreto del 30 aprile dello stesso anno dichiarò che i cappuccini erano veri figli di san Francesco.[124] Il procuratore volle anche l’autorevole intervento del papa Urbano VIII. Con il breve Salvatoris et Domini del 28 giugno 1627 (doc. 12), il papa ricopiava e confermava il predetto breve di Paolo V, e spiegando la frase malintesa dei detrattori, aggiungeva: «Noi riteniamo cosa giusta e conforme alla ragione che coloro i quali si presentano, con la parola e con l’esempio, autentici imitatori di san Francesco, debbano ritenersi tali da tutti senza alcuna contestazione». L’inizio dei frati cappuccini «dev’essere computato realmente e con efficacia dal tempo della primitiva e originaria istituzione della Regola serafica, la cui osservanza detti frati cappuccini hanno sempre continuato, senza alcuna interruzione». Di conseguenza, «con la presente costituzione, valida in perpetuo, decretiamo e dichiariamo, per autorità apostolica, che gli anzidetti cappuccini sono veri e autentici frati dell’Ordine di san Francesco e osservanti della sua Regola, e come tali devono essere da tutti e dai singoli considerati, ritenuti e giudicati».[125]

Quindi la riforma cappuccina, come le altre riforme di stretta osservanza e anche la stessa Osservanza regolare, non ebbero dei veri e propri fondatori; l’unico loro fondatore è stato san Francesco, il cui spirito e forma di vita alcuni suoi seguaci, in tempi successivi, vollero ripristinare e imitare.

Confortato da questa lode e da questa dichiarazione ufficiale della Santa Sede, l’Ordine cappuccino compiva i primi cent’anni di vita il 3 luglio 1628. Non in vano aveva sofferto e faticato per mantenersi fedele al primitivo ideale francescano.

Edizione dei documenti

Pubblichiamo, qui appresso, la versione italiana e il testo originale latino dei dodici documenti pontifici, prescelti come pietre miliari che segnano il cammino dell’Ordine durante i primi cent’anni di vita. Il testo latino, a piè della versione italiana, è stato ripreso dagli originali. Nella trascrizione, non trattandosi di una edizione diplomatica, abbiamo adottato l’uso moderno per quanto riguarda l’ortografia, specialmente nell’uso della maiuscole e dell’interpunzione. Per una più facile lettura, e anche per uno spedito riferimento ai passi nella versione italiana, abbiamo introdotto dei capoversi – assenti nei testi originali -, con una loro numerazione. Per i singoli documenti latini, indichiamo la loro collocazione nell’Archivio generale, e anche un riferimento alla loro pubblicazione in altri bollari o regesti per un eventuale raffronto e citazione. Avvertiamo però che non sempre l’edizione, in queste raccolte, è fedele e precisa, specialmente negli Annali del Boverio e nel bollario dell’Ordine.

Per quanto riguarda la versione italiana, anche se alcuni dei primi documenti furono già tradotti dai primi cronisti e nella edizione italiana degli Annali del Boverio, abbiamo preferito affidarla a un perito giurista, p. Renato Gastaldi, al quale va il nostro più vivo ringrazia-mento. Il p. Costanzo Cargnoni vi ha aggiunto alcune note per facilitare l’immediata lettura e comprensione del testo.

  1. Cf. F. Elizondo, Regola francescana presso i primi cappuccini, in IF 53 (1978); in spagnolo: Los primeros capuchinos y la observancia de la Regla franciscana, in Estud. Franc. 80 (1979) 1-42; Le prime costituzioni dei Frati Minori Cappuccini. Roma – S. Eufemia 1536, a cura di F. A. Catalano – C. Cargnoni – G. Santarelli, Roma 1982, 88-90, 93, oppure in IF 56 (1981) 538-540, 543.
  2. Cf. Asapito de Sobradillo, Forma en que están aprobadas por la Santa Sede las constituciones de los PP. Capuchinos, in Estud. Franc. 50 (1949) 265-274.
  3. Pius a Langonio [Langogne], Bullari Ordinis Minorum S. Fr. Capuccinorum regestum sive summarium chronologicum, Romae [1897), pubblicato a puntate in AO 8 (1892). 13 (1897); Bullarium Ordinis FF.Minorum S.P. Francisci Capuccinorum seu collectio bullarum, brevium, decretorum, rescriptorum, oraculorum etc. quae a Sede Apostolica pro Ordine capuccino emanarunt … Variis notis et scholis elucubrata a P.F.Michaele a Tugio [Zug], tomi I-VII, Romae 1740-52. Nel tomo I vengono pubblicati, in ordine cronologico, i documenti che riguardano tutto l’Ordine; alcuni di essi, però, sono stati spostati ai seguenti tomi disposti secondo le varie materie. Da tenersi presente che la trascrizione dei documenti nel bollario è frequentemente scorretta.
  4. Nell’Archivio generale dell’Ordine i documenti pontifici originali o il loro tran-sunto autentico, in pergamena, si trovano nella sezione QA; gli stampati, talvolta autenticati, in QB. Nella sezione BA vi sono alcuni documenti originali o transunti, in carta, ma la maggior parte sono copie moderne fatte sulle minute originali conservate nell’Archivio Segreto Vaticano, Tutti i documenti sono ordinati in ordine cronologico, con il numero di serie dei vari pontefici, più il numero progressivo segnato nel regesto.
  5. I brevi, spediti dalla segreteria apostolica a richiesta dell’interessato, oppure «motu proprio», sono documenti in forma di lettera, in pergamena bianca e con sigillo di cera; le bolle sono gli stessi brevi, ma redatti in forma più solenne e con formulario proprio, e con un sigillo in piombo appeso. Lo schema dei brevi e delle bolle è quasi identico: introduzione, parte espositiva o sommario della supplica, concessione o disposizione per autorità apostolica, pene contro i trasgressori, clausole derogatorie e mandato esecutivo.
  6. Sulle varie riforme francescane, fino al 1528, si veda l’eccellente opera di D. Nimmo, Reform and division of the medieval Franciscan Order. From Saint Francis to the foundation of the Capuchins, Roma 1987.
  7. Sulla preparazione, le redazioni della bolla e il suo testo critico cf. J. Meseguer Fernández, La bula «Ite vos» (29 de mayo del 1517) y la reforma cisneriana, in AIA II época 18 (1958) 257-361.
  8. Cf. J. Meseguer Fernández, Programa de gobierno del P. Francisco Quiñones, ministro general O.F.M. (1523-1528), in AIA 21 (1961) 5-51; il testo castigliano degli statuti per la case di ritiro, ibid. 9 (1918) 264-274; versione latina in AM XVI, 193-197 (167-171).
  9. Per la storia del primo secolo dell’Ordine si veda Melchior a Pobladura, Historia generalis Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum. Pars prima: 1525-1619; Pars secunda (1619-1761), voll. I-II, Romae 1947-48. Per gli inizi e primi decenni, cf. Eduardus Alenconiensis [de Alençon], De Primordis Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum, 1525-1534. Commentarium historcum, Romae 1921, estratto delle puntate pubblicate in AO 34 (1918)-36 (1920); idem, Tribulationes Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum primis annis pontificatus Pauli III (1534-1541), Romae 1914, estrato corretto e aumentato delle puntate apparse in AO 29 (1913)-30 (1914); C. Urbanelli, Storia dei cappuccini delle Marche. Parte prima. Volume I: Origini della riforma cappuccina; vol. III: Documenti, 1517-1609, tomo primo, Ancona 1978-84; Isidoro de Villapadierna, I cappuccini tra eremitismo e predicazione, in I Frati Minori tra ‘400 e ‘500. Atti del XII Convegno Internazionale, Assisi, 18-20 ottobre 1984, Assisi 1986, 51-80.
  10. Il documento, assente nel BC, è stato pubblicato in Eduardus Alenc., De primordiis cit. 21s, e ripreso in AM XVI, Addenda, 790s. Una rassegna più ampia dei documenti pontifici sui primi anni dell’Ordine, in Isidoro de Villapadierna, Documentación del Archivo General de la Orden sobre la Reforma capuchina (1525-1536), in CF 48 (1978) 413-433.
  11. AGO, QA 220, n. 238, transunto autentico fatto ad Ancona in 10 luglio 1579; edizione critica in C. Urbanelli, Storia III/1, 285; con varianti in AC I, 64s e in BC I, 1s; testo più corretto e con analisi, in Eduardus Alenc., De primordis, 27-31; versione italiana in MHOC V, 101s e VII, 35s. Del breve originale – oggi perduto – furono fatti due transunti, uno per fra Raffaele e l’altro per Caterina Cybo. Cf. MHOC I, 39. Da notarsi che questo tipo di rescritto o indulto era comunemente rilasciato, senza troppe formalità, ai religiosi che per motivi di coscienza non potevano vivere sotto l’obbedienza dei propri superiori.
  12. Testo latino e italiano di questi statuti in J. Meseguer Fernández, Constituciones recoletas para Portugal, 1524 e Italia, 1526, in AIA 21 (1961) 459-489.
  13. Il «libellus supplex» in Eduardus., De primordis, 44.46.
  14. Cf. bolla Illa quae di Eugenio IV del 24 novembre 1435, in AC I, 269s; BR V, 17.
  15. Il testo del breve in AGO, BA 220, n. 240a, copia, e in Eduardus Alenc., De primordiis, 46s. Testo della bolla in AGO, QA 220, n. 240; edizioni critiche in Isidoro de Villapadierna, Bulla «Religionis zelus». (Textus emendatus), in CF 48 (1978) 243-248, oppure in AO 94 (1978) 303-306; C. Urbanelli, Storia III/1, 30-32. Cf. anche AC I, 94-96; BC I, 35; AM XVI 294-296 (257s); BR VI, 113-115. Versione italiana in MHOC V, 120-122; VII, 48-51. Anche della bolla furono fatti due transunti autentici rispettivamente per fra Raffaele e per Caterina Cybo. Cf. MHOC I, 210; II, 238s. L’originale della bolla sarebbe stato portato a Fossombrone dallo stesso Ludovico, quando fu espulso dall’Ordine nel 1536; poi è andato perduto, come pure i due transunti citati. Il transunto autentico fu fatto ad Ancona il 10 luglio 1579, a richiesta del cronista p. Mario da Mercato Saraceno.
  16. L’esame storico-giuridico della bolla in Stanislao Santachiara, La bolla «Religionis zelus», in 450° dell’Ordine cappuccino. Le origini della Riforma cappuccina. Atti del convegno di studi storici, Camerino 18-21 settembre 1978, Ancona 1979, 261-280.
  17. Cf. Isidoro de Villapadierna, Documentación cit., 422s.
  18. AGO, QA 220, n. 243, transunto autentico del 1537, edito in AC I, 970-977 e in BC I, 5-10. Con il breve Exponi nobis del 31 agosto 1533, Clemente VII prorogava per 10 anni il tempo già concesso ai camaldolesi per la spedizione della bolla confermatoria dei privilegi (AGO, QA 220, n. 248a, transunto del 1537). Essi però siaffrettarono a chiederla e fu spedita da Paolo III, Rationi congruit, il 3 novembre 1534 (AGO, QA 221, n. 249a, transunto autentico del 1538; AC I, 977-985; BR VI, 173-182), e confermata ancora da Pio IV con la costituzione Apostolicae Sedis del 18 giugno 1560 (AGO, QA 225, n. 279s, transunto autentico del 1560). Da notare l’interesse dei cappuccini nel procurarsi e conservare questi documenti pontifici rilasciati ai camaldolesi, a causa del privilegio loro concesso di ricevere religiosi di qualunque Ordine.
  19. Essi avevano ottenuto l’11 settembre 1528 un breve o rescritto, Ex parte vestra, di esclaustrazione, molto simile a quello avuto da Ludovico il 18 maggio 1526. Quel breve, il terzo dei transunti autentici fatti ad Ancona nel 1579 (AGO, QA 220, n. 241) è stato pubblicato da C. Urbanelli, Storia III/1, 33-35. Cf. anche AC I, 987s,AM XVI, 300s (260s); versione italiana in MHOC V, 132s. Sul loro passaggio ai cappuccini cf. Eduardus Alenc., De primordiis, 56-62; C. Urbanelli, Storia I, 239-242.
  20. Sulle costituzioni di Albacina è fondamentale lo studio giuridico di F. Elizondo, Las constituciones capuchinas del 1529. En el 450° aniversario de su redacción en Albacina, in Laurent. 20 (1979) 384-440. Per le edizioni e altri studi sulle medesime costituzioni, bibliografia in Isidoro de Villapadierna, Tra eremitismo cit., 67s. Da aggiungersi una recente edizione: Costituzioni delli Frati Minori detti della vita eremitica. Le prime costituzioni della Congregazione cappuccina. Edizione critica curata da Giuseppe Santarelli, in IF 62 (1987) 7-22; vedi anche più avanti, sez. II, nn. 81-149.
  21. Su questo gruppo e le vicissitudini della loro unione ai cappuccini si vedano: Eduardus Alenconiensis, De origine Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum chronica Fr. Joannis Romaei de Terranova, Roma 1908, estratto delle puntate pubblicate in AO 23 (1907); idem, De primordis, 67-81; C. Urbanelli, Storia I, 274-278.
  22. AGO, BA 220, n. 243b, copia emendata; edito con alcune scorrettezze in AM XVI, 322-324 (278-281), e in Eduardus Alenc., De primordis, 82-84.
  23. AGO, BA 220, n. 244a, copia; testo meno corretto in AM XVI, 336-338 (291-293).
  24. AGO, BA 220, n. 246, copia; edito in AM XVI, 347-350 (300-332); Eduardus Alenc., De primordiis, 93s. Il breve del 3 luglio 1532, in Eduardus Alenc., De prigine cit. 52s, o in AO 23 (1907) 360-363; cf. anche De primordiis, 99s.
  25. AGO, QA 220, n. 247, originale; BA 220, n. 247, copia; testo emendato in Eduardus Alenc., De primordiis, 105-108. Cf. AC I, 172-175.
  26. AGO, QA 220, n. 248, transunti autentici del 1532, 1579 e 1608; testo emendato in Eduardus Alenc., De primordis, 110-113. Cf. anche in BC I, 988-993; AM XVI, 379-382 (326-311); BR VI, 155-158.
  27. Edito in AM XVI, 439 (380s), nel BC I, 11s e in Eduardus Alenc., De primordiis, 119s, il quale lo crede posteriore a quello del 15, ma la data del 9 è patente nella minuta (ASV, Minute dei brevi di Clemente VII, Arm. XL, vol. 47, n. 241). L’errore è stato ripreso anche da altri autori.
  28. AGO, BA 220, n. 249a, соріа; edito in Eduardus Alenc., De primordiis, 116s e in AM XVI, Addenda, 794-796, secondo la minuta originale o prima redazione, nella quale è stata cancellata la data VIIII. Cf. le citate Minute dei brevi, n. 243.
  29. Cf. MHOC IV, 158; V, 111.
  30. Sarebbe da ridimensionare criticamente l’asserita espulsione dei cappuccini da Roma il 25 aprile 1534, drammaticamente raccontata dai primi cronisti (cf. MHOC I, 388-395; II, 298-305) e dal Boverio (AC I, 191-193). Cf. Eduardus Alenc., De primordis, 117-119.
  31. Su questa vera madre dei cappuccini si veda più avanti, parte II, sez. I, docc. 14-30, nn. 2002-2057.
  32. Edito in AM XVI, 440 (381); BC 1, 12; Eduardus Alenc., Tribulationes, 2s.
  33. AGO, QA 221, n. 251, due transunti autentici del 14 febbraio, edizione in AC I, 993s; AM XVI, 480 (397); BC I, 13.
  34. AM XVI, 459-461 (398s); BC I, 14s.
  35. AGO, QA 221, n. 255, tre transunti del 15 luglio 1536; ACI, 995s; BC I, 15s. AM XVI, 461s (399s) e Edoardo d’Alençon, Tribulationes, 4, danno al breve la data sbagliata del 19 agosto.
  36. Cf. Melchor de Pobladura, El emperador Carlos V contra los capuchinos. Texto y comentario de una carta inédita: Nápoles, 17 enero 1536, in CF 34 (1964) 373-390; V. Sánchez, Vicente Lunel, ministro general O.F.M. III: Lunel v la reforma de los capuchinos, in AIA 32 (1972) 315-326.
  37. Questi ed altri motivi furono espressi da Bernardino d’Asti in un suo memoriale del 1536. Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 42-46; testo e traduzione italiana ai nn. 1095-1099.
  38. Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 9-18; C. Urbanelli, Storia I, 329-357. Anche il maestro generale dei conventuali, protettore e difensore della congregazione cappuccina, con lettera del 23 novembre 1535, aveva sollecitato Ludovico da Fossombrone a convocare il capitolo. Cf. G. Abate, Conferme dei vicari generali cappuccini date dai maestri generali conventuali (1528-1619), in CF 33 (1963) 428.
  39. AGO, QA 221, n. 257, tre transunti autentici: del 6 maggio 1536, 22 settembre 1537 e 27 maggio 1538. Ediz. in AC I, 212-214, 986s e in BC I, 16s. Nella prima redazione si esplicitava, come richiesto da fra Bernardino, l’approvazione di quanto nel capitolo, in modo saggio e lodevole, era stato fatto di buono e legittimo e non in contrasto con i sacri canoni e le lettere di Clemente VII; la supplenza di tutti e singoli errori di diritto e di fatto, se vi fossero stati; una dichiarazione di validità e di efficacia, e di osservanza per sempre; inoltre, la revoca e l’annullamento di ogni autorità conferita a fra Ludovico e a qualsiasi altro frate dal capitolo di Albacina o da Clemente VII. Cf., Eduardus Alenc., Tribulationes, 12-14.
  40. Su questo antesignano della riforma cappuccina, si veda più avanti, parte II, sez. I, docc. 7-8, nn. 1936-1962.
  41. AGO, QA 221, n. 260, transunto autentico del 22 ottobre 1537; edizione in AC I, 221-225; AM XVI, 471-475(408-411); BC I, 18-20; BR VI, 229-235. In fondo alla minuta si faceva osservare che la trasformazione in bolla era stata voluta dal papa per riguardo alla marchesa di Pescara. Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 21.
  42. Si vedano i documenti di conferma in G. Abate, art. cit., 429-441.
  43. Cf. AO 43 (1927) 282-288.
  44. AGO, QA 221, n. 262, originale; edito in AC I, 214s e in BC I, 21s. L’intimazione del breve fu fatta a Ludovico dal cursore apostolico il 13 dicembre. Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 16s. Su questo discutibile iniziatore della riforma cappuccina, si veda più avanti, parte II, sez. I, docc. 15, 2; 19-20; 35-36; 38,4 e alla voce, nell’indice analitico.
  45. Per le edizioni e gli studi di queste costituzioni si veda Isidoro de Villapadierna, Tra eremitismo cit. 76s. Si veda più avanti, sez. II, nn. 150-429.
  46. AGO, QA 221, n. 262, originale; edito in AC I, 996-998; AM XVI, 487-489 (422s); BC I, 23s. La commissione cardinalizia, allora di soli tre membri favorevoli all’Osservanza, si era limitata a dettare il 23 dicembre 1535 una sentenza interlocutoria, vietando, sotto gravi pene canoniche, il passaggio degli osservanti ai cappuccini e la loro recezione da parte di questi, finché la Santa Sede non avesse approntato l’opportuno rimedio. Edizione in AM XVI, 462s (400s). Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 39 e 42s.
  47. Edito in AM XVI, 489 (423s) e in BC I, 22s, i quali danno la data sbagliata del 3. Nella minuta il breve incominciava: Nuper per nos accepto, ed era dato «Ad futuram rei memoriam». Cf. Eduardus Alenc., Tribulationes, 51 nota 1.
  48. Cf. C. Cargnoni, Le vocazioni all’Ordine cappuccino dagli inizi al 1619, in Le vocazioni all’Ordine francescano dalle origini ad oggi, Napoli 1983, 89-122.
  49. AGO, BA 221, n. 266b, copia edita in Eduardus Alenc., Tribulationes, 58s.
  50. AGO, BA 221, n. 267a, copia edita in Eduardus Alenc., Tribulationes, 59.
  51. МНОС II, 259.
  52. Cf. MHOC I, 451-471; II, 439-460; VI, 54-76. Cf. anche AC I, 318-323. Su Ochino, si veda infra, parte Il, sez. I, docc. 22-25, 27, 29, 33-34; 74, 3 e la voce rispettiva nell’indice analitico.
  53. Si veda la spiegazione che lo stesso Francesco da Jesi diede a questi articoli, in MHOC IV, 127-132, con le varianti del testo trasmesso dal Boverio in AC I, 372-376. Il Ripanti, profondo teologo, in diverse di queste spiegazioni prevenne alcune indicazioni del concilio tridentino.
  54. AGO, BA 222, n. 269a, copia da ASV, Dataria Apostolica, Brevi Lateranensi, vol. 50, f. 171.
  55. AGO, BA 222, n. 269b, copia dai citati Brevi Lateranensi, f. 130.
  56. AGO, QA 222, n. 270, originale, con a tergo l’intimazione fatta il 29 agosto al commissario generale dell’Osservanza. Edizione in AC I, 441-443 e in BC I, 24s.
  57. Cf. F. Elizondo, Las constituciones capuchinas del 1552, in Laurent. 21 (1980) 206-250; vedi anche più avanti la sez. II, n. 150ss, nell’apparato critico.
  58. AO 5 (1889) 75. È significativo il titolo delle costituzioni del 1552: Costitutioni dei poveri Frati Menori detti Cappuccini. Cf. qui sez. II, n. 150, nota (a).
  59. AGO, QA 225, n. 278, originale e due transunti del 28 giugno seguente; più una copia stampata (QB); edizione in AC I, 567-574; AM XIX, 615-620 (525-530); in BC I, 25-28. Il proposito degli Eremiti di san Francesco, approvati da Giulio III il 14 marzo 1550, era quello di vivere sotto la Regola di san Francesco nella povertà dei cappuccini. Soppressi il 10 marzo 1562, e invitati ad entrare tra i cappuccini e gli osservanti, la maggior parte confluì nei conventuali riformati. Cf. DIP III, Roma 1976, 1199-1202; V, Roma 1978, 451s.
  60. Sui cappuccini partecipanti al concilio di Trento e i riferimenti all’Ordine fatti nelle varie sessioni, si vedano: Paolino da Casacalenda, I cappuccini nel Concilio di Trento, in CF3 (1933) 396-409, 571-583; Constantius ad Aldeaseca, Natura iuridica paupertatis Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum ab anno 1528 usque ad annum 1638, Roma 1943, 9-83; Ilarino da Milano, I Frati Minori Cappuccini e il Concilio di Trento, in IF 19 (1944) 50-70. Testimonianze dei padri conciliari sulla povertà e la stretta osservanza della vita cappuccina, infra, parte II, sez. I, doc. 42,1, nn. 2089-2094.
  61. AO 5 (1889) 79. Cf. Melchior a Pobladura, Historia generalis cit. I, 216s.
  62. BC I, 28s; cf. AC I, 609s; Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 142s.
  63. Magnum Bullarium Romanum, ed. L. Cherubini, II, Lyon 1673, 135s; BC VI, 253s.
  64. AGO, QA 225, n. 284, originale.
  65. Cf. MHOC VI, 307; AC I, 636.
  66. Un’altra antica prassi, appartenente anch’essa al carattere laicale dell’Ordine, e cioè la precedenza tra chierici e laici secondo l’ordine di anzianità religiosa, sarà abolita dal capitolo generale del 1606, nel quale, con 99 voti contro 5, fu stabilito che in tutte le province «i chierici debbono precedere ai laici quantunque vecchi». Cf. AO 5 (1889) 225. La risoluzione, segno di una lenta avvenuta clericalizzazione dell’Ordine, non venne applicata in tutte le province; infatti essa verrà intimata, con speciale riferimento alle province del regno di Sicilia, con decreto firmato il 24 settembre 1608 dal vescovo d’Agnani Antonio Seneca, protonotario apostolico (AGO, BA 234, n. 540, due originali; edizione in BC I, 56). Sulla posizione dei fratelli laici nell’Ordine si veda J.J.Der, The Capuchin Lay Brother. A juridical-historical study, in The New Round Table 37 (1984) 128-192, 38 (1985) 1-67.
  67. AGO, QA 226, n. 292, transunto autentico del 23 settembre 1573. Edizione in AC I, 998s; Magnum Bull. Rom. II, 240s; BC I, 21s. L’intimazione del breve fu fatta dal protonotario apostolico il 18 dicembre 1567 (AGO, BA 226, n. 292) e ancora il 30 agosto 1588 (AGO, QA 228, n. 392a, originale; QB, stampato). Un decreto della Congregazione per le consultazioni dei Regolari del 14 giugno 1588, a richiesta del procuratore generale dei cappuccini, intimava ugualmente ai minimi e ai riformati l’osservanza del precitato breve di Pio V, e un altro decreto del 27 maggio 1591 regolava la situazione giuridica dei cappuccini passati ai minimi, con la proibizione, sotto varie pene canoniche, di ogni ulteriore transito dei cappuccini ai predetti minimi (AGO, BA 228, n. 399a, originale; BC I, 32 mette la data sbagliata 1595).
  68. Cf. AC I, 666; Melchior a Pobladura; Historia generalis I, 59. I rumori di una tale unione non erano cessati ancora nel 1571. In data del 27 maggio dello stesso anno, scriveva san Carlo Borromeo al cardinale Crivelli che tali rumori erano infondati, e aggiungeva: «Per essere i padri capuccini molti pochi in numero [ma erano forse 3.000], non vedo che giovamento possa portare l’unione loro alla congregatione de’ padri de’ zoccoli, in comparatione del disordine et impedimento che ne seguirebbe alla quiete et osservanza di essi padri capuccini». Cf. P.M. Sevesi, S. Carlo Borromeo cardinale protettore dell’Ordine dei Frati Minori (1564-1572), in AFH 31 (1938) 118s, doc. 55. Testimonianze su san Carlo Borromeo e i cappuccini, infra, parte II, sez. I, docc.50-65.
  69. Pubblicato da uno stampato, non più nell’AGO, in AC I, 711-713, BC I, 33s ella, 15s, e in Rocco da Cesinale, Storia delle missioni dei cappuccini I, Parigi 1867, 475-477. Sui cappuccini a Lepanto, cf. Imerio da Castellanza, I cappuccini a Lepanto (7 ottobre 1571), in IF 8 (1933) 57-76, 190-201, 269-291, 356-369, 492-505. Altre testimonianze sull’eroico comportamento dei cappellani cappuccini in quella storica occasione, si vedano infra, parte III, sez. II.
  70. BC IV, 235.
  71. AM XX, 645s (674s).
  72. Con il breve Cum ad salutem del 20 giugno 1597, Clemente VIII inviò otto cappuccini e quattro osservanti come cappellani dell’esercito pontificio in terre ungheresi (AM XXIII, 537). Lo stesso papa, con il breve Cum dilecti fili del 25 maggio 1601, destinava dodici cappuccini e otto camilliani per il servizio spirituale delle truppe cattoliche dislocate in Ungheria (AGO, QA 232, n. 461, originale; edito in BC I, 48). Né va dimenticato il breve Cum tu ad exercitum dell’11 ottobre 1610, con il quale Paolo V nominava san Lorenzo da Brindisi cappellano generale delle forze della Lega Cattolica (AM XXIV 585s; BC II, 289; Arturo M. da Carmignano di Brenta, San Lorenzo da Brindisi dottore della Chiesa universale (1559-1619). IV. Documenti, parte seconda, Venezia-Mestre 1963, …Sull’ apostolato cappuccino castrense cf. Imerio da Castellanza, Gli angeli delle armate. (I cappellani militari cappuccini), Bergamo 1937; Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 292-297. Per testimonianze su san Lorenzo da Brindisi nelle attività religioso-politiche e militari, si veda più avanti, parte III, sez. III.
  73. Cf. AO 5 (1889) 81s.
  74. AGO, QA 227, n, 317, transunto autentico del 3 giugno; QB, stampato; edito in AC I, 765s (data sbagliata 1575); BC I, 35 e V, 1s (si legga anno II del pontificato, invece di IV). Sull’espansione dell’Ordine per l’Europa cf. Mechior a Pobladura, Historia gernalis I, 81-95. Testimonianze dell’accoglienza ai cappuccini e sulla loro vita esemplare, si vedano nella parte IV.
  75. BC I, 35.
  76. F. Elizondo, Constituciones capuchinas del 1575. En torno a un centenario, in Laurent. 16 (1975) 3-52; idem, Contenido de las constituciones capuchinas de 1575 y su relación con la legislación precedente, ibid.225-280.
  77. AGO, QA 227, n. 345, transunto autentico del 23 ottobre; edito in AC II, 943-945; BC I, 36s.
  78. AGO, Q4 227, n. 349, due transunti autentici.
  79. Un decreto del 10 maggio 1582, firmato dal vicario generale del papa, card. Giacomo Sabelli, imponeva ai Fatebenefratelli una forma particolare del loro abito per distinguersi dai cappuccini (AGO, BA 227, n. 348, copia); il decreto, intimato ben due volte, sarà ripetuto il 31 agosto 1587 (AGO, BA 228, n. 384a, cp1a). Nel frattempo, il 22 giugno 1582 il protonotario apostolico G. Mattei aveva intimato l’osservanza della bolla di Pio IV del 2 aprile 1560 sulla questione dell’abito cappuccino (AGO, QA 227, n. 349, due originali). Contro gli usurpatori sarà ancora emanato il 16 gennaio 1588 un decreto della Congregazione per le consultazioni dei Regolari, cui faranno seguito il 12 maggio le lettere esecutorie dell’auditore di camera (AGO, QA 228, n. 391a, originale; copia in BA), e un nuovo mandato esecutivo il 12 maggio 1592 ugualmente con l’invocazione del braccio secolare contro i Fatebenefratelli ed altri portatori abusivi dell’abito cappuccino (AGO, QA 232, n. 407, originale). Alcuni di questi documenti sono stati pubblicati in AC II, 945-949, 955-957 e in BC I, 37-39.
  80. BC II, 37-39.
  81. Magnum Bull. Rom. II, 37-39.
  82. Rocco da Cesinale, Storia delle missioni I, 505-508. Lo stesso pontefice, con il breve Libenter ex litteris del 24 agosto 1602, indirizzato al p. Ignazio da Bologna, si rallegra dei frutti evangelici da lui riportati in Algeri e lo incoraggia a continuare «l’opera di Dio» (BC VII, 268).
  83. BC III, 147s. Sull’apostolato cappuccino tra gli schiavi cristiani in Africa cf. Rocco da Cesinale, Storia I, 414-428; Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 332-335; S. Bono, La missione dei cappuccini ad Algeri per il riscatto degli schiavi cristiani nel 1585, in CF 25 (1955) 149-163, 279-304. Vedi anche nella parte II, sez. III. – Forse perché attratti da questa forma d’apostolato, o per motivi meno nobili, si era verificato il passaggio di alcuni cappuccini all’Ordine della B. V. M. della Mercede, transito che Paolo V vietò con il breve Nuper ad nos del 7 luglio 1608, imponendo ai superiori di quell’Ordine di non ricevere più cappuccini e altri religiosi di Regola stretta, in Spagna e altrove. Il documento in AC II, 977s; BC I, 55s; BR XI, 526s.
  84. Dopo che gli scalzi spagnoli nel 1563 dovettero sottostare, loro malgrado, alla giurisdizione degli osservanti, una loro delegazione venuta a Roma avrebbe chiesto di aggregare la loro riforma all’Ordine cappuccino; il capitolo generale del 1567 respinse la proposta, allegando la necessità di ottenere la licenza del papa e quella del Re Cattolico. Cf. AO 5 (1889) 80: AIA 17 (1922) 167s; Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 83. Nelle costituzioni del 1575 e del 1608 s’imponeva ai frati provenienti dai conventuali e dagli zoccolanti di fare l’anno di prova completo con la professione, come tutti gli altri novizi (cap. II).
  85. BC I, 42s; BR VIII, 657-659. Il passaggio di religiosi all’Ordine cappuccino continuò ancora: nelle ordinazioni dei capitoli generali del 1596, 1602 e 1618 la licenza di ricevere religiosi di altri Ordini verrà riservata ai soli vicari generali. Cf. AO 5 (1889) 136, 168, 302. Neppure era raro che i cappuccini optassero per altri Ordini. Con il breve Cum sicuti del 20 dicembre 1589 Sisto V sopprimeva gli scalzi venuti in Italia, i quali, senza licenza della Santa Sede, avevano ricevuto all’abito e alla professione religiosi mendicanti «e cappuccini», non mendicanti e secolari, i conventi scalzi venivano assegnati ai conventuali riformati, ai quali potevano aggregarsi i religiosi soppressi o tornare alla propria religione o al proprio stato (AGO, QB 228, n. 395a, stampato). Il passaggio dei religiosi a un Ordine più lasso era stato interdetto dal concilio di Trento (sess. XXV, De regularibus, c. 19), e Pio V, con la bolla Quaecumque personarum del 14 ottobre 1569, revocava i privilegi di poter ricevere e ritenere religiosi di altri Ordini, anche se più lassi (BC VII, 265s; BR VII, 783-785). Abbiamo accennato sopra (nota83) alla proibizione di ricevere cappuccini fatta ai mercedari, i quali credevano di poterli accettare in virtù del loro quarto voto eroico. Una simile proibizione agli stessi di ricevere osservanti ed altri di vita più ricida era stata indetta da Clemente VIII con il breve Nuper ad nos del 24 dicembre 1596 (AM XXIII, 522 [462s]; BR X, 319s). Finalmente, per chiudere questa agitata questione sul transito di religiosi ai cappuccini e di questi ed altri Ordini, ricordiamo il breve Iniuncto nobis del 9 agosto 1628, con il quale Urbano VIII, a richiesta del procuratore dell’Ordine, vieta in perpetuo ai cappuccini di passare, sotto qualunque pretesto o causa, a un Ordine più lasso senza licenza speciale della S. Sede, oppure al più rigido dei certosini o altri simili senza la licenza scritta del ministro generale (AGO, QA 236, n. 826, originale; QB, due copie stampate; edizione in BC I, 79s).
  86. ASV, Reg. Secretariae Brevium, Arm. XLIV, vol. 30, f. 24; edito in BC VII, 282-284; AM XXII, 439-441 (410-413); Rocco da Cesinale, Storia delle missioni I, 471-473.
  87. AGO, H 35, I; testo emendato, infra, parte I, sezione IV, nn. 1654-1655; testo scorretto in AC II, 904s; BC VII, 284; Rocco da Cesinale, Storia I, 474s.
  88. Su questa missione e san Giuseppe da Leonessa, cf. La missione cappuccina a Costantinopoli e il martirio di san Giuseppe da Leonessa. IV Centenario 1587-1987. Atti dell’incontro di studi. Leonessa, 2-3 agosto 1987, in Leonessa e il suo Santo 24 (1987) n. 135. Cf. più avanti, sez. IV, nn. 1656-1657.
  89. Sui Maddaleniti cf. Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 63, 175; C. Cargnoni, Fonti, tendenze e sviluppi della letteratura spirituale cappuccina primitiva, in CF 48 (1978) 391s.109.
  90. Il Colpetrazzo scriveva verso il 1592-94: «Il più glorioso stato che sia sta-lo mai nella nostra Congregazione fu dal 28 principio della religione e al tempo del padre san Francesco» (MHOC II, 259).
  91. Sulla motivazione restrittiva di questa forma ‘apostolato – salvaguardare cioè la vita di ritiro e di orazione – si veda MHOC II, 259; Cost. 1536, n. 90 e variazioni redazionali (nn. 281-292).
  92. Cf. AO 75 (1959) 336 e 339.
  93. AGO, QA 230, n. 400, originale e copia; OB, stampato; AC II, 953; BC I, 44s.
  94. Il decreto in AGO, BA 232, n. 477a, copia; il breve in QA 232 n. 488, originale; QB, stampato; AC II, 974s; BC I,49s.
  95. Per la preparazione teologico-morale dei confessori, il capitolo generale del 1618, ordinerà che in tre o quattro luoghi di provincia, si leggano casi di coscienza, almeno tre volte alla settimana e in tutte le feste; le lezioni saranno fatte da alcuni padri idonei deputati dal definitorio (AO 5 [18891 301). Sulla questione della confessione dei secolari cf. De confessione saecularium in Ordine nostro, in AO 19 (1903) 251-255, 279-284, 370-373; 20 (1904) 27-39, 125-128, 150-152; Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 277-281; testi e testimonianze, cf. nn. 1161-1162.
  96. AGO, QA 230, n. 401, originale; QB, stampato; AC II, 951s; BC I, 45s; BR IX, 442-444. A tergo dell’originale, l’intimazione fatta al commissario generale dei conventuali il 2 agosto 1591. Cf. anche BA 230, n. 401, copia. Un decreto del 16 dicembre 1591 della Congregazione per le consultazioni dei Regolari obbligava i conventuali riformati a vestire l’abito loro assegnato (AGO, BA 231, n. 405a, copia); il decreto fu rinnovato il 2 febbraio 1623 (AGO, QB 235, n. 693). I conventuali riformati furono soppressi – eccetto qualche convento – con il breve Romanus Pontifex del 6 febbraio 1626, dato «motu proprio» da Urbano VIII; i religiosi dovevano, entro due mesi, scegliere di restare tra i conventuali o di entrare tra i cappuccini, tra gli osservanti riformati e gli osservanti (AGO, QB 236, n. 750, stampato; AM XXVI, 416-418). Cf. DIP III, Roma 1976, 94-106.
  97. AGO, BA 231, n. 405, attestato del procuratore generale; cf. BC I, 47. Da notarsi che tutti i «vivae vocis» oracoli, non firmati da un cardinale, concessi ai collegi, capitoli, Ordini religiosi, società e congregazioni, saranno abrogati da Gregorio XV con il breve Romanus Pontifex del 2 luglio 1622 (Magnum Bull. Rom. III, 424s; BC VI, 3845). Ma lo stesso papa, interrogato dal procuratore generale Girolamo da Castelferretti, dichiarerà il 6 febbraio 1623, che il precitato breve non riguardava l’Ordine cappuccino (AGO, BA 235, n. 694, attestator originale del procuratore; edito in BC I, 69s).
  98. Cf. F. Elizondo, Las constituciones capuchinas del 1608, in Laurent. 17 (1976) 153-208.
  99. AM XXIV, 435-437 (394s); BR X, 862s.
  100. AGO, QA 234, n. 541, originale; edito in AC II, 975s; BC I, 57; BR XI, 552s. Cf. infra, nota 125.
  101. AGO, BA 228, n. 379, doppia copia dell’attestato del card. Michele Bonelli.
  102. Il breve in AGO, QB 227, n. 355, stampato; BC VI, 284s; BR VIII, 429 (mette la data del 25). L’ordinazione del card. Lante, in AGO, BA 234, n. 591a, originale.
  103. AGO, Q4 234, n. 616, transunto autenticato dell’auditore di camera il 16 febbraio 1617. In data anteriore al 1616, il vicario generale Paolo da Cesena, con una sua lettera circolare, volendo tenere i frati lontani dai litigi occasionati dalla precedenza nelle processioni, ricordava la costumanza dell’Ordine di andare sotto la croce dei conventuali, come segno anche di umiltà francescana. Cf. Melchior a Pobladura, Litterae circulares superiorum generalium Ordinis Fratrum Minorum Capuccinorum (1548-1803), Roma 1960, 30-32. Cf. anche infra, n. 939.
  104. AGO, QA 234, n. 625, originale; QB, stampato (5 copie); BC I, 60; BR XII, 411s. Un decreto della Congregazione dei Riti del 23 marzo 1619 specificherà che i cappuccini, ormai sotto la propria croce in seguito alla raggiunta autonomia, nelle processioni dovevano cedere il posto ai regolati che già prima avevano la precedenza (AGO, BA 234, n. 643, originale ed esposto documentato sulla questione). Ancora un altro decreto del 10 luglio 1621 della stessa Congregazione spiegherà il precedente nel senso che quella norma si sarebbe dovuta applicare soltanto nei luoghi dove i cappuccini non andavano prima dietro la propria croce; negli altri essi avrebbero mantenuto il loro posto e la loro precedenza (AGO, BA 235, n. 660a, originali e tre copie).
  105. AGO, QA 234, n. 637, originale; edito in BC I, 60s. Un’edizione più accurata, infra, parte V, sez. II. Il provvedimento avrà in seguito non poche eccezioni.
  106. AGO, QA 234, n. 640, originale; edito in BC I, 61s.
  107. AGO, QA 234, n. 641, originale; edito in AC II, 978s e III, 283s; BC I, 62s (sbagliata la data di 23); AM XXV, 559s (593). Da correggere la data 23 nel regesto (n. 640), e in Melchior a Pobladura, Historia generalis I, 71, e II/1, 1. La piena autorità del ministro generale «ubique locorum et in utroque foro» fu confermata dal «vivae vocis oraculo» di Gregorio XV del 29 ottobre 1621, abrogando certe limitazioni imposte dal breve In supremo Sedis del 29 ottobre 1618 (AGO, QA 235, n. 666, attestato autentico del card. Francesco de Sourdis; edito in BC I, 64). Cf. infra, n. 1109.
  108. I citati brevi in BC VII, 192-194. Su questo laborioso progetto cf. T. Filesi – I. de Villapadierna, La «Missio antiana» dei cappuccini nel Congo (1645-1835), Roma 1978, 15-18.
  109. Sulle missioni cappuccine in questo primo secolo e nei seguenti, cf. Rocco da Cesinale, Storia delle missioni dei cappuccini, 3 tomi, Parigi-Roma 1867-73; Clemente da Terzorio, Le missioni dei Minori Cappuccini. Sunto storico, 10 voll., Roma 1913-38; Idem, Manuale historicum missionum Ordinis Minorum Capuccinorum, Isola del Liri 1926. Si veda anche, per il primo secolo, Melchior a Pobldura, Historia generalis I, 298-331.
  110. BC V, 6s.
  111. AGO, BA 235, n. 661, originale e copia. Il decreto fu approvato dal papa il 31 luglio. In Spagna e in Portogallo, gli scalzi erano chiamati volgarmente «capuchos» e talvolta anche «capuchinos».
  112. AGO, QA 235, n. 668, originale; QB, tre copie stampate; edito in BC 1, 64-67; BR XII, 647-649. Il procuratore generale dell’Ordine, Girolamo da Castelferretti, si premurò d’inviare un transunto autentico del breve a tutti i provinciali con una circolare del 22 febbraio 1622, la quale incominciava: «Caputium, habitus, mantellus, chorda et solea seu sandalia quae nos capuccini portamus, gemmae sunt et reliquiae paupertatis S.P.N. Francisci, quarum semper, ab initio Reformationis usque in hunc diem, fuimus possessores …» (BC I, 68). Si veda infra, la versione italiana, parte I, sez. IV, doc. 6 (n. 1110).
  113. AGO, OB 235, n. 693, tre copie stampate.
  114. AGO, BA 236, n. 703, соріа аggiunta al decreto citato nella nota 111. Il decreto del 23 dicembre 1623 fu emanato dopo che una commissione di cardinali, si occupò della vertenza sull’abito agitata tra i riformati e i cappuccini, ascoltando ambe. due le parti. In favore dei riformati erano stati presentati diversi voti e memoriali. Si veda in AM XXVI, 167-173, il memoriale più breve, sottoscritto, a quanto sembra, da conventuali, osservanti e riformati. Sulla vera forma dell’abito di san Francesco, e quindi dei cappuccini, si veda la dissertazione, illustrata anche con figure, del Boverio in AC 1, 877-968.
  115. AGO, QA 236, n. 704, originale; QB, tre copie stampate; BC I, 71s; AM XXVI, 173-175; BR XIII, 97-99.
  116. AGO, QA 236, n. 709, originale; QB, tre copie stampate; BR XIII, 139s. Tuttavia, nel breve veniva concesso ai riformati di usare, in alcuni casi particolari, sandali di una forma peculiare, non uguale quindi ai sandali dei cappuccini.
  117. BC V, 9; le lettere esecutive dei commissionati del 28 novembre 1624, ibid. 10s.
  118. AGO, BA 236, n. 717a, соріа autentica.
  119. BC V, 11s.
  120. AGO, QA 236, n. 722, transunto del breve con il relativo decreto, originale; BA 236, n. 729a, copia: BC V, 12s.Ancora il 20 dicembre 1628, Urbano VIII, con il breve Alia a nobis, ripeterà e ingiungerà ai riformati della Polonia l’osservanza del breve del 10 gennaio 1624 (BC IV, 350s).
  121. AGO, QA 236, n. 740, originale, edito in BC I, 75s e in BR XIII, 371s. Altri documenti papali sul culto al nuovo beato, in AGO, QB 236, n. 746a e 756; QA 236, n. 755 e 816. Cf. BC I, 765, 78s. Testimonianze sul beato Felice, infra, nn. 978, 2103-2105 e brani dal processo canonico nella parte III, sez. III.
  122. Testi e testimonianze su di essi e su altri personaggi dell’Ordine, illustri per virtù e santità, con relativi processi canonici, infra, parte III, sez. III.
  123. Non è questa la sede per indagare sugli autori di questa fastidiosa quanto irresponsabile campagna. Ci limitiamo a segnalare che il Boverio, nella sua risposta ai calunniatori (AC I, 953-960), accenna a un «pubblico scritto» stilato dai conventuali, osservanti e riformati. Cf. supra, nota 114.
  124. AGO, BA 236, п. 798, соріа.
  125. AGO, QA 236, n. 800, originale; QB, tre copie stampate; edito in BC I, 77s e in BR XIII, 562s.